Il percorso del dialogo interreligioso, dialogo interculturale e animazione nelle scuole
Introduzione
Il 22 novembre 2022, padre Louis Birabaluge sx ha pubblicato un articolo intitolato: “Amare la nostra vocazione saveriana ad extra”. Questo titolo fa eco al XVIII Capitolo Generale che si terrà a Bukavu (RDC) nel prossimo luglio 2023. Ho letto questo articolo con gratitudine per la sua lungimiranza, chiarezza di idee e soprattutto per la tanta speranza che profuma. Il mio scritto si colloca in continuità con le provocazioni poste da padre Louis e non solo.
Dalla mia esperienza a Desio e dall’impegno/attività concreto in alcune comunità in Italia (Tavernerio, Parma, Salerno), ritengo che ci sia la possibilità di rivitalizzare e fruttificare il nostro carisma saveriano nel campo del dialogo interculturale e interreligioso. Ma quest’opzione missionaria è possibile nella misura in cui cresce in noi la consapevolezza/convinzione che l’Italia è paese di missione e non solo di supplenza pastorale.
Il contributo che condivido, qui, tocca alcune tematiche: il dialogo interreligioso, il dialogo interculturale all’interno delle nostre comunità, nei gruppi giovanili soprattutto nelle scuole. Queste sono le frontiere dove il carisma saveriano ha da dire con credibilità. In quasi tutte le comunità in Italia, alta è l’attenzione/sensibilità verso fratelli/sorelle di altre religioni e culture. Circa tutte le comunità saveriane in Italia riservano uno spazio di accoglienza e di condivisione. Ho scelto di condividere l’esempio del percorso interreligioso e interculturale a Desio. È un pezzo dell’Elaborato Finale del master interreligioso. Questo mio contributo/riflessione va a immergersi nello scambio/condivisione in vista del prossimo Capitolo Generale. Questo articolo vuole continuare la riflessione lanciata da padre Louis Birabaluge quando concludeva con queste parole:
In alcuni Paesi del Nord dove siamo presenti, alcuni partiti politici, che stanno gradualmente conquistando lo spazio pubblico, hanno un rapporto problematico con gli "stranieri". Con il loro avvento, i loro discorsi che incolpano la "gente d'altrove" inquinano le menti dei loro compatrioti e diventano buoni ‘sgabelli’ per una carriera politica. In questo contesto, le comunità interculturali e internazionali sono un segno profetico eloquente e un'alternativa a qualsiasi mentalità di esclusione degli altri a causa della loro origine o del colore della loro pelle. E come Istituto missionario, il mezzo a nostra disposizione per svolgere tale missione è la pratica della missione ad extra. Per questo motivo e per gli altri menzionati in questa riflessione, credo, oggi più di ieri, che ci siano più che sufficienti buone ragioni per amare la nostra vocazione saveriana nella sua dimensione ad extra.
- Genesi del dialogo interreligioso a Desio
Nel 1990, la città di Milano era già caratterizzata dalla presenza di tante religioni e culture, di crescenti matrimoni misti e, quindi, di italiani con genitori d’origine straniera. Se allarghiamo lo zoom su Milano e in numerose città europee, in particolare modo, nelle stazioni, nelle piazze, sui treni, negli ospedali, per le strade, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, negli oratori ecc. assistiamo all’incrocio/meticcio culturale e religioso. Nel quotidiano della vita siamo dinanzi alla Pentecoste. La Pentecoste, in quanto festa cristiana, è l’antidoto alla cultura Babele dove si voleva celebrare l’identità unica, lingua unica, cultura unica... La Pentecoste è celebrazione della bellezza dell’universalità, delle diversità, del pluralismo, della trasformazione del Caos in bellezza. Il volto di Dio è multiforme, multiculturale, multietnico. Dio parla le nostre lingue. Vivere oggi nelle nostre città è una occasione per celebrare la bellezza delle nostre identità, delle nostre diversità con particolare attenzione alla fratellanza universale tra uomini e donne. Il sogno dei Missionari Saveriani – Fare del mondo una sola famiglia – non è altro che la concretizzazione della volontà divina nel vivere quotidiano che si traduce nel dialogo.
Nel suo discorso alla città il 6 dicembre 1990, il cardinale Martini, arcivescovo di Milano, invitava a prendere in considerazione, cioè a vedere, la presenza di tanti musulmani a Milano. Nel suo messaggio, in chiave interreligiosa, il vescovo si domandava:
Che cosa dobbiamo pensare oggi noi cristiani dell’islam come religione? L’islam in Europa sarà anch’esso secolarizzato, entrando quindi in una nuova fase della sua acculturazione europea? Quale dialogo e in genere quale rapporto sul piano religioso è possibile oggi in Europa tra cristianesimo e islam?[1]
A Desio, il discorso dell’arcivescovo fu recepito con entusiasmo. Infatti, la comunità dei Missionari Saveriani, presenti a Desio dal 1947, ha colto l’occasione per proporre alla Chiesa locale un cammino di conoscenza e amicizia con i musulmani pakistani presenti sul territorio.
