Skip to main content

La missione della Chiesa affidata ai saveriani

2101/500

«Amare la nostra vocazione saveriana» 
In preparazione al XVIII CG (2)

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15), sono le ultime parole che il Signore risorto ha detto ai discepoli. Il Vangelo, la Buona Notizia dell’Amore di Dio, Gesù Cristo morto e risorto per la salvezza dell’umanità deve essere annunciato, proclamato, testimoniato a tutti gli esseri umani.

Non è un obbligo, e tantomeno una imposizione, ma un desiderio che nasce dal profondo del cuore di chi ama al Signore Gesù con tutto il suo essere. È un dovere che nasce per necessità vitale: «guai a me se non annuncio Cristo!» (1 Cor 9,16).

È qui, nella missione che la Chiesa ha ricevuto dal Signore, che si innesta il carisma saveriano. Ma con una particolarità ben concreta e specifica: «Fine unico ed esclusivo dell’Istituto è l’annuncio della buona novella del regno di Dio ai non cristiani”» (C 2); e questo come «impegno proprio ed esclusivo» (C 17).

Questa particolarità carismatica è arricchita da due elementi specifici: 1. «Per il nostro carisma specifico siamo inviati a popolazioni e gruppi umani, fuori del nostro ambiente, cultura e Chiesa di origine»; 2. «Fedeli alle preferenze di Cristo, ci rivolgiamo in particolare, tra i non cristiani, ai destinatari privilegiati del Regno: i poveri, i deboli, gli emarginati dalla società, le vittime dell’oppressione e dell’ingiustizia» (C 9).

Il carisma saveriano nella Chiesa va accolto nella sua totalità. «Rendiamo grazie a Dio per il carisma ricevuto perché, entrando a far parte di questa Famiglia religioso-missionaria, abbiamo scoperto l’identità che il Signore aveva riservato per ciascuno di noi. Nel carisma saveriano vediamo e gustiamo l’ideale della nostra vita» (Lettera DG 2020, nº 7). È la missione che la Chiesa ci affida.

Ci rendiamo conto però che «questa identità carismatica nella pratica trova ancora difficoltà ad incarnarsi» (XVI CG, 22). Ci sono dei segni preoccupanti che ci devono mettere in allerta. Ne cito alcuni tra quelli che vedo più evidenti: la relativizzazione per volontà propria della dimensione carismatica ad gentes e ad extra. Questo si manifesta per esempio, da una parte, nella tendenza a mantenere e conservare luoghi, strutture, presenze, attività che non rispondono più all’urgenza del Primo Annuncio del Vangelo e che si mantengono, senza dubbio, per comodità, per paura di fare cambiamenti e per mancanza di audacia apostolica. «Di fatto, buona parte delle nostre attività sono rivolte a persone e gruppi già raggiunti da una prima evangelizzazione» (XVI CG, 22).

E dall’altra parte, si manifesta nel preferire di rimanere nel proprio paese mettendo ostacoli all’uscita missionaria. Infatti, ci sono dei confratelli che dopo un periodo piuttosto breve di vita missionaria ad extra, una volta tornati nel proprio paese non vogliono più uscire e vivono apparentemente in pace «adducendo il motivo che la missione ad gentes può essere realizzata anche nella propria patria e cultura, in ragione della presenza di non-cristiani in tutti i contesti geografici» (XVI CG 23).

Questa infedeltà al carisma saveriano ha delle radici ben concrete. La prima che vedo è la debolezza di una vera vita di fede. Sì, perché l’amore e la passione per la missione nasce, cresce e si sviluppa in una vita intensa di fede nel Signore Gesù. Mons. Conforti, nella Lettera Testamento, dopo aver parlato della missione propria dell’ Istituto Saveriano (1), della vita apostolica, congiunta alla professione dei voti religiosi (2), dell’opera del Maligno (3), e dei voti (4-6),  inizia il nº 7 dicendo: «Perché questo mai s’abbia ad avverare, procuriamo sempre di vivere quella vita di fede, che deve essere la vita del giusto, in genere, e tanto più del Sacerdote e dell’Apostolo, la quale ci porti cercare e volere il beneplacito di Dio e non il nostro …».

