Riflettendo sul come vivere il presente e il futuro della nostra missione[1], pensavo alle parole rivolte da Papa Francesco ai sacerdoti, religiosi e consacrati nella cattedrale di Rabat (Marocco) il 31 marzo 2019: “Tutti voi siete testimoni di una storia che è gloriosa perché è storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel lavoro faticoso, perché ogni lavoro è sudore della fronte. Ma permettetemi anche di dirvi: «Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro - frequentate il futuro - nel quale lo Spirito vi proietta» (cfr. VC 110) per continuare ad essere segno vivo di quella fraternità alla quale il Padre ci ha chiamato, senza volontarismi e rassegnazione, ma come credenti che sanno che il Signore sempre ci precede e apre spazi di speranza dove qualcosa o qualcuno sembrava perduto”.
L’icona biblica che può aiutare a frequentare il futuro è quella dell’incontro del profeta Geremia con il vasaio (Ger. 18:1-6). Geremia annuncia un tempo di rinnovamento interiore ma nel proprio ministero sperimenta, con dolore, l'incapacità del popolo ad essere fedele alla Legge, sentita come estranea e oppressiva (l’esperienza dell’idolatria, l’abbandono della Parola, l’ingiustizia e il disprezzo della classe dirigente verso il ministero profetico). Nella casa di un vasaio, Dio dà al profeta una lezione di vita e di fede: Geremia, il popolo d’Israele, ciascuno di noi è come l’argilla nelle mani del vasaio. Il Signore - come il vasaio nel suo negozio - non butta via l'argilla guastata, ma piuttosto la modella di nuovo. "O casa d'Israele, non posso io fare con voi come ha fatto questo vasaio? Ecco, come l'argilla è nelle mani del vasaio, così siete voi nelle mie mani, o casa d'Israele, dice l'Eterno” (18:5-6). Più che una minaccia, queste parole sono una promessa: il Signore continuerà a lavorare con Israele fino a quando non abbia raggiunto il Suo piano. C’è ancora una possibilità di cambiamento per Israele.
Attraverso l’opera ordinaria del vasaio, Geremia impara qualcosa di nuovo di Dio e della sua missione di profeta, qualcosa che fino a questo momento non aveva ancora capito. Egli vede la situazione del suo tempo e vede l'agire di Dio (le mani di Dio) dentro la storia del popolo. Che grande insegnamento anche per noi! La missione di Dio è lì dove mi trovo, cioè all’interno della realtà in cui vivo.
Frequentare il futuro è da intendere come testimonianza e collaborazione di un modo di pensare e fare, quello di Dio. Che cosa è chiamato a fare Geremia in un particolare momento di sofferenza, incertezza, scontro, smarrimento, scoraggiamento? Osservando un vasaio, Geremia fa esperienza del mistero dell’amore misericordioso di Dio! Non può solo ascoltare e osservare, ma deve collaborare con questa visione-esperienza di vita. Egli è argilla e allo stesso tempo collaboratore del cuore-mente-azione del vasaio.
Il profeta, in un momento di sconforto e di desolazione, è chiamato a scoprire che Israele è custodito nelle mani amorevoli di Dio, come il vasaio che mette sul tornio l’argilla e le dà una forma. Geremia deve anche accettare che quando il vaso non viene bene, allora, nella sua passione creatrice (misericordia) il vasaio riprende nuovamente la massa d’argilla e, con destrezza (tenerezza), la lavora di nuovo.
Noi stessi, ogni giorno scopriamo di portare “questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2 Cor 4,7). Sentiamo nella nostra vita che Dio ci ha ri-formato tante volte e che spesso ri-prende il suo lavoro su di noi con pazienza. Ad esempio: la vita comunitaria, fatta di sacrifici, di speranza, di gioia e di fraternità, conosce anche momenti di tensione, di sofferenza, di “dis-piacere”, di ferite, incomprensioni, resistenze, rigidità, senso di aridità e pesantezza. Tutto questo costituisce il “tornio” quotidiano che “forma” l’argilla. E ci accorgiamo che il Signore, davvero, ci sorprende perché – come il vasaio – sa tras-formare la nostra argilla con attenzione e tenerezza.
