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Lettera del P. Generale ai Confratelli per il 5 Novembre

1926/500

Carissimi, come famiglia saveriana il 5 novembre celebriamo la memoria del nostro padre e fondatore, san Guido Maria Conforti.

È una occasione speciale per ringraziare Dio per il dono del Conforti, dono alla Chiesa e a noi in maniera particolare. Grazie perché, rendendosi disponibile all’azione dello Spirito, la Chiesa si è arricchita di una famiglia consacrata alla missione ad gentes del nostro Signore Gesù.

Come ringraziarne Dio? Il modo migliore per farlo è senz’altro accogliendo nella nostra vita il Testamento che san Guido M. Conforti ci ha lasciato, plasmato particolarmente nei suoi insegnamenti. Lo facciamo come dei figli che, ascoltando il padre con un cuore generoso e pieno di fiducia, si lasciano guidare da lui.

E dovendo pur prendere da voi commiato, permettete che, riepilogando il già detto, io esprima un voto; il voto che la caratteristica che dovrà distinguere i membri presenti e futuri della pia nostra Società sia sempre la risultante di questi coefficienti: spirito di viva fede che ci faccia veder Dio, cercar Dio, amar Dio in tutto acuendo in noi il desiderio di propagare ovunque il suo Regno; spirito di obbedienza pronta, generosa, costante in tutto e ad ogni costo per riportare le vittorie da Dio promesse all’uomo obbediente; spirito di amore intenso per la nostra Religiosa Famiglia , che dobbiamo considerare qual madre e carità a tutta prova pei membri che la compongono. E questo voto che voi dovete considerare come il testamento del padre , io lo affido al Cuore adorabile di Gesù pregandolo a renderlo efficace colla sua grazia (LT 10).

a. Spirito di viva fede che ci faccia veder Dio, cercar Dio, amar Dio in tutto acuendo in noi il desiderio di propagare ovunque il suo Regno.

La fede è un dono di Dio, non una conquista personale. Non la si può forzare. Perciò è importante fare memoria del primo incontro con il Signore risorto.

Sì, quell’incontro — Ho visto il Signore (Gv 20,18) — che ha generato la nostra disponibilità totale a Dio e al suo progetto di amore per l’umanità. Fare memoria, non per rimanere nel passato vivendo dei ricordi, ma per continuare a crescere nella conoscenza e nell’amore di Dio.

Veder Dio, cercar Dio, amar Dio in tutto è il frutto dell’amore quotidiano a Dio, verificato nella perseveranza. Mi viene in mente l’immagine del fuoco per illuminare questa verità. Il fuoco perché possa scaldare e illuminare ha bisogno di essere alimentato continuamente. Se non lo si alimenta, perde forza, diminuisce la sua illuminazione, non scalda come prima… E può finire per spegnersi o in cenere.

Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne (EG 262).

Veder Dio, cercar Dio, amar Dio in tutto. Il vero amore di Dio porta a riconoscerlo e amarlo negli altri, specialmente nei più piccoli e vulnerabili. Amare Dio ti porta ad amare il suo progetto di amore per l’umanità. E amare il progetto di Dio implica impegno personale e comunitario, collaborazione attiva, testimonianza concreta dei valori del Regno di Dio, fino all’ultimo sospiro della nostra vita. Si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione (EG 262).

b. Spirito di obbedienza pronta, generosa, costante in tutto e ad ogni costo per riportare le vittorie da Dio promesse all’uomo obbediente.

Obbedisce chi ama Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze (Mc 12,30). Obbedisce chi smette di pensare a sé stesso, prende la sua croce e segue Gesù… chi è pronto a sacrificare la propria vita per Gesù e per il Vangelo (Mc 8,34–35).

