Dall’origine del mondo, l’essere umano è sempre stato molto prudente, proteggendosi dai vari attacchi esterni. Il suo sistema immunitario è forte e fa sì che non soccomba a qualsiasi malattia. Non per caso alcune persone vivono più di 100 anni. Non è una novità inventata dal Corona virus che gli esseri umani mantengano un “distanziamento sociale”, si lavino le mani spesso, si abbraccino, usino le maschere in certe situazioni, ecc. Possiamo dire che siamo sempre stati più o meno consapevoli della cura per la nostra salute. E queste sono le parole che vorremmo sentire in questi giorni. Parole che elogino la nostra umanità, la nostra capacità di prevenzione, il nostro essere consapevoli di ciò che siamo, anche dei nostri limiti. Purtroppo, non è così. Dappertutto c’è pianto e sembra che la speranza venga sempre meno. Il Covid-19 ha raggiunto quasi tutti gli aspetti della nostra vita. Non passa giorno senza che si pensi o parli del Covid-19. Giornali, radio, tv, reti sociali, interviste, … tutti parlano di questo tema. Le nostre strade sono meno affollate, non ci si dà la mano, non ci si abbraccia …, tutte cose che erano normali fino a l’altro ieri. Qualcosa è veramente cambiato. Cosa è successo? Come siamo arrivati a questo cambiamento così rapido che durerà forse fino a due anni? O che forse condizionerà per sempre il nostro modus vivendi.
Riceviamo notizie su Covid-19 da tutto il mondo e comprendiamo che questo è un grave problema di salute per l’umanità. Di recente l’astronauta italiano Luca Parmitano al suo ritorno sulla terra da una missione spaziale, ha dichiarato: «Dallo spazio si può vedere la terra respirare e pulsare, soffrire per gli uragani e gli incendi o splendere di bellezza: per questo è il momento di agire per tutelarla [...]. Pensi di conoscere il pianeta, poi lo vedi da lontano e ti rendi conto che è un sistema vivente... Le nuvole che si muovono con il vento sono il suo respiro, l’acqua dei fiumi e degli oceani è il suo sangue. Dalla quota di 440 chilometri vediamo la fragilità del nostro pianeta e ci rendiamo conto che l’atmosfera è davvero sottile. Da lassù, ho visto uragani di intensità notevole, come quelli che hanno colpito le Bahamas e Puerto Rico; ho visto anche i fuochi delle foreste amazzoniche, quelli dell’Africa e da settembre a gennaio ho fotografato i fuochi che hanno tinto di rosso l’Australia... La fragilità del nostro pianeta è evidente, ma l’elemento più fragile siamo noi perché la vita continuerà ben oltre la capacità dell’uomo di superare i danni che sta causando. La vita continuerà, ma non è detto che ci sia ancora l’uomo: se vogliamo esserci è il momento di agire».[1]
I “subbugli” che arrivano con questo virus mi lasciano un po’ perplesso e anche stupito. D’altra parte, situazioni estreme e persino pandemie, hanno già colpito l’umanità. Mi vien da dire che le abbiamo già conosciute tutte. A proposito, prendo solo l'esempio del mio paese[2], la Repubblica Democratica del Congo, che sta ancora combattendo contro il virus dell’Ebola.
Questo Covid-19 doveva viaggiare per tutto il mondo, fino ad arrivare anche lì prima che l’Ebola, suo abominevole predecessore, fosse sconfitto. Sfortunatamente, per il popolo congolese è piovuto sul bagnato! Per noi quindi il nemico invisibile è duplice: Ebola e Covid-19. Quest’ultimo virus sembra non abbia molto “impressionato” la popolazione. In effetti, ascoltando amici, conoscenti, e l’opinione pubblica del mio paese, alcune persone considerano il Covid-19 come una piccola preoccupazione in più. Questa locale relativizzazione dell’attuale problema di salute globale può sorprendere il resto del mondo ed essere chiamata incoscienza. Forse è davvero così. O forse è una forma di resilienza, oppure una vigilanza di fronte ad “opportunisti di alto rango” che non esitano a cogliere qualsiasi occasione, anche un’emergenza sanitaria, per imbrogliare ed arricchirsi in maniera egoistica. Già si parlava di “Ebola business” o “Ebola cop” e alcuni temono che anche questa ultima emergenza si trasformi in “Corona business” o “Corona cop”. In questi ultimi giorni, vedendo che i numeri dei contagiati e dei morti da Covid-19 stanno aumentando anche nelle province; e che l’ebola sta riapparendo in alcuni angoli della R. D. Congo, si comincia a pensare diversamente e si passa dal dubbio alla certezza.