Dal 1990 al 1996 i musulmani pakistani non avevano nessun luogo dove pregare insieme; pregavano nelle loro case. Tuttavia per le grandi feste, il fine Ramadan e il Sacrificio, si recavano a Milano. Nel 1996 la comunità ha cominciato a vivere le grandi feste non più a Milano, ma a Desio o nei paesi vicini (Cesano Maderno, Seveso) affittando sale grandi. Nello stesso anno, grazie all’acquisto di una piccola stanza, la comunità svolgeva la preghiera del venerdì non più nelle proprie abitazioni, ma finalmente nel locale appena acquistato. Per quanto riguarda le grandi feste, il comune dava la possibilità di affittare il Pala Desio (locale sportivo). Purtroppo la gioia di aver trovato la possibilità dove pregare è durata poco. Il comune, per vari motivi, non li poteva più ospitare nei locali proponendo di spostare il giorno della preghiera (al sabato o domenica) come i cristiani. La comunità musulmana non sapeva più a quale porta bussare. Tentarono, infine, di bussare alla porta dei Missionari Saveriani per chiedere uno spazio dove poter svolgere la preghiera. Era una richiesta “nuova” per la comunità. Non era facile dare una risposta immediata per due motivi. La richiesta era nuova e in quel tempo c’era paura di pagare le conseguenze di una tale scelta, cioè l’allontanamento da alcuni amici che non fossero stati d’accordo con l’ospitalità ai musulmani.
Per un po’ di tempo, la comunità islamica si trovò nell’impossibilità di incontrarsi e celebrare le grandi feste religiose. Le grida dei musulmani giunsero agli orecchi dei Missionari saveriani, i quali ne rimasero colpiti in modo negativo. Dopo il discernimento comunitario, i saveriani hanno preso la decisione di ospitare i musulmani nella loro sede.
Dal 1996 i musulmani pakistani svolgono le due grandi feste, l’Eid e il Sacrificio di Ismaele, presso la casa dei Missionari saveriani. Più gli anni passavano, più il numero aumentava, meno la stanza era in grado di ospitare tutti; quindi maggiore diventava il bisogno di trovare un nuovo locale con più capacità. Questa richiesta di ospitalità riguarda le due grandi feste, la preghiera del Ramadan e quella settimanale del venerdì. A tutte queste risposte i fratelli musulmani hanno trovato ospitalità presso la casa dei Missionari saveriani.
Non si può leggere le scelte fatte dai Missionari saveriani al di fuori del paradigma dell’ospitalità cristiana che propone la centralità della gratuità[2]. In effetti, l’ospitalità per i cristiani non è secondaria. È al centro della vita cristiana. Nell’episodio di Mamre, in Genesi 18, prima di conoscere, Abramo ne fa l’esperienza e questa ospitalità diventa per Abramo e Sara l’universo dove fare esperienza, dove incontrare Dio. L’ospitalità diventa, quindi, paradigma del dialogo, perché abbassa le identità (dottrine) lasciando spazio all’esperienza che avvicina più delle definizioni intellettuali. La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare. Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani […] Il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose. [3]
Nella prefazione del libro del domenicano Claudio Monge, l’ex priore di Bose, Enzo Bianchi, afferma con forza:
Finiamo allora per pensare l’ospitalità soltanto come indirizzata a quanti noi invitiamo: ma l’invitato non è ospite, né le attenzioni usate verso di lui sono ospitalità… L’altro, il vero altro, infatti, non è colui che scegliamo di invitare in casa nostra – magari con il retro pensiero di essere a nostra volta invitati (cfr. Lc 14,13) – bensì colui che emerge, non scelto, davanti a noi: è colui che giunge portato dalle vicende del nostro vivere. L’altro è colui che sta davanti a noi come una presenza che chiede di essere accolta nella sua irriducibile diversità; poco importa se appartiene a un’altra etnia, a un’altra fede, a un’altra cultura: è un essere umano, e questo deve bastare affinché noi lo accogliamo. Dare ospitalità, infatti, significa umanizzare la propria umanità. […] Nel praticare l’ospitalità si fa dunque più che mai opera di umanizzazione, come aveva compreso con molta intelligenza già Benedetto, il quale nella sua Regola chiede che il monaco mostri all’ospite “ogni umanità” (RB 53,9), mostri cioè ciò che è proprio degli uomini.[4]
Il cammino del dialogo interreligioso, avviato nel 1990, era molto limitato. Il bisogno esplicito era di avere spazi dove pregare. Non esisteva né programma di incontri, né interazione tra le due comunità al di fuori di auguri nei momenti di festa. Per ben 11 anni le relazioni erano limitate alla sporadicità. Tuttavia la data che ha segnato la svolta decisiva è l’11 settembre 2001, la caduta delle Torri Gemelle. Dopo gli attentati, si stava diffondendo un clima di odio, di diffidenza, d’indifferenza e generalizzazione, per scopi politici, nei confronti di tutti i musulmani e stranieri. C’era tanta paura dei musulmani. Dovunque si respirava l’odio, la paura, la discriminazione.