Dobbiamo essere consapevoli che quando non si permette al Signore di guidarci, anche attraverso le mediazioni proprie della vita religiosa, tutte le porte si aprono per andare nella direzione opposta alla ricerca della volontà di Dio nella nostra vita. La disaffezione verso la Famiglia saveriana e il progetto missionario affidatoci dalla Chiesa ne è solo uno dei frutti; la relativizzazione dei cardini che ci guidano ne è un altro. Se Dio non occupa in verità il centro dei pensieri, degli affetti, delle scelte, allora il ‘centro’ sarà occupato inevitabilmente dal proprio io e dalle sue tendenze egocentriche.

La Chiesa ha bisogno del carisma saveriano nella sua totalità carismatica e profetica. E noi abbiamo, in virtù del dono ricevuto, l’obbligo di incarnarlo in prima persona. Nella Chiesa, ogni carisma manifesta una ricchezza della missio Dei.  Se noi, missionari saveriani, non vi rimaniamo fedeli, che senso avrebbe continuare ad esistere? Infatti, la ragione per la quale la Chiesa ci ha approvati è esattamente quella, e non un’altra! «Se il sale perde il suo sapore, come si potrà ridarglielo? Ormai non serve più a nulla; non resta che buttarlo via, e la gente lo calpesta» (Mt 5,13).

Le parole di Mons. Conforti rimangono come fonte di perenne ispirazione per la vita di noi tutti. «Ognuno di noi sia quindi intimamente persuaso che la vocazione, alla quale siamo stati chiamati, non potrebbe essere più nobile e grande, come quella che ci avvicina a Cristo autore e consumatore della nostra Fede ed agli Apostoli, che abbandonata ogni cosa, si diedero intieramente senza alcuna riserva alla sequela di Lui, e che noi dobbiamo considerare come i nostri migliori maestri. Il Signore non poteva essere più buono con noi!» (LT 1). E il Signore continua a chiamare dei giovani nella nostra Famiglia.

Sia da tutti conosciuto ed amato nostro Signore Gesù Cristo!

Fernando García Rodríguez, sx 


The mission of the Church entrusted to the Xaverians

"Loving our Xaverian vocation" 
In preparation for the XVIII GC 18 - (2)

"Go into the whole world and proclaim the Gospel to every creature" (Mk 16:15), are the last words that the Risen Lord addressed to the disciples. The Gospel, the Good News of God's love, Jesus Christ who died and rose for the salvation of humanity, must be proclaimed, announced and witnessed to by all human beings.

This is not an obligation, still less an imposition, but a desire that arises in the deepest of heart of those who love the Lord Jesus with all their being. It is a duty born of a vital necessity: "Woe to me if I do not proclaim Christ" (1 Cor 9:16).

It is here, in the mission that the Church has received from the Lord, that the Xaverian charism fits in. But with a very concrete and specific particularity: "The sole and exclusive purpose of the Institute is the proclamation of the good news of the kingdom of God to non-Christians" (C 2); and this as a "proper and exclusive commitment" (C 17).

This charismatic specificity is enriched by two particular elements: 1. "Through our specific charism, we are sent to populations and human groups outside our environment, our culture and our Church of origin"; 2. "Faithful to the preferences of Christ, we address ourselves in particular, to non-Christians, to the privileged recipients of the Kingdom: the poor, the weak, the marginalized in society, the victims of oppression and injustice" (C 9).

The Xaverian charism in the Church must be welcomed in its totality. "We give thanks to God for the charism we have received because, in being part of this missionary religious family, we have discovered the identity that the Lord has reserved for each of us. In the Xaverian charism we see and taste the ideal of our life" (Letter DG 2020, nº 7). This is the mission that the Church entrusts to us.

However, we realize that "in practice, this charismatic identity still has difficulty in being incarnated" (XVI CG, 22). There are worrying signs that should alert us. I will mention some of what I see most clearly: the voluntary relativization of the charismatic dimension Ad gentes and Ad extra. This is manifested, for example, on one hand in the tendency to maintain and preserve places, structures, and activities that no longer respond to the urgency of the First Proclamation of the Gospel and which are maintained, no doubt, out of convenience, fear of making changes, and lack of apostolic audacity. "In fact, a good part of our activities are directed towards people and groups that have already been reached by a first evangelization" (XVI GC, 22).

