Lunedì 10 marzo 2025, durante il consueto incontro comunitario, i confratelli presenti in comunità hanno accolto Suor Simona Brambilla (Suore Missionarie della Consolata), Prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (6 gennaio 2025). “Stare con voi missionari è sempre bello e consolante” ha ripetuto. Ha tenuto a ribadire che “più che una conferenza o un discorso dottrinale, la condivisione vuole essere una conversazione familiare sul giubileo, da missionaria a dei missionari”. Suor Simona Brambilla ha dedicato i primi 25 minuti alla sua riflessione per poi lasciare spazio alle domande aperte dei confratelli. L’incontro si è concluso con la cena insieme.
Partendo dal lemma e logo del Giubileo “Pellegrini di Speranza” e l’àncora a forma di croce, Suor Simona ha sviluppato due punti: 1) il pellegrinaggio come movimento “attivo” e “ricettivo”; 2) l’àncora e il pellegrinaggio “ancorato”.
Il Giubileo richiede sì un movimento esteriore (luoghi, porta santa, iniziative…), ma anche e soprattutto interiore. La parola “pellegrino” indica movimento, cammino, uscita, spostamento (da una determinata cultura, terra, mentalità, geografia, schemi mentali…). Si tratta di un movimento “attivo”, usando i muscoli delle gambe, delle mani, ma anche quelli del cuore, della testa. Si “pellegrina” per lasciare una determinata posizione per assumerne un’altra. Per un missionario l’ “andare”, l’ “uscire” è essenziale. Uscendo, spostandoci, ci trasformiamo, cambiamo prospettiva, donando noi stessi portiamo là dove andiamo quello che noi stessi abbiamo ricevuto. C’è però un altro aspetto che forse viene meno sottolineato nel pellegrinaggio: il movimento “recettivo”. Questo movimento spesso sfugge alla comprensione, percezione e riflessione del missionario. Il pellegrino esce, parte, va, cammina per offrire. Ma il pellegrino è soprattutto colui che riceve: mangia quello che gli danno, respira un’aria diversa, accoglie un clima (meteorologico e antropologico) diverso…Riceve nuove categorie e schemi di pensiero, di sensibilità, di affetti, di sentimenti, di lingua-linguaggio-vocabolario (modi diversi di esprimersi), di simboli, di tradizioni, di fede, di spiritualità. Tutto questo deve essere metabolizzato-trasformato, altrimenti rimane sullo stomaco del missionario, diventa un peso, creando fatica e tensione lì dove è stato chiamato a vivere, continuando a sognare altre terre, senza innamorarsi di quel luogo, apprezzandolo e aprendosi ad esso e alla sua gente. Siamo chiamati ad essere consapevoli della nostra resistenza a “ricevere”, attaccandoci alla “nostra” struttura, chiamata però a convertirsi, ad aprirsi. Come consacrati missionari siamo chiamati ad avvicinarci all’altro, “ricevendo”; capaci di riconoscere il bene, il buono che c’è nell’altro, camminando con rispetto e venerazione in terreni altri. Chiamati a rintracciare la preziosità che vi è in questi terreni “altri”, non solo i semi del Verbo, ma anche i frutti maturi del Verbo. Per “ricevere” ci vuole forza, coraggio.
Il secondo elemento è l’àncora. Chiamati ad essere “pellegrini ancorati”. Sembra essere una contraddizione per chi è chiamato ad “uscire”, a “partire”, a “muoversi”. Ma l’essere ‘ancorati” è il vero fondamento. Quest’àncora è a forma di croce. Noi in realtà ci muoviamo, partiamo, solo se siamo “ancorati”. Senza quest’àncora il nostro pellegrinaggio si perde…andiamo di qua e di là; disperdiamo e disintegriamo le energie più belle. Quando manca questo legame solido (mai rigido) perdiamo la rotta. Un “legame”, un “cordone ombelicale” (“àncora”) che ci permette di camminare, perché in comunione con la “fonte”. Senza questo legame viene a mancare la forza di dare e di ricevere. Quest’ “àncora”, questa croce, affonda, si radica nel costato di Cristo (“la lancia che affonda nel cuore di Dio, cf. Giovanni 19,33-34). Questo è il nutrimento della nostra fede, della nostra fiducia, vissuto come dono più che come conquista. Il pellegrino, il missionario, in questa “àncora” sperimenta di avere una “casa” e in questa “casa” Qualcuno che mi ama incondizionatamente, sempre pronto ad accogliermi, con la porta del cuore sempre aperta. Quest’àncora mi dona l’energia di “muovermi”, di “uscire”, di “partire”, di “pellegrinare”, perché la mia casa è lì, in quel cuore. (Nicolás Chiza Hombo sx)
English
ROME – XAVERIAN COMMUNITY: "FAMILY CONVERSATIONS..."
