Il carisma dei Missionari Saveriani nel vissuto di un confratello
MISSIONE FA RIMA CON PASSIONE e trova la sua formulazione espressiva nel grido di San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi: “Caritas Christi urget nos” (2 Cor. 5:16), che fu poi l’anima dell’audace progetto per la missione del nostro Fondatore San Guido M. Conforti. Il nome missione trova oggi spazio soprattutto nelle tavole rotonde delle discussioni teologiche, ma la spinta missionaria, come intesa da San Paolo e fatta propria dal nostro Fondatore, si è molto affievolita, se non addirittura spenta.
Era proprio la passione per il Cristo e per il suo messaggio di salvezza che ti teneva inchiodato sulla riva del fiume Kopotokko in balia delle intemperie e dei cicloni, per 12 anni senza corrente, senza telefono e senza mass media. Puoi chiamare questa retorica o mistificazione della missione, per me si tratta invece della storia di un’avventura d’amore, al cui centro c’era LUI, che ti sosteneva e di cui avvertivi la presenza. “Signore, tu ci sei; manifestati a me! Se tu ti manifesti, io vivo” (Borodol, 31.08.1978). “Io sono qui, perché tu sei qui con me e mi riempi di gioia! Se tu fossi lontano da me, io fuggirei!” (Borodol, 02.09.1979).
Ma i tempi sono cambiati. Nel corso della storia le rivoluzioni ed i cambiamenti epocali non si contano. Ai nostri giorni poi i cambiamenti si susseguono ad un ritmo impressionante. Nel frastuono e nella frenesia dei cambiamenti è ancora avvertibile il grido di San Paolo, fatto proprio dal Fondatore dei Saveriani? È proprio quello che ci viene chiesto in questa fase preparatoria del Capitolo Generale, che traccerà o non traccerà un sentiero improntato ad un rinnovato entusiasmo per la missione “ad gentes, ad extra, ad vitam”, che può trovare la sua scaturigine unicamente nell’amore per il Cristo.
MISSIONE COME ESODO. La chiamata alla missione ci colloca sul sentiero di Abramo, padre di quelli credono e si affidano ed è innanzitutto un uscire dalla propria terra. Terra, nel caso nostro, ha un ampio significato semantico, a partire da quello geografico del paese dove si è nati ed abbiamo assorbito lingua, religione, cultura e tradizioni, fino a quello metaforico della terra della tua personalità, del mondo delle tue idee e convinzioni.
Il primo esodo, quello dalla terra dove si è nati, fa soffrire all’inizio, ma è una sofferenza che viene subito assorbita e rimane un ricordo isolato e nostalgico. Il secondo esodo, invece, quello dalla terra del nostro io e del nostro modo di pensare e di agire non finisce mai e ci accompagna in tutto il tragitto della vita. Se al primo esodo non tiene seguito il secondo esodo, la missione va incontro al fallimento. Questo secondo esodo ci permette di attuare la missione ad “extra”, che è la seconda caratteristica, che ci costituisce Saveriani, accanto all’ “ad gentes” e “ad vitam”. L’attitudine dell’uscita dal nostro io ci permette di entrare in punta di piedi nel paese in cui siamo chiamati a rendere presente la missione di Gesù, senza presunzione o pretesa di insegnare, ma con la precisa coscienza che imparare la lingua del popolo, conoscerne storia, cultura e tradizioni sono l’ABC della missione. Lo slogan di una volta era “essere apostoli, conservando dentro sempre l’attitudine del discepolo”.