I musulmani presenti a Desio sentivano il bisogno di essere sostenuti e protetti. Il desiderio di camminare insieme è nato in questo contesto, per sostenere un pensiero differente dalle banalità vociferate da coloro che riducevano l’islam al terrorismo. C’era il desiderio di testimoniare la possibilità di un dialogo tra fedi e culture diverse. Suonava irresponsabile, per i cristiani, lasciare spazio ad un pensiero generatore di divisione e di esclusione. Era urgente e responsabile testimoniare la credenza in Dio che chiese a Caino: Dov’è tuo fratello?
Le due comunità si sono incontrate e – volendo pianificare azioni concrete contrarie al clima che si stava creando – si sono chieste: che cosa possiamo fare? Come possiamo muoverci?
Alcune decisioni sono state prese. E come prima azione, musulmani e cristiani sono scesi in piazza per manifestare a favore del dialogo e della Pace. Inoltre hanno organizzato più volte un “minuto di rumore” contro la guerra, che consisteva nel suonare uno strumento ciascuno dalla propria abitazione. È stata montata in centro alla città, la tenda della pace e del dialogo. Essendo stata montata in centro alla città, la tenda si presentava, in qualche modo, come un richiamo a prendere posizione: o diffondi la pace o propaghi l’odio, la discriminazione. Hanno aderito alla giornata del dialogo interreligioso, promossa da un gruppo di associazioni e realtà di base, ogni ultimo venerdì di Ramadan. Nel 2001, le relazioni tra la comunità cristiana e quella pakistana sono già fondate su buone radici di stima e fiducia, soprattutto tra i membri del comitato. Sia nel cristianesimo che nell’islam, essendo la preghiera al centro della vita del credente, è nato spontaneo il desiderio di ritrovarsi insieme per pregare. Il comitato organizzativo si è confrontato sul gesto e sul valore di una preghiera insieme, custodendo e condividendo ciascuno la propria identità religiosa. Agli inizi, visto che la svolta è stata data dagli attentati dell’11 settembre, la preghiera aveva come tema, la Pace. Ci si radunava in piazza per rendere omaggio alle vittime e invocare la Pace dal Creatore. Pur essendo poco preparata, questa era la risposta che bisognava dare in quel periodo preciso. Nel frattempo, si era creato un comitato provvisorio con il compito di organizzare eventi/azioni pubbliche. Ogni ultimo venerdì del Ramadan, dal 2002, il comitato per il dialogo interreligioso ha organizzato, di sera, la marcia della pace, coinvolgendo scuole e associazioni della città. Per i musulmani, questo giorno è molto importante, essendo l’ultimo giorno in cui fanno insieme la preghiera del Ramadan. La partecipazione è stata notevole. La soddisfazione altrettanta. Gli organizzatori non si aspettavano una risposta così della città. A questa manifestazione tanti cittadini desiani hanno aderito.
Nel 2010, la marcia che veniva organizzata l’ultimo venerdì di Ramadan, fu spostata al sabato pomeriggio nel weekend della Festa dei popoli, nel mese di maggio. La scelta di passare dalla sera al pomeriggio è giustificata dal desiderio di coinvolgere le scolaresche e i lavoratori. Oggi la marcia della pace, collocata alla vigilia della Festa dei popoli, costituisce la fine di un percorso nato molto prima. La Festa dei popoli è nata dall’iniziativa dei Missionari saveriani, con l’obiettivo di sensibilizzare alla mondialità i benefattori ed gli amici dei missionari, poi si è sviluppata per valorizzare le culture e religioni presenti in Desio.
Occorreva, quindi, con il passare del tempo, attivare dei processi duraturi e strutturati. Si è, perciò, creato un cammino di confronto e di conoscenza con l’aiuto dei Missionari Saveriani, di don Giampiero Alberti e del professor Paolo Branca. Lo scopo non era quello di convincere ma di convivere, non di dimostrare ma di testimoniare, non di imporre la propria verità bensì di cogliere quello che è "buono e bello" in entrambe le religioni.
Il punto di svolta è avvenuto nel 2004, quando è nato spontaneo il desiderio di adottare il cammino del dialogo interreligioso come stile di vita. La seconda parte del lavoro consisterà nel fare una lettura in chiave ospitale delle relazioni tra cristiani e musulmani; cosa è successo esattamente dal 2004 ad oggi, novembre 2020?
Il periodo che sarà, adesso, l’oggetto della nostra ricerca è compreso tra il 2004 e il 2020. Questo periodo, nell’incontro tra musulmani e cristiani, è segnato dal desiderio corale che è sbocciato nella scelta del dialogo interreligioso come stile di vita, come parte integrante nel quotidiano desiano. Qui sta il punto di svolta fondamentale: da incontri sporadici a incontri programmati, voluti, desiderati, assunti. Da questo periodo il dialogo ha cominciato a fare, ormai, parte integrante nelle interazioni sociali, culturali e religiose. L’equipe del dialogo – inizialmente aveva il compito di organizzare azioni immediate – focalizzò l’attenzione su un cammino a lungo termine di conoscenza reciproca, di azioni sul territorio in vari settori della vita per coltivare l’amicizia esistente.
