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Una tragedia nel silenzio dei media

Aida Faillace, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons
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Yemen: molte crisi, molti conflitti
Le poste in gioco, la storia e le prospettive geopolitiche

Il conflitto nello Yemen verrà ricordato come una delle tragedie più terribili di questo secolo. Spesso ignorato dai media in questi anni, quello che era nato come una questione interna nel 2011 è diventata una crisi internazionale nel 2015 con l’intervento armato di una coalizione guidata dall’Arabia Saudita a seguito della presa della capitale Sana’a da parte dei ribelli Houthi l’anno prima. Questi anni sono stati caratterizzati da una crisi umanitaria senza precedenti nella regione, un elemento questo tenuto più volte in considerazione dai ribelli Houthi, che controllano tuttora la parte nord del Paese. A seguito dell’intervento saudita, il conflitto è entrato quasi all’interno della rivalità tra Riyadh e Teheran, ma ha coinvolto nel tempo anche altri attori regionali, come gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman.

Negli anni scorsi i tentativi per risolvere il conflitto sono passati principalmente per due canali diplomatici: quello promosso dalle Nazioni Unite e moderato da un loro rappresentante speciale — al momento è lo svedese Hans Grundberg — e quello diretto tra i ribelli e i sauditi. Tra i due poi il canale diretto, instaurato inizialmente nel 2019, ha acquisito maggiore importanza, perché gli Houthi lo hanno utilizzato per interrompere le operazioni della coalizione — che hanno sempre considerato un’ingerenza esterna, anche per il fatto che fino al 2021 gli Stati Uniti davano supporto logistico — per poi potersi concentrare sul fronte interno. Allo scoppio della crisi lo Yemen era governato da Ali Abdullah Saleh, al potere fin dalla riunificazione tra Yemen del Nord e Yemen del Sud del 1990. Saleh ha lasciato il potere nel 2012 ed è stato nominato Abd-Rabbu Mansour Hadi presidente ad interim, carica che ha mantenuto fino allo scorso anno quando lo ha delegato al Consiglio di Leadership Presidenziale (Plc) un organo composto da tutti i gruppi in lotta contro i ribelli. In tutti questi anni Hadi è stato sempre considerato dalla comunità internazionale il legittimo presidente yemenita.

Grazie ad una tregua raggiunta ad aprile 2022 e proseguita con difficoltà dopo la scadenza del 2 ottobre scorso — inizialmente era prevista per due mesi ma è stata rinnovata più volte — i contatti tra Houthi e Arabia Saudita sono migliorati. Il conflitto ha coinvolto di meno la popolazione per concentrarsi sull’attacco — e la conseguente difesa — delle infrastrutture che nel sud servivano al Plc per la vendita di petrolio. Nelle ultime settimane poi la svolta per  la risoluzione del conflitto è arrivata dalla ripresa dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran mediata dalla Cina.

Segnali di distensione ci sono. Pochi giorni fa oltre 300 detenuti di guerra sono stati liberati. Lo ha reso noto il Comitato internazionale della Croce Rossa (Circ), dopo i colloqui per una tregua. «L’Unione europea accoglie con favore l’operazione di scambio di prigionieri nello Yemen negoziata dall’inviato speciale delle Nazioni unite, Hans Grundberg ,e facilitata dal Comitato internazionale della Croce rossa, avviata oggi» ha dichiarato in una nota la portavoce Ue per la Politica estera, Nabila Massrali. «Questo rilascio iniziale di 887 detenuti, in linea con l’accordo raggiunto a Ginevra il mese scorso, è un passo cruciale nell’attuazione dell’accordo di Stoccolma del 2018. Porta speranza a tutti i rimanenti detenuti legati al conflitto e alle loro famiglie. In tale contesto, l’Ue accoglie inoltre con favore l’impegno delle parti a proseguire i negoziati sull’accordo di scambio dei detenuti».

L’accordo che ha portato alla liberazione dei detenuti è frutto di negoziati durati due anni e svolti in Iraq e in Oman, ma l’accelerazione decisiva è arrivata ad inizio marzo nella capitale cinese. Per Pechino si tratta di un risultato diplomatico di grande prestigio e che conferma il suo ruolo non più secondario in Medio Oriente. Per ottenerlo sono risultati cruciali i rapporti con l’Arabia Saudita, con la quale Pechino condivide alcune vedute riguardo il sistema internazionale, ma anche il crescente peso che Pechino ha avuto in questi anni in cui il dragone è diventato il primo partner commerciale di molti paesi nella regione, compresi Arabia Saudita e Iran.