MISSIONE AD GENTES. Una volta, all’orizzonte della chiamata alla missione figuravano solo i popoli che non conoscevano Gesù e reclamavano il diritto a conoscerlo. Da qui nasceva l’urgenza della partenza per la realizzazione della missione. Oggi l’orizzonte si è accorciato, perché, dicono, i popoli dell’ad gentes si trovano a casa nostra e non c’è bisogno di uscire per andare a trovarli. Il fenomeno dell’emigrazione di massa in questi ultimi decenni ha sconvolto i parametri del modo di pensare e di agire nel mondo occidentale, coinvolgendo anche la Chiesa e la sua missione. A riguardo è in atto un ampio dibattito, degno di grande attenzione. Ma, come missionari ad gentes, la nostra posizione dovrebbe essere chiara e netta: il problema riguarda la chiesa locale, che, come è stato affermato dal Concilio Vaticano II, di sua natura è missionaria. Questa verità ha trovato espressione nello slogan di qualche anno fa: “Battezzati? Quindi inviati!” A noi, come Saveriani, occorre conservare intatta l’identità del carisma ad gentes, che richiede l’uscita dalla propria terra e dalla propria cultura.
MISSIONE AD VITAM. L’ultimo respiro è per la missione! Forse ci si dimentica, ma bisogna tenerlo sempre a mente che per noi Saveriani la vita consacrata è scandita oltre che dai voti di povertà, obbedienza e castità, anche dal quarto voto della missione. Si corre quando si è giovani, affrontando con entusiasmo situazioni spesso difficili, con il rischio anche di sbagliare. La corsa si attutisce con l’età matura, quando si guarda alla realtà con disincanto. Subentra la quarta fase, che è quella che mi riguarda, quando c’è bisogno della terza gamba, che è il bastone, per muoversi. Si vorrebbe correre come una volta, ripercorrere le strade fangose nella stagione delle piogge e polverose nella stagione asciutta, riprendere in mano quello che era nel sogno di realizzare e non fu realizzato, ma la terza gamba non lo consente! Allora ci si rende conto che sei entrato nella fase finale della missione, che trova il suo apice nella kenosis, nel graduale scomparire per l’invocazione finale: Maranatha, Vieni, Signore Gesù.
Chuknagar Mission, 29.11.2022
For a mission “ad gentes, ad extra, ad vitam”
The charism of the Xaverian Missionaries in the experience of a confrere
MISSION RHYMES WITH PASSION and finds its expressive formulation in the cry of St. Paul in the Second Letter to the Corinthians: "Caritas Christi urget nos" (2 Cor. 5:16), which was then the soul of the daring missionary project of our founder St. Guido M. Conforti. Today, the name "mission" finds its place above all in theological discussions, but the missionary impulse, as understood by St. Paul and cherished by our Founder, has faded, if not to say died out.
It is precisely the passion for Christ and his message of salvation that have kept you stranded on the banks of the Kopotoko River, at the mercy of bad weather and cyclones, for 12 years without electricity, without telephone and without media. You may call it rhetoric or mission mystification; to me it is more like a love affair, at the center of which was HIM, who sustained you and whose presence you felt. "Lord, you are here; manifest yourself to me! If you manifest yourself, I live" (Borodol, 31.08.1978). "I am here, because you are here with me and you fill me with joy! If you were far from me, I would run away" (Borodol, 02.09.1979).
But times have changed. Throughout history, revolutions and changes in the times have been countless. In our time, changes are taking place at an impressive pace. In the midst of the hubbub and frenzy of change, is the cry of St Paul, echoed by the Founder of the Xaverians, still audible? This is precisely what is being asked of us in this preparatory phase of the General Chapter, whether or not it will trace a path marked by a renewed enthusiasm for the mission "ad gentes, ad extra, ad vitam", which can only spring from love for Christ.
MISSION AS EXODUS. The call to mission places us on the path of Abraham, the father of those who believe and trust, and is above all an exodus from one's own land. Land, in our case, has a very broad semantic meaning, ranging from the geographical sense of the country where you were born and learned the language, religion, culture and traditions, to the metaphorical sense of the land of your personality, the world of your ideas and convictions.