On Monday, March 10, 2025, during the usual community meeting, the confreres present in the community welcomed Sister Simona Brambilla (Consolata Missionary Sisters), Prefect of the Dicastery for Institutes of Consecrated Life and Societies of Apostolic Life (January 6, 2025). "Being with you missionaries is always beautiful and consoling," she repeated. She emphasized that "rather than a lecture or a doctrinal talk, the sharing is meant to be a family conversation about the jubilee, from a missionary sister to missionaries." Sister Simona Brambilla dedicated the first 25 minutes to her reflection, followed by a period for Q&A. The meeting concluded with dinner together.
Starting from the lemma and logo of the Jubilee "Pilgrims of Hope" and the cross-shaped anchor, Sister Simona developed two points: 1) pilgrimage as an "active" and "receptive" movement; 2) the anchor and the "anchored" pilgrimage.
The Jubilee requires an outer movement (places, holy door, initiatives, etc.) and, above all, an inner one. The word "pilgrim" indicates movement, journey, exit, and displacement (from a particular culture, land, mentality, geography, mental patterns...). It is an "active" movement using the legs, hands, heart, and head muscles. One "journeys" to leave a particular position to take up another. For a missionary, the "going" and the "going out" are essential. By going out and moving, we are transformed, we change our perspective, and by giving of ourselves, we bring what we ourselves have received to where we are going. However, there is another aspect that is perhaps less emphasized vis a vis the pilgrimage: the "receptive" movement. This movement often escapes the missionary's understanding, perception, and reflection. The pilgrim departs, leaves, travels, and walks for the purpose of offering. But the pilgrim is above all the one he receives: he eats what they give him, breathes a different air, and embraces a different climate (meteorological and anthropological)... He receives new categories and patterns of thought, sensibility, affections, feelings, language-idioms-vocabulary (different ways of expressing oneself), symbols, traditions, faith, and spirituality. All this has to be processed and transformed. Otherwise, it remains on the missionary's stomach. It will become a burden, creating fatigue and tension in the place he has been called to live. He will continue to dream of other lands without falling in love with that place, appreciating it, and being open to it and its people.
We are called to be aware of our resistance to "receiving," clinging to "our" structure, always called to conversion and to open up. As consecrated missionaries, we are called to approach the other, open to "receiving," and able to recognize the good and the goodness present in others, walking in other lands with respect and reverence and called to discover the preciousness that exists in these "other" lands. Open to discover not only the seeds of the Word but also the ripe fruits of the Word. It takes strength and courage to "receive."
The second element is the anchor. We are called to be "anchored pilgrims." It seems contradictory for those who are called to go out, depart, and move, yet to be “anchored” is the true foundation. This anchor is in the shape of a cross. We move and set on a journey only if we are "anchored." Without this anchor, our pilgrimage gets lost - we move aimlessly, scattering and disintegrating the most beautiful energies. We lose our way when this solid (never rigid) bond is missing. A "bond" ("anchor"), an “umbilical cord” that allows us to walk because in communion with the "source." Without this connection, the strength to give and to receive is missing. This "anchor," this cross penetrates, takes root in the side of Christ ("the lance the soldier thrust into the side of Jesus, cf. John 19:33-34). This unity is the nourishment of our faith and trust, experienced as a gift rather than a conquest.
In this "anchor," the pilgrim, the missionary, experiences that he has a "home," and in this "home," Someone who loves me unconditionally, always ready to welcome me, with an open heart. This anchor gives me the energy to “move”, “go out”, “leave” and to be a “pilgrim” because my home is there, in that heart. (Nicolás Chiza Hombo s.x.)