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Sempre più in là

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Giovanni Didonè, Apostolo del Primo Annuncio

Con immenso onore celebriamo la beatificazione di Giovanni Didonè, sacerdote di grande sensibilità e coraggio, le cui radici affondano nella terra veneta, in una famiglia dove la vocazione religiosa fioriva con straordinaria abbondanza. Nato il 18 marzo 1930, Giovanni ha intrapreso il suo cammino di fede e servizio nel seminario diocesano e, mosso da un irrefrenabile desiderio missionario, ha seguito il suo cuore fino al Congo, terra che sognava di animare con il Vangelo.

"Sono felice" scriveva, perché non desiderava mai abituarsi ad essere prete, ma viveva ogni Messa come un primo e unico incontro con il divino. La sua opera in Africa si è dipanata attraverso paesaggi mozzafiato e incontri umani profondi, portando il kerigma in villaggi remoti con l'ardore di chi sa di essere "afferrato da Cristo".

Il suo zelo apostolico lo portava sempre "sempre più in là", nel primo annuncio, con la convinzione che anche la terra più arida può accogliere il seme del Vangelo e fiorire. Il suo ministero si è intrecciato con le vite dei fedeli in un servizio missionario che seguiva la tradizione: visitare, amministrare, incontrare, consolare, costruire, e soprattutto, amare.

La beatificazione di Giovanni Didonè è un invito a riscoprire la bellezza e la sfida del primo annuncio, la gioia e la fatica del lavoro missionario, e soprattutto, il coraggio di un cuore che non ha mai smesso di sognare la santità quotidiana.

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GIOVANNI DIDONÈ: NUOVO BEATO

Vicenza 2024

Sempre più in là

Giovanni Didonè, apostolo del primo annuncio
"Che non mi abitui mai ad essere prete”

La famiglia Didonè era sorprendente: il papà Angelo e mamma Maria erano genitori di undici figli, di cui quattro ragazze su cinque si sono fatte religiose e tre giovani su sei sono entrati in un istituto missionario.

La famiglia abitava a Cusinati di Rosà (VI) e, dopo la nascita di Giovanni, si è trasferita a Cittadella, grande comune della provincia di Padova, immerso nel verde della regione Veneto.

La famiglia viveva del lavoro dei campi e conservava una fede semplice e robusta. Giovanni, nato il 18 Marzo 1930, studiò nel seminario diocesano e a 20 anni manifestava il desiderio di farsi missionario. Il 12 ottobre 1951 entrava nel noviziato dei Missionari Saveriani ed veniva ordinato prete il 9 novembre 1958. Alla sorella Tecla, religiosa, dopo un paio di giorni della sua ordinazione sacerdotale, scriveva: " Non ho parole per dirti quello che sento al mattino quando salgo i scalini dell'altare.  Prega perché non mi abitui mai a celebrare la Messa, non mi abitui mai ad essere prete.”

Giovanni era di un carattere docile e buono, sensibile e coraggioso, entusiasta per la missione. Viveva nella riconoscenza per il dono della vocazione sacerdotale, non per i suoi meriti, ma per grazia di Dio e per l'intercessione di Maria.

“Il mio posto è nella missione più estesa"

Giovanni partì per il Congo il 3 dicembre 1959.

Entusiasta del viaggio, ammirava la natura incontaminata dei paesaggi africani e la estensione impensabile del lago Tanganica.

Lavorò in tre posti di missione: Kiliba, Baraka e Fizi. Si dice di lui che si spostava da un luogo all'altro, sulla montagna, nella pianura e sul lago, con la destrezza di un atleta, con l’energia di uno scalatore sull’altopiano dei Banyamulenge, con la competenza di un pilota fuoriclasse sulle strade impossibili del Congo, con l’esperienza di un marinaio navigato sul Lago Tanganica. Come Paolo: “Sono stato afferrato da Cristo, perciò corro per afferrarlo” (Fil 3,12) Nella missione non era solo, ma viveva con confratelli, per i quali aveva parole di ammirazione e di lode.

Nella prima missione di  Kiliba, estendeva il suo sguardo su nuovi orizzonti e sognava: "Il mio posto è nella missione più lontana ed estesa. Obbedendo alla volontà dei superiori, amerei andare dove si deve iniziare il bel tutto "(23 novembre 1960).

Così nell’agosto 1961 è stato inviato a Fizi, nell’estremo sud della diocesi di Uvira, per fondare una nuova missione.

Preferiva il primo annuncio (il cherigma). La Chiesa ha le sue radici nascoste nella preghiera di quelli che vivono nella clausura, ma ha la sua forza nelle parole del Signore: "Va e predica il Vangelo". Padre Giovanni ha accolto e ha risposto a questa chiamata con il dono di sé e ha accettato di vivere, lontano dalla sua famiglia e dal suo paese, nella più sperduta e meno strutturata missione della Diocesi. Cercava la terra meno coltivata per dissodarla e prepararla all’accoglienza del seme del Vangelo. Aveva la passione per il Vangelo che di fatto risponde all’anelito d’infinito di ogni cuore umano" (Evangelii gaudium 165).

