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Il Conclave con lo sguardo di don Primo Mazzolari

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Il Conclave con lo sguardo di don Primo Mazzolari

Scriviamo questa nota, mentre si apre il Conclave. Quando una così solenne Congregazione incomincia nel nome e nella invocazione dello Spirito Santo, dentro l’animo di credenti di tutto il mondo deve tacere, come di certo tace nell’animo dei Cardinali, ogni piccola voce, insinuata da considerazione che non riguardino unicamente il bene della cristianità e del mondo. Per quanto serie e rispettabili possono essere certe particolari preoccupazioni, esse non convengono al Mistero della Chiesa, che ha nel Conclave uno dei suoi momenti più delicati. Nella storia della Chiesa «tutto è Grazia» o «tutto è commercio», secondo che abbiamo fede o no, e che nella nostra fede prevalgono o non prevalgono gli interessi della Chiesa, veduti e voluti dal nostro «particolare».

Riesce facile dichiarare di «sentire cum Ecclesia», un po’ meno trattenersi dal confonderla con le nostre opinioni. Quel dire facile è divenuto una insegna e molti le spiegano senza esserne richiesti, forse per coprire un’indebita appropriazione. Questa è l’ora del cuore largo e dell’occhio pulito, altrimenti, nell’aggressione irriverente della stampa, non si riesce a trovar nulla di chiaro né di rispettabile, molto meno di religioso. La religione ha tutto da perdere dal clamore che le viene fatto intorno da una «informazione», che non conosce neppure i limiti della decenza.

Pochi ci crederanno se diciamo che la elezione del nuovo Papa ci trova in un’attesa trepida ma non inquieta, in una preghiera continua ma non affannosa, in una fiducia che non coltiva preferenze né dà suggerimento o consigli. Pochi o tanti i membri del Sacro Collegio, italiano o no, più o meno venerandi per canizie e meriti, sono per noi ugualmente eminenti, anche se le loro doti personali non sono dello stesso grado. Non si intende diminuire il valore dell’uomo che nella Chiesa e nella vocazione dei suoi sacerdoti ha posto e compito importantissimi; ma, oggi, non siamo tentati, come ci è accaduto altre volte, di sopravvalutare l’apporto in un’Opera dove Dio agisce precipuamente con l’uomo, senza l’uomo e nonostante l’uomo.

Dopo aver visto da vicino la storia di parecchi pontificati, ci siamo più che mai convinti che non l’uomo ma il Signore porta la sua Chiesa, e fa mucchio con essa nelle cadute, che ormai più non si contano, lungo il calvario della storia. Il Signore porta la sua Chiesa, degnandosi di usare degli uomini, ch’egli stesso sceglie, i quali, anche quando presentano virtù e doti convenienti, sono quasi sempre strumenti così inadeguati da far dire, come un giorno ha detto Cristo di sé medesimo: «Beati coloro che non si scandalizzeranno in me».

Non sempre la grandezza dell’uomo rifulge in grandezza di Pontefice, benché una conveniente statura umana possa offrire l’occasione di un servizio migliore. Ma l’«uomo grande» può essere talvolta tentato di mettere di sé più di quanto sia utile e richiesto in un servizio, dove conta maggiormente l’esattezza che l’amplificazione, l’umiltà più del fasto, il silenzio più dei lunghi discorsi, la fiducia in Dio più che l’accaparramento dei mezzi umani.

In un mondo frastornato da grandezze fabbricate spettacolarmente, da complicate combinazioni di inconfessabili interessi, può darsi che la Provvidenza, giocando l’aspettativa temporale di parecchie sfere clericali, aggiornate soltanto nel far rumore intorno alla Chiesa, ci mandi un Pontefice silenzioso, senza incanto di corpo e senza fascino di coltura: un «profeta» che sappia appena balbettare: «a … a».

In un mondo traboccante di paurosa e provocante violenza, non sarebbe del tutto strano se il Signore si compiacesse di regalare alla sua Chiesa un Pontefice umile e povero e di nient’altro preoccupato che di proteggere gli inermi, dissipare dalle menti la tenebra e il terrore dai cuori. Siamo stanchi di troppa scienza e di troppa cultura; stanchi di troppo potere e di troppa durezza, di troppe parole e di troppi spettacoli; stanchi di questo defatigante affanno che, dopo aver corso terre e mari, ci porta verso gli spazi interplanetari. Siamo stanchi di grandezze, di prestigio e di primi posti; stanchi di mirabolanti conquiste che, dopo averci turbato i pochi attimi del vivere, ci portano verso la morte senza speranza.

Siamo stanchi di odi, di violenze, di rivolte e di guerre. Stanchi di parole. Non osiamo chiedere nulla. Ma se il Signore, usandoci pietà, scegliesse per la sua Chiesa, — la Chiesa dei poveri, degli oppressi, degli orfani, dei tribolati, la Chiesa degli «ultimi» — l’ultimo dei suoi Sacerdoti e gli mettesse sulle labbra, unicamente e perdutamente, la sua Parola e nel cuore tale apostolica fermezza da ripeterla «senza riguardi di persona», disposto a perdere il superfluo e il quotidiano, pur di rimanere fedele; il resto, questo inutile e ingombrante resto, che arriva fin sulla soglia del Conclave con strane congetture e assurdi voti, gratificando di «straniero» un Papa non italiano, come se la cattolicità tenesse conto della genealogia, della nazione o della razza, il resto cadrebbe da sé, con sollievo di tutti.

Con sollievo almeno dei credenti, di coloro che non sono abituati a barattare le cose della loro Chiesa, né hanno segreti da rivelare alla stampa, e niente da chiedere a nessuno, neppure al Papa; essi vogliono soltanto non vederLo confuso con i potenti dell’ora, in una gara che non conviene a Colui che è predestinato ad essere «il servo dei servi di Dio».

«Quando ebbe lavati i loro piedi e riprese le vesti, disse loro: “lo capite quel che vi ho fatto? Voi mi chiamate maestro e Signore: e dite giusto, lo sono. Se dunque vi ho lavato i piedi io Signore, io maestro, così voi pure dovete lavarvi i piedi l’un l’altro. Vi ho dato un esempio perché come io ho fatto con voi così anche voi facciate. In verità, in verità vi dico: non c’è servo che sia più del padrone, né inviato che sia maggiore di chi lo mandò. Sapendo queste cose, siete beati, purché le pratichiate», (Giovanni 13,12-17). Questa è la beatitudine che gli ultimi di Adesso umilmente domandano al Signore per il nuovo Papa.

Osservatore Romano
16 Mai 2025
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