Skip to main content

Missionari-Religiosi in fraternità

1426/500

“A cosa serviranno le tue ragioni se tu hai perso le relazioni con tuo fratello?
Qualche volta non è meglio avere la pace ch’avere la ragione?"

Le relazioni nella Vita Religiosa oggi

Nella storia della Chiesa, la Vita Consacrata in generale e la vita religiosa in particolare, hanno sempre avuto un ruolo fondante per l’evangelizzazione. Nella Chiesa in uscita di Papa Francesco, i consacrati e le consacrate sono un punto di forza, per andare ad incontrare i poveri nelle periferie del mondo. I religiosi sono dunque delle persone su cui il pontificato attuale scommette, per potere avviare un’esperienza di rinnovamento della Chiesa, per riportarla al suo Signore e all’annuncio per cui è nata e per cui esiste. Perché la loro vita quotidiana è già un messaggio chiaro per trasmettere il Vangelo.

Ciò che sono vale più di ciò che fanno; il fare è solo la conseguenza dell’essere. Cioè: il “per me vivere è Cristo” (Fil 1,21) di san Paolo, che vale per ogni cristiano, trova la sua proclamazione più convincente proprio nel consacrato/a il quale non ha altri beni, altri amori e altri interessi che Cristo. Il fondamento della vita consacrata è il rapporto che le persone consacrate hanno con il Signore. Sono state scelte per il “compito peculiare di tenere viva nei battezzati la consapevolezza dei valori fondamentali del Vangelo, testimoniando in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle Beatitudini”[1]. Questa testimonianza avviene nella vita quotidiana, nel vivere quotidianamente la dottrina e gli esempi del divino Maestro[2].

I religiosi/e sono dunque uomini e donne di relazioni sia orizzontali che verticali. Tante volte si incontrano nelle comunità senza mai essersi incontrati prima, e vivono come se fossero fratelli o sorelle. Nella comunità i religiosi o le religiose non si scelgono, si accolgono, avendo tutti il desiderio di vivere una vita fondata sul Vangelo[3]. Le relazioni delle persone consacrate, prima tra di loro e poi con gli altri, sono molto importanti. È questa la prima testimonianza: amarsi come persone della stessa famiglia.

Tuttavia, i cambiamenti avvenuti nella società nel corso del XX secolo, anche per ciò che riguarda le relazioni interpersonali, hanno finito per toccare anche la vita delle persone che hanno una vocazione speciale nella Chiesa. Infatti, pure loro, anche se non sono del mondo vivono nel mondo! Nella società di oggi, il senso delle relazioni sta diventando sempre più provvisorio. Si sta insieme, ci si relaziona finché le cose vanno bene, finché tu mi piaci…, se domani sei noioso ci separiamo, e ognuno va per la sua strada. Oggi la società liquida, come Zygmunt Bauman la definisce, sta diventando gassosa. Oggi invece di dire tutto è liquido si direbbe tutto è gas, tutto evapora. Come dice questo sociologo polacco, il cambiamento è l'unica cosa permanente e l'incertezza è l'unica cosa certa. Questo rende la società più fragile, anche la comunità sparisce, lasciando il posto all’individualismo. Il compagno di strada diviene un antagonista, una persona da tenere sotto controllo o a cui fare attenzione.

Le relazioni che erano alla base della vita degli esseri umani stanno andando dunque in crisi. Diventano come delle merci che hanno delle scadenze, una sorta di contratto a termine. Dietro questo c’è un’idea di libertà senza vincoli, libertà come autosufficienza che rifiuta ogni legame. Una vita che ha come regola il piacere, ecc. Questo purtroppo, come dicevamo, è già ben presente anche nella vita religiosa. La professione perpetua sta diventando qualcosa di provvisorio, che ha senso solo se le cose vanno bene. Anche nella vita religiosa prevale sempre più il distacco tra il dire e il fare.

Con documento “Il dono della fedeltà e la gioia della perseveranza” (2020), emanato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA), la Chiesa prende atto e riflette sugli abbandoni che sono aumentati negli ultimi decenni, sulla fedeltà profetica diventata provvisoria. È un fenomeno che interroga profondamente. Il documento dopo avere descritto questa attuale, difficile situazione che c’è nella vita consacrata, propone come soluzione la fedeltà e la perseveranza alla chiamata di Dio; soprattutto bisogna invocare la fedeltà di Dio per poter vivere il dono della nostra fedeltà. E sulla questione della fedeltà, Papa Francesco chiede una formazione alla perseveranza, alla definitività e all’irrevocabilità.