È un cammino che dura tutta la vita. Fa parte del mistero di Dio agire in modo umile e sommesso. Così sommesso che può far germinare in noi scetticismo e incredulità sull’efficacia della “mente” e del cuore del vasaio nel mondo. La nostra missione non risiede principalmente nel nostro sforzo, in un afferrare, ma nel lasciarci afferrare e plasmare dai “sentimenti” di Cristo. La “lavorazione” del vasaio ci ricorda ciò che siamo, soprattutto quando perdiamo il senso del nostro limite e vogliamo rovesciare le parti, pretendendo di dire a Dio come deve agire.
Riflettere sul “come” del vasaio, ci rende capaci di vedere non solo ciò che è guasto (l’esperienza di peccato), ma di scorgere l’opera di Dio, la sua liberalità e pazienza misericordiosa. Per questo, nella fase di dare la forma al vaso, il collaboratore del vasaio divino sa scorgere le possibilità per “il meglio” anche in mezzo all’insuccesso, alle screpolature e alle “ferite” del vaso non riuscito. Bonhoeffer diceva che attraverso ogni evento, anche il più ordinario, passa una strada che porta a Dio. Certi eventi nella nostra vita sono il riflesso dell’affetto del Signore, della sua consolazione e della sua opera amorevole.
Nell’ Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate, Papa Francesco ci invita a concepire la totalità della nostra vita come una missione...per frequentare il futuro! “Chiedi sempre allo Spirito che cosa Gesù si attende da te in ogni momento della tua esistenza e in ogni scelta che devi fare, per discernere il posto che ciò occupa nella tua missione. E permettigli di plasmare in te quel mistero personale che possa riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi. Voglia il cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita” (GE 23-24).
Luigino Marchioron, sx
Settembre 2020 –
[1] Sintesi dell’intervento fatto da P. Marchioron Luigino a San Pietro in Vincoli (RA), come introduzione all’incontro dei Rettori e degli economi della regione italiana. Il titolo della conferenza era: Frequentare il futuro: l’incontro del profeta Geremia con il vasaio e la scoperta di nuove dimensioni della sua chiamata-missione.
Fréquenter l’avenir
En réfléchissant sur la manière de vivre le présent et l’avenir de notre mission[1], je pensais aux paroles adressées par le pape François aux prêtres, religieux et consacrés dans la cathédrale de Rabat (Maroc) le 31 mars 2019 :
« Vous tous, vous êtes témoins d’une histoire glorieuse car elle est histoire de sacrifices, d’espérance, de lutte quotidienne, de vie donnée dans le service, de constance dans le travail fatiguant, parce que chaque travail est de la sueur sur le front. Mais, permettez-moi de vous le dire : « Vous n’avez pas seulement à vous rappeler et à raconter une histoire glorieuse, mais vous avez à construire une grande histoire ! Regardez vers l’avenir – fréquentez l’avenir – où l’Esprit vous envoie » (cf. VC 110) pour continuer à être signe vivant de la fraternité à laquelle le Père vous a appelés, sans volontarismes ni résignation, mais comme croyants qui savent que le Seigneur nous précède toujours et nous ouvre des espaces d’espérance où quelque chose ou quelqu’un semblait perdu ».
L’icône biblique qui peut aider à fréquenter l’avenir est celle de la rencontre du prophète Jérémie avec le potier (cf. Jr 18,1-6). Jérémie annonce un temps de renouvellement intérieur mais dans son ministère, il expérimente, avec souffrance, l’incapacité du peuple à être fidèle à la Loi, perçue come étrangère et oppressive (l’expérience de l’idolâtrie, l’abandon de la Parole, l’injustice et le mépris de la classe dirigeante vis-à-vis du ministère prophétique). Dans la maison d’un potier, Dieu donne au prophète une leçon de vie et de foi : Jérémie, le peuple d’Israël, chacun de nous est comme l’argile dans les mains du potier. Le Seigneur, comme le potier dans son atelier, ne jette pas l’argile qui reste, car, plutôt, il la modèle à nouveau. « Alors la parole du Seigneur me fut adressée : Maison d’Israël, est-ce que je ne pourrais pas vous traiter comme fait ce potier ? – oracle du Seigneur. Oui, comme l’argile est dans la main du potier, ainsi êtes-vous dans ma main, maison d’Israël ! » (Jr 18,5-6). Plus qu’une menace, ces paroles sont une promesse : le Seigneur continuera à travailler avec Israël jusqu’à quand il n’ait atteint son plan. Il y a encore une chance pour qu’Israël se convertisse.