Il dialogo richiede, in effetti, la capacità di lasciarsi incontrare, di andare incontro all’altro. Siccome, però, non si nasce imparati al dialogo, l’educazione ad esso – come sottolineato nella prima parte – è indispensabile, è un prerequisito per ogni incontro consapevole. L’educazione porta, di conseguenza, alla conoscenza, la conoscenza alla stima, la stima al decentramento; il decentramento avviene soltanto se i membri riescono ad uscire da dinamiche di “inferiorità” o “superiorità” mettendo perciò in discussione ciascuno la propria identità religiosa/culturale.
“Mettersi nei panni dell’altro”, dunque: ecco il complesso impegno di chi accetta di porsi sulla via dell’altro, indispensabile per evitare i pregiudizi aprioristici e gli errori di prospettiva. Adottando il punto di vista suggerito da una massima dei nativi americani: “Non puoi giudicare nessuno, se non hai camminato almeno tre lune indossando i suoi mocassini”.[5]
Per riuscire a “indossare i mocassini” dell’altro, bisogna, assolutamente, decentrarsi; esercizio difficile e coraggioso. Il decentramento, però, implica il riconoscimento del proprio limite, dell’interdipendenza, di vedersi con gli occhi degli altri, di riconoscere la legittimità dei punti di vista altrui. La coerenza logica di ogni vero dialogo porta alla trasformazione, al cambiamento, a esaminare il proprio modo di pensare come l’unico possibile o legittimo. Decentrarsi implica anche la decostruzione, cioè la capacità di mettere in crisi gli stereotipi, i pregiudizi, i luoghi comuni, di sottoporre a critica il linguaggio quotidiano e familiare, lo stile comunicativo e gli schemi mentali. Questa consapevolezza porta alla relativizzazione delle proprie categorie e, qualora fosse necessario abbandonare i modelli forti, autoritari e definitivi che sembravano finora funzionare.
E, in ultima analisi, per poter mettersi al posto dell’altro ci vuole capacità empatica. Questo significa – come afferma Carl Rogers[6] – che per dialogare occorre percepire i sentimenti e i significati religiosi e culturali che l’altro sta sperimentando; significa sentire le ferite, il piacere, lo schema di riferimento dell’altro come lo sente lui. La capacità di attivare, interiormente, l’atteggiamento contrario all’egocentrismo, etnocentrismo e, quindi, la convinzione che la verità è sempre davanti a noi[7], apre spazio all’acquisizione di un’identità intesa come frutto di ospitalità.
- Le iniziative concrete
Tanti incontri, in vari settori della vita, sono stati promossi per gettare ponti tra popoli con culture e religioni diverse. Pensiamo agli incontri tra i giovani musulmani e cristiani. Pensiamo alla cucina etnica come strumento di dialogo e di integrazione reciproca tra le donne straniere e quelle italiane. Pensiamo alla Casa delle donne, oggi, come risultato di questo lungo cammino. Pensiamo al corso di lingua italiana per stranieri, come mezzo per comunicare con l’ospitante. Pensiamo al dialogo delle opere promosse sia dalla comunità pakistana che cristiana. Pensiamo alla preghiera interreligiosa come cuore di questo cammino, dove fratelli/sorelle di diverse fedi cercano di andare d’accordo nel rivolgersi a Dio. Pensiamo all’impegno educativo nelle scuole promosso gratuitamente dai missionari saveriani…
Le iniziative appena elencate costituiscono il contenuto di questa seconda parte. Accanto alle iniziative compiute, spenderemo due parole per enucleare le difficoltà incontrate lungo il percorso, ma, soprattutto, cercheremo di rispondere alla domanda: come sogniamo il dialogo interreligioso?
- Giovani musulmani e cristiani in dialogo
I leader delle due religioni, in collaborazione con il comune di Desio, hanno voluto puntare sulla formazione dei giovani. I giovani che facevano già parte del percorso sono stati coinvolti, fin da subito, hanno ricevuto il mandato di coinvolgere altri giovani delle rispettive comunità. Le parrocchie hanno giocato un ruolo fondamentale con il coinvolgimento della pastorale giovanile. Da parte della comunità pakistana, numerosi giovani hanno aderito. Nel mondo cattolico, non c'è stata un’adesione di massa. Gli incontri si svolgevano in due luoghi: presso la casa dei missionari saveriani e presso la moschea. Il cammino è stato incoraggiato, sorprendentemente, dalla presenza dell’allora prete della pastorale giovanile, don Luca Raimondi (oggi vescovo ausiliario della diocesi di Milano) che, personalmente, ad alcuni incontri partecipò.
