Roma, 18 Gennaio 2019 -
Commissione per la Formazione di base
In questi giorni, dal 18 al 24 di Gennaio, nella casa generalizia a Roma, si sta riunendo la Commissione per la Formazione di base. Oltre alla Direzione Generale, partecipano i membri della commissione: Janvier Busizori , Faustino Turco, Juan Olvera Servin, Yakobus Sriyatmoko (assente: p. Richard Nembouet). Altri confratelli (Mauro Loda, Gerardo Pretel, Gilbert Mbula, Franciscus. X. Sudarmanto…) sono stati presenti in alcuni momenti dell’incontro.
Nel saluto iniziale da parte del P. Eugenio Pulcini, a nome della DG, si ringraziavano i partecipanti per la presenza e la collaborazione. Anche il P. Generale, Fernando Garcia, che ci raggiungerà nei prossimi giorni, invia i suoi saluti: “Buon incontro della commissione. Con la grazia di Dio spero di riuscire ad essere qualche giorno con voi. Intanto saluti e grazie a tutti per aver accettato di rendere questo servizio”. L’importanza del compito formativo – come campo della missione – e la fraternità ci aiutano nel portare avanti insieme anche questa responsabilità.
Questo incontro è stato voluto dalla DG per dare seguito all’orientamento 59 del XVII CG, che indica la “possibilità di ricostituire il Segretariato Generale della formazione …La DG decide di creare una Commissione per la Formazione al fine di coordinare e armonizzare l’attività della Formazione nella Famiglia Saveriana» (iSaveriani 102, p.11). Lo status di commissione permette una maggiore flessibilità di organizzazione e di azione. Inoltre, giuridicamente è meno vincolante e, allo stesso tempo, garantisce quel principio di sinodalità che permette di camminare insieme nell’ascolto, nella decisione e nella attuazione.
La Commissione per la Formazione ha un carattere consultivo e svolge un servizio di animazione. È un “luogo” di partecipazione: incontro, ascolto, comunicazione, riflessione e discernimento. In collaborazione con la DG, accompagna la Formazione di base, non escludendo qualche forma d’interazione con la Commissione incaricata della Formazione permanente.
Nell’ introduzione si è fatto riferimento ad alcuni tratti del cambiamento di epoca che stiamo vivendo; tratti che pongono domande e sfide molto grandi alla formazione di base e permanente. Li osserviamo e affrontiamo con timore, ma soprattutto con speranza, “usando” occhi cristiani e accogliendo la chiamata al cambio di mentalità e di stili che ci viene richiesto. Non stiamo parlando né della “fine del mondo” né di quella del cristianesimo; ma – probabilmente – della fine di un certo modo di vivere il cristianesimo e di un certo modo di vivere la Fede.
Alcune riflessioni hanno toccato il tema Vita consacrata - mondanità spirituale e clericalismo già affrontati anche nell’ultima riunione dei Rettori delle teologie (Ottobre 2018). Papa Francesco lo definisce il più grave problema della Chiesa e della vita consacrata. Riguarda tutti, soprattutto noi cosiddetti adulti e sono problematiche che di fatto condizionano la qualità della proposta formativa. Ricordavamo la prima omelia di Papa Francesco:
«… Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.
… Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce (gnosticismo e neopelagianesimo, ndr). Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore …» (cfr. anche EG 93-97; GeE, cap. 2).
Questo è un linguaggio liberante, che indica chiaramente «dove sta» il problema quando si parla di vita consacrata, di sacerdozio o di crisi della missione…. Ci sono situazioni, mentalità, stili di vita e di strutture che bisogna lasciare/cambiare per riabbracciare con fedeltà la chiamata che il Signore ci ha affidato. Una delle vie maestre attraverso le quali la mondanità spirituale entra nei nostri istituti è la «funzionalità», quando cioè i mezzi tendono a occupare il luogo dei fini e le cause strumentali quelle delle cause finali. Inoltre, si è condiviso questo testo da una intervista a Stéphane Joulain, dei Missionari d’Africa, psicoterapeuta che decripta il clericalismo – radice di tanti abusi – con alcune efficaci affermazioni:
«La trasformazione ontologica della persona per il sacramento dell’ordine è una formula da maneggiare con prudenza. Anzitutto perché tale trasformazione non è biologica: i desideri che erano presenti prima restano presenti dopo; i preti non sono chiamati a negare la loro umanità. Per il sacramento dell’ordine, il prete si apre alla presenza di Cristo per diventare a sua volta un segno della sua presenza; non un altro Cristo. E per comprendere questa «specificità» del prete basta tornare a Gesù: «Non sono venuto per essere servito ma per servire» (Mt 20,28).
