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La Cultura dell'incontro: un imperativo per un mondo diviso

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Interculturalità: la dimensione universale dell’umanità

L’ingiustizia strutturale che caratterizza le attuali relazioni sociopolitiche è una pesante eredità che l’epoca storica appena conclusa sta lasciando alla nuova che inizia. In questo cambio di epoca assistiamo infatti a situazioni, come la pandemia di Covid-19, che nel colpire l’intera umanità rivelano tuttavia chiaramente la portata e la profondità di questa ingiustizia strutturale. I divari sociali, la povertà, la migrazione forzata e altre calamità continuano a crescere. Pare impossibile fermare il degrado ambientale causato dai modelli di produzione e dagli stili di vita lussuosi che sono stati generati dal capitalismo consumista globalizzato. I conflitti armati continuano e aumentano, anche in luoghi in cui sembrava che fossero state trovate alternative per risolvere i contrasti. La politica globale si è dimostrata immatura, incapace di governare il mondo nell’interesse comune dell’umanità.

Cultura e culture

Fare dell’«incontro» la dimensione essenziale e permanente delle culture in cui ci muoviamo è al centro delle riflessioni che desidero condividere in questa occasione. Abbiamo ricordato come l’ingiustizia strutturale generi situazioni di discordia o di «dis-incontro». La sfida della missione che abbiamo ricevuto è a compiere passi efficaci verso la fratellanza e la pace. Quella di sviluppare la dimensione dell’incontro all’interno delle culture che danno senso alla nostra vita diventa, quindi, un’esigenza indispensabile per il progresso. L’incontro è quella dimensione delle culture che fa da strumento per aiutare a superare l’ingiustizia, a trasformare la società e a raggiungere la riconciliazione con le persone, i popoli e l’ambiente naturale in cui si sviluppa l’esistenza.

Preferisco parlare di «culture», al plurale, al fine di evidenziare una delle più grandi ricchezze dell’umanità: la diversità culturale. Essa propone una delle vie più meravigliose per partecipare alla crea­zione che nasce in Dio e nella sua Parola. Attraverso le loro culture gli esseri umani sono co-creatori. La diversità culturale è per l’umanità ciò che la biodiversità è per la natura; è quindi un tesoro che va riconosciuto, difeso, preservato e promosso.

Attraverso le loro culture, individui e popoli danno e trovano un significato alle loro vite. La costituzione pastorale Gaudium et spes (GS) del Concilio Vaticano II offre una chiara descrizione di ciò che s’intende con la parola «cultura»[1], riaffermando così la realtà e l’importanza del pluralismo culturale nel passato, nel presente e nel futuro dell’umanità.

La Buona Notizia di Gesù Cristo si presenta come una luce per tutte le culture umane. Gesù è nato, cresciuto e vissuto in una certa cultura, eppure il suo Vangelo trascende ogni confine culturale. Lui e i suoi discepoli capirono, non senza difficoltà[2], che la parola di Dio si rivolge a ogni essere umano e a ogni cultura. Il Vangelo si può incarnare in qualsiasi cultura umana. Come il lievito penetra nella pasta, il Vangelo s’incarna nelle culture e le apre alla possibilità dell’incontro con Dio, con gli altri e con la natura. Tutte le culture hanno bisogno di questo incontro risanante per crescere in umanità.

Le culture sono il frutto dell’esercizio della libertà umana. Gli esseri umani stabiliscono liberamente relazioni attraverso le quali cercano di dare un senso all’esistenza, alla loro quotidianità personale e sociale. I rapporti culturali nascono dall’esigenza umana, in primo luogo, di dare un senso condiviso alla vita in comune (ideali, valori, atteggiamenti ecc.); in secondo luogo, di stabilire modalità di produzione, distribuzione e consumo dei beni materiali necessari alla vita (relazioni economiche); e, in terzo luogo, di prendere decisioni sull’orientamento e sul governo della società civile (relazioni politiche)[3]. Le religioni sono una parte importante delle idee, dei simboli e dei significati che attraverso la cultura vengono attribuiti alla vita dei gruppi umani.[4]

Le relazioni umane sono quindi storiche, dinamiche e in continua evoluzione. Le culture sono in movimento; non esistono di per sé, e quindi non compongono una sorta di genetica sociale che si trasmette immutata da una generazione alla successiva. La cultura è al contempo personale e condivisa. Ogni persona, unica e irripetibile, assume un’identità attraverso la cultura. Allo stesso tempo, la cultura conferisce agli individui un’identità socialmente condivisa con altri esseri umani, ciascuno a sua volta unico e irripetibile.

Nel mondo odierno, esistono esperienze e spazi multiculturali che si scontrano con la tendenza a favorire l’omogeneità culturale: quest’ultima viene promossa perché asseconda le dinamiche del mercato, che è la struttura dominante nei rapporti di produzione e consumo. Il multiculturalismo riconosce la diversità culturale come ricchezza umana, favorisce la convivenza tra culture diverse e ne promuove la conservazione. È un’esperienza complessa e fruttuosa di incontro tra esseri umani culturalmente diversi. Allo stesso tempo, riflette l’inevitabile tensione tra le radici locali di ogni essere umano o gruppo sociale e la visione universale, che genera identità globale e cittadinanza universale.

Incontrare l’umanità attraverso l’interculturalità

La missione che abbiamo ricevuto, di lavorare per la riconciliazione di tutte le cose in Cristo,[5] ci impedisce di accontentarci del multiculturalismo. Ci mette di fronte alla sfida dell’interculturalità, che porta a uno scambio arricchente tra tutti i popoli e i gruppi sociali che s’incontrano e condividono le loro culture. Il costante aumento dei flussi migratori nel mondo rivela che esistono lesioni profonde, ma offre anche l’opportunità di uno scambio culturale su larga scala. Possiamo scorgere in questa realtà un importante segno dei tempi, che ci chiama ad approfondire la dimensione dell’incontro. Questo percorso ci porta a sentirci membri dell’intera umanità, veri cittadini del mondo.

L’inculturazione è la prima tappa di questo percorso, e richiede un incontro con la propria cultura che produca consapevolezza critica. Il secondo stadio è quello che abbiamo chiamato «multiculturalismo». Esso consiste nel vivere un incontro gioioso con gli altri esseri umani e con le loro culture e nel riuscire a condividere felicemente con loro una vita in pace.

L’interculturalità è una tappa ulteriore, che richiede un incontro più profondo e complesso. Implica relazionarsi con gli altri esseri umani e le loro culture, condividere con loro il valore della propria cultura (esaminata criticamente) e arricchirsi dei contributi della diversità culturale. L’incontro interculturale diventa così un volano verso la giustizia sociale, la fraternità e la pace; … … cerca di costruire ponti e di promuovere uno scambio fluido tra tutte le culture in un processo complesso che implica la conferma e l’arricchimento della propria identità, mentre al tempo stesso ne viene arricchita anche quella degli altri. Nell’incontro è sempre implicito il rischio di provocare conflitti.

L’interculturalità non è solo un «incontro tra culture» che scansa la necessità di acquisire una visione critica della propria cultura, né permette che ci si accontenti del mero rispetto delle diversità culturali, come se in qualche modo fosse possibile produrre una sfera o uno spazio metaculturale o sovraculturale[6]. Viene incoraggiato l’incontro tra persone di culture diverse come mezzo di valorizzazione reciproca. L’interculturalità arricchisce coloro che s’impegnano nel processo, ed è possibile realizzarla perché tutte le culture posseggono la dimensione dell’incontro.

L’incontro interculturale è uno «scambio reciproco tra culture che porta alla trasformazione e all’arricchimento di tutti i soggetti coinvolti».[7] … Attraverso l’incontro interculturale, le culture si sviluppano in modo più dinamico, concepiscono cambiamenti interni che le portano a crescere nella dimensione universale dell’umanità.