Gli incontri avevano come titolo: Laboratori della fede. Durante questi incontri giovani adulti cristiani e musulmani si confrontavano intorno ad un tema con lo scopo di conoscersi meglio. Il laboratorio aveva lo scopo non solo di vedere le differenze tra diverse religioni e culture, ma soprattutto aveva la pedagogia di aiutare a scoprire i punti in comune, gli aspetti che uniscono, le cose condivise. I giovani si sono confrontati con sincerità sulla loro fede. E questa condivisione ha portato a condividere i valori comuni che includono al posto di escludere. Questi laboratori hanno abbattuto le barriere dei pregiudizi e dell’ignoranza, hanno rafforzato e purificato la fede di ciascuno, e, di conseguenza, sono serviti a vivere ciascuno la propria identità religiosa come apertura all’altro, visto come un fratello/sorella da amare e non una minaccia da togliere di mezzo.
- Cucina e lingua italiana, strumenti di incontro
Oltre agli incontri tra giovani (maschi e femmine) su vari argomenti, la cucina ha giocato un ruolo fondamentale nel dialogo con le donne sposate pakistane. Si è constatato che, all’inizio, agli appuntamenti del dialogo (marcia della pace e altro) le donne pakistane non partecipavano, perché non si sentivano al loro agio.
Il comitato del dialogo ha pensato di organizzare degli incontri dedicati alle donne, per sole donne, in modo da metterle più a loro agio. Hanno invitato le pakistane presso la casa dei Missionari saveriani per bere il tè. Si sono presentate numerose ed erano molto contente di partecipare (insieme ai loro figli piccoli), nonostante qualche problema con la lingua. Da questo incontro hanno capito che finalmente le proposte fatte prima non tenevano conto della realtà di Donna Pakistana. Le donne pakistane si sono espresse e insieme a donne cristiane hanno deciso di ritrovarsi una volta al mese; un incontro esclusivamente di sole donne. La procedura era simile a quella dei giovani. Sceglievano dei temi da trattare (il matrimonio, la musica, la danza, gli abiti, le feste…). Col passare del tempo, gli inviti si sono allargati anche alle altre donne straniere che vivevano in città. Per rendere le donne più protagoniste, l’equipe ha pensato di proporre degli incontri dedicati alla cucina, anche pratici. Le donne italiane hanno iniziato a cucinare qualche piatto tipico e questo ha aumentato l’interesse delle altre donne. Così è nato il corso di “Cucina etnica”. La cucina era un mezzo, uno strumento, un canale per creare occasione di incontro, conoscenza e stima. Dallo scambio di ricette sono nate delle amicizie durature. È stato un luogo di libertà, di creatività. Quello che non si poteva esprimere con le parole a causa delle difficoltà linguistiche, lo si poteva esprimere in cucina. Nei primi anni gli incontri si svolgevano nella cucina dei saveriani. Desio ha esportato questa esperienza a Giussano dove c’era anche la presenza di donne pakistane. Alla scuola di cucina a pagamento, diversa da quella gratuita di Desio, hanno aderito tante donne facendone luogo e spazio d’incontro e di condivisione, di apprendimento e di approfondimento, di libertà e di apertura.
La casa delle donne è nata ufficialmente nel 2017 per iniziativa di un gruppo di donne e dell’ex assessore ai servizi sociali. In qualità di assessore aveva partecipato agli incontri di cucina etnica e aveva apprezzato il progetto di incontri tra donne di culture diverse. Aveva poi promosso una ricerca sulle esigenze delle donne straniere che abitano a Desio. Quando c’è stata l’occasione, lo spazio è stato assegnato al gruppo di donne che contemporaneamente hanno creato l’associazione “Casa delle donne”. La Casa delle Donne è uno spazio per le donne, gestito dalle donne. Attualmente sta promuovendo iniziative di diverso genere, dagli incontri letterari agli incontri per genitori, dal gruppo di lavori a maglia ai corsi di yoga, dai corsi di cucina etnica allo sportello di orientamento legale. La casa delle donne promuove la valorizzazione della donna.
- Dialogo delle opere
Oltre al dialogo della vita quotidiana, degli scambi spirituali (ci ritorneremo), esiste anche il dialogo delle opere, che vede impegnate persone di fedi diverse nella promozione della persona umana. Nel 2008, papa emerito, Benedetto XVI, si rivolgeva ai membri del Consiglio per il dialogo in questi termini:
La collaborazione interreligiosa offre opportunità di esprimere gli ideali più elevati di ogni tradizione religiosa. Assistere i malati, recare soccorso alle vittime dei disastri naturali o della violenza, prendersi cura degli anziani e dei poveri: queste sono alcune delle aree in cui le persone di differenti religioni collaborano. Incoraggio quanti sono ispirati dall'insegnamento delle loro religioni ad aiutare i membri sofferenti della società.[8]
Oltre a tante iniziative caritative per stimolare la città all’incontro del diverso, l’equipe del dialogo ha sensibilizzato la città ad andare incontro a fratelli/sorelle colpiti da catastrofe. Nel 2005, il Pakistan è stato colpito dal terremoto causando la morte di più di centomila persone. La comunità pakistana ha fatto una raccolta fondi che sono stati inviati alla popolazione colpita. Più tardi ancora, nel 2010, l’alluvione ha colpito, di nuovo, il Pakistan. Per andare incontro alle vittime di questa catastrofe naturale, i pakistani residenti nella zona di Desio, in stretta collaborazione con l’equipe del dialogo, hanno organizzato una cena etnica a cui molti cittadini (più di 200 persone) hanno aderito, cominciando dal sindaco. La cena, per l’equipe del dialogo, è stata un’occasione d’incontro e di conoscenza. Sulla stessa tavola venivano collocate le famiglie italiane e quelle pakistane. Tante persone uscivano dalla cena non solo soddisfatti per avere mangiato, aiutato ma soprattutto per aver tessuto nuove amicizie.
