“Sei parte della mia famiglia perché mi hai portato un pezzo di mio figlio”.
Queste sono le parole che mi sono sentito dire da una madre marocchina quando le ho portato notizie del figlio rinchiuso nel carcere di Parma.
*Per questo articolo useremo nomi fittizi nel rispetto della privacy delle persone coinvolte in questa storia.
Abdoul ha 22 anni. È stato arrestato 8 mesi fa, tempo durante il quale non ha potuto avere nessun contatto con la madre che vive in Marocco. Condannato per spaccio di stupefacenti gli è stato vietato ogni comunicazione con l’esterno.
Ho incontrato Abdoul due settimane prima di andare in Marocco per lavorare su un documentario come parte del gruppo MissioNET.
Da ottobre, ogni settimana, visito i carcerati della prigione di Parma insieme alla sorella Saveriana, Anna Vergani.
“Abdoul, sai che tra poco andrò nel tuo paese?”, gli ho detto in uno dei nostri incontri settimanali. “Y adonde vas?” mi ha risposto in spagnolo, chiedendomi la città esatta che andavo a visitare.
“Ti prego devi incontrare mia mamma”, mi ha detto Abdoul saltando di gioia da un lato all’altro della stanza al centro del reparto di media sicurezza, “Lei vive in quella zona”.
Abdoul ed io non potevamo credere che io sarei andato proprio a Fnideq, la stessa città da cui lui proveniva e la stessa zona in cui si trovano i nostri confratelli Saveriani da quattro anni. Fnideq conta 77.000 abitanti e i due Saveriani sono gli unici cristiani in un paese dove il 99% degli abitanti è musulmano.
Dopo qualche settimana dall’incontro con Abdoul, Anna è riuscita ad avere il numero di sua madre, contattando il suo avvocato.
Ed è così che ci siamo incontrati.
È capitato durante il mese di Ramadan, un tempo sacro per i musulmani dove digiunano, pregano e fanno elemosina. In questo periodo, il ritmo della vita cambia completamente. Si digiuna dall’alba al tramonto e tutta la vita scorre più lentamente dando più spazio alla preghiera e allo studio del Corano.
Fatima, la mamma di Abdoul, mi ha invitato a un Iftar, la rottura del digiuno che i musulmani fanno ogni giorno del Ramadan dopo il tramonto del sole.
Insieme con Rolando Ruiz, uno dei Saveriani residenti a Fnideq e a Gabriel Arroyo con cui lavoriamo nel gruppo MissioNET siamo partiti per incontrare questa donna.
Il mio cuore era pieno di trepidazione.
Non potevo credere che questo stesse davvero per accadere.
È stato uno degli incontri più belli e forti che io abbia mai vissuto.
Fatima indossava l’hijab, il velo tradizionale che usano le donne musulmane per coprirsi il capo. Eravamo nel ristorante dove lavorava.
Non ci sono stati abbracci o baci sulle guance, come suole la consuetudine del posto. Ma Fatima ci ha ricevuto con un bellissimo sorriso.
Ci ha fatto strada verso un tavolo a noi riservato e ad ogni segnaposto si attendeva un piatto con alcuni datteri, un uovo sodo e un bicchiere di latte, tutti elementi tipici della rottura del digiuno durante il mese di Ramadan.
Appena seduti al tavolo c’è stato un momento di presentazioni.
Rolando traduceva la nostra conversazione dal Darija allo spagnolo e a volte anche uno dei camerieri si avvicinava per darci una mano per intenderci tra di noi.
Dopo un primo momento per entrare in confidenza, Fatima mi ha chiesto, “Abdoul come sta? Sai quando uscirà di prigione?”
Io le ho raccontato del fatto che ci incontriamo una volta alla settimana, che Abdoul sta bene e che mi sembra un ragazzo pieno di energie e con un carattere gioioso che non si abbatte facilmente.
“È mio figlio!” ha risposto lei, confermando la descrizione che le avevo fatto di suo figlio.
Non potrò mai dimenticare la gioia negli occhi di Fatima.