À travers l’œuvre ordinaire du potier, Jérémie apprend quelque chose de nouveau sur Dieu et sur sa mission de prophète, quelque chose qu’il n’avait pas, jusqu’alors, compris. Il voit la situation de son temps et il voit l’action de Dieu (les mains de Dieu) dans l’histoire du peuple. Quel grand enseignement même pour nous ! La mission de Dieu est où je me trouve, c’est-à-dire au sein de la réalité où je vis.
Fréquenter l’avenir est une réalité à entendre comme témoignage et collaboration d’une nouvelle manière de penser et de faire, celle de Dieu. Qu’est-ce que Jérémie est appelé à faire dans sa situation particulière de souffrance, incertitude, adversité, égarement, découragement ? En observant le potier, Jérémie fait l’expérience du mystère de l’amour miséricordieux de Dieu ! Il ne peut pas se limiter à écouter et à observer, mais il doit collaborer avec cette vision-expérience de vie. Il est l’argile et en même temps le collaborateur du cœur-esprit-action du potier.
Le prophète, dans un moment de découragement et de désolation, est appelé à découvrir qu’Israël est gardé entre les mains bienveillantes de Dieu, comme le potier qui met sur la tour l’argile et elle lui donne une forme. Jérémie doit aussi accepter que quand le pot ne sort pas bien, alors, dans sa passion créatrice (miséricorde), il reprend à nouveau la masse d’argile et, avec compétence (tendresse), il la travaille à nouveau.
Nous-mêmes, chaque jour, nous découvrons de porter « ce trésor en des pots d’argile, afin qu’apparaisse que cette extraordinaire puissance appartienne à Dieu et non pas à nous » (2Co 4,7). Nous reconnaissons dans notre vie que Dieu nous a re-formés maintes fois et que souvent il re-prend son travail sur nous avec patience. Par exemple : la vie communautaire, faite de sacrifices, d’espérance, de joie et de fraternité, connaît aussi des moments de tension, de souffrance, de « dé-plaisir », de blessures, incompréhensions, résistances, rigidité, sens d’aridité et de lourdeur. Tout cela constitue la « tour » quotidienne qui forme l’argile. Et nous nous apercevons que le Seigneur nous surprend véritablement parce que, comme le potier, il sait transformer notre argile avec attention et tendresse.
C’est un parcours qui dure toute la vie. Agir de cette manière humble et discrète fait partie du mystère de Dieu. Il est si effacé qu’il peut faire germer en nous du scepticisme et de l’incrédulité sur l’efficacité de l’esprit et du cœur du Potier dans le monde. Notre mission ne consiste pas d’abord sur notre effort, dans un saisissement, mais dans le geste de se laisser saisir et forger par les sentiments du Christ. Le travail du potier nous rappelle ce que nous sommes, surtout quand nous perdons le sens de notre limite et nous voulons renverser les rôles, en prétendant de dire à Dieu comment il doit agir.
Réfléchir sur les « manières » du potier, nous rend capables de voir non seulement ce qui est périmé (l’expérience du péché), mais de percevoir l’œuvre de Dieu, sa liberté d’esprit et sa patience miséricordieuse. Pour cela, dans la phase de donner la forme au potier, le collaborateur du potier divin sait percevoir les possibilités pour « le meilleur », même au milieu des échecs, des fentes et des blessures du pot raté. Bonhoeffer disait qu’à travers chaque événement, même le plus ordinaire, passe une route qui porte à Dieu. Certains événements dans notre vie sont le réflexe de l’affection du Seigneur, de sa consolation et de son œuvre d’amour.