… Ciò che il papa denuncia sono quei preti che mettono il loro potere e la loro autorità a proprio profitto, che, in quanto pastori, si riconoscono una sorta di superiorità che li mette su un piedestallo. Ritenere che, dato che si è stati ordinati, si ha diritto ad una forma di riverenza, è un errore, di cui certi non esitano ad abusare. … Quando una persona comincia a sentirsi speciale, è facilmente tentata di concedersi dei privilegi speciali …
Come sempre, bisogna unire prevenzione, sanzione ed educazione. Per prevenire, la prima cosa da fare è «inquadrare» il potere dei chierici, obbligarli a rendere conto del modo in cui usano la loro autorità. Un potere non «inquadrato» diventa dittatoriale e il rischio è ulteriormente accresciuto quando lo si ritiene di origine divina.…»
Come sempre, bisogna unire prevenzione, sanzione ed educazione. Per prevenire, la prima cosa da fare è «inquadrare» il potere dei chierici, obbligarli a rendere conto del modo in cui usano la loro autorità. Un potere non «inquadrato» diventa dittatoriale e il rischio è ulteriormente accresciuto quando lo si ritiene di origine divina.…»
Riflettendo poi sul principio educativo della docibilitas, ci dicevamo che bisogna fare attenzione al pericolo che nei nostri giovani prevalga una formazione “passiva”; cioè, che non prevalga l’essere formato sul formarsi; o – come dice la RFX al n. 87 – fare attenzione a che ogni cambiamento non sia solo superficiale, non interiorizzato, forzato e di facciata. È la differenza che corre tra la semplice trasmissione d’informazioni e la significatività di esperienze che permettano all’individuo di ricostruire il suo mondo interiore, le sue domande, i suoi punti di riferimento. È un processo di maturazione della propria identità e di sviluppo della capacità di imparare a imparare. Come già segnalato in un’altra sede, ricordavamo che non tutto ciò che avviene nella persona è automaticamente formativo. Lo diventa se c’è apertura all’apprendimento e al cambiamento che la persona stessa manifesta nella ristrutturazione del suo orizzonte interpretativo della realtà (desideri, valori, motivi, decisioni…), in ascolto di Dio e delle Sue mediazioni. In questa linea, la grande domanda è: quanto la nostra formazione “tocca” esplicitamente la coscienza del giovane? Quanto la “genera”? Quanto la “muove” e la trasforma? …
Il soggetto di questa trasformazione non può che essere la persona stessa. E senza una forte spiritualità, rischiamo di confondere il vero centro, Gesù Cristo e la Sua chiamata, con noi stessi e i nostri progetti. Bene ha fatto il XVII CG a riprendere la Deus caritas est 1: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva». Nessuno evangelizza in forza del suo sapere, ma in forza del suo credere in quanto Gesù Cristo è l’unico patrimonio spirituale di cui un missionario dispone. Ci chiediamo se i processi di assimilazione e di approfondimento della propria identità, portano i nostri giovani a gustare profondamente i contenuti della vocazione saveriana, senza artificiali spiritualismi?
Francesco afferma acutamente, e ripetutamente, che stiamo vivendo un cambiamento di epoca, non soltanto un’epoca di cambiamenti. Già San Agostino, di fronte all’agitazione del popolo per le invasioni dei barbari, invitava a non aver paura: “non siamo di fronte alla fine del mondo, ma alla fine di un mondo”. Il mondo è in continuo cambiamento, ma ci sono alcuni passaggi che sono epocali, come quello in cui siamo immersi oggi. Ci è richiesto di vivere il presente con i suoi problemi, come sfide e non come ostacoli: il Signore continua ad essere attivo, presente e all’opera nel mondo.
In che modo la Chiesa, la nostra Congregazione… sta affrontando questo cambiamento d’epoca? I nostri modelli formativi (persone, contenuti, strutture…) sono influenzati da ciò che sta succedendo o viviamo in una specie di bolla d’aria, “chimicamente” protetta, sottovalutando o fingendo di non vedere cosa sta succedendo? È la nostra formazione essenzialmente proposta di vita e iniziazione al vissuto della missione oggi nella Congregazione o, invece, si rischia spesso di formare persone che più che imparare a vivere quello che dovranno realizzare, lo «pensano e lo sognano» soltanto? (Chiesa in uscita e non chiesa in passeggiata, dice papa Francesco! A volte facciamo confusione tra cosa sia andare in uscita, incontro alle persone, e che cosa sia fare una bella passeggiata e poi tornare e rimanere dove sto).