Era la gioia di una mamma che riceveva notizie da suo figlio che se n’era andato di casa quando aveva soltanto 16 anni. Abdoul aveva attraversato a nuoto il golfo tra Fnideq e Ceuta, una parte di Marocco che amministrativamente fa parte della Spagna. Dopo essere stato detenuto nei centri minorili per migranti, si è spostato in Spagna lavorando come barbiere. Entrato in Italia gli è stato offerto un lavoro facile.
“Ho sbagliato”, mi dice Abdoul ogni volta che lo vado a trovare. “So che non dovevo finire qui. La vita vera è là fuori e non vedo l’ora di uscire”.
Abbiamo trascorso due ore insieme ad Fatima.
Il canto che veniva dalla moschea, richiamando alla preghiera, accompagnava la nostra conversazione che sembrava imbevuta dalla presenza di Dio che si incontrava su quel tavolo come un ponte tra due mondi così distanti.
Due ore sono bastate per farmi comprendere quanto sia piccolo il mondo. E quanto il sogno del nostro fondatore di “Fare del mondo una sola famiglia” sia già una realtà. Noi dobbiamo solo aprire gli occhi per rendercene conto e per cogliere tutte le occasioni per crescere nella comunione e nella fraternità umana.
Ci siamo proposti di accompagnare Fatima a casa.
Si è sentita così in confidenza con noi che ha accettato.
Fatima quella sera ha rotto tanti tabù per una donna musulmana: ha preso l’iniziativa nell’invitare un uomo a cena, ha deciso di cenare con tre uomini in un luogo pubblico, e ha accettato di farsi accompagnare a casa da tre sconosciuti.
Tutte cose che una donna musulmana non avrebbe mai scelto di fare a meno che questi uomini non gli avessero permesso, anche solo per un attimo, di rincontrare suo figlio.
Lasciando Fatima davanti al portone di casa sua le ho dato un abbraccio. Ho dimenticato per un attimo i tabu e le consuetudini del mondo musulmano. Quello non era il tempo per farsi troppe domande. Era il tempo di far sentire la presenza di un figlio ad una madre a cui mancava tanto.
Rolando aveva detto a me e a Gabriel che uno degli scopi principali della presenza Saveriana in Marocco è quello di essere ponte tra il mondo cristiano e quello musulmano.
“Voi siete stati questo ponte”, ci ha detto Rolando, “l’ho visto questa sera, incontrando questa donna”.
Building bridges: from Parma prison to Morocco
By Pietro Rossini, SX
"You’re part of my family because you brought me a piece of my son".
These are the words I heard from a Moroccan mother when I brought her news of her son imprisoned in Parma, Italy.
*For this article we will use fictitious names respecting the privacy of the people involved in this story.
Abdoul, 22, was arrested eight months ago, during which time he could not have any contact with his mother living in Morocco. Convicted of drug dealing, he was banned from communicating with the outside world.
I met Abdoul two weeks before going to Morocco to work on a documentary as part of the MissioNET group.
Since October, every week, I have visited the inmates of the prison of Parma together with the Xaverian Sister, Anna Vergani.
"Abdoul, you know I’m going to your country soon?" I told him at one of our weekly meetings. "Y adonde vas?" he replied in Spanish, asking me the exact city I was going to visit.
"Please meet my mom," Abdoul told me, jumping with joy from side to side of the room in the middle of a room in the middle-security department, "She lives in that area".
Abdoul and I could not believe that I would go to Fnideq, the same city from which he came and the same area where our fellow Xaverians have been located for four years. Fnideq has 77,000 inhabitants and the two Xaverians are the only Christians in a country where 99% of the people are Muslim.
A few weeks after meeting with Abdoul, Anna managed to get her mother’s number, contact her lawyer.
And that’s how we met.
It happened during the month of Ramadan, a sacred time for Muslims when they fast, pray, and give alms. In this period, the rhythm of life changes completely. People fast from dawn to dusk and all life flows more slowly giving more space to prayer and the study of the Koran.
Fatima, Abdoul’s mother, invited me to an Iftar, the breaking of the fast that Muslims do every day of Ramadan after sunset.
Together with Rolando Ruiz, one of the Xaverians living in Fnideq, and Gabriel Arroyo with whom we work in the MissioNET group, we headed to meet this woman.