Incontro nello spezzare il pane

In Fratelli tutti, papa Francesco ricorre all’incontro del samaritano con il ferito abbandonato sulla strada per mostrare come si crea la fraternità.[8] Il samaritano non è irretito in un modo di vivere la sua cultura che gli impedisce di andare incontro alla persona bisognosa del suo aiuto. Al contrario, la dimensione dell’incontro gli apre gli occhi sulle necessità umane senza distinzioni. La dimensione culturale dell’incontro permette che ci si prenda cura di persone, popoli e culture feriti; consente di abbracciarli e di offrire ogni mezzo per guarire le ferite, costruire ponti e favorire la fraternità.

Un’altra scena del Vangelo di Luca[9] può aiutarci a comprendere l’incontro in quanto dimensione delle nostre culture umane alla ricerca di un mondo giusto e fraterno. Il racconto è noto: quei due discepoli, dopo aver vissuto la crocifissione di Gesù come un fallimento, si sentono delusi e vogliono tornare a Emmaus e alla loro vita precedente. Il Maestro nel quale avevano riposto tutte le loro speranze messianiche è stato condannato a morte. Lo scandalo della croce provoca in loro un dis-incontro. Mentre sono in cammino e rimuginano sulla loro delusione, Gesù, il risorto che è il crocifisso, si fa loro incontro. Li coinvolge in una conversazione che li spinge a invitarlo a condividere un pasto durante il quale lo riconoscono nello spezzare il pane. Con grande fretta, essi tornano a incontrare i compagni rimasti a Gerusalemme.

Quando i cosiddetti «discepoli di Emmaus» avevano seguito Gesù di Nazaret, erano ancora intrappolati nelle prospettive rigide della loro cultura. Non avendone raggiunto una visione critica, non potevano incontrare davvero il Maestro, il cui messaggio non trovava posto nelle categorie culturali che fino ad allora avevano dato senso alla loro vita. Quelle categorie interpretavano l’arresto, la passione e la morte di Gesù come un totale fallimento rispetto alla missione di liberare Israele. Di conseguenza, incapaci di comprendere, essi stavano tornando alla vita che avevano sempre condotto.

Gesù prende l’iniziativa. All’inizio cammina a fianco dei discepoli disillusi. Per un lungo tratto li accompagna e ascolta con attenzione la loro storia. Sta cercando di costruire ponti con i due discepoli e di comprendere le categorie culturali attraverso le quali essi interpretano ciò che è accaduto. È la dinamica dell’inculturazione a cui ho accennato sopra. Gesù crea le condizioni che arricchiranno la visione e la sensibilità dei discepoli. Usando il loro stesso linguaggio e le loro categorie culturali, propone un modo diverso di intendere ciò che è accaduto. Lo fa condividendo la propria esperienza degli eventi, utilizzando categorie culturali originali, che gettano nuova luce sull’esperienza dei due discepoli.

A questo punto avviene ciò che abbiamo chiamato «incontro interculturale». Non fermandosi al discorso razionale esposto in parole comprensibili, Gesù ha provocato un incontro personale. Per questo i discepoli lo esortano a restare con loro: si sentono arricchiti da questa esperienza e vogliono che egli condivida la loro casa e la loro mensa. Infine, attraversano il «ponte» che Gesù ha costruito e si aprono all’incontro: «Lo riconoscono nello spezzare il pane». L’incontro interculturale ha prodotto una profonda comunione in quegli esseri umani, la cui comprensione della realtà prima era limitata da categorie culturali che non avevano ancora incorporato la dimensione dell’incontro.

La comunione interculturale rende l’incontro contagioso. I discepoli non possono restarsene tranquilli a casa loro, da soli intorno a un tavolo. Devono uscire a incontrare gli altri e condividere la nuova luce che hanno ricevuto dall’incontro con Gesù. La strada per Emmaus è un percorso a doppio senso: avanti e indietro, attraverso il ponte costruito sulle fondamenta della dimensione dell’incontro interculturale che arricchisce e trasforma.

«Dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,79b)

Il desiderio di pace è stato presente nelle culture umane nel corso di una lunga storia piena di violenze e di guerre. Ora, nel mezzo di una «terza guerra mondiale a pezzi», come la descrive papa Francesco, aspiriamo a una pace duratura che vada oltre il silenzio delle armi. La pace si fonda sulla giustizia sociale.

Finché non c’è trasformazione della struttura socioeconomica che genera povertà e sostiene le scandalose differenze tra alcuni popoli e altri, tra pochi ricchissimi e le maggioranze povere, e finché non scompaiono le giustificazioni religiose fondamentaliste e le ideologie fumose, la violenza non finirà, né diminuiranno il flusso delle migrazioni forzate e il traffico di esseri umani. Anche l’aggressione contro l’ambiente naturale non cesserà, sebbene minacci la vita sul pianeta Terra.

La presenza permanente del Signore nella storia è volta a guidare i passi dell’umanità sulla via della pace attraverso incontri umani che accolgono con gioia la diversità, apprezzano la libertà, incoraggiano il dialogo e costruiscono la fraternità.[10]

La pace richiede di camminare insieme lungo il complesso cammino della riconciliazione che conduce dal tragico dis-incontro e dalle relazioni umane infrante verso un autentico incontro fraterno. La pace richiede che si cammini insieme nella stessa direzione, per creare le condizioni del dialogo. Implica l’accompagnamento di processi personali e di gruppo che sono per natura complessi e asincroni: avanzano, cioè, a ritmi diversi e possono essere armonizzati solo dalla presenza paziente, incondizionata di chi li accompagna.

L’incontro interculturale è possibile quando c’è collaborazione tra molte persone, non solo di culture diverse, ma anche di caratteristiche e capacità diverse e complementari. La collaborazione implica la condivisione della responsabilità del processo ed è quindi una condizione indispensabile per l’incontro interculturale.

Impegnarsi nell’incontro interculturale significa aumentare e affinare la capacità di dialogo, dimensione chiave del processo. Il dialogo dovrebbe essere interculturale e allo stesso tempo intraculturale, come abbiamo cercato di spiegare sopra. Le resistenze e gli ostacoli sono chiari a tutti. … L’incontro interculturale avviene in mezzo a conflitti di ogni tipo. È impossibile immaginare processi politici intraculturali o interculturali senza conflitto. Il cammino verso la giustizia e la pace, attraverso l’incontro interculturale, è un complesso processo di riconciliazione tra gli esseri umani, e il suo acme è il perdono, senza il quale la pace manca di solide basi.[11] La riconciliazione che porta alla giustizia sociale comprende il restaurarsi di una relazione armoniosa con la natura e con l’intero ambiente in cui si sviluppa la vita.

La vera pace è la riconciliazione di tutte le cose in Cristo,[12] l’obiettivo finale dell’incontro interculturale.

Arturo Sosa, SJ

 

[1] «Con il termine generico di “cultura” si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano. Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce “cultura” assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti, dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Così dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così pure si costituisce l’ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la civiltà» (GS 53).

[2] Cfr At 10,1-11,18; 15,1-35.

[3] Affermando il carattere relazionale della cultura e riconoscendo l’uguaglianza delle culture – non esistono culture superiori e culture inferiori –, non intendiamo proporre un relativismo culturale che apra la via al relativismo morale. Non assumiamo il falso principio secondo cui tutto è valido, che porta a una tolleranza ingenua.

[4] Per un’interessante sintesi degli elementi della cultura, cfr L. T. Stanislaus – M. Ueffing (edd.), InterculturalidadEn la vida y en la misión, Estella, Verbo Divino, 2017, 18-22.

[5] La Compagnia di Gesù, secondo le parole della XXXVI Congregazione Generale (2016), è «in missione con Cristo Riconciliatore» (Decreto 1, nn. 21-30).

[6] Cfr L. T. Stanislaus – M. Ueffing, Interculturalidad, cit., 586.

[7] Ivi, 23.

[8] Cfr Francesco, Fratelli tutti (FT), c. 2. Cfr Lc 10,25-37.

[9] Cfr Lc 24,13-35.

[10] Durante il lungo cammino verso la libertà attraverso il deserto, gli israeliti collocarono al bordo dei loro accampamenti la «tenda del convegno», in cui Mosè parlava «faccia a faccia» con il Signore, e chiunque volesse consultare il Signore vi si recava (cfr Es 33,7-11).