Non sto negando lo sforzo che le autorità locali stanno facendo per combattere la pandemia. Infatti, le autorità del paese hanno definito, da metà marzo, le misure per limitare e prevenire il contagio: chiusura delle chiese, delle scuole, dei bar e ristoranti, delle frontiere, e degli aeroporti; limitazione dei viaggi tra le province e città, o anche tra territori della stessa provincia; l’obbligo di indossare maschere, la moltiplicazione dei punti di lavaggio delle mani in città, il divieto di raduni e dell’organizzazione di feste o funerali, limitazione del numero dei passeggeri sugli autobus. In ogni caso, convinti o meno, le persone rispettano a modo loro le misure prese. La messa in pratica di queste misure ha molte conseguenze. Diverse persone hanno perso, si spera solo periodicamente, il loro lavoro e i loro stipendi: insegnanti delle scuole private, piccoli commercianti, trasportatori di merci tra territori diversi, lavoratori … ed il prezzo dei beni di prima necessità è aumentato sul mercato.
Chiudo questa lunga parentesi, fiducioso che un giorno tutto questo finirà e mi auguro che avrò imparato, avremo imparato qualcosa. Prima di tutto abbiamo capito che non tutto è sotto il controllo dell’uomo, come credevamo. Avremo capito che la ragione umana, la sua intelligenza, le sue opere se non sono per il bene di tutta l’umanità, possono impedirci di sognare un domani migliore. Nonostante l’evoluzione della scienza e della tecnologia, abbiamo riscoperto che l'uomo è fragile. Basta poco perché tutto finisca. Parmitano non l’ha detto sopra! Le parole del gentiluomo nel piccolo kiosque erano: “finché tutto questo dura” aggiungo io: “a condizione che cogliamo l’occasione per imparare che siamo tutti fratelli e sorelle che abitano la stessa terra”. Ha detto Franck Thilliez, sulla pandemia, “che era sempre convinto che i virus informatici o biologici avrebbero finito per distruggere quasi tutte le specie umane. Il coronavirus ci ha messi tutti nel silenzio, in un momento di ansia e angoscia; ci ha fatto scoprire le nostre capacità e limiti, ci ha dato il tempo necessario per porci domande, speriamo domande profonde e serie, per scoprire il nostro posto su questa terra come umani e non come dei. Al di là di tutte le nostre domande, sono certo che non rimuoveremo mai, dal cuore delle persone, né quelle che hanno perso i loro cari, né quelle che si stanno preparando per varie attività o nuove avventure, questa domanda di perché?[3] Perché adesso? Perché in questo momento in cui mi sto preparando per sposarmi, per finire i miei studi, per avere un contratto di lavoro, per ... per ...
