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Ponti nell'anima

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Ponti nell'anima

Negli editoriali del 20 e del 28 luglio abbiamo presentato, attraverso  la penna e lo sguardo di  Callisto Vittorino Vanzin sx (1900 - 1976), il tema del commiato dal  "campo delle origini". Così potremmo chiamare infatti il sostrato familiare, educativo e culturale che ogni missionario, e, più in generale chiunque lasci la propria terra d'origine per seguire la propria strada, deve saper lasciare.
"Il campo lontano", titolo del libro da cui è ancora tratto il brano che segue, è quindi un modo di designare la terra nuova verso la quale ci si dirige, che non si conosce. Per Vanzin fu "uno di quei punti fosforescenti che dovevano trasformarsi in un incendio universale" e dove occorreva "una forza immane solo per cominciare".
Vanzin scelse l'immagine del canale di Suez per indicare la trasformazione radicale dell'orizzonte intravista durante il viaggio che doveva portarlo in Cina: una linea appena percettibile che separa l'umanità in due metà quasi irriconoscibili".
L'immagine ha forse un valore più simbolico che concretamente geografico.
Questo "canale di Suez" esprime l'intenso lavorio psicologico e spirituale, sotteso alla realizzazione di una vocazione che metterà alla prova modi di vedere, di sentire e di pensare.


VANZIN V.C., Il Campo Lontano, Parma, ISME, 1936 (pp. 157-159, cap. VIII).

Se per raggiungere il paese meraviglioso dove il colossale è il contorno che guarnisce tutte le portate, bisogna saltare il fosso...atlantico; per andare addirittura in un altro mondo è sufficiente guadare un canale, il Canale di Suez. Il Canale di Suez costituisce la linea appena percettibile che separa l’umanità in due metà quasi irriconoscibili, il segno che stabilisce i confini di due mondi inconfondibili. Prima di Suez noi siamo sempre in casa nostra, dopo Suez diventiamo di colpo stranieri per l’eternità, senza speranza di naturalizzazione. Entrati nel nuovo mondo, un senso indefinibile di smarrimento prende il nostro essere e lo getta in uno stato quasi ipnotico e che deve essere assai simile a quello degli inebriati da sostanze stupefacenti. Si continua ad agire e pensare come prima perché il nostro meccanismo è troppo abituato ai movimenti comuni, ma si sente distintamente che noi stoniamo coll’ambiente che ci circonda. È necessario, allora, fare una revisione di tutte le nostre convinzioni e specialmente dei nostri pregiudizi.

Tutto deve essere vagliato e guardato alla nuova luce che getta riflessi insospettati anche sulle cose più ordinarie. Chi non si assoggetta a questo lavoro penoso e talvolta straziante vivrà nel mondo orientale anche per mezzo secolo non solo come straniero, ma senza comprendere nulla e senza far nulla di consistente e duraturo.

Le mie idee sull’evangelizzazione del mondo e sul metodo da seguirsi subirono una dura prova. La realtà era, almeno in apparenza, troppo diversa da quello che avevo immaginato. Trovarsi di fronte una massa sterminata di umanità che da secoli e millenni vive un’esistenza completamente estranea al cristianesimo, senza la minima idea di esso, senza il più vago desiderio di una resurrezione e di un’ascesi e proporsi di sconvolgere dalle fondamenta tutto il suo modo di concepire e vivere è, umanamente, una pazzia senza nome. Gironzolavo per le città dell’India e della Cina in mezzo a turbe che neppure mi vedevano, assorbite dai loro interessi e dalle loro preoccupazioni. Parlare di una nuova religione a chi è fanatico della propria o, peggio, a chi non sente bisogno nemmeno di quella che è alla base della costituzione sociale della sua patria, è un’impresa che solo un manicomio può sovvenzionare. Eppure c’erano degli uomini disseminati come punti impercettibili in quella fungaia spettacolosa, che lavoravano a quello scopo. Avrebbero dovuto sentirsi soverchiare e quasi schiacciare da quei popoli che formicolavano loro attorno, ed invece si sentivano dei dominatori che sognavano ad occhi aperti una conquista certa, che vedevano già quelle masse prostrate davanti agli Altari del Dio vivente, che avevano già pronti i progetti ed i preventivi per le Cattedrali e per le Università cattoliche. Quando parlavano, i loro occhi avevano dei bagliori che potevano essere interpretati poco benignamente, ma che invece non erano che i riflessi di anime grandi in un involucro troppo piccolo. Fuori, nelle vie e nelle piazze, la vista sconsolante delle folle pagane generava quasi un senso di spavento; nella piccola ed oscura casa del missionario la sicurezza della vittoria faceva trovare le città troppo piccole e le folle troppo poco numerose.

Io andavo ad occupare uno di quei punti fosforescenti che dovevano trasformarsi in un incendio universale. Era necessaria una forza immane solo per cominciare; ma quella forza c’era ed operava da venti secoli. Il mondo nuovo che mi si spiegava davanti come una distesa inerte ed apatica aveva già delle crepe filiformi in cui filtrava la luce. Era necessario congiungere quelle incrinature, allargarle, ridurle a canali che avrebbero portato, turgide e tumultuose, le acque della rigenerazione. Le mie idee sul metodo della conversione del mondo riapparivano alla superficie nella loro integrità. Forse non erano nemmeno originali, perché, nei due millenni di storia, l’apostolato cattolico aveva tentato tutte le vie, aveva esperimentato tutti i mezzi; ma la loro applicazione non era certo un fatto evidente.

A cura del CDSR
12 agosto 2017
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