"La vita del missionario è davvero bella"

(3 gennaio '61).

Il 5 giugno 1960, il giorno di Pentecoste, dopo 80 battesimi, Giovanni scriveva: "Ho percorso mille chilometri, ho visitato 7 succursali, mi sento un campione. I viaggi sono lunghi e le strade sono orribili. Ma negli ultimi quindici giorni ho gustato la vita missionaria, provando una grande gioia di una vita veramente bella! "

Il lavoro di Giovanni era un servizio missionario che seguiva la tradizione: visitare le comunità di villaggio, amministrare i sacramenti, incontrare i giovani, incoraggiare i catecumeni, far visita agli ammalati...E poi tutte le attività concrete per gestire la missione nel suo sviluppo: la costruzione di cappelle, di scuole, di dispensari e l’adoperarsi per provvedere alla povertà della popolazione e alle necessità di tutti i giorni.

L'anno del lavoro apostolico seguiva le tappe liturgiche con l’amministrazione dei sacramenti ai nuovi cristiani. Non mancavano celebrazioni solenni, canti e danze a ritmo di tamburo, nell’entusiasmo di una fede semplice e spontanea.

"Sono molto felice! - scriveva Giovanni - Ho trascorso il Natale tra i cristiani e i catecumeni di Fizi. Ho celebrato la messa a mezzanotte e accanto all'altare improvvisato c'era un piccolo presepio…"(28 dicembre 1961).

Con il tempo incontrerà difficoltà per un'evangelizzazione approfondita, per un cambio di mentalità. Dopo un incontro con catechisti e insegnanti, esclamava: "Costruire una chiesa in materiale durevole è facile ... Ma costruire una comunità spirituale è difficile. È possibile solo con l’aiuto di Dio. Quanto è arduo uscire dal paganesimo! Quanto è faticoso alzare gli occhi al cielo! "(2 novembre 1962). A volte riconosceva il suo difetto: "Con i miei fedeli grido troppo" (3 aprile 1964). 

"L'eroica Celestina"

Giovanni era "innamorato" di Celestina, il suo furgoncino, che gli rendeva innumerevoli servizi. Ma un giorno dovette fare l’elogio funebre: "L'eroica Celestina, la mia Celestina, da tre settimane sconfitta sulle montagne di Fizi, ha concluso la sua carriera. Ha fatto una fine eroica. Dopo aver trasportato tavole, lastre, travi, cemento, sabbia, mattoni, benzina e olio combustibile, sacchi di farina e patate, piante di banane ... Ha fatto il suo ultimo viaggio con una pesante lastra di pietra e con tutto il necessario per un forno. Ora è appiattita su quattro pneumatici quasi nuovi, ma con due ulcere perforanti nella pancia. E’ finita. E’ stata coraggiosa "(13 marzo 1961).

Con la provvidenza, il padre ebbe una "nuova vettura", che sembrava più robusta, e che era stata battezzata, suo malgrado, dai confratelli: "Giovannina". E con quel secondo amore Giovanni ha avuto ancora molte avventure, perché Giovannina era costretta a portare pesi superiori alle sue forze.

"Non perdere il tuo entusiasmo"

Se San Paolo amava scrivere e incoraggiare i suoi collaboratori, il padre missionario Giovanni sapeva imitarlo. E’ stata trovata una lettera indirizzata al catechista Rafael. Ecco il contenuto:
"Mio caro Raffaele, (...) Ti scrivo per darti un po’ di speranza per i tempi futuri. Sii un uomo, ti prego. Non perdere il tuo slancio. Dio è qui in mezzo a noi. Coloro che disperano non ricevono facilmente la misericordia di Dio. È al momento della prova che possiamo testimoniare con precisione la nostra fede e il nostro amore per Dio.

Vedi, noi padri siamo a Fizi, lontani da casa. Ma Dio è ovunque e ci sta aiutando tutti. Non pensare che i padri andranno a casa. Lo sai bene! I padri preferiscono morire nella loro missione. Noi siamo stati inviati per restare qui nella missione di Fizi. Non sono ancora venuto da voi perché non posso, e voi lo sapete bene, però mi vedrete, non so quando, ma mi vedrete” (Fizi, 9 novembre 1964).

I missionari, più che in Europa, hanno saputo apprezzare la presenza dei laici nella comunità. I catechisti erano i più preziosi collaboratori della missione, specialmente nei villaggi remoti. Scoprendo la loro identità e responsabilità nei sacramenti del battesimo e della confermazione, annunciavano la Parola, animavano le comunità cristiane, testimoniavano la carità, celebravano la fede con liturgie semplici... Padre Giovanni ha animato i laici nella loro missione, in particolare i catechisti, e già pensava alla istituzione dei diaconi sposati, guardando il Concilio Vaticano II.

I centri di catechesi per la formazione dei laici erano già in attività  nelle diocesi vicine (Butare in Ruanda, Butembo nel Nord Kivu e infine Uvira). Dopo cinquant'anni, papa Francesco non ha avuto paura di affermare: «Per me, il clericalismo impedisce la crescita dei laici" (omelia, 22 marzo 2014).