On the other hand, it manifests itself in the preference to remain in one's own country, putting obstacles in the way of missionary outing. In fact, there are confreres who, after a short period of missionary life Ad extra, once back in their own country, do not want to go out and apparently live peacefully " with the pretexts that the mission Ad gentes can also be carried out in one's own country and culture, because of the presence of non-Christians in all geographical contexts" (XVI GC, 23).

This infidelity to the Xaverian charism has very concrete roots. The first one I see is the weakness of a true life of faith. Yes, because love and passion for the mission are born, grow and develop in an intense life of faith in the Lord Jesus. Mgr. Conforti, in his Testament Letter, after speaking of the mission proper to the Xaverian Institute (1), of the apostolic life, combined with the profession of religious vows (2), of the work of the Evil One (3), and of the vows (4-6), begins n° 7 by saying: "Let us always strive to live that life of faith, which must be the life of the just man in general, and even more so of the priest and the apostle, which leads us to seek and desire the good will of God and not our own. ..".

We must be aware that when we do not allow the Lord to guide us, even through the mediations proper to religious life, all doors are opened to go in the opposite direction to the search for the will of God in our lives. The disaffection with the Xaverian Family and the missionary project that the Church has entrusted to us is only one of the fruits of this; the relativization of the foundations that guide us is another. If God does not truly occupy the center of our thoughts, our affections, our choices, then the "center" will inevitably be occupied by our ego and its self-centred tendencies.

The Church needs the Xaverian charism in its charismatic and prophetic totality. And we have, in virtue of the gift received, the obligation to incarnate it first at a personal level. In the Church, each charism manifests a richness of the missio Dei.  If we, the Xaverian missionaries, do not remain faithful to it, what would be the point of continuing to exist? In fact, the reason why the Church approved us is exactly that, and no other! "If the salt loses its taste, how can it be restored? It is no longer of any use; it only remains to be thrown away, and people trample it underfoot" (Mt 5:13).

Bishop Conforti's words remain a constant source of inspiration for all of our lives.  "Let each one of us, therefore, be firmly convinced that the vocation to which he has been called could not be more noble and greater, as that which brings us closer to Christ, the author and consumer of our faith, and to the Apostles, who, having abandoned everything, gave themselves unreservedly to his following, and whom we must consider as our best teachers. The Lord could not have been more kind to us" (TL 1). And the Lord continues to call young people into our Family.

May he be known and loved by all, Our Lord Jesus Christ!

Fernando García Rodríguez, sx


La misión de la Iglesia confiada a los Javerianos

«Amar nuestra vocación javeriana»
En preparación de la XVIII CG (2)

«Id por todo el mundo y proclamad el Evangelio a toda criatura» (Mc 16,15), son las últimas palabras que el Señor resucitado dirigió a los discípulos. El Evangelio, la Buena Nueva del Amor de Dios, Jesucristo muerto y resucitado por la salvación de la humanidad debe ser anunciado, proclamado, testimoniado, a todos los seres humanos.

No es una obligación, ni mucho menos una imposición, sino un deseo que surge de lo más profundo del corazón de quien ama al Señor Jesús con todo su ser. Es un deber que nace de una necesidad vital: «¡Ay de mí si no anuncio a Cristo!» (1Co 9,16).

Aquí, en la misión que la Iglesia ha recibido del Señor, es donde se injerta el carisma javeriano. Pero con una particularidad muy concreta y específica: «El fin único y exclusivo del Instituto es el anuncio de la buena nueva del reino de Dios a los no cristianos» (C 2); y esto como «compromiso propio y exclusivo» (C 17).

Esta particularidad carismática se enriquece con dos elementos específicos: 1. «Por nuestro carisma específico somos enviados a poblaciones y grupos humanos, fuera de nuestro ambiente, cultura e Iglesia de origen»; 2. «Fieles a las preferencias de Cristo, nos dirigimos en particular, entre los no cristianos, a los destinatarios privilegiados del Reino: los pobres, los débiles, los marginados por la sociedad, las víctimas de la opresión y de la injusticia» (C 9).