Abbiamo di nuovo ribadito che la formazione missionaria non può limitarsi alla trasmissione di generici valori morali e delle norme che li mediano. Essa dovrà facilitare le condizioni pratiche affinché il giovane – attraverso l’esperienza – acquisisca un vero e proprio metodo di discernimento che lo abiliti a verificare le sue motivazioni vocazionali dentro le esigenze concrete della vita missionaria. Non solo come elaborazione di idee e sogni, ma soprattutto come convinzione, decisione e azione. Attraverso esperienze significative in realtà missionarie, la sfida è che si viva il tempo della formazione vivendo il più possibile la vita missionaria.
A questo riguardo, il n. 58 della Ratio Fondamentalis Institutionis Sacerdotalis afferma: « …Il raggiungimento dei traguardi formativi non deve essere necessariamente legato al tempo trascorso in Seminario e soprattutto agli studi compiuti. Non si deve, cioè, arrivare al sacerdozio solo in ragione del susseguirsi di tappe poste in successione cronologica e stabilite in precedenza, quasi “automaticamente”, indipendentemente dai progressi effettivamente compiuti in una complessiva maturazione integrale…».
In questi ultimi anni, la domanda frequente è: formazione o probazione? La convinzione di molti è che ormai i classici seminari (stili e strutture) non “servono” più, non rispondono alle caratteristiche dei giovani d’oggi e alle nuove esigenze della missione. P. Rupnik sostiene che nella formazione si è tentati di corrispondere a qualcosa; nella prova – invece – “deve” uscire fuori la verità della persona, cioè la manifestazione di ciò che la persona ha ricevuto dalla Fede e dalla vocazione. Le nostre case di formazione oggi permettono questo? Fino a che punto? Alla luce degli enormi cambiamenti – anzi, del cambiamento d’epoca – come Congregazione, forse, dobbiamo cominciare a riflettere (e attuare) di più nella linea della probazione attraverso una maggiore diversificazione – personalizzazione dei processi formativi dei nostri giovani.
Roma, 18 – 24 Gennaio 2019 -
Commissione per la Formazione di base
TRACCIA AGENDA dei TEMI
1-
A- Saluto ed intervento della Direzione Generale.
B- Venerdì pomeriggio, ascolteremo p. Bob Tebri (della Congregazione dei Missionari d’Africa) che ci condividerà il processo formativo della sua Congregazione Missionaria. Segue dialogo e scambio di opinioni.
2-
A- Visione generale dell’attuale situazione della formazione nella propria Circoscrizione (e, per quel che conosciamo, del nostro continente): descrizione; programmi formativi; si usa la RFX? Esiste un direttorio regionale della formazione, una commissione locale della formazione, convegni continentali dei formatori, ecc…? Principali preoccupazioni e sfide da affrontare (presente e futuro). Per questa condivisione non c’è bisogno di preparare una relazione scritta, anche se sarebbe conveniente avere uno schema di ciò che si dirà. Dalle presentazioni, cercheremo di raccogliere alcune costanti che possono indirizzare il nostro lavoro.
B- I documenti del XVII Capitolo Generale, capitolo 3: Formazione Saveriana, soprattutto nella sua parte Formazione di base: Discernimento (XVII CG, 44ss). Analizzare come stiamo camminando e individuare gli aspetti da riprendere per poter implementarli meglio ai vari livelli: Congregazione, Regione e comunità locale. Nel documento, tra gli altri, si indicano i seguenti punti:
- Chiarezza proposta carismatica
- Missionari religiosi e sacerdozio, al servizio del primo annuncio…
- Curriculum formativo e accademico…
- Saveriano fratello.
- (personalizzazione del curriculum formativo)…
C- A partire dalla lettera inviata lo scorso 26 Febbraio 2018, dialogo circa l’obiettivo e funzionamento della nostra Commissione: un “luogo” di incontro, riflessione, comunicazione e programmazione che – in collaborazione con la DG – accompagni la Formazione, intesa come area specifica della missione.
3-
A- Convegno dei Formatori a livello di Congregazione che si terrà in occasione dell’inizio dell’anno giubilare (2020 – 2021) per il centenario della Lettera Testamento e delle prime Costituzioni. Suggerimenti e proposte: preparazione “remota” e preparazione “prossima”, organizzazione, partecipanti, sviluppo tematico, relatori, dettagli vari… (Date probabili: 28/29 Giugno – 11 Luglio 2020?).
B- Convegno sul volto umano del saveriano (o La persona del missionario). Come indicato in iSaveriani 102, p.11, si svolgerà in Luglio 2022, come preparazione al XVIII Capitolo Generale (2023). Suggerimenti.
C- Dalla Commissione per la Formazione permanente…
4-
5-
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