La normalizzazione dei rapporti tra i due paesi presenta delle nuove sfide per il Medio Oriente: oltre al ruolo cinese, ci sono sul tavolo tutte le crisi in cui agiscono gruppi vicini all’Iran. L’accordo ribadisce il principio di “non interferenza” negli affari interni di uno stato — un principio assai caro a Pechino e ribadito in molti documenti di carattere internazionale, tra cui il piano di pace per l’Ucraina. Come fatto notare dall’analista Amr Hamzawy, l’applicazione di tale principio dovrebbe portare ad una revisione delle attività dei gruppi politici vicini all’Iran nella regione: Iraq, Libano, Siria e appunto lo Yemen. Se l’applicazione dell’accordo proseguisse senza problemi — negli ultimi giorni le parti si sono incontrate per discutere dell’apertura delle rispettive ambasciate — ci sarebbero anche dei vantaggi economici per la repubblica islamica, vista la possibilità di instaurare rapporti commerciali più proficui nella regione.

Dagli ultimi sviluppi internazionali, una risoluzione al conflitto yemenita appare meno difficile, ma restano ancora molti punti interrogativi su quale possa essere la direzione giusta da prendere per raggiungere questo obiettivo. Gli eventuali accordi di pace saranno influenzati dall’andamento di altre crisi regionali? Considerato che la guerra ha una storia più “recente” rispetto ad altre crisi come per esempio quella del Libano, è probabile che trovare una sua soluzione a livello internazionale spiani il percorso per la gestione di altre crisi che durano da più tempo. Questo potrebbe essere uno scenario in caso la crisi venga tenuta separata da altri contesti. Nel caso invece si tenuta legata con altre crisi potrebbe essere usata come leva per ottenere risultati altrove, con conseguente difficoltà per raggiungere una sua definitiva soluzione.

Vi è poi l’aspetto interno, al quale è legato la proposta di pace delle Nazioni Unite. È logico che se le milizie ribelli riuscissero ad ottenere l’esclusione dell’Arabia Saudita dal conflitto avrebbero più pressione per il raggiungimento di un accordo. L’unica forma di assistenza da parte di attori internazionali in questo caso sarebbe quella del controllo dell’operato delle fazioni interne, ma anche questo aspetto dipende da come la crisi verrebbe utilizzata dagli attori coinvolti: o come base di dialogo o come leva per i propri interessi. Infine, tra gli effetti di medio e lungo periodo della guerra in Yemen è quello di frammentare il Medio Oriente.

Un’eventuale risoluzione dal conflitto proveniente da un input cinese renderebbe la regione un altro teatro di scontro tra Pechino e Washington — senza dimenticare che anche la Russia ha ormai una presenza stabile nella regione. Se la guerra in Yemen può portare al dialogo a livello regionale per la risoluzione di crisi politiche, è altrettanto probabile che gli attori regionali debbano confrontarsi con i loro alleati internazionali aggiungendo elementi di instabilità. Se geopoliticamente la guerra in Yemen apre molte occasioni di risoluzione delle crisi regionali, il fatto che la sua internazionalizzazione si sia cristallizzata rende ancora più complicata la sua gestione.

di Cosimo Graziani

CRONISTORIA 

Marzo 2015: lo scoppio del conflitto

La Coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita inizia a bombardare i territori occupati dagli Houthi (Ansar Allah è il nome del loro movimento politico), gli insorti sciiti che avevano preso il potere a Sana’a nel gennaio 2015. 

Dicembre 2015: la tregua

L’8 dicembre 2015 si giunge a un accordo per colloqui di pace a Ginevra e  una prima tregua sul campo nei giorni 14-21 dicembre. Il cessate il fuoco entra in vigore il 15 dicembre, mentre le delegazioni del governo di Hadi, degli Huthi e del Congresso Generale del Popolo arrivavano a Ginevra.

Gennaio 2016: offensiva governativa verso Sana’a

Il 6 gennaio 2016, le forze lealiste avanzano dal confine saudita conquistando il porto di Midi, controllato dagli Huthi dal 2010. Gli Huthi rispondono con attentati nella città e nel circondario. Il 10 gennaio un bombardamento saudita colpisce un ospedale di Medici senza frontiere nello Yemen del nord controllato dagli Huthi, causando sei morti. 

Dicembre 2018: la nuova tregua

Il 6 dicembre 2018 iniziano colloqui di pace a Stoccolma tra governativi e ribelli Huthi. Il 13 dicembre si giunge ad un accordo per un cessate il fuoco di sei mesi e per il ritiro dei miliziani Huthi dal porto di al-Hudayda, sotto la supervisione di un comitato dell’Onu. I ribelli Huthi tuttavia si rifiutano di abbandonare il porto, richiedendo un maggiore coinvolgimento dell’Onu.

Giugno 2019: nuove tensioni

IL PRIMO MARZO 2020 GLI HOUTHI CONQUISTANO AL HAZM, CAPITALE DELLA PROVINCIA DI AL-JAWF. TRA I MESI DI MARZO E APRILE CONQUISTANO DODICI VILLAGGI IN PROVINCE VICINE, PORTANDO TUTTO LO YEMEN SETTENTRIONALE, TRANNE IL GOVERNATORATO DI MARIB, SOTTO IL LORO CONTROLLO. 

Cosimo Graziani
5 Juin 2023
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