Nel 2009 l’Abruzzo è stato colpito dal terremoto. La comunità pakistana, consapevole della vicinanza degli italiani quando il loro paese è stato colpito rispettivamente dal terremoto e dall’alluvione, ha manifestato la disponibilità di andare ad aiutare in Abruzzo, assumendosi le spese di tutto ciò che questo poteva implicare. Il sindaco ha demandato questa richiesta agli alpini che, purtroppo, non collaborano con quelli che non fanno parte del club.
Recentemente, nel 2016, è avvenuto un altro terremoto ad Amatrice. La comunità islamica ha proposto alla comunità cristiana di organizzare un’altra cena per andare incontro ai bisogni dei fratelli/sorelle vittime della calamità naturale. Si è, di nuovo, organizzata una cena a numero chiuso vista la disponibilità di tante persone pronte a partecipare per aiutare.
- L’educazione alla mondialità nelle scuole
L’educazione interculturale è entrata ormai in modo consapevole e attivo nelle prospettive educative della scuola e in tal senso non è un argomento nuovo per la formazione scolastica allo scopo di fornire a insegnanti ed alunni spunti educativi per affrontare le difficoltà e le problematiche nei rapporti tra i diversi[9]. In questo processo educativo l’accento non deve essere sull’altro, sullo straniero, ma deve essere centrato sul “noi”, cioè verso il docente stesso inteso come soggetto che interagisce attraverso un ruolo preciso[10]. La scuola diventa, quindi, un luogo di interazione interculturale e interreligiosa tra tutti, dove docenti, alunni italiani e alunni stranieri si incontrano dando e ricevendo. Una scuola fondata su questo modello esce dalle dinamiche di integrazione (chi entra si deve integrare) per adottare i principi della società inclusiva nella quale ogni membro può contribuire. In questa scuola dell’inclusione, le diversità costituiscono uno spazio prezioso dove incontrarsi, arricchirsi, esprimersi.
A questo areopago i Missionari saveriani, da anni, si impegnano a dare il loro contributo e, da diciotto anni a Desio, collaborano con le scuole nell’ambito della mondialità. La testimonianza dei missionari – oltre a raccontare come sono stati accolti, ospitati da popolazioni incontrate in missione – sta diventando sempre più interreligiosa e interculturale. Negli ultimi anni, musulmani e cristiani hanno condiviso con i ragazzi la loro esperienza di amicizia, di fraternità e di stima. Nelle scuole, la testimonianza di uomini impegnati nel dialogo interreligioso è accolta come credibile e profetica.
Noi siamo quello che gli altri hanno seminato. Spetta, oggi, a noi diventare seminatori per le generazioni future. Nell’Enciclica Laudato Sì, papa Francesco si interrogava:
Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori.[11]
Oltre alle domande di papa Francesco, ci possiamo interrogare: quale educazione interculturale/interreligiosa lasciamo alle generazioni future? Come ci impegniamo oggi per considerare religioni e culture come ricchezza e non minaccia? Qual è il ruolo delle religioni nel piano educativo oggi? L’equipe del dialogo a Desio, in questi diciotto anni, si è impegnata a dare il suo contributo sia alla scuola di italiano per stranieri, sia nelle scuole primarie, secondarie di primo e di secondo grado. Il nostro impegno è di una importanza capitale, perché può operare un passaggio decisivo: dal multiculturalismo all’interculturalità.
Le parole di papa Francesco costituiscono la sintesi di questo paragrafo:
Dunque, parlare di “cultura dell’incontro” significa che, come popolo, ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti. Questo è diventato un’aspirazione e uno stile di vita. Il soggetto di tale cultura è il popolo, non un settore della società che mira a tenere in pace il resto con mezzi professionali e mediatici.[12] […] Quello che conta è avviare processi di incontro, processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze. Armiamo i nostri figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro![13]
- La preghiera interreligiosa
Giungendo verso la fine di questo percorso, pare opportuno ricordare le varie forme del dialogo; quali forme che l’equipe del dialogo a Desio cerca di attuare in molteplici modalità.
Dopo questi momenti iniziali in piazza – come risposta immediata al clima di odio e di diffidenza che si stava diffondendo – è nata, nel 2010, l’idea di organizzare dei momenti precisi di preghiera non più legati esclusivamente agli attentati, ma per rinsaldare le relazioni, per elevare insieme a Dio i desideri di pace, di amicizia e di fraternità. L’apporto di don Giampiero Alberti è stato fondamentale in questa tappa. Le due comunità hanno programmato luogo, date e orario di preghiera.