Obbedienza pronta, generosa, costante in tutto e ad ogni costo. Obbedienza come l’ha vissuta Gesù, disponibilità incondizionata a la volontà del Padre, al Regno. Non sono venuto dal cielo per fare quello che voglio io: devo fare la volontà del Padre che mi ha mandato (Gv 6,38). Aggiungo anche l’importanza della chiarezza mentale nella vita del consacrato a Dio, che è guidata evidentemente dalla verità spirituale: Io non posso far nulla da me. Giudico come Dio mi suggerisce, e il mio giudizio è giusto perché non cerco di fare come voglio io, ma come vuole il Padre che mi ha mandato (Gv 5,30).

La disponibilità va accompagnata dalla generosità. Essere consapevoli che la vita è un dono, che non ci appartiene, che ciò che siamo è per pura grazia di Dio, che ciò che facciamo è per l’azione dello Spirito. È l’esperienza personale di san Paolo: Tuttavia, per grazia di Dio, io sono quello che sono. E la sua grazia non è stata inefficace: ho lavorato più di tutti gli altri apostoli; non io, a dir la verità, ma la grazia di dio che agisce in me (1 Cor 15,10).

Ci sono dei pericoli nel cammino di una vita che fa voto di obbedienza a Dio. Il principale è l’autoreferenzialità, che è precisamente ciò che va contro la prima condizione che Gesù pone alle persone che vogliono seguirlo (Lc 9,23–24). A questo si aggiunge la comodità (EG 20), un certo imborghesimento, quando si adotta acriticamente la mentalità mondana (Rom 12,2) …

Tutti questi pericoli sono espressioni di una vita centrata in sé stessi, nei propri interessi, visioni, gusti, preferenze particolari… e non in Dio. Una vita tutto sommato grigia (Ap 2,4–5; 3,16), una vita non solo insignificante per il regno di Dio, ma anche distruttiva del suo piano di salvezza per l’umanità.

c. Spirito di amore intenso per la nostra Religiosa Famiglia, che dobbiamo considerare qual madre e carità a tutta prova pei membri che la compongono.

È bella l’immagine che il Conforti ci dà per parlare della relazione con la nostra ‘Religiosa Famiglia’. Dice che dobbiamo considerarla «qual madre». La Famiglia saveriana è la nostra madre nella vita religioso-missionaria, è lei che ci ha accolti e ci ha dato un nome: Saveriani. Una madre è una madre, niente di più né niente di meno. Una madre va amata innanzitutto per quello che è per ciascuno dei suoi figli. Un buon figlio sacrificherà anche sé stesso per sua madre. Non c’è nessun obbligo, c’è l’amore. È questo il senso di appartenenza. La famiglia saveriana va amata per quello che è per ciascuno di noi. Uno dei frutti del senso di appartenenza è la corresponsabilità.

Come in ogni famiglia, anche nella nostra c’è tutta una vita da gestire perché essa possa raggiungere la finalità per la quale è nata. L’amore che hai per lei ti porta ad accogliere positivamente il servizio che ti si chiede, la responsabilità che ti si affida, piccola o grande, non importa. E facendo le cose bene, generosamente.

Riguardo a questo, vorrei qui ricordare una delle più belle frasi, a mio parere, di Martin Luther King. Diceva: Un uomo chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva, o Leontyne Price cantava al Metropolitan Opera, o Shakespeare scriveva poesie. Egli dovrebbe spazzare le strade così bene al punto che tutti gli ospiti del cielo o della terra si fermerebbero per dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro.

Vorrei anche ringraziare tutti i confratelli che, in questo primo anno di servizio nella DG, ho visto durante le visite: il loro impegno missionario, e il grande amore per la nostra famiglia. E questi sono tanti, veramente tanti! Dietro questa maniera di vivere nel servizio e nella dedizione più totale, spesso silenziosa e senza far rumore, c’è nascosta una vita interiore molto feconda, dove noi amiamo, perché Dio per primo ci ha mostrato il suo amore (1 Gv 4, 19). Grazie! La vostra testimonianza quotidiana, che «ci chiama a uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante» (Gaudete et exsultate, 138), è espressione della santità evangelica.