El carisma javeriano en la Iglesia debe ser acogido en su totalidad. «Damos gracias a Dios por el carisma recibido, pues, entrando a formar parte de esta Familia religioso-misionera, hemos descubierto la identidad que el Señor tenía reservada para cada uno de nosotros. En el carisma javeriano vemos y gustamos el ideal de nuestra vida» (DG Carta 2020, 7). Esta es la misión que la Iglesia nos confía.

Sin embargo, nos damos cuenta de que «esta identidad carismática, en la práctica, sigue teniendo dificultades para encarnarse» (XVI CG, 22). Hay señales preocupantes que deben ponernos en alerta. Mencionaré algunas de las que veo más evidentes: la relativización por voluntad propia de la dimensión carismática ad gentes y ad extra. Esto se manifiesta, por ejemplo, en la tendencia a mantener y conservar lugares, estructuras, presencias, actividades que ya no responden a la urgencia del Primer Anuncio del Evangelio y que se mantienen, sin duda, por comodidad, miedo a hacer cambios y por falta de audacia apostólica. «De hecho, buena parte de nuestras actividades se dirigen a personas y grupos que ya han sido alcanzados por una primera evangelización» (XVI CG, 22).

Por otro parte, se manifiesta en la preferencia por permanecer en el propio país poniendo obstáculos a la salida misionera. De hecho, hay algunos hermanos que, después de un período más bien breve de vida misionera ad extra, una vez que regresan a su propio país, ya no quieren salir y viven aparentemente en paz «con el argumento de que la misión ad gentes puede realizarse también en el propio país y en la propia cultura, debido a la presencia de no cristianos en todos los contextos geográficos» (XVI CG 23).

Esta infidelidad al carisma javeriano tiene raíces muy concretas. La primera que veo es la debilidad de una verdadera vida de fe. Sí, porque el amor y la pasión por la misión nacen, crecen y se desarrollan en una intensa vida de fe en el Señor Jesús. Mons. Conforti, en su Carta Testamento, después de haber hablado de la misión propia del Instituto javeriano (1), de la vida apostólica, unida a la profesión de los votos religiosos (2), de la obra del Maligno (3), y de los votos (4-6), comienza el número 7 diciendo: «Para que esto no llegue nunca a suceder, procuremos vivir siempre aquella vida de fe que debe ser la vida del justo en general, y mucho más del Sacerdote y del Apóstol, que debe llevarnos a buscar y a querer la voluntad de Dios y no la nuestra».

Debemos ser conscientes de que cuando no se permite al Señor de guiarnos, ni siquiera a través de las mediaciones propias de la vida religiosa, se abren todas las puertas para ir en la dirección contraria a la búsqueda de la voluntad de Dios en nuestras vidas. La desafección hacia la Familia Javeriana y el proyecto misionero que nos confió la Iglesia es sólo uno de sus frutos; la relativización de los ejes que nos guían es otro. Si Dios no ocupa verdaderamente el centro de nuestros pensamientos, afectos y opciones, entonces el ‘centro’ será ocupado inevitablemente por nuestro propio yo y sus tendencias egocéntricas.

La Iglesia necesita el carisma javeriano en su totalidad carismática y profética. Y nosotros, en virtud del don recibido, tenemos la obligación de encarnarlo en primera persona. En la Iglesia, cada carisma manifiesta una riqueza de la missio Dei.  Si nosotros, misioneros javerianos, no nos mantenemos fieles a ella, ¿qué sentido tendría seguir existiendo? De hecho, la razón por la que la Iglesia nos aprobó es exactamente esa, ¡y no otra! «Si la sal pierde su sabor, ¿cómo se podrá devolvérselo? Ya no sirve para nada, más que para ser tirada afuera y pisoteada por los hombres» (Mt 5,13).

Las palabras de Mons. Conforti siguen siendo una fuente de inspiración perenne para la vida de todos nosotros. «Por tanto, cada uno de nosotros debe estar íntimamente persuadido de que la vocación a la que hemos sido llamados no podía ser más noble y grande, porque nos hace semejantes a Cristo, autor y consumador de nuestra Fe, y a los Apóstoles, los cuales, después de abandonarlo todo, se entregaron sin reservas al seguimiento del Señor, y a los que hemos de considerar como nuestros mejores maestros. ¡El Señor no podía ser más bueno con nosotros!» (CT 1). Y el Señor sigue llamando jóvenes a nuestra Familia.