[11] Cfr FT 236-245.

[12] Cfr Col 1,20; 2 Cor 5,18; Rm 5,10.


The Culture of Encounter: an imperative for a divided world

INTERCULTURALITY. The universal dimension of humanity

The structural injustice characteristic of current socio-political relations appears to be a legacy that the preceding historical epoch is leaving to the new one that is beginning. During this change of epoch, we are witnessing situations, like the coronavirus pandemic, that affect all of humanity and that reveal clearly the extent and the depth of structural injustice.

Social gaps, poverty, forced migration, and other calamities continue to grow. It seems impossible to halt the environmental deterioration caused by the production models and lavish lifestyles spawned by a globalized consumerist capitalism. Armed conflicts continue and increase, even in places where it seemed that alternatives had been found for resolving conflicts. Global politics has failed to mature enough to govern the world in the common interest of humanity.

This global socio-political framework in which we move has already been referred to, during this conference, as an unavoidable point of reference for the reflections we share.

Culture and cultures

Making the “encounter” the essential and permanent dimension of the cultures in which we move is the heart of the reflections I share with you on this occasion. We have recalled how structural injustice generates situations of disagreement or “dis-encounter.” The challenge of the mission we have received is to take effective steps towards fraternity and peace. Developing the dimension of encounter within the cultures that give meaning to our lives becomes, therefore, an indispensable requirement for progress. Encounter is that dimension of cultures which serves as an instrument to help overcome injustice, transform society and achieve reconciliation with persons, peoples and the natural environment in which all life develops.

I prefer to speak of cultures in the plural in order to highlight one of humanity’s greatest riches: cultural diversity. Cultural diversity offers one of the most wonderful ways to participate in the creation that is born in God and his Word. Through their cultures human beings are co-creators. Cultural diversity is to humanity what bio-diversity is to nature; it is therefore a treasure that must be recognised, defended, conserved and promoted.

Through their cultures, individuals and peoples give meaning to and find meaning in their lives. Gaudium et spes, the Apostolic Constitution of Vatican II, offers a clear description of what is meant by the word culture,[1] thereby reaffirming the reality and importance of cultural pluralism in the past, present and future of humanity.

The Good News of Jesus Christ is presented as a light for all human cultures. Jesus was born, raised, and lived in a certain culture, yet his gospel transcends all cultural boundaries. He and his disciples understood, not without difficulty,[2] that the Word of God is addressed to every human being and every culture. The gospel can become incarnate in each and every human culture. Like the leaven that penetrates the dough, the gospel becomes embodied in cultures and opens them to the possibility of meeting with God, with others and with nature. All cultures need this healing encounter to grow in humanity.

Cultures are the fruit of the exercise of human freedom. Human beings freely establish relationships by which they seek to give meaning to existence, to their daily personal and social lives. Cultural relations are born of the human need, first, to bestow a shared meaning on life in common (ideals, values, attitudes, etc.); second, to establish ways of producing, distributing and consuming the material goods necessary for life (economic relations); and third, to make decisions about the destiny and governance of civil society (political relations).[3] Religions are an important part of the ideas, symbols and meanings given to the life of human groups through culture.[4]

Human relationships are therefore historical, dynamic and ever-changing. Cultures are on the move; they do not exist by themselves, nor do they form part of a kind of social genetics that is transmitted unchanged from one generation to another. Culture is at once personal and shared. Each person, unique and unrepeatable, takes on an identity through culture. At the same time, culture bestows on individuals an identity that is socially shared with other human beings, each of them also unique and unrepeatable.

In today’s world, multicultural experiences and spaces exist in tension with the trend that favors cultural homogeneity, a trend that is promoted because it supports market dynamics, the dominant structure of relations of production and consumption. Multiculturalism recognizes cultural diversity as human richness, it favors coexistence among different cultures, and it promotes their preservation. Multiculturalism is a complex and fruitful experience of encounter between culturally diverse human beings. At the same time, it reflects the inevitable tension between the local roots of each human being or social group and the universal vision that generates global identity and universal citizenship.

Encountering humanity through interculturality

The mission we have received, of working for the reconciliation of all things in Christ,[5] prevents us from being satisfied with multiculturalism. It confronts us with the challenge of interculturality, which leads to an enriching exchange among all peoples and social groups that meet together and share their cultures. The constant increase of migratory flows in the world reveals the deep wounds that exist, but it also offers the opportunity for cultural exchange on a large scale. We can see in this reality an important sign of the times that calls us to deepen the dimension of encounter. This is a path that leads us to feel that we are members of all humanity, true citizens of the world.

Inculturation is the first stage of this path, and it requires an encounter with one’s own culture that produces critical awareness. The second stage is what we have called multiculturalism. This consists in experiencing a joyous encounter with other human beings and their cultures and being able to happily share with them a life in peace.

Interculturality is a still further stage, one that requires a deeper and more complex encounter. It involves relating to other human beings and their cultures, sharing with them the value of one’s own (critically examined) culture, and being enriched by the contributions of cultural diversity. Intercultural encounter thus becomes a driving force toward social justice, fraternity and peace; …. it seeks to build bridges and promote fluid exchange among all cultures in a complex process that involves confirming and enriching one’s own identity while also enriching the identity of others. Encounter always runs the risk of provoking conflicts.

Interculturality is not just an “encounter between cultures” that avoids the need to acquire a critical view of one’s own culture, nor does it allow one to be satisfied with simple respect for cultural diversity, as if it were somehow possible to produce a meta-cultural or supra-cultural sphere or space.[6] We encourage encounter among people from different cultures as a means of mutual enrichment. Interculturality enriches those who engage in the process, and it is possible to achieve because all cultures have the dimension of encounter.

Intercultural encounter is a “reciprocal exchange between cultures that leads to the transformation and enrichment of all those involved”.[7] It is therefore a participatory, interactive encounter with the historical, social, economic and political context in which it unfolds. Through intercultural encounter, cultures develop more dynamically, undergoing internal changes that lead them to grow in the universal dimension of humanity.

Encounter at the breaking of bread

In Fratelli tutti, Pope Francis describes the encounter of the Samaritan with the wounded man abandoned on the road to show how fraternity is created. The Samaritan is not ensnared in a way of living his culture that prevents him from reaching out to encounter the person who needs his help. On the contrary, the dimension of encounter opens his eyes to human needs without making distinctions. The cultural dimension of encounter makes it possible to care for other wounded persons, peoples and cultures. It makes it possible to embrace them and to offer every means to heal wounds, build bridges and foster fraternity.

Another scene from the Gospel of Luke[8] can help us understand encounter as a dimension of our human cultures in search of a just and fraternal world. The story is well known. Having experienced the crucifixion of Jesus as a failure, two disciples feel disillusioned and want to return to Emmaus and their previous life. The Teacher in whom they had placed all their messianic hope was sentenced to death. The scandal of the cross provokes in them a dis-encounter. While they are on their way, mulling over their disappointment, Jesus, the resurrected one who is the crucified one, goes forth to meet them. He engages them in a conversation that leads them to invite him to share a meal, during which they recognize him in the breaking of the bread. With great haste they return to an encounter with the companions who had remained in Jerusalem.

The so-called “disciples of Emmaus” had been following Jesus of Nazareth while still trapped in the fixed views of their culture. Since they had not achieved a critical vision of their own culture, they could not truly encounter the Teacher whose message did not fit into the cultural categories that had given meaning to their lives. Those categories interpreted the arrest, passion and death of Jesus as a complete failure of the mission to liberate Israel. As a result, unable to comprehend, they returned to the life they had always led.

Jesus takes the initiative. He begins by walking alongside the disillusioned disciples. For a good while he accompanies them and listens attentively to their story. He is trying to build bridges with the disciples and understand the cultural categories by which they interpret what happened. This is the dynamic of inculturation to which I referred above. Jesus creates the conditions that will enrich the vision and the sensibility of the disciples. Using the disciples’ own language and their cultural categories, Jesus proposes another way of understanding what happened. He does this by sharing his own experience of the events, using fresh cultural categories that throw new light on the experience of his disciples.