The first exodus, that of the native land, causes pain at the beginning, but that pain is immediately absorbed and remains an isolated and nostalgic memory. The second exodus, on the other hand, that of the land of our self and of our way of thinking and acting, never ends and accompanies us throughout our life's journey. If the first exodus is not followed by the second exodus, the mission is doomed to failure. This second exodus allows us to implement the mission ad "extra", which is the second characteristic that constitutes us as Xaverians, alongside "ad gentes" and "ad vitam". The attitude of leaving our ego behind allows us to tiptoe into the land where we are called to make present the mission of Jesus, without presumption or pretension of teaching, but with the clear awareness that learning the language of the people, knowing their history, culture and traditions are the ABC of mission. Once upon a time, the slogan was: "being apostles, always keeping the attitude of the disciple inside".
MISSION AD GENTES. In the past, on the horizon of the call to mission, there were only the peoples who did not know Jesus and who claimed the right to know him. Hence the urgency of departure for the realisation of the mission. Today, the horizon has shortened, because, they say, the peoples of the ad gentes are at home and it is not necessary to go out to visit them. The phenomenon of mass immigration in recent decades has changed the parameters of the way the Western world thinks and acts, involving also the Church and its mission. There is a wide-ranging debate on this subject, which deserves great attention. But as missionaries ad gentes, our position must be clear and unambiguous: the problem concerns the local church, which, as the Second Vatican Council declared, is missionary by nature. This truth found its expression in the slogan of a few years ago: "Baptized and sent!" As Xaverians, we must keep intact the identity of the charism ad gentes, which requires leaving one's land and culture.
MISSION AD VITAM. The last breath is for the mission! Perhaps we forget this, but we must always keep in mind that for us Xaverians, consecrated life is marked not only by the vows of poverty, obedience and chastity, but also by the fourth vow of mission. We run when we are young, we face often difficult situations with enthusiasm, with the risk of making mistakes. The race slows down when you mature, when you look at reality with disenchantment. Then comes the fourth phase, which is the one that concerns me, when you need the third leg, which is the stick, to move. You would like to run as before, to retrace the muddy paths of the rainy season and the dusty paths of the dry season, to take up what you dreamed of achieving and did not, but the third leg does not allow it! Then you realise that you have entered the final phase of the mission, which culminates in kenosis, in the gradual disappearance for the final invocation: Maranatha, Come, Lord Jesus.
Mission Chuknagar, 29.11.2022
Germano Antonio Das sx
Por una misión "ad gentes, ad extra, ad vitam"
El carisma de los Misioneros Javerianos en la experiencia de un cohermano
LA MISIÓN RIMA CON PASIÓN y encuentra su formulación expresiva en el grito de San Pablo en la segunda Carta a los Corintios: “Caritas Christi urget nos” (2Cor. 5,16), que ha sido, luego, el alma del audaz proyecto misionero de nuestro Fundador San Guido M. Conforti. Hoy en día, el nombre de misión encuentra espacio sobre todo en las mesas redondas de las discusiones teológicas, pero el impulso misionero, tal como lo entendió San Pablo y lo hizo suyo nuestro Fundador, se ha desvanecido en gran medida, por no decir que se ha extinguido.
Fue precisamente la pasión por Cristo y su mensaje de salvación lo que animaba a permanecer como clavado a orillas del río Kopotokko, a merced de la intemperie y los ciclones, durante 12 años sin electricidad, sin teléfono y sin medios de comunicación. Puedes llamar a esto mera retórica o mistificación de la misión, para mí es en cambio la historia de una aventura de amor, en cuyo centro estaba ÉL, que te sostenía y cuya presencia se sentía. “¡Señor, tú estás ahí; manifiéstate a mí! Si tú te manifiestas, yo vivo” (Borodol, 31.08.1978). “¡Estoy aquí, porque tú estás aquí conmigo y me llenas de alegría! Si estuvieras lejos de mí, huiría” (Borodol, 02.09.1979).