Dans l’Exhortation apostolique Gaudete et Exsultate, Pape François nous invite à concevoir la totalité de notre vie comme une mission… pour fréquenter l’avenir ! « Demande toujours à l’Esprit ce que Jésus attend de toi à chaque moment de ton existence et dans chaque choix que tu dois faire, pour discerner la place que cela occupe dans ta propre mission. Et permets-lui de forger en toi ce mystère personnel qui reflète Jésus-Christ dans le monde d’aujourd’hui. Puisses-tu reconnaître quelle est cette parole, ce message de Jésus que Dieu veut délivrer au monde par ta vie ! » (GE 23-24).
Luigino Marchioron SX
Septembre 2020
[1] Synthèse de l’allocution du père Luigino Marchioron au début de la rencontre des Recteurs et des économes de la Région italienne à San Pietro in Vincoli (Ravenne). Le titre de la conférence était : fréquenter l’avenir : la rencontre du prophète Jérémie avec le potier et la découverte de nouvelles dimensions de son appel-mission.
Frecuentar el futuro
Reflexionando sobre cómo vivir el presente y el futuro de nuestra misión[1], pensé en las palabras dirigidas por el Papa Francisco a los sacerdotes, religiosos y consagrados en la catedral de Rabat (Marruecos) el 31 de marzo de 2019: “Todos ustedes son testigos de una historia que es gloriosa porque es historia de sacrificios, esperanzas, lucha cotidiana, vida gastada en el servicio, constancia en el trabajo fatigoso, porque toda labor es sudor de la frente. Pero permítanme también decirles: «¡Ustedes no solamente tienen una historia gloriosa para recordar y contar, sino una gran historia que construir! Pongan los ojos en el futuro —frecuenten el futuro—, hacia el que el Espíritu los impulsa» (VC 110), para seguir siendo signo vivo de esa fraternidad a la que el Padre nos ha llamado, sin voluntarismos y sin resignación, sino como creyentes que saben que el Señor siempre nos precede y abre espacios de esperanza donde parecía que algo o alguien se había perdido”.
El icono bíblico que puede ayudar a frecuentar el futuro es el del encuentro del profeta Jeremías con el alfarero (Jer 18:1-6). Jeremías anuncia un tiempo de renovación interior, pero en el propio ministerio experimenta, con dolor, la incapacidad del pueblo de ser fiel a la Ley, sentida como extraña y opresiva (la experiencia de la idolatría, el abandono de la Palabra, la injusticia y el desprecio de la clase dirigente hacia el ministerio profético). En la casa de un alfarero, Dios obsequia al profeta una lección de vida y de fe: Jeremías, el pueblo de Israel, cada uno de nosotros, es como la arcilla en las manos del alfarero. El Señor - como el alfarero en su taller - no tira la arcilla estropeada, sino que más bien la modela de nuevo. «¿No puedo hacer yo con ustedes, casa de Israel, lo mismo que este alfarero? - oráculo de Yahveh -. Mira casa de Israel, como el barro en la mano del alfarero, así son ustedes en mi mano» (18:5-6). Más que una amenaza, estas palabras son una promesa: el Señor seguirá trabajando con Israel hasta cuando no haya alcanzado Su plan. Aún hay una posibilidad de cambio para Israel.
A través de la obra ordinaria del alfarero, Jeremías aprende algo nuevo sobre Dios y sobre su misión de profeta, algo que no había entendido hasta ese momento. Él ve la situación de su tiempo y ve el actuar de Dios (las manos de Dios) dentro de la historia del pueblo. ¡Qué gran enseñanza también para nosotros! La misión de Dios está allí dónde me encuentro, es decir, dentro de la realidad en que vivo.
Frecuentar el futuro, hay que entenderlo como testimonio y colaboración de un modo de pensar y hacer: el de Dios. ¿Qué está llamado a hacer Jeremías en un particular momento de sufrimiento, incertidumbre, desencuentro, extravío, desaliento? ¡Observando un alfarero, Jeremías hace experiencia del misterio del amor misericordioso de Dios! No puede solamente escuchar y observar, sino que tiene que colaborar con esta visión-experiencia de vida. Él es arcilla y al mismo tiempo colaborador del corazón-mente-acción del alfarero.
El profeta, en un momento de desaliento y desolación, es llamado a descubrir que Israel es custodiado por las manos amorosas de Dios como el alfarero que pone sobre el torno la arcilla y le da una forma. Jeremías ha de aceptar también que cuando la obra no sale bien, entonces, en su pasión creadora (misericordia) el alfarero retoma de nuevo la masa de arcilla y, con destreza (ternura), la trabaja de nuevo.