My heart was full of trepidation.
I couldn’t believe this was really going to happen.
It was one of the best and strongest encounters I’ve ever had.
Fatima wore the hijab, the traditional veil that Muslim women use to cover their heads. We were at the restaurant where he worked.
There were no hugs or kisses on the cheeks, as is the custom of the place. But Fatima received us with a beautiful smile.
She made her way to a table reserved for us. On top of the table, to each seat, there were some dates, a boiled egg and a glass of milk, all typical elements of the break of the fast during the month of Ramadan.
We sat and there was a moment of introductions.
Rolando translated our conversation from Darija into Spanish and sometimes even one of the waiters would come up to help us understand each other.
After a first moment to get acquainted, Fatima asked me, "Abdoul how is he? Do you know when he’s getting out of prison?"
I told her about the fact that we meet once a week, that Abdoul is well and that he seems to me a guy full of energy and with a joyful character that does not fall easily.
"He is my son!" she exclaimed, confirming the description I gave of her son.
I will never forget the joy in the eyes of Fatima.
It was the joy of a mother receiving news from her son who had left home when he was only 16. Abdoul swam across the gulf between Fnideq and Ceuta, a part of Morocco that is administratively part of Spain. After being detained in juvenile centres for migrants, he moved to Spain working as a barber. He entered Italy and was offered an easy job.
"I made a mistake," Abdoul tells me every time I visit. "I know I shouldn’t have ended up here. Real life is out there, and I can’t wait to get out".
We spent two hours together in Fatima.
The calling to prayer that came from the mosque accompanied our conversation that seemed imbued with the presence of God who we met on that table as a bridge between two worlds so distant.
Two hours was enough to make me realize how small the world is. And how our founder’s dream of "Making the world one family" is already a reality. We must only open our eyes to realize this and to seize all the opportunities to grow in communion and in human fraternity.
We set out to accompany Fatima home.
She felt so close to us that she accepted.
Fatima broke so many taboos for a Muslim woman that evening: she took the initiative in inviting a man to dinner, decided to dine with three men in a public place, and agreed to be accompanied home by three strangers.
All things a Muslim woman would never have chosen to do unless these men had allowed her, even for a moment, to meet her son again.
Dropping Fatima off at her place I hugged her.
I forgot for a moment the taboos and customs of the Muslim world. That wasn’t the time to ask too many questions. It was time to make a mother feel the presence of a child that she missed so much.
Rolando had told me and Gabriel that one of the main purposes of the Xaverian presence in Morocco is to be a bridge between the Christian and Muslim world.
"You were this bridge", Rolando told us, "I witnessed that tonight, meeting this woman".
Construir puentes: de la cárcel de Parma a Marruecos
Por Pietro Rossini sx
"Eres parte de mi familia porque me trajiste un pedazo de mi hijo".
Estas son las palabras que escuché de una madre marroquí cuando le llevé la noticia de que su hijo estaba encerrado en la cárcel de Parma.
*Usaremos nombres ficticios para este artículo por respeto a la privacidad de las personas involucradas en esta historia.
Abdoul tiene 22 años. Fue detenido hace 8 meses, tiempo durante el cual no pudo tener ningún contacto con su madre, que vive en Marruecos. Condenado por tráfico de drogas, se le prohibió comunicarse con el mundo exterior.
Conocí a Abdoul dos semanas antes de ir a Marruecos para trabajar en un documental como parte del grupo MissioNET.
Desde octubre, todas las semanas, visito a los reclusos de la cárcel de Parma junto con mi hermana javeriana, Anna Vergani.
"Abdoul, ¿sabes que pronto iré a tu país?", le dije en una de nuestras reuniones semanales. "¿Y adónde vas?", me respondió en español, preguntándome la ciudad exacta que iba a visitar.
"Por favor, tienes que conocer a mi mamá", me dijo Abdoul, saltando de un lado a otro de la habitación en medio de la sala de mediana seguridad, "ella vive en esa área".