Pero los tiempos han cambiado. A lo largo de la historia, las revoluciones y los cambios de época son incontables. En nuestra época, los cambios se producen a un ritmo impresionante. En medio del alboroto y el frenesí del cambio, ¿sigue siendo audible el grito de San Pablo, del que se hizo eco el Fundador de los Javerianos? Esto es precisamente lo que se nos pide en esta fase preparatoria del Capítulo General, que trazará o no, un camino marcado por un renovado entusiasmo por la misión “ad gentes, ad extra, ad vitam”, que puede encontrar su fuente únicamente en el amor a Cristo.
MISIÓN COMO ÉXODO. La llamada a la misión nos sitúa en el camino de Abraham, el padre de los que creen y confían, y es ante todo un salir de la propia tierra. Tierra, en nuestro caso, tiene un amplio significado semántico, desde el geográfico del país donde se ha nacido y hemos absorbido lengua, religión, cultura y tradiciones, hasta el metafórico de la tierra de tu personalidad, del mundo de tus ideas y convicciones.
El primer éxodo, el de la tierra natal, hace sufrir al principio, pero es un sufrimiento que se asimila enseguida y se queda en un recuerdo aislado y nostálgico. En cambio, el segundo éxodo, el de la tierra de nuestro yo y nuestra forma de pensar y actuar, no termina nunca y nos acompaña a lo largo de todo el camino de la vida. Si al primer éxodo no le sigue el segundo, la misión está condenada al fracaso. Este segundo éxodo nos permite realizar la misión ad “extra”, que es la segunda característica que nos constituye como Javerianos, junto al “ad gentes” y al “ad vitam”. La actitud de salir de nuestro yo nos permite entrar de puntillas en el país donde estamos llamados a hacer presente la misión de Jesús, sin presunción ni pretensión de enseñar, sino con la conciencia precisa de que aprender la lengua del pueblo, conocer su historia, su cultura y sus tradiciones son el ABC de la misión. El slogan de hace cierto tiempo era “ser apóstoles, manteniendo siempre la actitud del discípulo”.
MISIÓN AD GENTES. Antes, en el horizonte de la llamada a la misión sólo estaban los pueblos que no conocían a Jesús y reclamaban el derecho de conocerlo. De ahí nacía la urgencia de la partida para la realización de la misión. Hoy el horizonte se ha acortado, porque, dicen, los pueblos ad gentes están en casa y no hace falta salir para encontrarlos. El fenómeno de la emigración masiva de las últimas décadas ha trastocado los parámetros del modo de pensar y actuar del mundo occidental, implicando también a la Iglesia y su misión. Al respecto, existe un amplio debate digno de gran atención. Pero, como misioneros ad gentes, nuestra posición debe ser clara e inequívoca: el problema concierne a la Iglesia local, que, como afirmó el Concilio Vaticano II, es misionera por naturaleza. Esta verdad encontró su expresión en el eslogan de hace algunos años: “¿Bautizado? ¡Entonces enviado!” Nosotros, como Javerianos, hemos de mantener intacta la identidad del carisma ad gentes, que exige salir de la propia tierra y de la propia cultura.
MISIÓN AD VITAM. ¡El último respiro es por la misión! Quizás lo olvidamos, pero debemos tener siempre presente que, para nosotros Javerianos, la vida consagrada está modulada no sólo por los votos de pobreza, obediencia y castidad, sino también por el cuarto voto de la misión. Uno corre cuando es joven, afrontando con entusiasmo situaciones a menudo difíciles, con el riesgo también de cometer errores. La carrera se ralentiza cuando uno madura, cuando mira la realidad con desencanto. Luego viene la cuarta fase, que es la que me concierne, cuando se hace necesario una tercera pierna, que es el bastón, para moverse. Te gustaría correr como antes, recorrer los caminos enfangados en la estación lluviosa y los polvorientos en la seca, retomar lo que en el propio sueño había que conseguir y no se realizó, ¡pero la tercera pierna no te lo permite! Entonces te das cuenta de que has entrado en la fase final de la misión, que encuentra su punto culminante en la kenosis, en la desaparición gradual para dar cabida a la invocación final: Maranatha, Ven, Señor Jesús.