Accompagnare. Amare la nostra ‘religiosa famiglia’ significa anche accompagnarla attivamente nel cammino che sta percorrendo per poter rispondere sempre meglio a ciò che lo Spirito del Signore vuole dirci e indicarci in questo momento della nostra storia (Gv 14,16–17; 15,26–27). Il XVI Capitolo Generale ci fece un invito urgente a Ripartire dal Primo Annuncio. Ciò comportava iniziare un cammino di riposizionamento delle nostre presenze e strutture per rispondere sempre meglio oggi al carisma che abbiamo ricevuto. Quattro anni dopo, il XVII Capitolo Generale ha ripreso questo invito, costatando che tale processo di rinnovamento, ristrutturazione e riposizionamento non è stato ancora colto nella sua urgenza. E ci invita ad un coraggioso cambio di marcia (Documenti XVII CG 12).

Le parole di papa Francesco accompagnano e guidano i nostri passi.

Sogno una scelta missionaria, dice papa Francesco, capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie , che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale (EG 27).

E fa un invito pressante. La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità (EG 33)

Amare, quindi, accompagnando attivamente la nostra famiglia nel cammino che sta percorrendo e che deve ancora percorrere perché essa sia significativa nella vita della Chiesa, secondo il carisma ricevuto.

Professione Perpetua.

Ringraziamo il Signore per i giovani confratelli che faranno in questi giorni la professione perpetua nella nostra famiglia. Essi sono: Domingus Bere Dina Arianto, Evrard Djounang Tiomou, Meldeus Niyoyitungira, Jacques Nkem Epanda e François Saleh Moll in Messico D.F.; Joseph Ghomsi Deffo, Serge Kabalama Cibangala e Innocent Munandi Bahige a Parma. Hanno già fatto la professione: Jean Zihalirwa, Hermann Kentsa, Benyamin Sam e Yohanes Taninas a Yaoundé; e Maurice Fokam a Manila. Grazie per il dono della vostra vita al Signore nella nostra famiglia.

Vi accompagniamo con la nostra stima, fraternità e preghiera. La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata: è una grazia che abbiamo bisogno di chiedere. Gli Apostoli mai dimenticarono il momento in cui Gesù toccò loro il cuore: «Erano circa le quattro del pomeriggio (Gv 1,39) (EG 13).

A voi tutti auguro una buona festa di san Guido M. Conforti. Che la sua preghiera di intercessione ci accompagni ogni giorno!

Fraternamente,

Fernando García Rodríguez, sx


Lettre aux confrères à l’occasion du 5 novembre

p. Fernando García Rodríguez sx, Supérieur Général

Bienaimés,

En tant que Famille xavérienne, nous célébrons le 5 novembre la solennité de notre Père et Fondateur, Saint Guido Maria Conforti.

C’est une occasion spéciale pour remercier Dieu pour le don de Conforti, don à l’Eglise en général et à nous en particulier. Nous remercions Dieu car Conforti s’est rendu disponible à l’action de l’Esprit de sorte que l’Eglise s’est enrichie d’une Famille consacrée à la mission du Christ ad gentes.

Comment pouvons-nous en remercier Dieu ? La meilleure façon pour exprimer notre gratitude est sans doute l’accueil, dans notre vie, du Testament que Saint Guido Maria Conforti nous a laissé, et qui caractérise ses enseignements. Nous le faisons comme des fils qui, en écoutant leur père, d’un cœur généreux et plein de confiance, se laissent guider par lui.