Ma in quale contesto è nata questa idea? Durante gli incontri ci siamo accorti che avevamo tantissime cose in comune. Quando i cristiani pregavano, i musulmani dicevano: potevamo anche noi fare quella preghiera. Ci ritroviamo in quella preghiera. I sentimenti provati dai musulmani erano gli stessi provati dai cristiani. In questa circostanza è nato il desiderio di organizzare momenti di preghiera insieme. La preghiera è stata come l’arrivo di un lungo cammino caratterizzato da stima, riconoscenza reciproca tra persone concrete.
Per cinque anni, cioè fino al 2015, le due comunità si erano rese disponibili ad ospitare i momenti di preghiera interreligiosa: la casa dei missionari saveriani e il centro islamico di Desio. Nel 2015, però, è nata l’idea geniale di ampliare i luoghi di preghiera per offrire a tutti i cittadini la possibilità di partecipare ai momenti di spiritualità. L’anno 2015 segna anche la partecipazione di due comunità evangeliche come membri organizzatori: una di Desio e l’altra di Seregno. Da notare che queste due comunità partecipavano già in modo sporadico ad alcuni eventi della città con canti Gospel. Più tardi i mormoni hanno partecipato soprattutto all’interno della Festa dei popoli come gesto di pace.
Da due luoghi di preghiera, siamo passati a quattro: presso la comunità dei Missionari saveriani, presso il centro islamico, presso la parrocchia san Giovanni Battista e, infine, presso la chiesa evangelica. È capitato di andare a pregare – secondo la spiritualità buddhista – presso l'abitazione di padre Luciano Mazzocchi, impegnato nel dialogo interreligioso con il mondo buddhista.
La collaborazione con i musulmani non è stata facile, nemmeno quella con la Chiesa Cattolica locale o con le autorità politiche. I musulmani erano considerati come potenziale pericolo per la sicurezza. Queste paure hanno causato poca chiarezza nella collaborazione. Agli inizi, ad esempio, il comune aveva offerto uno spazio ai musulmani per la loro preghiera che gli fu, poi, impedito. L’ignoranza, cioè la non conoscenza reciproca, ha vinto sul desiderio di conoscersi concretamente. Quindi possiamo dire che la poca conoscenza teorica della fede altrui è stata un elemento debole, perché per fare il dialogo è necessario avere uno “spazio neutro” di continuo confronto dove ciascuno può contribuire con la ricchezza della propria identità. Afferma Claudio Monge:
L’etimologia del termine dialogo (dià-logos), tra l’altro, sottolinea molto di più l’aspetto del “passaggio tra due” (dia) e, quindi, di una necessaria alterità, che non la nozione di scambi egualitari, spesso sottintesa dalla preposizione inter (tra), usata nell’’etimologia latina dell’espressione “dialogo inter-religioso.” […] Già Martin Buber ricordava che l’essenza del dialogo non è né nelle idee universali comuni agli interlocutori, né nelle idee che ci siamo fatti dell’altro, ma nell’incontro stesso. Dialogare, dunque, è lasciarsi attraversare dalla parola dell’altro prendendo il rischio di donare la propria, pur sapendo che potrebbe anche essere respinta, il tutto nell’assoluta gratuità di chi non ha mire nascoste e obiettivi da raggiungere ad ogni costo”.[14]
Mentre da una parte c’è stata una grande soddisfazione di partecipazione di alcune persone che desideravano promuovere il dialogo interreligioso e interculturale, dall’altra, l’indifferenza, la diffidenza, le critiche, la perdita di amici – italiani e stranieri – sono state le difficoltà più grandi. Il percorso fatto ha dimostrato chiaramente che quando c’è il desiderio di conoscersi e di aprirsi agli altri, lo spazio di incontro lo si trova, ovviamente, superando le difficoltà. Inoltre, la questione del coinvolgimento di nuove forze nell’equipe è stato un elemento di debolezza perché non ha ricevuto risposta da parte di tante persone. Così come la comunicazione verso le proprie comunità di fede (cristiani e musulmani) non sempre ha trovato un’adesione forte nelle rispettive comunità. In più, oggi, diminuisce la partecipazione di quelli che erano giovani una volta, soprattutto nella comunità pakistana. Qualcuno si è sposato trasferendosi all’estero, altri per motivi di lavoro non riescono a essere presenti come una volta. Altre difficoltà incontrate riguardano la chiusura e il rifiuto da parte di alcuni centri islamici. Non tutti sono aperti. Nella Chiesa Cattolica, il cambio dei parroci non è sempre stato un evento incoraggiante: alcuni sono aperti al dialogo interreligioso, altri lo giudicano semplicemente una perdita di tempo. Inoltre, un partito politico, come la Lega, è forte in Lombardia e ciò ha delle ripercussioni sulla vita sociale della gente e, di conseguenza, sul tentativo di dialogare con il diverso.