Misión de Chuknagar, 29.11.2022
Germano Antonio Das sx
Pour une mission « ad gentes, ad extra, ad vitam »
Le charisme des missionnaires xavériens dans l'expérience d'un confrère
LA MISSION RIME AVEC LA PASSION et trouve sa formulation expressive dans le cri de saint Paul dans la deuxième lettre aux Corinthiens : "Caritas Christi urget nos" (2 Cor. 5:16), qui était alors l'âme de l'audacieux projet missionnaire de notre fondateur saint Guido M. Conforti. Aujourd'hui, le nom de mission trouve surtout sa place dans les tables rondes des discussions théologiques, mais l'élan missionnaire, tel que l'entendait saint Paul et que l'a fait sien notre Fondateur, s'est beaucoup estompé, pour ne pas dire éteint.
C'est précisément la passion pour le Christ et son message de salut qui vous ont maintenus cloués sur les rives de la rivière Kopotokko, à la merci des intempéries et des cyclones, pendant 12 ans sans électricité, sans téléphone et sans médias. Vous pouvez appeler cela rhétorique ou mystification de la mission, pour moi c'est plutôt l'histoire d'une aventure amoureuse, au centre de laquelle se trouvait LUI, qui vous a soutenu et dont vous avez ressenti la présence. "Seigneur, tu es là ; manifeste-toi à moi ! Si tu te manifestes, je vis" (Borodol, 31.08.1978). "Je suis ici, parce que tu es ici avec moi et que tu me remplis de joie ! Si vous étiez loin de moi, je m'enfuirais !" (Borodol, 02.09.1979).
Mais les temps ont changé. Tout au long de l'histoire, les révolutions et les changements d'époque ne se comptent plus. À notre époque, les changements se produisent à un rythme impressionnant. Au milieu du brouhaha et de la frénésie du changement, le cri de saint Paul, repris par le fondateur des Xavériens, est-il encore audible ? C'est précisément ce qui nous est demandé dans cette phase préparatoire du Chapitre général, qui tracera ou non un chemin marqué par un enthousiasme renouvelé pour la mission "ad gentes, ad extra, ad vitam", qui ne peut trouver sa source que dans l'amour du Christ.
MISSION COMME EXODE. L'appel à la mission nous place sur le chemin d'Abraham, le père de ceux qui croient et font confiance, et est avant tout un exode de sa propre terre. La terre, dans notre cas, a un sens sémantique très large, allant du sens géographique du pays où vous êtes né et avez absorbé la langue, la religion, la culture et les traditions, au sens métaphorique de la terre de votre personnalité, du monde de vos idées et de vos convictions.
Le premier exode, celui de la terre natale, fait d'abord souffrir, mais c'est une souffrance qui est immédiatement absorbée et qui reste un souvenir isolé et nostalgique. Le second exode, par contre, celui de la terre de notre moi et de notre façon de penser et d'agir, ne se termine jamais et nous accompagne tout au long du parcours de la vie. Si le premier exode n'est pas suivi du deuxième exode, la mission est vouée à l'échec. Ce deuxième exode nous permet de mettre en œuvre la mission ad "extra", qui est la deuxième caractéristique qui nous constitue en tant que Xavériens, à côté de "ad gentes" et "ad vitam". L'attitude consistant à laisser notre ego nous permet d'entrer sur la pointe des pieds dans le pays où nous sommes appelés à rendre présente la mission de Jésus, sans présomption ni prétention d'enseignement, mais avec la conscience précise qu'apprendre la langue des gens, connaître leur histoire, leur culture et leurs traditions sont l'ABC de la mission. Le slogan était autrefois "être des apôtres, en gardant toujours l'attitude du disciple à l'intérieur".