What then takes place is what we have called intercultural encounter. Not content with rational discourse put into comprehensible words, Jesus has provoked a personal encounter. That is why the disciples urge him to stay with them. They feel enriched by this experience and want Jesus to share their home and their table. Finally, they cross the bridge that Jesus has built, and they open themselves to the encounter: “they recognize him in the breaking of the bread.” Intercultural encounter has brought about deep communion in these human beings who were previously limited in their understanding of the reality by cultural categories that had not yet incorporated the dimension of encounter.

Intercultural communion makes the encounter contagious. The disciples cannot remain calmly in their home, around a table by themselves. They must go forth to encounter others and share the new light they received from their encounter with Jesus. The road to Emmaus is a round trip, back and forth across the bridge built on the foundations of the dimension of intercultural encounter that enriches and transforms.

Guiding our steps along the path of peace[9]

The longing for peace has been present in human cultures throughout a long history filled with violence and wars. Now, in the midst of a “piecemeal third world war,“ as Pope Francis describes it, we aspire to a lasting peace that goes beyond the silence of arms. Peace is founded on social justice.

As long as there is no transformation of the socioeconomic structure that generates poverty and sustains the scandalous differences between some peoples and others, between a few very rich people and the poor majorities; and as long as religious fundamentalist justifications and smokescreen ideologies do not disappear, violence will not end, nor will the flow of forced migrations and the trafficking of people be diminished. The aggression against the natural environment will not cease either, even though it threatens life on planet earth.

The permanent presence of the Lord in history is aimed at guiding the steps of humanity along the path of peace through human encounters that gladly accept diversity, appreciate freedom, encourage dialogue and build fraternity.[10]

Peace requires walking together along the complex path of reconciliation that leads us from tragic dis-encounter and fractured human relations toward genuine fraternal encounter. Peace requires walking together in the same direction in order to create the conditions for dialogue. It involves accompanying personal and group processes that are both complex in nature and asynchronous; that is, they advance at different rates and can be harmonized only by the patient, unconditional presence of those who accompany them.

Intercultural encounter is possible when there is collaboration among many people, not only from diverse cultures, but also of different characteristics and complementary capacities. Collaboration involves sharing responsibility for the process and is therefore an indispensable condition for intercultural encounter.

Engaging in intercultural encounter means increasing and refining the capacity for dialogue, a key dimension of the process. Dialogue should be intercultural and at the same time intracultural, as we have tried to explain above. The resistances and the obstacles will be clear to all. …  Intercultural encounter takes place in the midst of conflicts of all kinds. It is impossible to imagine intracultural or intercultural political processes without conflict. The path toward justice and peace, through intercultural encounter, is a complex process of reconciliation among human beings, and its culmination is forgiveness, without which peace lacks a solid foundation.[11] The reconciliation that leads to social justice includes reestablishing a harmonious relationship with nature and the entire environment in which life develops.

True peace is the reconciliation of all things in Christ,[12] the final goal of intercultural encounter.

by Arturo Sosa, SJ

 

[1]  “The word ‘culture’ in its general sense indicates everything whereby man develops and perfects his many bodily and spiritual qualities; he strives by his knowledge and his labor, to bring the world itself under his control. He renders social life more human both in the family and the civic community, through improvement of customs and institutions. Throughout the course of time he expresses, communicates and conserves in his works, great spiritual experiences and desires, that they might be of advantage to the progress of many, even of the whole human family.

“Thence it follows that human culture has necessarily a historical and social aspect and the word ‘culture’ also often assumes a sociological and ethnological sense. According to this sense we speak of a plurality of cultures. Different styles of life and multiple scales of values arise from the diverse manner of using things, of laboring, of expressing oneself, of practicing religion, of forming customs, of establishing laws and juridical institutions, of cultivating the sciences, the arts and beauty. Thus, the customs handed down to it form the patrimony proper to each human community. It is also in this way that there is formed the definite, historical milieu which enfolds the man of every nation and age and from which he draws the values which permit him to promote civilization.” (Gaudium et spes, 53)

[2] Acts 10,1-11,18; 15,1-35

[3] By affirming the relational character of culture and recognizing the equality of cultures (there are no superior and inferior cultures), we do not mean to propose a cultural relativism that gives way to moral relativism. The false principle that everything is valid, which leads to naive tolerance, is not assumed.

[4] Cf. STANISLAUS, L.–UEFFING, M. (eds.), Interculturalidad, Estella (Spain), Ed. Verbo Divino, 2017, pp. 18-22, as an interesting synthesis of the elements of culture.

[5] The Society of Jesus, in the words of the XXXVI General Congregation (2016), is “on mission with Christ the reconciler” (Decree 1, nos. 21-30).

[6] Cf. STANISLAUS, L.–UEFFING, M., op. cit, p. 586.

[7] STANISLAUS, L.-UEFFING, M., op. cit., p. 23.

[8] Lk 24, 13-35

[9] Lk 1, 79b

[10] During the long road to freedom crossing the desert, the Israelites placed on the outskirts of their camps the “tent of meeting” in which Moses spoke “face to face” with Yahweh and anyone who wanted to consult the Lord approached it (Ex 33, 7-11).

[11] See Fratelli tutti nos. 236-245

[12] Col 1.20; 2 Cor 5:18; Rom 5, 10


La culture de la rencontre : un impératif pour un monde divisé

Interculturalité : la dimension universelle de l’humanité

L’injustice structurelle qui caractérise les relations sociopolitiques actuelles est un lourd héritage que l’époque historique qui vient de s’achever laisse à la nouvelle qui commence. En effet, dans ce changement d’époque, nous assistons à des situations, comme la pandémie de Covid-19, qui, en touchant l’humanité tout entière, révèlent pourtant clairement l’ampleur et la profondeur de cette injustice structurelle. Les écarts sociaux, la pauvreté, la migration forcée et d’autres catastrophes continuent d’augmenter. Il semble impossible d’arrêter la dégradation de l’environnement causée par les modèles de production et les modes de vie luxueux générés par le capitalisme de consommation mondialisé. Les conflits armés se poursuivent et s’aggravent, même dans des endroits où des alternatives semblent avoir été trouvées pour résoudre les conflits. La politique mondiale s’est révélée immature, incapable de gouverner le monde dans l’intérêt commun de l’humanité.

Culture et cultures

Faire de la « rencontre » la dimension essentielle et permanente des cultures dans lesquelles nous évoluons est au centre des réflexions que je désire partager à cette occasion. Nous avons rappelé que l’injustice structurelle engendre des situations de discorde ou de « de-rencontre ». Le défi de la mission que nous avons reçue est d’accomplir des pas efficaces vers la fraternité et la paix. Développer la dimension de la rencontre à l’intérieur des cultures qui donnent sens à notre vie devient donc une exigence indispensable pour le progrès. La rencontre est cette dimension des cultures qui sert d’instrument pour aider à surmonter l’injustice, à transformer la société et à atteindre la réconciliation avec les personnes, les peuples et le milieu naturel dans lequel se développe l’existence.

Je préfère parler de « cultures », au pluriel, afin de mettre en évidence l’une des plus grandes richesses de l’humanité : la diversité culturelle. Elle propose une des voies les plus merveilleuses pour participer à la création qui naît en Dieu et dans sa Parole. A travers leurs cultures, les êtres humains sont co-créateurs. La diversité culturelle est pour l’humanité ce que la biodiversité est pour la nature ; c’est donc un trésor qu’il faut reconnaître, défendre, préserver et promouvoir.

Par leurs cultures, les individus et les peuples donnent et trouvent un sens à leurs vies. La constitution pastorale Gaudium et spes (GS) du Concile Vatican II offre une description claire de ce que l’on entend par le mot « culture »[1], en réaffirmant ainsi la réalité et l’importance du pluralisme culturel dans le passé, le présent et l’avenir de l’humanité.