Le cause di questo fenomeno sono tante, ma alla base di tutto c'è la provvisorietà presente nella nostra società, nella cultura odierna. La società in cui viviamo oggi non è bendisposta nei confronti di una vita come impegno definitivo. Il fenomeno della provvisorietà della società di oggi è il contrario del piano di Dio, dalla creazione dell’uomo alla sua redenzione. L’uomo è per sempre, perché l’amore di Dio è per sempre. Per questo la vita matrimoniale è per sempre, la vita presbiterale è per sempre, ugualmente la vita consacrata. Ogni forma di vita, perciò, è stata concepita o pensata per sempre. Siamo fatti per la definitività.

Nella vita consacrata, soprattutto in quella religiosa, la vita comunitaria dovrebbe essere uno strumento per contrastare l’individualismo e la provvisorietà, perché è un luogo di comunione. Le relazioni tra i membri della comunità sono da custodire e da curare ogni giorno. Oggi più che mai occorre rivedere le nostre relazioni interpersonali e comunitarie, la nostra comunicazione, per non vivere come delle isole nell’oceano senza comunicare. La “famosa” interculturalità, invece di arricchire la comunità peggiora la fragilità comunicativa e comunitaria: non basta vivere sotto lo stesso tetto per vivere l’interculturalità. Persistono incomprensioni, pregiudizi, insicurezza, paura davanti alla diversità. Sarebbe bello analizzare come gestiamo i conflitti nella comunità! Perché qualche volta dopo un abbandono o esclaustrazione si sente dire “sai… lui con il superiore non si sono mai capiti”. Ci si chiede, perché non si sono capiti? La separazione o l’abbandono erano l’unica o la migliore soluzione per risolvere il problema dell’incomprensione?

Il dissenso

Il dissenso, inteso come diversità di parere è percepito ancora come una minaccia in alcune comunità. Addirittura, il superiore qualche volta si sente offeso quando ascolta certi commenti: ha ragione sempre lui, … se è nominato superiore un motivo ci sarà, ecc. considerazioni che vengono percepite come mancanza di obbedienza, di rispetto, di fiducia. Il dissenso però fa parte della diversità, l’altro non può essere a mia immagine, ma di Dio, non la deve pensare necessariamente come me per poter vivere insieme.

Nella vita religiosa, una comunità funziona non quando non ci sono conflitti ma quando sappiamo gestire i conflitti. Anzi è normale che ci siano conflitti, perché la vita normale è un continuo ricominciare a credere nelle relazioni e darsi da fare per andare avanti. Il Papa Francesco insiste sulla cultura dell’incontro che può provocare anche lo scontro, con lo scopo di arrivare alla comunione, alla fraternità. La qualità della nostra vita offerta al Signore dipenderà dalla fraternità che viviamo nella comunità.

Relazionarsi con l’altro in modo onesto richiede che io abbia chiara la mia identità. L’altro, diverso da me, mi aiuta a conoscermi di più e a rafforzare la mia identità; purtroppo, raramente riusciamo ad accettarci per quello che siamo, con le nostre qualità e limiti. I nostri limiti - che non accettiamo - sono un confine ma anche una porta, un motivo per aprirsi all’altro. Per esempio, il mio corpo ha dei confini/limiti, tuttavia nella relazione con l’altro entro con il mio corpo, non con il mio spirito. I limiti fanno parte della nostra realtà umana, non c’è bisogno di eliminarli o di ignorarli, bisogna riconoscerli e integrarli. Fino a ieri ci si insegnava che bisogna superare i nostri limiti. Come superarli se sono legati alla realtà umana? Come superare per esempio il limite della morte? Accettandola come ci ha dimostrato Gesù Cristo. Si può risorgere solo dopo aver accettato di morire.