Le paure iniziali di trent’anni fa si sono, quasi, superate. La società di domani dovrà, sempre più, favorire l’incontro intorno alla giustizia, alla solidarietà, alla. pace e alla custodia del creato. Le nostre società, nel rispetto delle differenze, possono vivere in pace. Alcuni musulmani che sono qui da tanto tempo stanno tentando di fare uno studio storico letterario del testo e degli eventi: quelle frasi forti del Corano non dicono la realtà in generico; servivano in un'epoca che non è la nostra. Questa riflessione fatta da alcuni musulmani invita a ripensare le nostre identità per poter stare nel mondo di oggi.
Oltre a ripensare l’identità a partire dalla convivenza con l’altro, l’etica del futuro è quella che ripensa la comunità senza sacrificare la molteplicità e le differenze. Davanti all’assolutizzazione delle differenze prodotta dall’ossessione identitaria, ma anche superando l’indifferenza omologante del mercato-globo, la comunità del futuro sarà quella che valorizza le differenze non confondendole con disuguaglianze e tiene la molteplicità delle presenze senza volerle fare tutte uguali.[15]
Inoltre, la storia del dialogo, nella diocesi di Milano, è ancora molto giovane. Ha soltanto trent’anni. Occorre essere consapevoli che stiamo imparando l’ABC del dialogo, che richiede tempo per capire che la relazione con la differenza e l’alterità significa appropriazione di possibilità nuove e apertura alla reciproca trasformazione, frutto dell’incontro. Questo lavoro è faticoso, complesso e, allo stesso momento, imprescindibile per le religioni/culture.[16]
I nostri confini, le nostre diversità, le nostre unicità sono una ricchezza. C'è chi se ne serve costruendo dei muri. C'è chi se ne serve, invece, cercando di incontrare l'altro senza cancellare – ma stimando e rispettando- le differenze culturali, religiose, tradizionali, ma riconoscendosi fratelli, cugini lontani e vicini. Le differenze non vanno spente. Se le spegniamo, spegniamo la nostra identità più profonda, più intima di noi stessi. Ospitare il diverso, lo straniero, umanizza chi compie il gesto di accoglienza/ospitalità. Ricorda Daniélou:
“La civiltà ha fatto un passo decisivo, forse il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes). Il giorno in cui nello straniero si riconoscerà un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo.”[17]
Conclusione
L’esperienza personale svolta sia nel cammino del dialogo a Desio, sia nelle scuole a Desio e a Parma testimonia di questa sete che inabita il cuore del giovane che vuole essere accompagnato in questa società dove ci sono varie voci e spesso quelle distruttive prevalgono. Il carisma saveriano con la ricchezza missionaria è una risposta attesa in questi vari ambiti. Le domande sono molteplici. Tante comunità si danno da fare. La regione italiana dovrebbe individuare settori concreti di animazione missionaria e vocazionale perché i confratelli che verranno destinati all’Italia possano inserirsi nel processo di animazione missionaria e vocazionale nei settori propri al nostro carisma come missionari Ad Gentes, Ad Extra e Ad Vitam.
Parma, 13 gennaio 2023
Emmanuel Adili Mwassa, sx
Studentato Teologico di Parma - Italy
[1] C. MARTINI, Noi e L'islam - dall’accoglienza al dialogo Discorso alla Chiesa ed alla Città di Milano, nella vigilia della festa di sant’Ambrogio, il 6 dicembre 1990.
[2] Cfr. Teologia dell’ospitalità, a cura di DAL CORSO, Editrice Queriniana, Brescia, 2019, p.6.
[3] PAPA FRANCESCO – IMAM A., Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, 3.
[4] MONGE, Stranieri con Dio. l’ospitalità nelle tradizioni dei tre monoteismi abramitici, p.8.
[5] SALVARANI, Vocabolario minimo del dialogo interreligioso. Per un’educazione all’incontro tra fedi, 88.
[6] Cfr. C. ROGERS R., Un modo di essere, Giunti, Firenze 216, p. 148-149.
[7] Cfr. Un laboratorio ecumenico a Venezia. I trent’anni dell’ISE, In Quaderni di Studi Ecumenici, n.39, a cura di ISE “San Bernardino”, p.190.
[8] BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti alla x assemblea plenaria del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, sabato, 7 giugno 2008, in iternet (15.09.2020): http://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2008/june/documents/hf_ben-xvi_spe_20080607_interrelg-dialogue.html.
[9] Cfr. A. CASTELNUOVO, Giochi di ruolo e formazione interculturale, Carocci Faber, Roma 2007, p.11
[10] Cfr. CASTELNUOVO, Giochi di ruolo e formazione interculturale, 11.
[11] FRANCESCO, Laudato Sì, n. 160.
[12] FRANCESCO, Fratelli tutti, n.216.
[13] FRANCESCO, Fratelli tutti, n.217.
[14] Teologia dell’ospitalità, a cura di DAL CORSO, 155-156.
[15] Teologia dell’ospitalità, a cura di DAL CORSO, 19-20.
[16] Cf. F. TEIXEIRA, Per una mistica dell’ospitalità, Pazzini stampatore editore srl, Rimini 2016, p.11.
[17] J. DANIELOU, Pour une théologie de l’hospitalité, in MONGE, Stranieri con Dio. L’ospitalità nelle tradizioni dei tre monoteismi abramitici, 7.
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