MISSION AD GENTES. Autrefois, à l'horizon de l'appel à la mission, il n'y avait que les peuples qui ne connaissaient pas Jésus et qui revendiquaient le droit de le connaître. D'où l'urgence du départ pour la réalisation de la mission. Aujourd'hui, l'horizon s'est raccourci, car, disent-ils, les peuples de l’ad gentes sont chez eux et il n'est pas nécessaire de sortir pour leur rendre visite. Le phénomène de l'immigration massive des dernières décennies a bouleversé les paramètres de la manière de penser et d'agir du monde occidental, impliquant également l'Église et sa mission. Il existe un vaste débat à ce sujet, qui mérite une grande attention. Mais, en tant que missionnaires ad gentes, notre position doit être claire et sans ambiguïté : le problème concerne l'église locale, qui, comme l'a déclaré le Concile Vatican II, est missionnaire par nature. Cette vérité a trouvé son expression dans le slogan d'il y a quelques années : "Baptisé ? Puis envoyé !" En tant que Xavériens, nous devons garder intacte l'identité du charisme ad gentes, qui exige de quitter sa terre et sa culture.
MISSION AD VITAM. Le dernier souffle est pour la mission ! Peut-être l'oublions-nous, mais nous devons toujours garder à l'esprit que pour nous, Xavériens, la vie consacrée est marquée non seulement par les vœux de pauvreté, d'obéissance et de chasteté, mais aussi par le quatrième vœu de mission. On court quand on est jeune, on affronte des situations souvent difficiles avec enthousiasme, avec le risque aussi de faire des erreurs. La course ralentit quand on mûrit, quand on regarde la réalité avec désenchantement. Puis vient la quatrième phase, qui est celle qui me préoccupe, quand on a besoin de la troisième jambe, qui est le bâton, pour bouger. Vous aimeriez courir comme avant, retracer les chemins boueux de la saison des pluies et les chemins poussiéreux de la saison sèche, reprendre ce que vous rêviez de réaliser et qui n'a pas été réalisé, mais la troisième jambe ne le permet pas ! On se rend alors compte qu'on est entré dans la phase finale de la mission, qui trouve son apogée dans la kénose, dans la disparition progressive pour l'invocation finale : Maranatha, Viens, Seigneur Jésus.
Mission Chuknagar, 29.11.2022
Germano Antonio Das sx
Para uma missão "ad gentes, ad extra, ad vitam"
O carisma dos Missionários Xaverianos na experiência de um confrade
1. MISSÃO RIMA COM PAIXÃO e encontra sua formulação expressiva no grito de São Paulo na sua Segunda Carta aos Coríntios: "Caritas Christi urget nos" (2 Cor. 5:16), que era então a alma do audacioso projeto missionário de nosso Fundador São Guido M. Conforti. Ultimamente, a palavra missão se encontra no centro de discussões teológicas, mas o impulso missionário, como entendido por São Paulo e assumido por nosso Fundador, desvaneceu-se muito, se não ainda extinto.
Foi precisamente a paixão por Cristo e sua mensagem de salvação que nos mantiveram presos às margens do rio Kopotokko à mercê do mau tempo e dos ciclones, durante 12 anos sem energia elétrica, sem telefone e sem meios de comunicação de massa. Você pode chamar isso de retórica ou mistificação da missão, mas para mim é a história de uma aventura amorosa, no centro da qual era sempre ELE que nos sustentava e cuja presença se fazia sentir. "Senhor, você está aí; manifesta-se a mim! Se você se manifestar, eu vivo" (Borodol, 31.08.1978). "Estou aqui, porque está comigo e me enche de alegria! Se você estivesse longe de mim, eu fugiria" (Borodol, 02.09.1979).
Mas os tempos mudaram. Ao longo da história, não podemos nem contar as revoluções que transformaram nossa época. Em nossos dias, as mudanças estão ocorrendo a um ritmo impressionante. Em meio ao estardalhaço e ao frenesi das mudanças, o grito de São Paulo, ecoado pelo Fundador dos Xaverianos, ainda é perceptível? É exatamente isso que nos é pedido nesta fase preparatória do Capítulo Geral, que traçará ou não um caminho marcado por um renovado entusiasmo pela missão "ad gentes, ad extra, ad vitam", que só pode encontrar sua fonte no amor a Cristo.
