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CHARLES DE FOUCAULD: Missione come amicizia e fraternità

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La Missione come Amicizia e Fraternità

Nell’enciclica Fratelli tutti, del 3 ottobre scorso, papa Francesco dichiara di essere stato motivato nella riflessione sulla fraternità, oltre che da san Francesco d’Assisi e da fratelli non cattolici come Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi, anche da un’altra persona che “a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti”: Charles de Foucauld (1858-1916), di cui il 26 maggio 2020 aveva annunciato la canonizzazione imminente. È l’icona della fraternità universale che ci viene consegnata alla fine dell’enciclica. Un’immagine potente, che ha esercitato una forte attrazione in seno alla vita religiosa e missionaria del Novecento, interpellando – e, di fatto, contestando – il modello di evangelizzazione di non pochi istituti religiosi e missionari che, volenti o nolenti, erano sbilanciati – quando non allineati – dalla parte delle politiche colonialiste dell’Occidente. Giustamente il grande teologo del Concilio Vaticano II (1962-1965), Yves Congar, poteva scrivere che “i fari che la mano di Dio ha acceso all’inizio del secolo atomico si chiamano Teresa di Lisieux, Charles de Foucauld…”.

Ebbene Fratel Charles, vivendo sulla scia dell’icona di Gesù a Nazareth, ha davvero cambiato la musica della missione cristiana, ancora sintonizzata sulle onde della presunta superiorità della civiltà europea sulle culture e tradizioni religiose degli altri popoli. In realtà, la nuova musica missionaria di de Foucauld riprende due note evangeliche, ricavate dall’imitazione radicale della vita umile e nascosta della famiglia di Gesù a Nazareth: l’amicizia e la fraternità. Sono anche le chiavi di lettura dell’enciclica Fratelli tutti. Essere missionario per Fr. Charles voleva dire essere “amico e fratello universale”, non astrattamente, ma attraverso concreti rapporti di amicizia con tutti. In definitiva, amare tutti iniziando da qualcuno, gli ultimi, che, per “il piccolo fratello di Gesù”, erano i Tuareg, attraverso un ascolto appassionato della loro vita e una fedeltà incondizionata alla loro amicizia. Da qui anche il suo grande impegno di studiarne empaticamente – non solo strumentalmente, per poter parlare con loro, se glielo avessero chiesto, del suo Signore – la lingua e la cultura fino a concepire il monumentale Dizionario tuareg-francese in quattro volumi.

L’amicizia e la fraternità sono le note distintive della parabola missionaria di Fr. Charles nel deserto del Sahara, le cui strade – spesso non tracciate – percorre non con le bandiere spiegate, ostentando crocifissi o rosari, ma creando legami con la gente che lì era nata, diventando uno di loro, lasciando cadere ogni spirito di conquista e abbracciando lo spirito dell’attesa umile, predicando il Vangelo con la vita. Una vita che Fr. Charles desiderava condividere anche con altri testimoni della spiritualità di Nazareth, non solo preti e religiosi, ma anche laici, che volessero mischiarsi alla popolazione in silenzio, con la loro professione, per testimoniarvi la loro fede e il loro amore. Potrebbero essere anche le note della nuova presenza dei Saveriani a Tangeri, in Marocco, la terra che aveva risvegliato alla fede l’esploratore de Foucauld e dove avrebbe voluto ritornare come missionario dopo l’esperienza in Terra Santa. Non so se si tratti di una semplice coincidenza, ma l’interesse che i Saveriani hanno manifestato nei confronti di Fr. Charles fin dal 1931, ancora vivo il fondatore Conforti, dedicandogli addirittura un film, Africa nostra, girato in Africa, potrebbe significare una sintonia non casuale, da valorizzare come motivo ispiratore per i Saveriani, non solo in Marocco, ma in tutto il mondo!


Mario Menin

Da Missione Oggi 06/2020

Mario Menin SX
15 Dicembre 2020
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