Et, étant donné qu’il me faut, contre mon gré, prendre congé de vous, permettez-moi qu’en résumant tout ce que je viens de vous dire, j’exprime un vœu. Le vœu que le trait caractéristique qui devra distinguer les membres présents et à venir de notre Société, soit toujours la résultante des coefficients suivants : un esprit de foi vive qui nous entraîne à voir Dieu, à chercher Dieu, à aimer Dieu en toute chose, ravivant sans cesse en nous le désir de diffuser partout son Règne ; un esprit d’obéissance empressée, généreuse, sans faille en toute circonstance et à tout prix pour emporter les victoires assurées par Dieu à celui qui sait obéir ; un esprit d’amour intense envers notre famille religieuse qu’il nous faut regarder comme notre mère et un esprit de charité à toute épreuve envers les membres qui la composent. Ce vœu que vous devez considérer comme le testament du père, je le confie au cœur adorable de Jésus en le suppliant de l’accomplir par sa grâce. (LT 10)

1. Un esprit de foi vive qui nous entraîne à voir Dieu, à chercher Dieu, à aimer Dieu en toute chose, ravivant sans cesse en nous le désir de diffuser partout son Règne

Plus qu’une conquête personnelle, la foi est un don de Dieu. Elle est le fruit de liberté et non pas de contrainte. Pour cela, il est important de faire mémoire de la première rencontre avec le Seigneur Ressuscité. Oui, cette rencontre qui a généré notre disponibilité totale à Dieu et à son projet d’amour pour l’humanité. « J’ai vu le Seigneur » (Jn 20,18). Faire mémoire, non pas pour demeurer dans le passé et en vivant de souvenirs, mais pour continuer à grandir dans la connaissance et l’amour de Dieu.

Voir Dieu, chercher Dieu, aimer Dieu en toute chose est le fruit de l’amour quotidien à Dieu, manifesté dans la persévérance. Pour éclairer cette vérité, j’évoque ici l’image du feu. Pour que le feu puisse réchauffer et éclairer, il doit être alimenté continuellement. Autrement, le feu perd sa force, diminue d’éclairer, ne réchauffe pas comme avant et… il peut s’éteindre et être couvert de cendres.

« Sans des moments prolongés d’adoration, de rencontre priante avec la Parole, de dialogue sincère avec le Seigneur, les tâches se vident facilement de sens, nous nous affaiblissons à cause de la fatigue et des difficultés, et la ferveur s’éteint » (EG 262).

Voir Dieu, chercher Dieu, aimer Dieu en tout. Le vrai amour de Dieu mène à le reconnaître et à l’aimer dans les autres, spécialement chez les plus petits et vulnérables. Aimer Dieu mène à aimer son projet d’amour pour l’humanité. Et, aimer le projet de Dieu implique l’engagement personnel et communautaire, la collaboration active, le témoignage concret des valeurs du Règne de Dieu, jusqu’au dernier soupir de notre vie.

« On doit repousser toute tentation d’une spiritualité intimiste et individualiste, qui s’harmoniserait mal avec les exigences de la charité pas plus qu’avec la logique de l’incarnation » (EG 262).

2. Un esprit d’obéissance empressée, généreuse, sans faille en toute circonstance et à tout prix pour emporter les victoires assurées par Dieu à celui qui sait obéir

Celui qui obéit aime Dieu de tout son cœur, de toute son âme, de tout son esprit et de toutes ses forces (Mc 12,30). Celui qui obéit cesse de penser à lui-même, il prend sa croix et suit Jésus… il est prêt à sacrifier sa vie pour Jésus et pour l’Evangile (Mc 8,34-35).

Obéissance empressée, généreuse, sans faille en toute circonstance et à tout prix. Obéissance comme l’a vécue Jésus, disponibilité inconditionnée à la volonté du Père, au Royaume. « Je ne suis pas descendu du ciel pour faire ma volonté : je dois faire la volonté du Père qui m’a envoyé » (Jn 6,38). J’ajoute l’importance de la clarté mentale dans la vie du consacré à Dieu qui est guidée évidemment par la vérité spirituelle : « Moi, je ne peux rien faire de moi-même ; je rends mon jugement d’après ce que j’entends, et mon jugement est juste, parce que je ne cherche pas à faire ma volonté, mais la volonté de Celui qui m’a envoyé » (Jn 5,30).