"Sarebbe bello dare la propria testa"

(15 settembre 1960)

Padre Giovanni scriveva l'11 gennaio 1961: "Non sono ancora un martire, anche se la speranza mi rimane. Temo che questa grande grazia non mi sarà donata.”

Nella stessa lettera, rivelava la sua ansia per i ribelli, che aderivano al movimento comunista: "". Temiamo per i 'compagni' ... Per questa paura chiediamo preghiere. Non per noi. Temiamo che le ideologie soffochino questa giovane e fiorente comunità e seminino l'odio in questi giovani cuori. Possa il Signore  rimuovere   questa terribile piaga!”

La notizia  della  morte di Patrice Lumumba,  ex primo  ministro del Congo (17 gennaio), complicava e metteva in pericolo la vita degli europei e dei missionari.

Padre Giovanni descriveva una sua avventura nella prigione di Fizi: "Per una notte (notte di carnevale) ho provato il piacere di dormire su una tavola posta sul pavimento di una stanza senza finestra, con una porta chiusa da tre lucchetti ... Al mattino loro (i militari) ci hanno costretto a spazzare il cortile e a pulire il bagno (ero con p. Aldo Vagni) ... Non ci picchiavano, ma ridevano di noi e ci calunniavano ... Ci condussero ​​a Baraka, dove alle 18:30 siamo stati liberi per celebrare la messa e abbiamo versato qualche lacrima  "(11 marzo 1961).

Il 15 gennaio 1962, osservava ancora: "L'ambiente è un po’ ostile. La politica ci ha resi odiosi per il colore della pelle. Devono vedere che li amiamo e che amiamo i loro bambini…. Dobbiamo distruggere alcuni pregiudizi..

Nessuno può dire: "Sono coraggioso, non ho paura". Ma si diventa coraggiosi nel riconoscere la paura che è in noi e aiutare la nostra umanità a non arrendersi. I buoni motivi per vivere sono anche i motivi per morire.

Padre Didoné nutrì spesso nel suo cuore la possibilità del martirio. Già il 15 settembre 1960, a Kiliba, scrisse: "Forse il Signore non ci ritiene degni di soffrire per una così bella causa?».

E, come sopra è stato già riferito, al catechista Raffaele, il 9 novembre 1964, 19 giorni prima della sua morte scriveva: "Non pensate che i padri andranno a casa. Lo sai bene, i padri preferiscono morire nella loro missione. Morire piuttosto che abbandonare la missione!”

"Non preoccupatevi di noi!"

Nell'anno 1964 iniziava la rivolta di Mulele, il leader rivoluzionario dei Simba, cioè dei ribelli marxisti. Rapidamente la rivoluzione si diffondeva nell'est del paese: nella pianura del Ruzizi (15 aprile), a Uvira (15 maggio), nell’Ubembe (25 maggio). Ha avuto le sue vittime tra cui: tre missionari belgi (23 gennaio), il provinciale dei Maristi (30 giugno), quattro missionari comboniani (24 novembre) …

A Uvira, quando la città è stata occupata dai ribelli, il vescovo, i missionari e le suore sono stati rinchiusi come ostaggi nel vescovado. Saranno rilasciati il ​​7 ottobre, per opera di un intervento armato.

P. Giovanni scriveva la sua ultima lettera al superiore dei Saveriani il 9 novembre e dava la notizia della situazione della zona e dei confratelli: "Le autorità non vogliono che noi siamo disturbati. Abbiamo paura solo di quelli che si ubriacano e si drogano. A Baraka sono presenti p. Luigi Carrara e il fratello Vittoro Faccin, qui a Fizi, io e padre Joubert. Da Nakiliza non abbiamo notizie. I PP. Cammorani e Veniero sono vivi e hanno molti problemi ... Noi stiamo bene.  Pregate per noi. Date notizie alle nostre famiglie. Restiamo tutti tranquilli. Sappiamo parlare per difenderci e la grazia di Dio non ci manca.”

Ma la sera del 28 novembre, arrivò il generale Abedi Masanga, con la sua jeep, alle ore 18. L'auto si fermò davanti alla casa dei padri e Abedi, disceso dal suo veicolo, chiamò ad alta voce il Padre. Padre Giovanni uscì e si diresse verso il soldato, che aveva puntato contro di lui il revolver. Venne colpito da un proiettile sulla fronte. Cadde a terra senza un grido di dolore, ai piedi di una pianta di papaie. L’abbé Joubert esce pure lui dietro padre Giovanni. Ha giusto il tempo di realizzare, prova a deviare di lato senza sapere dove, è tutto buio. Non fa che muovere pochi passi, viene colpito dalla stessa arma e cade senza vita accanto al suo parroco.

P. Giovanni, in occasione della sua prima Messa, pregava così: "Al Padre celeste, il dono della perseveranza finale; al Figlio, il dono di un dolcissimo amore a Maria; allo Spirito Santo, il dono del martirio, il più grande dei doni ". Gli è stato concesso.

Giuseppe Dovigo

Giuseppe Dovigo sx
30 janeiro 2024
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