2. MISSÃO COMO ÊXODO. O chamado para a missão nos coloca no caminho de Abraão, o pai daqueles que acreditam e se confiam, e é antes de tudo um êxodo de sua própria terra. A terra, em nosso caso, tem um amplo significado semântico, começando pelo geográfico do país onde você nasceu e absorveu a língua, religião, cultura e tradições, até o metafórico da terra de sua personalidade, do mundo de suas ideias e convicções.
O primeiro êxodo, aquele da terra do próprio nascimento, faz sofrer a princípio, mas é um sofrimento que é imediatamente absorvido e permanece uma memória isolada e nostálgica. O segundo êxodo, por outro lado, aquele da terra de nosso eu e de nossa maneira de pensar e agir, nunca termina e nos acompanha ao longo de toda a vida. Se o primeiro êxodo não for seguido pelo segundo, a missão está condenada ao fracasso. Este segundo êxodo nos permite implementar a missão “ad extra", que é a segunda característica que nos constitui como Xaverianos, ao lado de "ad gentes" e "ad vitam". A atitude de deixar o nosso ego nos permite entrar no país onde somos chamados a fazer presente a missão de Jesus, sem presunção ou pretensão de ensinar, mas com a consciência precisa de que aprender a língua do povo, conhecer sua história, cultura e tradições, é o ABC da missão. O slogan no passado era "ser apóstolos, mantendo sempre, dentro de si, a atitude do discípulo ".
3. MISSÃO AD GENTES. Uma vez, no horizonte do chamado à missão estavam apenas os povos que não conheciam Jesus e reivindicavam o direito de conhecê-lo. Daí a urgência da “partida” para a realização da missão. Hoje o horizonte se encurtou, porque, alguns dizem, que a missão “ad gentes” está em toda parte, inclusive onde vivemos, e já não há necessidade de sair. O fenômeno da emigração em massa nas últimas décadas perturbou os parâmetros da maneira de pensar e agir do mundo ocidental, envolvendo também a Igreja e sua missão. Há um amplo debate sobre isto, digno de grande atenção. Mas, como missionários ad gentes, nossa posição deve ser clara e inequívoca: o problema diz respeito à igreja local, que, como o Concílio Vaticano II afirmou, é missionária por natureza. Esta verdade encontrou sua expressão no slogan de alguns anos atrás: "Batizado? Então enviado"! Nós, como xaverianos, precisamos manter intacta a identidade do carisma ad gentes, o que requer deixar a própria terra e cultura.
4. MISSÃO AD VITAM. O último suspiro é para a missão! Talvez esqueçamos, mas devemos ter sempre em mente que para nós Xaverianos, a vida consagrada é marcada não apenas pelos votos de pobreza, obediência e castidade, mas também pelo quarto voto, o voto de missão. Corre-se quando se é jovem, enfrentando situações muitas vezes difíceis com entusiasmo, com o risco também de cometer erros. A corrida diminui à medida que se amadurece, quando se olha para a realidade com desencanto. Depois vem a quarta fase, a que mais me preocupa, quando se precisa da terceira perna, da bengala, para se mover. Você gostaria de correr como antes, de refazer as estradas lamacentas da época das chuvas e as estradas poeirentas do momento da seca, de retomar o que estava em seu sonho para alcançar e não foi realizado, mas a terceira etapa não o permite! Então você percebe que entrou na fase final da missão, que encontra seu ápice na kenosis, no desaparecimento gradual para a invocação final: Maranatha, Vinde, Senhor Jesus.
Missão Chuknagar, 29.11.2022
Germano Antonio Das sx
Liens et
Téléchargements
Accédez ici avec votre nom d'utilisateur et votre mot de passe pour afficher et télécharger les documents réservés.