Il servizio del superiore o del superiore-formatore, per migliorare le relazioni nella vita religiosa

I superiori e superiori-formatori hanno un ruolo molto importante per il benessere della comunità, delle relazioni comunitarie, nel fare si che la comunità sia un luogo di comunione e di relazione fraterna. Fin dall’entrata nella vita religiosa si incontra la figura del superiore-formatore, che è un servizio indispensabile per la vita e il buon andamento della comunità. Concretamente, il suo ruolo è di servire la comunità cioè di animare, guidare e organizzare la comunità. È il centro di unità nella ricerca della volontà del Signore, nell’armonia tra inspirazioni personali ed esigenze comunitarie, perché la perfezione a cui siamo chiamati è una meta da raggiungere insieme. L’organizzazione poi della comunità formativa ha delle esigenze, a cui il formatore deve essere più attento, perché si tratta di una comunità di formazione ove si pongono le basi o i fondamenti della vita religiosa futura. È come una costruzione di una casa a più piani: ci vogliono fondazioni solide e la vita religiosa richiede una formazione continua.

La formazione alla vita consacrata di oggi chiede di essere attenti anche alle cose che ci sembrano banali (non dimentichiamo che anche la banalità può essere soggettiva), ancora più in una comunità multiculturale: una cosa/parola/atteggiamento, può essere banale per una persona e pesante o umiliante per un’altra. Ci sono delle piccole cose che non si possono più dare per scontate.

Nelle società odierne non sono solo i bambini che ascoltano con gli occhi, anche gli adulti. Il vedere vale di più rispetto al sentire. Questo per dire che il formatore si farà capire di più con l’agire e non con il dire. L’atteggiamento o il modo in cui il formatore vive e agisce con i formandi è più formativo di quello che dice. Per questo il formatore deve essere coerente nel dire e nel fare.

Qualche volta, nelle difficoltà che incontrano i formatori, si sente dire: i formandi devono avere fiducia nei formatori, il tal formando è chiuso, non si apre; oppure, l’ho già avvertito, etc. e tutto questo è vero. Bisogna però riflettere sul come vengono chieste queste cose. Per esempio, la fiducia non è un contratto, non è un mettersi d’accordo, dovrebbe essere una cosa spontanea, naturale. Il formatore con il suo agire o atteggiamento nella sua comunità formativa, dovrebbe scommettere per primo lui nel dare fiducia ai formandi. A quel punto, al formando - vedendo come è considerato nella comunità che è come la sua famiglia - verrà spontaneo avere fiducia nel suo superiore, senza avere paura, perché avrà già sperimentato che può fidarsi. È come la nostra fede, crediamo perché abbiamo sperimentato la credibilità dell’amore di Dio, abbiamo visto che è un Dio credibile, affidabile.

 Anche quando il formando manifesta atteggiamenti di “chiusura”, bisogna vedere come dirlo all’interessato senza provocare maggiore chiusura. Se lo si dice come avvertimento, può creare paura nel formando, cioè lo studente inizierà a cambiare i suoi modi di dire, di fare con più attenzione, cercherà le parole adattate al formatore… e alla fine perderà anche la poca spontaneità che aveva, perché si controllerà e si chiuderà di più perché nella sua mente è stato avvertito. Queste sono solo alcune delle difficoltà che i formatori incontrano nonostante che si sforzino per svolgere al meglio il servizio loro affidato. Il servizio di formatore o di superiore richiede maturità umana e competenza. È un servizio che esige pazienza e prudenza, qualche volta anche la severità.

Il fatto che ci incontriamo nella comunità senza esserci scelti, senza conoscerci, non è una cosa semplice, banale. Veniamo ognuno da una famiglia, ognuno con la sua storia, la sua educazione ricevuta in famiglia e questo incide sulla psicologia di tutti, sia del formatore che del formando. Per esempio, le relazioni che si avevano in famiglia, con le mie sorelle/fratelli, con i miei genitori, condizionano anche la vita relazionale comunitaria. A volte si proietta sul superiore la figura del papà o della mamma, secondo la bontà o la cattiveria che il genitore aveva nei suoi confronti. Queste sono situazioni da non sottovalutare, se si vuole formare alla vita religiosa e alle sue esigenze.

Infatti, nella comunità e nella vita formativa, tutti sono chiamati a essere protagonisti, cioè corresponsabili. Senza voler sminuire la sua personalità, il formatore non può più pretendere di essere l’unica persona che informa la comunità sul come vanno le cose del mondo, visto che tutti sono all’ascolto e alla ricerca della volontà di Dio. In questa ricerca bisogna essere umili, anche se l’umiltà è faticosa. In aggiunta al carattere e capacità del formatore, il suo servizio ha bisogno di una qualificazione, di competenze che non siano solo dei titoli accademici, deve avere una umanità che sia ben curata, che sappia stare accanto anche al fratello in difficoltà.