La Bonne Nouvelle de Jésus Christ se présente comme une lumière pour toutes les cultures humaines. Jésus est né, a grandi et a vécu dans une certaine culture, et pourtant son Evangile transcende toute frontière culturelle. Lui et ses disciples comprirent, non sans difficultés[2], que la parole de Dieu s’adresse à tout être humain et à toute culture. L’Évangile peut s’incarner dans n’importe quelle culture humaine. Comme le levain pénètre dans la pâte, l’Évangile s’incarne dans les cultures et les ouvre à la possibilité de la rencontre avec Dieu, avec les autres et avec la nature. Toutes les cultures ont besoin de cette rencontre qui guérit pour grandir en humanité.

Les cultures sont fruit de l’exercice de la liberté humaine. Les êtres humains établissent librement des relations à travers lesquelles ils cherchent à donner un sens à l’existence, à leur quotidien personnel et social. Les rapports culturels naissent de l’exigence humaine, en premier lieu, de donner un sens à la vie en commun (idéaux, valeurs, attitudes, etc.); en second lieu, d’établir des modalités de production, distribution et consommation des biens matériels nécessaires à la vie (relations économiques); et, troisièmement, de prendre des décisions sur l’orientation et la gouvernance de la société civile (relations politiques)[3]. Les religions sont une partie importante des idées, des symboles et des significations qui, à travers la culture, sont attribués à la vie des groupes humains.[4]

Les relations humaines sont donc historiques, dynamiques et en constante évolution. Les cultures sont en mouvement ; elles n’existent pas en elles-mêmes, et ne composent donc pas une sorte de génétique sociale qui se transmet inchangée d’une génération à l’autre. La culture est à la fois personnelle et partagée. Chaque personne, unique et irremplaçable, assume une identité à travers la culture. En même temps, la culture confère aux individus une identité socialement partagée avec d’autres êtres humains, chacun à son tour unique et irremplaçable.

Dans le monde d’aujourd’hui, il existe des expériences et des espaces multiculturels qui se heurtent à la tendance à favoriser l’homogénéité culturelle : cette dernière est promue parce qu’elle soutient la dynamique du marché, qui est la structure dominante dans les rapports de production et de consommation. Le multiculturalisme reconnaît la diversité culturelle comme une richesse humaine, favorise la coexistence entre différentes cultures et favorise leur conservation. C’est une expérience complexe et fructueuse de rencontre entre êtres humains culturellement différents. En même temps, il reflète la tension inévitable entre les racines locales de chaque être humain ou groupe social et la vision universelle, qui génère l’identité globale et la citoyenneté universelle.

Rencontrer l’humanité à travers l’interculturalité

La mission que nous avons reçue, de travailler à la réconciliation de toutes choses dans le Christ[5], ne nous permet pas de nous contenter du multiculturalisme. Il nous met face au défi de l’interculturalité, qui conduit à un échange enrichissant entre tous les peuples et groupes sociaux qui se rencontrent et partagent leurs cultures. L’augmentation constante des flux migratoires dans le monde révèle l’existence de blessures profondes, mais offre également la possibilité d’échanges culturels à grande échelle. Nous pouvons percevoir dans cette réalité un signe important des temps, qui nous appelle à approfondir la dimension de la rencontre. Ce chemin nous amène à nous sentir membres de l’humanité entière, de vrais citoyens du monde.

L’inculturation est la première étape de ce parcours, et elle demande une rencontre avec sa propre culture qui produise une conscience critique. La deuxième étape est ce que nous avons appelé « multiculturalisme ». Il consiste à vivre une rencontre joyeuse avec les autres êtres humains et avec leurs cultures et à réussir à partager joyeusement avec eux une vie en paix.

L’interculturalité est une étape ultérieure, qui nécessite une rencontre plus profonde et complexe. Cela implique de se mettre en relation avec les autres êtres humains et leurs cultures, de partager avec eux la valeur de leur propre culture (examinée de manière critique) et de s’enrichir des contributions de la diversité culturelle. La rencontre interculturelle devient ainsi une voie vers la justice sociale, la fraternité et la paix ; ... cherche à construire des ponts et à promouvoir un échange fluide entre toutes les cultures dans un processus complexe qui implique la confirmation et l’enrichissement de sa propre identité, tandis qu’en même temps elle enrichie celle des autres. La rencontre comporte toujours le risque de provoquer des conflits.

L’interculturalité n’est pas seulement une « rencontre entre cultures » qui éloigne la nécessité d’acquérir une vision critique de sa propre culture, ni qui permet qu’on se contente du simple respect des diversités culturelles, comme si c’était possible de produire une sphère ou un espace métaculturel ou supra culturel[6]. La rencontre entre personnes de cultures différentes est encouragée comme moyen de valorisation réciproque. L’interculturalité enrichit ceux qui s’engagent dans le processus, et il est possible de la réaliser parce que toutes les cultures possèdent la dimension de la rencontre.

La rencontre interculturelle est un « échange réciproque entre cultures qui conduit à la transformation et à l’enrichissement de tous les sujets impliqués »[7]. ... A travers la rencontre interculturelle, les cultures se développent de manière plus dynamique, elles conçoivent des changements internes qui les conduisent à croître dans la dimension universelle de l’humanité.

Rencontre dans la fraction du pain

Dans Fratelli tutti, le pape François fait recours à la rencontre du samaritain avec le blessé abandonné sur la route pour montrer comment se crée la fraternité[8]. Le samaritain n’est pas bloqué dans une manière de vivre sa culture qui l’empêche d’aller à la rencontre de la personne qui a besoin de son aide. Au contraire, la dimension de la rencontre lui ouvre les yeux sur les nécessités humaines sans distinction. La dimension culturelle de la rencontre permet de prendre soin des personnes, des peuples et des cultures blessés ; elle permet de les embrasser et d’offrir tous les moyens pour guérir les blessures, construire des ponts et favoriser la fraternité.

Une autre scène de l’Évangile de Luc[9] peut nous aider à comprendre la rencontre en tant que dimension de nos cultures humaines à la recherche d’un monde juste et fraternel. Le récit est connu : ces deux disciples, après avoir vécu la crucifixion de Jésus comme un échec, se sentent déçus et veulent revenir à Emmaüs et à leur vie antérieure. Le Maitre en qui ils avaient placé toutes leurs espérances messianiques a été condamné à mort. Le scandale de la croix provoque en eux une de-rencontre. Tandis qu’ils sont en chemin et qu’ils ruminent sur leur déception, Jésus, le ressuscité qui est le crucifié, vient à leur rencontre. Il les implique dans une conversation qui les pousse à l’inviter à partager un repas pendant lequel ils le reconnaissent en rompant le pain. Avec une grande hâte, ils reviennent rencontrer les compagnons restés à Jérusalem.

Lorsque les « disciples d’Emmaüs » avaient suivi Jésus de Nazareth, ils étaient encore pris au piège dans les perspectives rigides de leur culture. N’ayant pas atteint une vision critique, ils ne pouvaient pas vraiment rencontrer le Maître, dont le message ne trouvait pas de place dans les catégories culturelles qui jusque-là avaient donné un sens à leur vie. Ces catégories interprétaient l’arrestation, la passion et la mort de Jésus comme un échec total par rapport à la mission de libérer Israël. Par conséquent, incapables de comprendre, ils retournaient à la vie qu’ils avaient toujours menée.

Jésus prend l’initiative. Au début, il marche aux côtés des disciples désillusionnés. Pendant un long moment, il les accompagne et écoute attentivement leur histoire. Il cherche à construire des ponts avec les deux disciples et à comprendre les catégories culturelles à travers lesquelles ils interprètent ce qui s’est passé. C’est la dynamique de l’inculturation dont j’ai parlé plus haut. Jésus crée les conditions qui enrichiront la vision et la sensibilité des disciples. En utilisant leur propre langage et leurs catégories culturelles, il propose une manière différente de comprendre ce qui s’est passé. Il le fait en partageant sa propre expérience des événements, en utilisant des catégories culturelles originales, qui jettent une lumière nouvelle sur l’expérience des deux disciples.