La disponibilité va de pair avec la générosité. Être conscients que la vie est un don, qu’elle ne nous appartient pas, que ce que nous sommes est un pur reflet de la grâce de Dieu, que ce que nous faisons est une manifestation de l’action de l’Esprit. C’est l’expérience de Paul : « Mais ce que je suis, je le suis par la grâce de Dieu, et sa grâce, venant en moi, n’a pas été stérile. Je me suis donné de la peine plus que tous les autres ; à vrai dire, ce n’est pas moi, c’est la grâce de Dieu avec moi » (1Co 15,10).

Il y a des dangers dans le parcours d’une vie qui fait vœu d’obéissance à Dieu. Le danger majeur est l’autoréférentialité qui s’oppose à la première condition que Jésus demande à ceux qui veulent le suivre (cf. Lc 9,23-24). A cela, s’ajoute la tendance à s’enfermer dans son propre confort (EG 20), un certain style bourgeois, une manière d’adopter sans critique la mentalité du monde (cf. Rm 12,2).

Ces dangers sont l’expression d’une vie centrée sur soi-même, sur ses intérêts, visions, goûts, préférences particulières et… non pas sur Dieu. On en aboutit, finalement, à une vie de grisaille (cf. Ap 2,4-5 ; 3,16), une vie non seulement insignifiante pour le Règne de Dieu mais aussi destructrice de son plan de salut pour l’humanité.

3.  Un esprit d’amour intense envers notre famille religieuse qu’il nous faut regarder comme notre mère et un esprit de charité à toute épreuve envers les membres qui la composent.

Conforti nous livre une très belle image pour parler de la relation avec notre « Famille Religieuse ». Il dit que nous devons la considérer « comme notre mère ». La Famille xavérienne est notre mère dans la vie religieuse-missionnaire. C’est elle qui nous a accueillis et nous a donné un nom : les Xavériens. Une mère est une mère, rien de plus, rien de moins. Une mère doit être aimée avant tout pour ce qu’elle est pour chacun de ses enfants. Un bon fils, sacrifiera même son existence pour sa mère. Il n’y a aucune obligation. C’est question d’amour. Voilà le sens d’appartenance. La Famille xavérienne doit être aimée pour ce qu’elle est pour chacun de nous. Un des fruits du sens d’appartenance est la coresponsabilité.

Comme en chaque famille, même dans la nôtre il y a toute une existence à gérer pour qu’elle puisse atteindre la finalité pour laquelle elle est née. L’amour que tu as pour elle, t’amène à accueillir positivement le service qui t’est demandé, la responsabilité qui t’a été confiée, petite ou grande soit elle, peu importe. L’amour t’aide à bien faire les choses, d’un cœur généreux.

A ce propos, je voudrais évoquer une des phrases, à mon avis, les plus belles de Martin Luther King. Il disait : « Un homme appelé à faire l’éboueur, devrait nettoyer les routes de la même façon dont Michelangelo dessinait, ou Beethoven composait, ou Leontyne Price chantait à l’Opéra Métropolitain, ou Shakespeare écrivait des poèmes. Il devrait balayer les routes si bien que tous les habitants du ciel ou de la terre s’arrêteraient pour dire que là a vécu un grand éboueur qui faisait bien son travail ».

Je voudrais remercier tous les confrères que j’ai pu rencontrer, en cette première année de service à la Direction Générale : leur engagement missionnaire, et le grand amour pour notre famille. Et ils sont nombreux, vraiment nombreux Derrière leur manière de vivre dans le service et dans le dévouement le plus total, souvent silencieux et sans faire du bruit, se cache une vie intérieure très féconde, où « nous aimons, parce que Dieu, le premier, nous a montré son amour » (1Jn 4,19). Merci ! Votre témoignage quotidien, « qui nous appelle à sortir de la médiocrité tranquille et anesthésiante » (Gaudete et exsultate, 138) est l’expression de la sainteté évangélique.