Nosotros mismos, cada día descubrimos que llevamos «este tesoro en recipientes de barro para que aparezca que una fuerza tan extraordinaria es de Dios y no de nosotros» (2Cor 4,7). Experimentamos en nuestra vida que Dios nos ha re-formado tantas veces y que a menudo re-toma su trabajo sobre nosotros con paciencia. Por ejemplo: la vida comunitaria, hecha de sacrificios, de esperanza, de alegría y de fraternidad, conoce también momentos de tensión, de sufrimiento, de “dis-gustos”, de heridas, incomprensiones, resistencias, rigidez, sentido de aridez y pesadez. Todo esto constituye el “torno” cotidiano que “forma” la arcilla. Y nos percatamos que el Señor, verdaderamente, nos sorprende, porque - como el alfarero - sabe transformar nuestra arcilla con esmero y ternura.
Es un camino que dura toda la vida. Es parte del misterio de Dios actuar de modo humilde y callado. Tan silencioso que puede hacer que brote en nosotros escepticismo e incredulidad sobre la eficacia de la “mente” y el corazón del alfarero en el mundo. Nuestra misión no reside principalmente en nuestro esfuerzo, en un aferrarnos, sino en dejarnos atrapar y plasmar por los “sentimientos” de Cristo. La “obra” del alfarero nos recuerda lo que somos, sobre todo cuando perdemos el sentido de nuestro límite y queremos trastocar las partes, pretendiendo decirle a Dios como debe actuar.
Reflexionar sobre el “cómo” del alfarero, nos hace capaces de ver no sólo lo que se ha estropeado (la experiencia de pecado) sino también vislumbrar la obra de Dios, su liberalidad y paciencia misericordiosa. Por ello, en la fase de dar forma al recipiente, el colaborador del alfarero divino sabe entrever las posibilidades en vistas de “lo mejor” incluso en medio del fracaso, las grietas y las “heridas” de la vasija malograda. Bonhoeffer decía que a través de cada acontecimiento, incluso el más ordinario, pasa un sendero que lleva a Dios. Ciertos acontecimientos en nuestra vida son el reflejo del afecto del Señor, de su consolación y de su amorosa obra.
En la Exhortación Apostólica Gaudete et Exsultate, el Papa Francisco nos invita a concebir la totalidad de nuestra vida como una misión... para frecuentar el futuro. “Pregúntale siempre al Espíritu qué espera Jesús de ti en cada momento de tu existencia y en cada opción que debas tomar, para discernir el lugar que eso ocupa en tu propia misión. Y permítele que forje en ti ese misterio personal que refleje a Jesucristo en el mundo de hoy. Ojalá puedas reconocer cuál es esa palabra, ese mensaje de Jesús que Dios quiere decir al mundo con tu vida (GE 23-24).
Luigino Marchioron sx
Septiembre de 2020
[1] Resumen de la intervención presentada por el P. Luigino Marchioron en San Pietro in Vincoli (RA), como introducción al encuentro de los Rectores y Ecónomos de la Región italiana. El título de la conferencia fue: Frecuentar el futuro: el encuentro del profeta Jeremías con el alfarero y el descubrimiento de nuevas dimensiones de su llamada-misión.
Envisage the Future
Reflecting on how to live the present and the future of our mission[1], I thought of the words addressed by Pope Francis to the priests, religious and consecrated in the Cathedral of Rabat (Morocco) on March 31, 2019: "All of you are witnesses of a glorious history. It is a history of sacrifices, hopes, daily struggles, lives spent in service, perseverance, and hard work, for all work, is hard, done "by the sweat of our brow." But let me also tell you that "you have a glorious history to remember and recount, but also a great history to be accomplished! Look to the future – envisage the future – where the Holy Spirit is sending you." (cf. VC 110) In this way, you will continue to be living signs of that fraternity to which the Father has called us, without intransigence or passivity, but as believers who know that the Lord always goes before us and opens spaces of hope wherever something or someone appeared hopeless."