¡Sea por todos conocido y amado, nuestro Señor Jesucristo!

Fernando García Rodríguez, sx 


La mission de l'Église confiée aux Xavériens

"Aimer notre vocation xavérienne". 
En préparation du 18e CG- (2)

"Allez dans le monde entier et proclamez l'Évangile à toute créature" (Mc 16,15), sont les dernières paroles que le Seigneur ressuscité a adressées aux disciples. L'Évangile, la Bonne Nouvelle de l'Amour de Dieu, Jésus-Christ mort et ressuscité pour le salut de l'humanité, doit être proclamé, annoncé, témoigné à tous les êtres humains.

Il ne s'agit pas d'une obligation, encore moins d'une imposition, mais d'un désir qui surgit au plus profond du cœur de ceux qui aiment le Seigneur Jésus de tout leur être. C'est un devoir né d'une nécessité vitale : "malheur à moi si je n'annonce pas le Christ" (1 Co 9,16).

C'est ici, dans la mission que l'Église a reçue du Seigneur, que s’insère le charisme xavérien. Mais avec une particularité très concrète et spécifique : "Le but unique et exclusif de l'Institut est l'annonce de la bonne nouvelle du royaume de Dieu aux non-chrétiens" (C 2) ; et ceci comme un "engagement propre et exclusif" (C 17).

Cette spécificité charismatique s'enrichit de deux éléments particuliers : 1. "Par notre charisme spécifique, nous sommes envoyés vers des populations et des groupes humains, en dehors de notre environnement, de notre culture et de notre Église d'origine" ; 2. "Fidèles aux préférences du Christ, nous nous adressons en particulier, aux non-chrétiens, aux destinataires privilégiés du Royaume de Dieu : les pauvres, les faibles, les marginalisés de la société, les victimes de l'oppression et de l'injustice" (C 9).

Le charisme xavérien dans l'Église doit être accueilli dans sa totalité. "Nous rendons grâce à Dieu pour le charisme que nous avons reçu car, en faisant partie de cette Famille religieuse missionnaire, nous avons découvert l'identité que le Seigneur avait réservée à chacun de nous. Dans le charisme xavérien, nous voyons et goûtons l'idéal de notre vie" (Lettre DG 2020, nº 7). C'est la mission que l'Église nous confie.

Cependant, nous nous rendons compte que "dans la pratique, cette identité charismatique a encore du mal à s'incarner" (XVI CG, 22). Il y a des signes inquiétants qui doivent nous alerter. Je mentionnerai quelques-uns de ce que je vois le plus clairement : la relativisation volontaire de la dimension charismatique Ad gentes et Ad extra. Cela se manifeste, par exemple, d'une part, dans la tendance à maintenir et à préserver des lieux, des structures, des présences, des activités qui ne répondent plus à l'urgence de la première annonce de l'Évangile et qui sont maintenues, sans doute, par commodité, par peur de faire des changements et par manque d'audace apostolique. "En fait, une bonne partie de nos activités s'adressent à des personnes et à des groupes qui ont déjà été atteints par une première évangélisation" (XVI CG, 22).

Et d'autre part, elle se manifeste par la préférence de rester dans son propre pays en mettant des obstacles à la sortie missionnaire. En effet, il y a des confrères qui, après une période assez courte de vie missionnaire Ad extra, une fois de retour dans leur propre pays, ne veulent plus sortir et vivent apparemment en paix "au motif que la mission Ad gentes peut aussi être réalisée dans son propre pays et sa propre culture, en raison de la présence de non-chrétiens dans tous les contextes géographiques" (XVI CG, 23).

Cette infidélité au charisme xavérien a des racines très concrètes. La première que je vois est la faiblesse d'une vraie vie de foi. Oui, parce que l'amour et la passion pour la mission naissent, grandissent et se développent dans une vie intense de foi dans le Seigneur Jésus. Mgr. Conforti, dans sa Lettre Testament, après avoir parlé de la mission propre de l'Institut Xavérien (1), de la vie apostolique, combinée avec la profession des vœux religieux (2), de l'œuvre du Malin (3), et des vœux (4-6), commence le nº 7 en disant : "Efforçons-nous toujours de vivre cette vie de foi, qui doit être la vie du juste en général, et plus encore du prêtre et de l'apôtre, qui nous conduit à rechercher et à désirer la bonne volonté de Dieu et non la nôtre...".

