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Addio a padre Marino Rigon

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Addio a padre Marino Rigon, innamorato di Tagore e dei bengalesi

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Il saveriano morto a Vicenza a 92 anni. Per oltre mezzo secolo attivo in Bangladesh, aveva tradotto moltissime opere del grande poeta bengalese Nobel della letteratura nel 1913

GEROLAMO FAZZINI
ROMA

Con la morte di padre Marino Rigon, saveriano, se ne va non solo un grande missionario, ma anche un uomo di cultura particolarmente apprezzato in Bangladesh, Paese dove ha operato per oltre mezzo secolo.

Padre Rigon è morto ieri nella casa dei saveriani di Vicenza, all’età di 92 anni; era rientrato in Italia da soli tre anni perché, profondamente affezionato al Bangladesh, fino all’ultimo aveva cercato di restare nel “suo” Paese. Un Paese, quasi totalmente musulmano che, alcuni anni fa lo aveva premiato attribuendo a lui, missionario cattolico, la cittadinanza onoraria: un fatto unico nella storia bengalese, che gli ha aveva consentito libertà totale di movimento. L’interessato aveva reagito senza trionfalismi, ma semplicemente tirando un sospiro di sollievo per aver acquisito totale libertà di movimento in virtù del nuovo passaporto: «Per oltre cinquant’anni, anno per anno ho dovuto fare la trafila per chiedere il permesso di soggiorno, sempre con il patema che, proprio per il fatto di essere un missionario, non mi venisse concesso…».

Il privilegio del riconoscimento presidenziale si deve soprattutto al prezioso e tenace lavoro culturale di padre Rigon, che l’ha portato a diventare il principale traduttore in italiano delle opere di Rabindranath Tagore, poeta, saggista, romanziere e mistico bengalese vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1913. In onore del grande bengalese, padre Marino ha pure fondato, con l’aiuto di amici, un Centro studi Tagore. Rigon si applicò alla traduzione di Tagore adottando una grafia che riproducesse il più possibile la pronuncia originale piuttosto che seguire quella tradizionale, che proviene dalla versione inglese.

Questo modus operandi può essere letto, oltre che come metodo filologicamente corretto, come un atteggiamento di rispetto e di immersione totale nella cultura bengalese: uno stile che ha caratterizzato l’intera opera missionaria di padre Marino, il quale – come ha scritto l’amica Laura Santoro Ragaini, anch’ella appassionata di Tagore - «era impegnato nelle traduzioni soprattutto di notte, o nei rari momenti di riposo, per non togliere tempo ai suoi poveri, alle sue scuole, al suo impegno di parroco».

Originario di Villaverla (Vicenza), dov’era nato nel 1925, figlio di una maestra e di un contadino, secondo di dieci figli, il piccolo Marino sceglie la vocazione missionaria profondamente colpito dalla figura del padre con le piaghe sanguinanti che interpretava Cristo durante una rappresentazione teatrale popolare in Quaresima. Entra nei saveriani nel 1938, all’età di 13 anni. Ordinato prete nel 1951, il giovane missionario sognava l’Africa ma, dopo un breve periodo di servizio in Italia, viene assegnato all’allora Pakistan orientale: terra di monsoni e povertà che, tuttavia, con gli anni, diventerà la “sua” terra.

Nel 1971, quando il Bangladesh si stacca dal Pakistan occidentale per salvare la sua lingua (il bengoli), scoppia la guerra civile. Padre Rigon si schiera con la gente, a costo di mettere in pericolo la vita; ma dà ospitalità anche a molti indù, visti come nemici dai musulmani. Finito il conflitto, si adopera per costituire cooperative popolari e dà vita a centri di cucito e ricamo che valorizzano l’antica arte del Nokshi Khanta, preziosi arazzi ottenuti con migliaia di piccolissimi punti.

Tranne alcuni breve ritorni in patria e un periodo in Canada per conseguire una laurea in sociologia, padre Marino ha consumato la sua esistenza nel sud-ovest del Bangladesh: prima viceparroco a Bharpara, poi parroco a Shelabunia e a Khulna. Direttore del centro catechistico di Jessore dal 1964 al 1969, fu anche parroco di Jessore e poi di Baniarchor dal 1970 al 1976. Dopo un triennio di servizio in Italia, a Desio, dal 1976 al 79, torna in Bangladesh dove svolge vari servizi pastorali fino al 2014, anno in cui rientra definitivamente in Italia, per ragioni di salute.

«Innamorato di Dio, ha mostrato un amore di predilezione per il Bangladesh; anzi, si potrebbe dire che padre Marino era un bengalese come la sua gente. Amava il Paese e la sua gente di un amore totale e autentico»: così lo ricorda il confratello padre Filippo Rondi, che è stato per anni suo compagno in Bangladesh. Di padre Rigon - il cui volto lungo è stato incorniciato da una lunga e folta barba, da guru orientale - padre Rondi ricorda pure, oltre ai meriti culturali, l’impegno per la costruzione di scuole e ostelli per i ragazzi e le ragazze più poveri, espressione di un sogno durato tutta la vita: rendere gli ultimi protagonisti della storia e della cultura.

Gerolamo Fazzini
27 Ottobre 2017
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