Mentre navighiamo in mezzo alla tempesta causata da questa pandemia, le parole di papa Francesco[4] ci hanno scosso e mostrato quanto il Signore si preoccupa di ognuno di noi. Mentre il mare era troppo agitato, i discepoli, come noi, si sono spaventati, sentiti abbandonati e persi in una tempesta inaspettata. Allora abbiamo capito che era tempo di cambiare il nostro modo di pensare, non più al singolare ma al plurale. Ecco allora che in questi giorni siamo stati benedetti tramite tanti gesti di solidarietà reciproca, a prescindere dalla propria identità, dalle proprie radici e dal proprio credo. Siamo stati positivamente colpiti dai numeri dei frontliners: medici, infermieri, commesse, autisti, professori, studenti, leaders, militari, poliziotti, consacrati e non consacrati, la lista è lunga. Abbiamo assistito ad una cooperazione nazionale ed internazionale, abbiamo scoperto che ognuno di noi è indispensabile, e ciò che rende bella questa collaborazione è che ciascuno di noi si riconosce nell’altro, capendo così che tutti siamo figli e figlie della stessa madre terra. Il mio problema è anche il tuo; e la soluzione, la troviamo insieme. «Maestro, non ti importa che siamo perduti? [...]. Perché avete paura? Non avete ancora fede?[5]»
Quando le grandi catastrofi ci toccano più da vicino, capiamo che le vittime che esse causano non sono solo numeri, ma persone umane come noi […].[6] Il tempo di Covid-19 è un tempo profetico. È un tempo che denuncia e annuncia[7]. Denuncia che l’essere umano non è mai affidabile al cento per cento e le sue opere le dimostrano. Annuncia che la vita dell'uomo non è fatta solo per accettare e pensare che tutto ciò che ci arriva è castigo, ma per iniziare nuove vie, nuovi stili di vita: cercando il necessario.[8] C’è nell’uomo una sete che nulla sembra in grado di colmare. Questa sete lo mette sempre in uno stato di ricerca continua che purtroppo le cose terrene non sembrano essere in grado di soddisfare. Ecco allora che la Vita lo aspetta, la Vita è sempre vicino a noi, la Vita ha le braccia aperte per camminare insieme a noi. Prima, durante e dopo Covid-19, la Vita c’è.
[1] https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/02/08/parmitano-la-terra-e-fragile-e-per-salvarla-e-ora-di-agire_74cf1343-071a-467f-92ae-1debffa376. Consultato giovedì, 21 maggio, 2020.
[2] “In un Kiosque, nel cuore sperduto del continente africano, due uomini sono al centro di un dibattito su Covid-19. Le parole di uno degli oratori mi hanno colpito. Disse: finché dura questa situazione. Finché i confini rimangono chiusi. Allora impareremo a valorizzare i prodotti locali, impareremo a mangiare pomodori, patate dolci, pesce, carote, carne, maïs di casa nostra ... e non sempre correremo per prendere cibo da altrove, non dipenderemo più dai paesi vicini. Impareremo a costruire ospedali ben attrezzati nelle nostre città, a formare i nostri medici in modo che il popolo non vada più a ricevere cure in Asia, Sudafrica, Europa, ecc. Favoriremo la formazione dei giovani fino alla specializzazione in diversi settori, in modo da riuscire a produrre zucchero, olio, sapone, ... a livello locale; in modo che non dobbiamo più aspettare che farmaci e vaccini vengano fabbricati e importati da lontano”.
[3] C. Delhez, Mal où est ta victoire ? Ed. Mame, Paris, 1999, 7. Pourquoi ? c’est cette question qui nous accompagne toujours quand on perd un enfant dans un accident de la route : quand des millions de personnes disparaissent dans une pandémie […]. Et pourquoi moi ? c’est une autre question qui vient s’ajoute quand l’évènement ne nous touche en personne d’une manière ou d’une autre. La question arrive en son comble quand on y ajoute la souffrance de tant d’innocents ? Pourquoi ce virus porte tant de personnes qui ne savent même pas de quoi s’agit-il, des enjeux souterrains de la question.
[4] Riflessione fatta dal Papa Francesco il 27 Marzo 2020 durante il momento di preghiera in tempo della pandemia in Piazza San Pietro, seguito della benedizione Urbi et Orbi; Pope Francis, Life after the Pandemic, Libreria Editrice Vaticana, Vaticana, 2020, 17-24.
[5] Marco 4, 38-41.
[6] C. Delhez, Mal où est ta victoire?, Ed. Mame, Paris, 1999, 12.
[7] R. Garaudy, L’alternative : change le monde et la vie, Robert Laffont, Paris, 1972, 252pp.
[8] Pope Francis, Life after the Pandemic, Libreria Editrice Vaticana, 2020, 20.
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