The biblical icon that can help us envisage the future is that of the encounter of the prophet Jeremiah with the potter. (Jer. 18: 1-6) Jeremiah proclaims a time of inner renewal, but in his ministry, he experiences with pain, the inability of the people to be faithful to the Law, which is felt as alien and oppressive (the experience of idolatry, abandonment of the Word, injustice, and the contempt of the ruling class towards the prophetic ministry.) In a potter's house, God gives the prophet a lesson in life and faith: Jeremiah, the people of Israel, each one of us, is like clay in the hands of the potter. The Lord - like the potter in his workshop - does not throw away the spoiled clay, but instead, He molds it again. "Can I not do to you, house of Israel, as this potter has done?-- oracle of the LORD. Indeed, like clay in the hand of the potter, so are you in my hand, house of Israel." (18: 5-6) More than a warning, these words are a pledge: The Lord will continue to work with Israel until He achieves His plan. There is still a chance for change for Israel.
Through the everyday work of the potter, Jeremiah learns something new about God and his mission as a prophet, something he had not yet understood until now. He sees the situation of his time and recognizes the action of God (the hands of God) within the history of the people. What a great lesson for us too! God's mission is where I am, that is, within the reality in which I live.
Envisaging the future is to be recognized as a testimony and collaboration with the way of thinking and doing of God. What is Jeremiah called to do in a particular moment of suffering, uncertainty, conflict, loss, or discouragement? Observing a potter, Jeremiah experiences the mystery of God's merciful love! He cannot only listen and watch, but must collaborate with this vision-experience of life. He is clay, and at the same time, he is collaborator of the heart-mind-action of the potter.
The prophet, in a moment of despair and desolation, is called to discover that Israel is held in the loving hands of God. He is like the potter who puts the clay on the wheel and molds it. Jeremiah must also accept that when the vase does not come out well, then, in his creative passion (mercy), the potter takes up the mass of the clay and, with competence (tenderness), works it again.
We ourselves, every day, discover that we carry "this treasure in earthen vessels, that the surpassing power may be of God and not from us." (2 Cor 4:7) We feel in our life that God has re-formed us many times and that he often, with patience, re-sumes his work on us. For example, community life, made up of sacrifices, hope, joy, and fraternity, also experiences moments of tension, suffering, "dis-pleasure," wounds, misunderstandings, resistance, rigidity, a sense of dryness and heaviness. All this constitutes the daily "lathe" that "molds" the clay. And we realize that the Lord really surprises us because - like the potter - He knows how to transform our clay with care and tenderness.
It is a journey that lasts a lifetime. It is part of the mystery of God, to act humbly and subdued. It is so subdued that it can cause skepticism and disbelief to sprout in us about the effectiveness of the potter's "mind" and heart in the world. Our mission does not reside principally in our effort in grabbing, but in letting ourselves be grasped and shaped by the "sentiments" of Christ. The "working" of the potter reminds us of who we are, especially when we lose the sense of our limit and want to reverse the parts, pretending to tell God how He must act.
Reflecting on the "how" of the potter enables us to see not only what is broken (the experience of sin), but to perceive the work of God, His openness and merciful patience. For this reason, in the moment of giving shape to the vase, the co-worker of the divine potter knows how to see the possibilities for "the best" even amid the failure, the cracks, and the "wounds" of the failed vase. Bonhoeffer said that through every event, even the most ordinary, there is a road that leads to God. Certain events in our life are a reflection of the Lord's affection, of his consolation, and of his loving work.
In the Apostolic Exhortation, Gaudete et Exsultate, Pope Francis invites us to conceive the totality of our life as a mission ... to envisage the future! "Always ask the Spirit what Jesus expects from you at every moment of your life, and in every decision you must make, so as to discern its place in the mission you have received. Allow the Spirit to forge in you the personal mystery that can reflect Jesus Christ in today's world. May you come to realize what that word is, the message of Jesus, that God wants to speak to the world by your life.” (GE 23-24)
Luigino Marchioron sx
September 2020 -
[1] Summary of the talk given by Fr. Marchioron Luigino in San Pietro in Vincoli (RA), as an introduction to the meeting of the Rectors and treasurers of the Italian region. The title of the conference was: Attending the future: the encounter of the prophet Jeremiah with the potter and the discovery of new dimensions of his call-mission