Il formatore, con il suo stile di vita, non deve creare nei formandi delle aspettative “mondane”. Avendo più esperienza in questa vocazione, deve dire chiaramente che dopo la formazione detta “di base” non c’è niente di particolare, di vantaggio o di privilegio. Questo lo deve dire non con le parole ma con il suo modo di vivere con loro, di condividere la loro vita nella quotidianità. Quando per esempio i formatori vivono, mangiano, si vestono in modo diverso dai formandi, è ovvio che il formando dice tra sé: dopo la mia professione perpetua, dopo la mia ordinazione… finalmente anche io avrò, potrò…etc. Questa aspettativa sarà delusa, e può essere un motivo di depressione subito dopo la formazione detta “di base”, perché si accorgerà di aver corso per niente. Si accorgerà che era meglio andare piano piano discernendo, meditando sul significato concreto del suo "Sì" per sempre al Signore, come religioso in questa congregazione.

Il servizio dell’autorità e il voto dell’obbedienza

Il servizio dell’autorità è per la crescita della comunità. Il superiore della comunità oggi dovrebbe essere una persona che rende vivibile la comunità. Non è una cosa facile anche se alcuni fratelli cercano questo servizio pensando che l'autorità sia un privilegio. Il servizio deve essere esercitato in collaborazione con i membri della comunità, con il senso della corresponsabilità per non accentrare tutto nelle mani e nella mente di una sola persona. Il discernimento, sia personale che comunitario, deve caratterizzare la comunità religiosa.

La CIVCSVA, nel documento “Per vino nuovo otri nuovi” non esita a dire che la crisi in atto della vita consacrata (abbandoni, abusi, e altre situazioni dolorose) hanno a che fare con il servizio dell’autorità. Questo servizio essenziale alla vita religiosa, qualche volta è solo una formalità, un “lasciare fare” o l’esercizio di un potere per stare in alto con il rischio di cadere in basso. Chi ha questo compito deve sviluppare di più la spiritualità di comunione che promuove e assicura la fattiva partecipazione di tutti[4]. Il superiore, senza essere necessariamente formatore, deve aiutare e accompagnare anche chi fa fatica a relazionarsi nella comunità. Il ruolo del superiore è centrale nella dinamica delle relazioni fraterne. La corresponsabilità è necessaria perché gli altri non siano solo esecutori di decisioni già prese.

La Chiesa sta cercando d’intervenire studiando come migliorare questo servizio, perché è l’anima del buon funzionamento della comunità religiosa. La prima cosa da fare è limitare nel tempo questo servizio. Anche i fondatori dovrebbero avere un mandato a termine, perché si è constatato che più a lungo uno esercita il potere, più crescono i rischi di scivolare nella logica mondana. Anche la vita religiosa del superiore ha bisogno di essere custodita, cioè il superiore ha bisogno di essere aiutato. Anche in missione, incarichi come quello di parroco o altri, è meglio che abbiano un inizio e una fine predeterminati per non compromettere la vita religiosa di tutti. Se il servizio dell’autorità è bene esercitato, con chiarezza, nello spirito di comunione, anche il voto di obbedienza che sembra difficile da capire oggi, verrà vissuto con chiarezza, nella generosità.

La spiritualità della bicicletta

La nostra vocazione alla vita religiosa può essere paragonata alla spiritualità della bicicletta. La bicicletta è in equilibro solo quando è in movimento. È il movimento che dà l’equilibrio alla bici. La fatica di pedalare, soprattutto quando si è in salita, è paragonabile all’ascolto costante della voce del Signore che ci ha chiamati a seguirLo in modo speciale. Oggi questa fatica è causata dalla routine, dalla stanchezza, dal peso della gestione delle strutture, dalle divisioni interni, dalla ricerca del potere, dalle maniere mondane di governo, come l’autoritarismo o il relativismo.