C’est alors que se produit ce que nous avons appelé la « rencontre interculturelle ». Sans se limiter au discours rationnel exposé en mots compréhensibles, Jésus a provoqué une rencontre personnelle. C’est pourquoi les disciples l’exhortent à rester avec eux : ils se sentent enrichis par cette expérience et veulent qu’il partage leur maison et leur table. Enfin, ils traversent le « pont » que Jésus a construit et s’ouvrent à la rencontre : « Ils le reconnaissent à la fraction du pain ». La rencontre interculturelle a produit une profonde communion chez ces êtres humains, dont la compréhension de la réalité était auparavant limitée par des catégories culturelles qui n’avaient pas encore incorporé la dimension de la rencontre.

La communion interculturelle rend la rencontre contagieuse. Les disciples ne peuvent pas rester tranquilles chez eux, seuls autour d’une table. Ils doivent sortir pour rencontrer les autres et partager la nouvelle lumière qu’ils ont reçue de la rencontre avec Jésus. La route vers Emmaüs est un parcours à double sens : va et vient, à travers le pont construit sur les fondations de la dimension de la rencontre interculturelle qui enrichit et transforme.

« Diriger nos pas sur le chemin de la paix » (Lc 1,79b)

Le désir de paix a été présent dans les cultures humaines au cours d’une longue histoire pleine de violences et de guerres. Or, au milieu d’une « troisième guerre mondiale en morceaux », comme le décrit le pape François, nous aspirons à une paix durable qui dépasse le silence des armes. La paix repose sur la justice sociale.

Tant qu’il n’y a pas de transformation de la structure socio-économique qui engendre la pauvreté et soutient les différences scandaleuses entre certains peuples et d’autres, entre quelques riches et les majorités pauvres, et tant que les justifications religieuses fondamentalistes et les idéologies fumeuses ne disparaissent pas, la violence ne cessera pas et ne diminuera pas le flux des migrations forcées et la traite des êtres humains. L’agression contre l’environnement naturel ne cessera pas non plus, bien qu’elle menace la vie sur la planète Terre.

La présence permanente du Seigneur dans l’histoire vise à guider les pas de l’humanité sur le chemin de la paix à travers des rencontres humaines qui accueillent avec joie la diversité, apprécient la liberté, encouragent le dialogue et construisent la fraternité.[10]

La paix demande de cheminer ensemble sur le chemin complexe de la réconciliation qui conduit de la tragique de-rencontre et des relations humaines brisées vers une authentique rencontre fraternelle. La paix exige que l’on chemine ensemble dans la même direction, pour créer les conditions du dialogue. Elle implique l’accompagnement de processus personnels et de groupe qui sont par nature complexes et asynchrones : ils avancent, pour ainsi dire, à des rythmes différents et ne peuvent être harmonisés que par la présence patiente, inconditionnelle de celui qui les accompagne.

La rencontre interculturelle est possible lorsqu’il y a collaboration entre de nombreuses personnes, non seulement de cultures différentes, mais aussi de caractéristiques et capacités différentes et complémentaires. La collaboration implique le partage de la responsabilité du processus et est donc une condition indispensable pour la rencontre interculturelle.

S’engager dans la rencontre interculturelle signifie augmenter et affiner la capacité de dialogue, dimension clé du processus. Le dialogue devrait être à la fois interculturel et intra culturel, comme nous avons essayé d’expliquer ci-dessus. Les résistances et les obstacles sont clairs pour tous. ... La rencontre interculturelle a lieu au milieu de conflits de toutes sortes. Il est impossible d’imaginer des processus politiques intra culturels ou interculturels sans conflit. Le chemin vers la justice et la paix, à travers la rencontre interculturelle, est un processus complexe de réconciliation entre les êtres humains, et son apogée est le pardon, sans lequel la paix manque de bases solides[11]. La réconciliation qui conduit à la justice sociale comprend la restauration d’une relation harmonieuse avec la nature et avec tout l’environnement dans lequel se développe la vie.

La paix véritable est la réconciliation de toutes choses dans le Christ[12], l’objectif final de la rencontre interculturelle.

Arturo Sosa, SJ

Cet article a été publié sur
L’Osservatore Romano,
Édition imprimée, 28 mai, p. 3, sous le titre :
Interculturalità, un modo per partecipare alla creazione divina.

Une version plus large, reprise ici, a été publiée sur
La Civiltà Cattolica, 2022, II 530-538 / 4128 (18 juin - 02 juillet 2022), sous le titre :
L’incontro come dimensione delle culture e via della pace.

 

[1] Au sens large, le mot « culture » désigne tout ce par quoi l’homme affine et développe les multiples capacités de son esprit et de son corps ; s’efforce de soumettre l’univers par la connaissance et le travail ; humanise la vie sociale, aussi bien la vie familiale que l’ensemble de la vie civile, grâce au progrès des mœurs et des institutions ; traduit, communique et conserve enfin dans ses œuvres, au cours des temps, les grandes expériences spirituelles et les aspirations majeures de l’homme, afin qu’elles servent au progrès d’un grand nombre et même de tout le genre humain. Il en résulte que la culture humaine comporte nécessairement un aspect historique et social et que le mot « culture » prend souvent un sens sociologique et même ethnologique. En ce sens, on parlera de la pluralité des cultures. Car des styles de vie divers et des échelles de valeurs différentes trouvent leur source dans la façon particulière que l’on a de se servir des choses, de travailler, de s’exprimer, de pratiquer sa religion, de se conduire, de légiférer, d’établir des institutions juridiques, d’enrichir les sciences et les arts et de cultiver le beau. Ainsi, à partir des usages hérités, se forme un patrimoine propre à chaque communauté humaine. De même, par là se constitue un milieu déterminé et historique dans lequel tout homme est inséré, quels que soient sa nation ou son siècle, et d’où il tire les valeurs qui lui permettront de promouvoir la civilisation.

[2] Cf. Actes 10,1-11, 18; 15,1-35.

[3] En affirmant le caractère relationnel de la culture et en reconnaissant l’égalité des cultures - il n’existe pas de cultures supérieures et de cultures inférieures -, nous n’entendons pas proposer un relativisme culturel qui ouvre la voie au relativisme moral. Nous ne soutenons pas le faux principe selon lequel tout est valable, qui conduit à une tolérance naïve.

[4] Pour une synthèse intéressante des éléments de la culture, cf. L. T. Stanislaus - M. Ueffing (edd.), Interculturalidad. En la vida y en la misión, Estella, Verbe Divin, 2017, 18-22.

[5] La Compagnie de Jésus, selon les paroles de la XXXII Congrégation générale (2016), est « en mission avec le Christ réconciliateur » (Décret 1, nn. 21-30).

[6] Cf. L. T. Stanislaus - M. Ueffing, Interculturalidad, cit. 586.

[7] Idem, 23

[8] Fratelli tutti (FT), cf. 2. Lc 10,25-37.

[9] Cf.  Lc 24,13-35.

[10] Pendant le long chemin vers la liberté à travers le désert, les Israélites placèrent au bord de leurs campements la « tente de la rencontre », dans laquelle Moïse parlait « face à face » avec le Seigneur, et tous ceux qui voulaient consulter le Seigneur s’y rendaient (cf. Ex 33, 7-11).

[11] Cf. FT 236-245.

[12] Cf. Col 1,20; 2 Co 5,18; Rm 5,10.


La cultura del encuentro: un imperativo para un mundo dividido

Interculturalidad: la dimensión universal de la humanidad

La injusticia estructural que caracteriza las relaciones sociopolíticas actuales es una herencia pesada que la época histórica que acaba de terminar está dejando a la nueva que comienza. En este cambio de época estamos viendo situaciones, como la pandemia del Covid-19, que al afectar a toda la humanidad revelan claramente el alcance y la profundidad de esta injusticia estructural. La brecha social, la pobreza, la migración forzada y otras calamidades siguen creciendo. Parece imposible detener la degradación ambiental causada por los modelos de producción y estilos de vida lujosos que han sido generados por el capitalismo de consumo globalizado. Los conflictos armados continúan y aumentan, incluso en lugares donde parece que se han encontrado alternativas para resolverlos. La política global ha demostrado ser inmadura, incapaz de gobernar el mundo en el interés común de la humanidad.