Accompagner. Aimer notre « Famille religieuse » signifie aussi l’accompagner attentivement dans son parcours pour pouvoir répondre toujours davantage à ce que l’Esprit du Seigneur veut nous dire et nous indiquer en ce moment de notre histoire (Jn 14,16-17 ; 15,26-27). Le XVI Chapitre Général nous a laissé une invitation urgente à repartir de la Première Annonce. Il s’agissait de commencer un chemin de repositionnement de nos présences et structures pour mieux répondre aujourd’hui au charisme que nous avons reçu. Quatre ans plus tard, le XVII Chapitre Général a repris cette invitation, en constatant qu’un « tel processus de renouvellement, restructuration et repositionnement n’a pas encore été saisi dans son urgence. Nous sommes donc invités à un courageux changement de vitesse » (Documents du XVII CG 12).

Les paroles du pape François accompagnent et guident nos pas.

« Je rêve, disait le pape François, d’un choix missionnaire capable de transformer toute chose, afin que les habitudes, les styles, les horaires, le langage et toute structure ecclésiale devienne un canal adéquat pour l’évangélisation du monde actuel, plus que pour l’auto-préservation. La réforme des structures, qui exige la conversion pastorale, ne peut se comprendre qu’en ce sens : faire en sorte qu’elles deviennent toutes plus missionnaires, que la pastorale ordinaire en toutes ses instances soit plus expansive et ouverte, qu’elle mette les agents pastoraux en constante attitude de “sortie” et favorise ainsi la réponse positive de tous ceux auxquels Jésus offre son amitié. Comme le disait Jean-Paul II aux évêques de l’Océanie, “tout renouvellement dans l’Église doit avoir pour but la mission, afin de ne pas tomber dans le risque d’une Église centrée sur elle-même” » (EG 27).

Et le pape lance un appel urgent :

« La pastorale en terme missionnaire exige d’abandonner le confortable critère pastoral du “on a toujours fait ainsi”. J’invite chacun à être audacieux et créatif dans ce devoir de repenser les objectifs, les structures, le style et les méthodes évangélisatrices de leurs propres communautés » (EG 33).

Aimer, donc, en accompagnant activement notre famille dans la voie qu’elle est en train de parcourir et qu’elle a encore à parcourir pour qu’elle soit significative dans la vie de l’Eglise, selon le charisme xavérien.

Profession perpétuelle

Nous remercions le Seigneur pour les jeunes confrères qui feront en ces prochains jours la profession perpétuelle dans notre famille. Il s’agit de : Domingus Bere Dina Arianto, Evrard Djounang Tiomou, Meldeus Niyoyitungira, Jacques Nkem Epanda et François Saleh Moll à Mexico; Joseph Ghomsi Deffo, Serge Kabalama Cibangala et Innocent Munandi Bahige à Parme. Ils ont déjà fait la profession : Jean Zihalirwa, Hermann Kentsa, Benyamin Sam et Yohanes Taninas à Yaoundé ; et Maurice Fokam à Manille. Merci pour le don de votre vie au Seigneur dans notre famille.

Nous vous accompagnons avec notre estime, fraternité et prière. « La joie évangélisatrice brille toujours sur le fond de la mémoire reconnaissante : c’est une grâce que nous avons besoin de demander. Les Apôtres n’ont jamais oublié le moment où Jésus toucha leur cœur : C’était environ la dixième heure (Jn 1, 39) » (EG 13).

A vous tous, je vous souhaite une bonne fête de saint Guido Maria Conforti. Que sa prière d’intercession nous accompagne chaque jour !

Fraternellement,

Fernando García Rodríguez, sx

Rome le 30 octobre 2018

 

Fernando García Rodríguez sx
30 outubro 2018
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