Ci sono comunque delle cure pensate proprio per questo tipo di malattie della vita consacrata. La preghiera comunitaria o personale, la lettura orante della Parola di Dio, la partecipazione attiva ai sacramenti dell’Eucaristia e della riconciliazione, il dialogo fraterno, la comunicazione sincera tra i membri della comunità, la correzione fraterna, la misericordia verso il fratello “peccatore”, la stima e la condivisione della responsabilità. Non possiamo dimenticare che in ogni momento, come i discepoli di Emmaus, abbiamo bisogno di essere accompagnati dal Signore e nostro Maestro Gesù Cristo, per potere riaccendere la nostra fede quando viene meno. Tutto questo, per dire che la vita fraterna in comunità ha le sue esigenze, necessarie per riuscire ad accogliersi, vivere e camminare insieme come figli dello stesso Padre.

E la Missione?

Tanti Istituti, come il nostro, sono Istituti religiosi, cioè fanno la professione dei consigli evangelici, con tutte le conseguenze che si riferiscono alla vita comunitaria. Molti sono ministri ordinati e missionari. Come fare la missione da religiosi e da ministri ordinati, senza trascurare l’uno o l’altro aspetto della medaglia? Trovare l’equilibrio non è sempre facile. Sembra che vivere i consigli evangelici, o la vita fraterna sia “per le suore”; la festa della vita consacrata (il 2 febbraio) è sempre “per le suore”; noi sacerdoti siamo missionari, abbiamo tanto da fare, ecc. qualche volta con i progetti personali, con i soldi personali, e altri scivolamenti religiosi. Come fare per rimediare? Perché il problema è in noi e in noi dobbiamo anche trovare la soluzione.

Possiamo farci aiutare da quanto viene detto nel documento già evocato “Il dono della fedeltà e la gioia della perseveranza”, che parla dell’importanza di rimanere in atteggiamento di formazione permanente, eternamente in formazione, permanentemente in formazione. Da precisare subito che la formazione permanente non è uno stato di “post-professione perpetua, o stato di post-ordinazione”. Non si deve aspettare il dopo professione perpetua o dopo l’ordinazione per iniziare la formazione permanente. La formazione permanente non è uno stato, ma un atteggiamento. È un atteggiamento in cui colgo come formativo la celebrazione della liturgia delle ore; colgo come formativo fare tutti i mesi il ritiro e tutti gli anni gli esercizi spirituali; colgo come formativo leggere la circolare della Direzione Generale; colgo come formativo leggere il giornale; colgo come formativo partecipare in modo presente e attivo alla vita fraterna in comunità, ecc., perché ogni dimensione della vita è importante, formativa e occasione di rimanere fedele alla vita scelta.

Ancora come coniugare la vita fraterna in comunità, le nostre relazioni nella comunità e la missione? Noi andiamo in missione come religiosi, prima “diventiamo religiosi e poi partiamo”. Allora, per aiutarci a trovare l’equilibrio non sarebbe meglio iniziare a fare la missione fraterna in comunità? Rendere criterio di discernimento la missione fraterna in comunità, missione fraterna intesa come il prendersi cura, accompagnarsi nella comunità. La vita fraterna intesa come un ministero per farsi prossimo dell’altro sempre e prima di tutto nella comunità. Insomma, quello che intendiamo fare come missione, farlo per primo nella comunità in cui viviamo. La vita fraterna come tutela dal rischio inutile dell’infedeltà. Come dice Papa Francesco, la vita fraterna è un laboratorio di comunione, per diventare artigiani di fraternità dentro e fuori della comunità. Questo è possibile se siamo centrati ancora una volta nella relazione con Dio.

Quando parliamo di noi stessi, “noi missionari”, per aiutarci a ricordare la nostra vera identità, sarebbe meglio usare il binomio noi “religiosi missionari”, perché si può fare la missione in tanti modi, secondo i carismi che il Signore ha dato alla Chiesa e ad ogni battezzato; noi abbiamo scelto di fare la missione come religiosi, e dobbiamo cercare di essere fedeli a quello che abbiamo scelto. Perciò, è importante sforzarci in ogni discorso o intervento, in ogni lettera circolare o altri documenti, di definire in modo completo ciò che siamo, cioè la nostra identità non solo missionaria, ma religioso-missionaria. Perché ci sono tante altre congregazioni missionarie che non sono religiose. Questo tema sarà parte della formazione permanente, atteggiamento che siamo sempre chiamati a vivere.