Cultura y culturas

Hacer del "encuentro" la dimensión esencial y permanente de las culturas en las que nos movemos está en el centro de las reflexiones que deseo compartir en esta ocasión. Recordamos cómo la injusticia estructural genera situaciones de discordia o "desencuentro". El desafío de la misión que hemos recibido es dar pasos efectivos hacia la hermandad y la paz. Aquella de desarrollar la dimensión del encuentro dentro de las culturas que dan sentido a nuestra vida se convierte, por tanto, en un requisito indispensable para el progreso. El encuentro es esa dimensión de las culturas que actúa como instrumento para ayudar a superar la injusticia, transformar la sociedad y lograr la reconciliación con los individuos, los pueblos y el entorno natural en el cual se desarrolla la existencia humana.

Prefiero hablar de "culturas", en plural, para destacar una de las mayores riquezas de la humanidad: la diversidad cultural. Propone una de las formas más maravillosas de participar en la creación que nace en Dios y en su Palabra. A través de sus culturas, los seres humanos son co-creadores. La diversidad cultural es para la humanidad lo que la biodiversidad es para la naturaleza; es, por tanto, un tesoro que debe ser reconocido, defendido, preservado y promovido.

A través de sus culturas, los individuos y los pueblos dan y encuentran sentido a sus vidas. La Constitución Pastoral Gaudium et Spes (GS) del Concilio Vaticano II ofrece una descripción clara de lo que se entiende por la palabra "cultura"[1], reafirmando así la realidad y la importancia del pluralismo cultural en el pasado, presente y futuro de la humanidad.

La Buena Nueva de Jesucristo se presenta como una luz para todas las culturas humanas. Jesús nació, creció y vivió en una cierta cultura, sin embargo, su Evangelio trasciende todas las fronteras culturales. Él y sus discípulos comprendieron, no sin dificultad[2], que la palabra de Dios está dirigida a todo ser humano y a toda cultura. El Evangelio puede encarnarse en cualquier cultura humana. A medida que la levadura penetra en la masa, el Evangelio se encarna en las culturas y las abre a la posibilidad de encontrarse con Dios, con los demás y con la naturaleza. Todas las culturas necesitan este encuentro sanador para crecer en la humanidad.

Las culturas son el fruto del ejercicio de la libertad humana. Los seres humanos establecen libremente relaciones a través de las cuales tratan de dar sentido a la existencia, a su vida cotidiana personal y social. Las relaciones culturales surgen de la necesidad humana, en primer lugar, de dar un sentido compartido a la vida en común (ideales, valores, actitudes, etc.); en segundo lugar, establecer modos de producción, distribución y consumo de bienes materiales necesarios para la vida (relaciones económicas); y, en tercer lugar, tomar decisiones sobre la orientación y la gobernanza de la sociedad civil (relaciones políticas)[3]. Las religiones son una parte importante de las ideas, símbolos y significados que a través de la cultura se atribuyen a la vida de los grupos humanos[4].

Por lo tanto, las relaciones humanas son históricas, dinámicas y en constante evolución. Las culturas están en movimiento; no existen en sí mismos y, por lo tanto, no constituyen un tipo de genética social que se transmita sin cambios de una generación a otra. La cultura es a la vez personal y compartida. Cada persona, única e irrepetible, asume una identidad a través de la cultura. Al mismo tiempo, la cultura da a los individuos una identidad socialmente compartida con otros seres humanos, cada uno a su vez es único e irrepetible.

En el mundo de hoy, existen experiencias y espacios multiculturales que chocan con la tendencia a favorecer la homogeneidad cultural: esta última se promueve porque sigue la dinámica del mercado, que es la estructura dominante en las relaciones de producción y consumo. El multiculturalismo reconoce la diversidad cultural como una riqueza humana, fomenta la convivencia entre diferentes culturas y promueve su preservación. Es una experiencia compleja y fructífera de encuentro entre seres humanos culturalmente diferentes. Al mismo tiempo, refleja la inevitable tensión entre las raíces locales de cada ser humano o grupo social y la visión universal, que genera identidad global y ciudadanía universal.

Encuentro con la humanidad a través de la interculturalidad

La misión que hemos recibido, de trabajar por la reconciliación de todas las cosas en Cristo[5], nos impide contentarnos con el multiculturalismo. Nos enfrenta al desafío de la interculturalidad, que conduce a un intercambio enriquecedor entre todos los pueblos y grupos sociales que se encuentran y comparten sus culturas. El aumento constante de los flujos migratorios en el mundo revela que hay lesiones profundas, pero también ofrece la oportunidad de un intercambio cultural a gran escala. Podemos ver en esta realidad un signo importante de los tiempos, que nos llama a profundizar en la dimensión del encuentro. Este camino nos lleva a sentirnos miembros de toda la humanidad, verdaderos ciudadanos del mundo.

La inculturación es la primera etapa de este viaje, y requiere un encuentro con la propia cultura que produzca conciencia crítica. La segunda etapa es lo que hemos llamado "multiculturalismo". Consiste en vivir un encuentro gozoso con otros seres humanos y con sus culturas y en poder compartir felizmente con ellos una vida en paz.

La interculturalidad es una etapa más, que requiere un encuentro más profundo y complejo. Implica relacionarse con otros seres humanos y sus culturas, compartir con ellos el valor de la propia cultura (examinada críticamente) y enriquecerse con las contribuciones de la diversidad cultural. El encuentro intercultural se convierte así en un motor hacia la justicia social, la fraternidad y la paz;  busca construir puentes y promover un intercambio fluido entre todas las culturas en un proceso complejo que implica la confirmación y el enriquecimiento de la propia identidad, al tiempo que se enriquece también la de los demás. En el encuentro siempre está implícito el riesgo de provocar conflictos.

La interculturalidad no es sólo un "encuentro entre culturas" que evita la necesidad de adquirir una visión crítica de la propia cultura, ni permite contentarse con el mero respeto a la diversidad cultural, como si de alguna manera fuera posible producir una esfera o espacio meta cultural o supra cultural[6]. Se fomenta el encuentro entre personas de diferentes culturas como medio de apreciación mutua. La interculturalidad enriquece a quienes están involucrados en el proceso, y es posible lograrlo porque todas las culturas poseen la dimensión del encuentro.

El encuentro intercultural es un "intercambio mutuo entre culturas que conduce a la transformación y enriquecimiento de todos los involucrados"[7].  A través del encuentro intercultural, las culturas se desarrollan de manera más dinámica, conciben cambios internos que las llevan a crecer en la dimensión universal de la humanidad.

Encuentro en la fracción del pan

En Fratelli tutti, el Papa Francisco recurre al encuentro del samaritano con el herido abandonado en el camino para mostrar cómo se crea la fraternidad[8]. El samaritano no está atrapado en una forma de vivir su cultura que le impida salir al encuentro de la persona que necesita su ayuda. Por el contrario, la dimensión del encuentro abre los ojos a las necesidades humanas sin distinción. La dimensión cultural del encuentro nos permite que si nos preocupamos de las personas, pueblos y culturas heridos; nos permite de abrazarlos y de ofrecer todos los medios para sanar las heridas, construir puentes y fomentar la fraternidad.

Otra escena del Evangelio de Lucas[9] puede ayudarnos a comprender el encuentro como dimensión de nuestras culturas humanas en busca de un mundo justo y fraterno. La historia es conocida: esos dos discípulos, después de experimentar la crucifixión de Jesús como un fracaso, se sienten decepcionados y quieren volver a Emaús y a su vida anterior. El Maestro en quien habían puesto todas sus esperanzas mesiánicas fue condenado a muerte. El escándalo de la cruz provoca en ellos un desencuentro. Mientras están en camino y rumiando su decepción, Jesús, el Resucitado que es el crucificado, viene a su encuentro. Los involucra en una conversación que los impulsa a invitarlo a compartir una comida durante la cual lo reconocen al partir el pan. Con gran prisa, regresan al encuentro de los compañeros que permanecieron en Jerusalén.