Nous devons être conscients que lorsque nous ne permettons pas au Seigneur de nous guider, même à travers les médiations propres à la vie religieuse, toutes les portes s'ouvrent pour aller dans la direction opposée à la recherche de la volonté de Dieu dans nos vies. La désaffection à l'égard de la Famille Xavérienne et du projet missionnaire que nous a confié l'Eglise n'en est qu'un des fruits ; la relativisation des fondements qui nous guident en est un autre. Si Dieu n'occupe pas véritablement le centre de nos pensées, de nos affections, de nos choix, alors le "centre" sera inévitablement occupé par notre ego et ses tendances égocentriques.

L'Église a besoin du charisme xavérien dans sa totalité charismatique et prophétique. Et nous avons, en vertu du don reçu, l'obligation de l'incarner en première personne. Dans l'Église, chaque charisme manifeste une richesse de la missio Dei.  Si nous, les missionnaires xavériens, n'y restons pas fidèles, à quoi servirait-il de continuer à exister ? En fait, la raison pour laquelle l'Église nous a approuvés est exactement cela, et pas une autre ! "Si le sel perd son goût, comment le restaurer ? Il n'est plus d'aucune utilité ; il ne reste plus qu'à le jeter, et les gens le piétinent" (Mt 5, 13).

Les paroles de Mgr Conforti restent une source d'inspiration permanente pour notre vie à tous.  « Que chacun de nous soit donc intimement persuadé que la vocation à laquelle il a été appelé ne saurait être plus noble et plus grande, comme celle qui nous rapproche du Christ auteur et consommateur de notre Foi et des Apôtres, qui, ayant tout abandonné, se sont livrés sans réserve à sa suite, et que nous devons considérer comme nos meilleurs maîtres ". Le Seigneur n'aurait pas pu être plus bon envers nous » (LT 1). Et le Seigneur continue d'appeler des jeunes dans notre Famille.

Qu’il soit connu et aimé de tous,

Notre Seigneur Jésus le Christ !

Fernando García Rodríguez, sx


A missão da Igreja confiada aos Xaverianos

"Amar a  nossa vocação xaveriana" 
Em preparação ao XVIII  GC - (2)

"Ide por todo o mundo e anunciai o Evangelho a toda criatura" (Mc 16,15), são as últimas palavras que o Senhor ressuscitado dirigiu aos discípulos. O Evangelho, a Boa Nova do Amor de Deus, Jesus Cristo que morreu e ressuscitou para a salvação da humanidade, deve ser anunciado, proclamado, testemunhado a todos os seres humanos.

Não é uma obrigação, muito menos uma imposição, mas um desejo que surge do fundo do coração daqueles que amam o Senhor Jesus com todo o seu ser. É um dever nascido de uma necessidade vital: "ai de mim se eu não proclamar Cristo" (1 Cor 9,16).

É aqui, na missão que a Igreja recebeu do Senhor, que o carisma xaveriano é enxertado. Mas com uma particularidade muito concreta e específica: "Fim único e exclusivo do Instituto é o anúncio da boa nova do Reino de Deus aos não-cristãos" (C 2); e isto como "tarefa própria e exclusiva" (C 17).

Esta distinção carismática é enriquecida por dois elementos específicos: 1. "Pelo nosso carisma especifico, somos enviados a populações e grupos humanos não-cristãos, fora do nosso ambiente, cultura e Igreja de origem"; 2. "Fies às preferências de Cristo, dirigimo-nos em particular, entre os não-cristãos, aos destinatários privilegiados do Reino: os pobres, os fracos, os marginalizados pela sociedade, as vítimas da opressão e da injustiça" (C 9).

O carisma xaveriano na Igreja deve ser acolhido em sua totalidade. "Nós Agradecemos a Deus pelo carisma recebido porque, ao ingressar nesta família religioso-missionária, descobrimos a identidade que o Senhor havia reservado para cada um de nós. No carisma xaveriano, vemos e provamos o ideal de nossa vida" (Carta da DG 2020, 7). Esta é a missão que a Igreja nos confia.