Se la correzione fraterna non bastasse, abbiamo anche delle norme precise su questo argomento. Purtroppo, qualche volta abbiamo un'idea negativa delle norme, come qualcosa che ci blocca, che ci toglie la libertà, e ignoriamo che il valore della norma è la carità. Essa è per tutelare la vita che abbiamo scelto. Le norme sono dunque educative. L’ultimo capitolo dello stesso documento “Dono della fedeltà…” parla solo delle norme, come mai? Le norme sono come la potatura che serve ad aiutare la pianta a crescere più forte e più rigogliosa. La potatura è anche un modo di curare e di prevenire alcune malattie delle piante, malattie che rendono alcuni rami secchi. La potatura è fatta perché la pianta porti molti frutti.

Papa Francesco, per continuare a tutelare la vita in comunità come elemento essenziale della vita religiosa, ha dovuto modificare il diritto canonico, aggiungendo tra i motivi di dimissione ipso facto dall’istituto – can.694§1 – l’assenza illegittima prolungata di dodici mesi dalla casa religiosa (cf. Motu proprioCommunis vita” del 19 marzo 2019). Secondo Papa Francesco la vita fraterna e comunitaria merita una potatura radicale, perché possa portare molto frutto. L’infedeltà religiosa non è solo andare contro un voto, ma anche il non vivere le piccole cose legate alla vita religiosa, in comunità. La norma è una forma più concreta che aiuta a prendersi cura di se stessi. In ogni modo, la norma o la legge non è la salvezza ma conduce alla salvezza. L’applicazione della norma poi deve avvenire nella logica della fraternità per potere rimanere sulla strada giusta. Il criterio rimane la fraternità.

Negli ultimi decenni, il magistero ha fornito molti materiali per la vita consacrata e religiosa, per aiutare a migliorare il modo di vivere questo dono di Dio alla Chiesa. Il magistero recente chiede di partire dalla comunità, dalle relazioni fraterne, dal modo in cui si vive la carità nella comunità. Si possono citare alcuni documenti: “Il dono della fedeltà e la gioia alla perseveranza” (2020), Lettera apostolica circolare di Papa Francesco “Communis vita” (2019), “Economia al servizio del carisma e della missione” (2018), “Per vino nuovo otri nuovi” (2017); le quattro lettere che hanno accompagnato l’anno della vita consacrata: “Rallegratevi”, “Scrutate”, “Contemplate”, “Annunciate” (2015). “Linee orientative per la gestione dei beni negli istituti di vita consacrata e nelle società di vita apostolica” (2014); “Il servizio dell’autorità e l’obbedienza” (2008), “Ripartire da Cristo” (2002), e altri che stiamo celebrando a ormai 25 anni dalla loro pubblicazione come “Vita consecrata” (1996), e “Vita fraterna in comunità” (1994).

Sono documenti che non dovrebbero essere solo per gli studenti, per i candidati, per le suore, cioè per gli altri…, ma per ogni comunità religiosa, per ogni consacrato/a. Sono documenti per riflettere e imparare. Sono da leggere per poi chiedersi: adesso che l'ho letto che cosa posso fare?

Infine, dopo tutto questo cosa ci possiamo ancora dire? Che ogni comunità possa essere un vero paradiso o un vero inferno dipende dai membri della comunità, soprattutto da colui che ha il dovere di guida, di organizzazione e di animazione della comunità. E se la nostra fedeltà è debole, ricordiamo di appoggiarci alla fedeltà di Colui che ci ha chiamato a questa vita, perché la sua è sempre una fedeltà forte. 

Bibliografia

-Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, Città del Vaticano, 21 novembre 1964.

-Decreto sul rinnovamento della vita religiosa, Perfectae Caritatis, Città del Vaticano, 28 ottobre 1965.

-GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale, Vita consecrata, Città del Vaticano, 25 marzo 1996.

-CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Per vino nuovo otri nuovi, Città del Vaticano 2017.

- _, Il dono della fedeltà e la gioia della perseveranza, Città del Vaticano, 2 febbraio 2020.

Bikorimana Renovat sx

 

[1] Vita consecrata 33

[2] Cf. Perfectae caritatis 1

[3] Cf. Lumen gentium 43

[4] Cf. Per vino nuovo altri nuovi 20

Renovat Bikorimana sx
19 Mai 2022
1426 Vues
Disponible en
Mots clés

Liens et
Téléchargements

Zone réservée à la famille Xaverienne.
Accédez ici avec votre nom d'utilisateur et votre mot de passe pour afficher et télécharger les documents réservés.