Cuando los llamados "discípulos de Emaús" siguieron a Jesús de Nazaret, todavía estaban atrapados en las rígidas perspectivas de su cultura. No habían alcanzado una visión crítica, no pudieron encontrarse realmente con el Maestro, cuyo mensaje no tenía cabida en las categorías culturales que hasta entonces habían dado sentido a sus vidas. Esas categorías interpretaban el arresto, la pasión y la muerte de Jesús como un fracaso total para liberar a Israel. Como resultado, incapaces de comprender, estaban regresando a la vida que siempre habían llevado.

Jesús toma la iniciativa. Al principio camina junto a los discípulos desilusionados. Durante un largo tramo los acompaña y escucha atentamente su historia. Está tratando de construir puentes con los dos discípulos y comprender las categorías culturales a través de las cuales interpretan lo que sucedió. Es la dinámica de la inculturación que mencioné anteriormente. Jesús crea las condiciones que enriquecerán la visión y la sensibilidad de los discípulos. Utilizando su propio lenguaje y sus categorías culturales, propone una forma diferente de entender lo que sucedió. Lo hace compartiendo su propia experiencia de los acontecimientos, utilizando categorías culturales originales, que arrojan nueva luz sobre la experiencia de los dos discípulos.

En este punto tiene lugar lo que hemos llamado "encuentro intercultural". Sin detenerse en el discurso racional expuesto en palabras comprensibles, Jesús provocó un encuentro personal. Por eso los discípulos lo exhortan a quedarse con ellos: se sienten enriquecidos por esta experiencia y quieren que comparta su hogar y su mesa. Finalmente, cruzan el "puente" que Jesús construyó y se abren al encuentro: "Lo reconocen en la fracción del pan". El encuentro intercultural produjo una profunda comunión en aquellos seres humanos, cuya comprensión de la realidad antes estaba limitada por categorías culturales que aún no habían incorporado la dimensión del encuentro.

La comunión intercultural hace contagioso el encuentro. Los discípulos no pueden permanecer tranquilos en su casa, solos alrededor de la mesa. Deben salir al encuentro de los demás y compartir la nueva luz que han recibido del encuentro con Jesús. El camino a Emaús es un camino de ida y vuelta: ida y vuelta, a través del puente construido sobre los cimientos de la dimensión del encuentro intercultural que enriquece y transforma.

"Dirigir nuestros pasos por el camino de la paz" (Lc 1, 79b)

El deseo de paz ha estado presente en las culturas humanas a lo largo de una larga historia llena de violencias y de guerras. Ahora, en medio de una "tercera guerra mundial en pedazos", como la describe el Papa Francisco, aspiramos a una paz duradera que vaya más allá del silencio de las armas. La paz se basa en la justicia social.

Mientras no haya una transformación de la estructura socioeconómica que genera pobreza y sostenga las escandalosas diferencias entre unos pueblos y otros, entre pocos ricos y muchos pobres, y hasta que no desaparezcan las justificaciones religiosas fundamentalistas y las ideologías humeantes, la violencia no terminará, ni disminuirá el flujo de migración forzada y trata de personas. La agresión contra el medio ambiente natural tampoco cesará, aunque amenaza la vida en el planeta Tierra.

La presencia permanente del Señor en la historia ha regresado a guiar los pasos de la humanidad en el camino de la paz a través de encuentros humanos que acogen con alegría la diversidad, aprecian la libertad, fomentan el diálogo y construyen la fraternidad[10].

La paz requiere caminar juntos por el complejo camino de la reconciliación que conduce desde el trágico desencuentro y las relaciones humanas rotas hacia un auténtico encuentro fraterno. La paz requiere que caminemos juntos en la misma dirección, para crear las condiciones para el diálogo. Implica el acompañamiento de procesos personales y grupales que son por naturaleza complejos y asíncronos: avanzando, a ritmos diferentes y pueden ser armonizados por la presencia paciente, incondicionada de quien acompaña.

El encuentro intercultural es posible cuando hay colaboración entre muchas personas, no solo de diferentes culturas, sino también de características y capacidades diferentes y complementarias. La colaboración implica compartir la responsabilidad del proceso y, por lo tanto, es una condición indispensable para el encuentro intercultural.

Participar en el encuentro intercultural significa aumentar y refinar la capacidad de diálogo, una dimensión clave del proceso. El diálogo debe ser intercultural y al mismo tiempo intra-cultural, como intentamos explicar anteriormente. Las resistencias y los obstáculos son claros para todos. El encuentro intercultural tiene lugar en medio de conflictos de todo tipo. Es imposible imaginar procesos políticos intra-culturales o interculturales sin conflicto. El camino hacia la justicia y la paz, a través del encuentro intercultural, es un proceso complejo de reconciliación entre los seres humanos, y su base está en el perdón, sin el cual la paz carece de una base sólida[11]. La reconciliación que conduce a la justicia social incluye la restauración de una relación armoniosa con la naturaleza y con todo el entorno en el que se desarrolla la vida.

La verdadera paz es la reconciliación de todas las cosas en Cristo[12], el objetivo último del encuentro intercultural.

Arturo Soza, SJ

 

Este artículo ha sido publicado en
el Osservatore Romano,
edición impresa, 28 mayo, p. 3, con el título:
“Interculturalità, un modo per partecipare alla creazione divina”.

Una versión más amplia, aquí tomada, ha sido publicada en
La Civiltà Cattolica, 2022, II 530-538 / 4128 (18 giu – 02 lug 2022), con el título:
“L’incontro come dimensione delle culture e via della pace”

 

[1] Con la palabra cultura se indica, en sentido general, todo aquello con lo que el hombre afina y desarrolla sus innumerables cualidades espirituales y corporales; procura someter el mismo orbe terrestre con su conocimiento y trabajo; hace más humana la vida social, tanto en la familia como en toda la sociedad civil, mediante el progreso de las costumbres e instituciones; finalmente, a través del tiempo expresa, comunica y conserva en sus obras grandes experiencias espirituales y aspiraciones para que sirvan de provecho a muchos, e incluso a todo el género humano.

De aquí se sigue que la cultura humana presenta necesariamente un aspecto histórico y social y que la palabra cultura asume con frecuencia un sentido sociológico y etnológico. En este sentido se habla de la pluralidad de culturas. Estilos de vida común diversos y escala de valor diferentes encuentran su origen en la distinta manera de servirse de las cosas, de trabajar, de expresarse, de practicar la religión, de comportarse, de establecer leyes e instituciones jurídicas, de desarrollar las ciencias, las artes y de cultivar la belleza. Así, las costumbres recibidas forman el patrimonio propio de cada comunidad humana. Así también es como se constituye un medio histórico determinado, en el cual se inserta el hombre de cada nación o tiempo y del que recibe los valores para promover la civilización humana.

[2] Cfr. Hech. 10,1-11,18; 15,1-35.

[3] Afirmando el carácter relacional de la cultura y reconociendo la igualdad entre las culturas -no existen culturas superiores o culturas inferiores-, no entendemos proponer un relativismo cultural que abra el camino a un relativismo moral. No asumimos el falso principio en el cual todo es válido, que trae consigo una ingenua tolerancia.

[4] Para una síntesis interesante de los elementos de la cultura, cfr. L. T. Stanislaus – M. Ueffing (edd.), Interculturalidad. En la vida y en la misión, Estella, Verbo Divino, 2017, 18-22.

[5] La compañía de Jesus, según el texto de su XXXVI Congregacion General (2016), es «en misión con Cristo Reconciliador» (Decreto 1, nn. 21-30).

[6] Cfr L. T. Stanislaus – M. Ueffing, Interculturalidad, cit., 586.

[7] Ibidem 23.

[8] Cfr Francesco, Fratelli tutti (FT), c. 2. Cfr Lc 10,25-37.

[9] Cfr Lc 24,13-35

[10] Durante el largo camino hacia la libertad a través del desierto, los israelíes colocaron a la orilla de su campamento la “tienda del encuentro”, en la cual Moisés hablaba “frente a frente” con el Señor, y quien quisiera consultar al Señor ahí se presentaba (Cfr. Es 33,7-11)

[11] Cfr FT 236-245.

[12] Cfr Col 1,20; 2 Cor 5,18; Rm 5,10.

Arturo Sosa SJ
07 Settembre 2022
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