Entretanto, percebemos que "esta identidade carismática, na prática, ainda encontra dificuldades para encarnar-se" (XVI CG, 22). Há sinais preocupantes que devem nos alertar. Mencionarei alguns dos que vejo mais claramente: a relativização por vontade própria da dimensão carismática ad gentes e ad extra. Isto se manifesta, por exemplo, na tendência de manter e preservar lugares, estruturas, presenças, atividades que não respondem mais à urgência do Primeiro Anúncio do Evangelho mantidas, sem dúvida, por conveniência, por medo de mudanças e falta de audácia apostólica. "De fato, boa parte de nossas atividades é destinada a pessoas e grupos que já foram alcançados por uma primeira evangelização" (XVI CG, 22).

E, por outro lado, manifesta-se na preferência de permanecer no próprio país, criando entraves à saída missionária. De fato, há alguns irmãos que, após um período bastante curto de vida missionária ad extra, uma vez retornados ao próprio país, não querem mais sair e vivem aparentemente em paz "com o argumento de que a missão ad gentes também pode ser realizada no próprio país e cultura, devido à presença de não-cristãos em todos os contextos geográficos" (XVI CG 23).

Esta infidelidade ao carisma xaveriano tem raízes muito concretas. A primeira que vejo é a fraqueza de uma verdadeira vida de fé. Sim, porque o amor e a paixão pela missão nasce, cresce e se desenvolve em uma vida intensa de fé no Senhor Jesus. São Guido, em sua Carta Testamento, após ter falado da missão própria do Instituto Xaveriano (1), da vida apostólica, unida à profissão dos votos religiosos (2), da obra do Maligno (3) e dos votos (4-6), começa o nº 7 dizendo: "esforcemo-nos sempre para viver a vida de fé, que deve ser a vida do justo, em geral, e especialmente do Sacerdote e do Apóstolo, a qual nos leva a procurar e querer o agrado de Deus e não o nosso...".

Devemos estar cientes de que quando não permitimos que o Senhor nos guie, mesmo através das mediações próprias da vida religiosa, todas as portas se abrem para ir na direção oposta à busca da vontade de Deus em nossas vidas. O desinteresse pela Família Xaveriana e pelo projeto missionário que a Igreja nos confiou é apenas um dos frutos disso; a relativização dos princípios que nos guiam é outro. Se Deus não ocupa verdadeiramente o centro dos pensamentos, dos afetos, das escolhas, então o 'centro' será inevitavelmente ocupado pelo próprio ego e suas tendências egocêntricas.

A Igreja precisa do carisma xaveriano em sua totalidade carismática e profética. E temos, em virtude do presente recebido, a obrigação de encarná-lo em primeira pessoa. Na Igreja, todo carisma manifesta uma riqueza da missio Dei.  Se nós, missionários xaverianos, não permanecermos fiéis a ela, qual seria o objetivo de continuarmos a existir? Na verdade, a razão pela qual a Igreja nos aprovou é exatamente essa, e não outra! "Se o sal perde o sabor, como pode ser restaurado? Para nada mais serve senão para ser lançado fora e calcado pelos homens” (Mt 5,13).

As palavras de São Guido permanecem como fonte inextinguível de inspiração  para a vida de todos nós. "Cada um de nos esteja pois intimamente convicto que a vocação, à qual fomos chamados, não poderia ser maior nem mais nobre, como aquela que nos aproxima de Cristo autor e consumador da nossa fé e dos Apóstolos, que, tendo abandonado tudo, entregaram-se inteiramente, sem reserva alguma, ao seguimento dEle, e que nós devemos considerar como os nossos melhores mestres. O Senhor não poderia ter sido mais bondoso para conosco!" (LT 1). E o Senhor continua a chamar jovens para dentro de nossa Família.

Seja por todos conhecido e amado Nosso Senhor Jesus Cristo!

Fernando García Rodríguez, sx 

Fernando García Rodríguez sx
22 Dicembre 2022
2101 visualizzazioni
Tag

Link &
Download

Area riservata alla Famiglia Saveriana.
Accedi qui con il tuo nome utente e password per visualizzare e scaricare i file riservati.