Stralci di storia
A Montepulgo nella contrada “Dei Valentini” in una fredda notte di febbraio del 1922, viene alla luce Giacomo, l’ultimo di 6 fratelli (4 maschi e 2 femmine).
Papà Michele e mamma Lucrezia, anche se poveri contadini sono raggianti per il nuovo arrivato.
Giacomo racconta sempre con simpatia il primo incidente della sua vita.
Dopo qualche giorno dalla nascita, papà Michele, con tutti i figli e la nipote Ernesta, infagottato in una federa ricamata, portano in chiesa il piccolo Giacomo per il battesimo. Durante il ritorno il povero Giacomino, senza che nemmeno la cugina Ernesta, che lo teneva tra le braccia se ne accorgesse, scivola dalla federa e cade sulla neve. Solo dopo un centinaio di metri, la cugina, si rende conto che il fagotto si è alleggerito. Lancia un grido di terrore, e di corsa, disperati, tutti si mettono alla ricerca. Lo trovano: il piccolo Giacomino dormiva tranquillo in mezzo alla neve.
Giacomo è sempre stato un bambino bravo e giudizioso: in famiglia, in parrocchia come chierichetto e studente a scuola. Inizia la scuola a sette anni con molte difficoltà, perché per frequentare le lezioni doveva percorrere ogni giorno 18 Km a piedi.
Passano gli anni e inizia la 1° ginnasio a Malo, la 3° la frequenta dai Salesiani a Trento per poi arrivare in seminario a Vicenza dove termina la 4° e 5° ginnasio.
Con lo scoppio della guerra P. Giacomo è arruolato e mandato all’ottantesimo reggimento di Fanteria a Mantova. Grazie ad un dottore compiacente, riesce ad essere rimandato a casa per tre anni, e proprio quando deve ripartire viene proclamato l’armistizio. Vive gli altri anni di guerra in famiglia e tra partigiani e tedeschi, subendo continuamente rastrellamenti e vivendo ogni giorno con la paura di essere ammazzato.
Terminata la guerra, P. Giacomo ha già 23 anni, e in lui pian piano matura il desiderio di diventare sacerdote. Decide di trascorrere un periodo di prova e meditazione e si reca a Bassano del Grappa al collegio Vescovile “Graziani” come assistente degli studenti.
Il 15 agosto 1946, festa della Madonna Assunta e patrona del suo paese, è il giorno decisivo che segnerà tutta la sua vita. Incontra P. Tiberio Munari, Missionario Saveriano, che lo indirizza a Vicenza per chiedere di entrare all’Istituto. La sua domanda è accolta.
Giacomo inizia il noviziato a S. Pietro in Vincoli, poi passa a Desio per il liceo e infine a Piacenza per la teologia; il 3 aprile 1954, a 32 anni è ordinato sacerdote.
Racconta: Una sera mentre leggevo il Vangelo, mi resi contro di quello che potevo fare, donando la mia vita a Cristo. Compresi che egli mi aveva dato tutto e in quel momento mi chiedeva la mia vita.
Davanti a quella chiamata decisi di essere generoso. Realmente dopo alcuni mesi ho capito che quella era la mia strada. Ero immensamente felice perché avevo trovato la gioia che solo Dio può donare a coloro che rispondono alla sua chiamata.
Il 3 aprile ricevendo l’ordinazione sacerdotale mi sono accorto di essere diventato veramente miliardario. Infatti ho trovato il tesoro per il quale ho venduto tutto, un tesoro che donandolo mi arricchisce giorno dopo giorno.
Sono trascorsi 61 anni da quando Cristo mi ha chiamato a collaborare con Lui nelle file della congregazione saveriana. Egli è il mio miglior amico, l’unico motivo per cui ho offerto la mia vita. La mia massima aspirazione è quella di far conoscere Gesù al maggior numero di uomini e di donne perché si possano innamorare di Lui.
Ringrazio Dio per il dono della mia vocazione saveriana ma anche la mia famiglia che mi ha insegnato ciò che è importante nella vita. Per questo dobbiamo cercare di vivere questo tempo sulla terra sempre uniti a Dio perché la nostra vita continui a rivivere nella luce di vita nel regno del Padre, impariamo dalla vita dei Santi. Sentiamo quello che scrive nel suo diario, due mesi prima di morire, nell’agosto del 1922 S. Bertilla in occasione degli esercizi spirituali: “La morte mi può sorprendere in ogni momento, ma io devo essere preparata, cioè in pace con Dio, con i miei superiori, vedendo in essi Gesù stesso, con le sorelle senza rancore, invidiuzze, malumori, ma amandole tutte in Dio e per Dio”.
Quanto e come ho saputo dare a Dio ogni giorno è ciò che Lui stesso mi ha dato e che continuerà a darmi. “Quel chiedete e vi sarà dato e bussate e vi sarà aperto”. In sostanza la risposta è quella che Dio chiede a tutti: servirlo e soprattutto amarlo e con Lui raggiungere il prossimo.
Dall’uso che noi facciano di noi stessi e delle creature dipenderà la riuscita della vita presente e dell’eternità. L’esperienza del passato mi aiuti ancora ad affrontare con serenità il mio futuro.
Quarant’anni di lavoro missionario spesi per il bene nelle Isole Mentawai, sono qualche cosa e hanno dato il suo frutto. Noi missionari non facciamo altro che seguire quanto ha fatto Gesù per primo con la sua parola e il suo esempio. La risposta viene proprio da loro: noi vogliamo bene al missionario perché vediamo che Lui vuole bene a noi, lavora con noi, soffre con noi e gioisce con noi.
P. Giacomo Peruzzo sx
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