Abdoul y yo no podíamos creer que yo fuera a ir a Fnideq, la misma ciudad de donde él venía y la misma zona donde nuestros hermanos javerianos están desde hace cuatro años. Fnideq tiene 77.000 habitantes y los dos javerianos son los únicos cristianos en un país donde el 99% de los habitantes son musulmanes.
Unas semanas después de conocer a Abdoul, Anna consiguió el número de su madre poniéndose en contacto con su abogado.
Y así fue como nos conocimos.
Sucedió durante el mes de Ramadán, un tiempo sagrado para los musulmanes donde ayunan, rezan y dan limosna. Durante este tiempo, el ritmo de vida cambia por completo. La gente ayuna desde el amanecer hasta el anochecer y toda la vida fluye más lentamente, dando más espacio a la oración y al estudio del Corán.
Fátima, la madre de Abdoul, me invitó a un Iftar, la ruptura del ayuno que los musulmanes hacen todos los días del Ramadán después de la puesta del sol.
Junto con Rolando Ruiz, uno de los javerianos que viven en Fnideq, y Gabriel Arroyo con quien trabajamos en el grupo MissioNET, nos propusimos conocer a esta mujer.
Mi corazón se llenó de inquietud.
No podía creer que esto realmente fuera a suceder.
Fue uno de los encuentros más hermosos y poderosos que he experimentado.
Fátima llevaba el hiyab, el velo tradicional que las mujeres musulmanas usan para cubrirse la cabeza. Estábamos en el restaurante donde trabajaba.
No hubo abrazos ni besos en las mejillas, como es costumbre en el lugar. Pero Fátima nos recibió con una hermosa sonrisa.
Nos condujo a una mesa reservada para nosotros y en cada marcador de posición esperábamos un plato con unos dátiles, un huevo duro y un vaso de leche, todos elementos típicos de romper el ayuno durante el mes de Ramadán.
Tan pronto como nos sentamos a la mesa, hubo un momento de presentaciones.
Rolando tradujo nuestra conversación del darija al español y a veces incluso uno de los camareros se acercaba para ayudarnos a entendernos.
Después de un primer momento para conocernos, Fátima me preguntó: "¿Cómo está Abdoul? ¿Sabes cuándo va a salir de la cárcel?
Le hablé de que nos reunimos una vez a la semana, que Abdoul está bien y que me parece un tipo lleno de energía y con un carácter alegre que no se deprime fácilmente.
"¡Es mi hijo!", respondió, confirmando la descripción que le había dado de su hijo.
Nunca olvidaré la alegría en los ojos de Fátima.
Era la alegría de una madre que recibe noticias de su hijo que se había ido de casa cuando solo tenía 16 años. Abdoul había cruzado a nado el golfo entre Fnideq y Ceuta, una parte de Marruecos que administrativamente forma parte de España. Tras ser detenido en centros de menores para migrantes, se trasladó a España para trabajar como barbero. Cuando entró en Italia, le ofrecieron un trabajo fácil.
"Cometí un error", me dice Abdoul cada vez que lo visito. "Sé que se suponía que no debía terminar aquí. La vida real está ahí fuera y no puedo esperar para salir".
Pasamos dos horas juntos en Fátima.
El canto que venía de la mezquita, llamando a la oración, acompañaba nuestra conversación que parecía estar impregnada de la presencia de Dios que se encontraba en esa mesa como un puente entre dos mundos tan distantes.
Dos horas fueron suficientes para darme cuenta de lo pequeño que es el mundo. Y hasta qué punto el sueño de nuestro fundador de "Hacer del mundo una familia" ya es una realidad. Basta con abrir los ojos para darnos cuenta de ello y aprovechar todas las oportunidades para crecer en la comunión y en la fraternidad humana.
Le propusimos acompañar a Fátima a casa.
Se sintió tan cerca de nosotros que aceptó.
Esa noche, Fátima rompió muchos tabúes para una mujer musulmana: tomó la iniciativa de invitar a cenar a un hombre, decidió cenar con tres hombres en un lugar público y aceptó que la acompañaran a casa tres extraños.
Todas las cosas que una mujer musulmana nunca habría elegido hacer a menos que estos hombres le permitieran, aunque solo fuera por un momento, volver a encontrarse con su hijo.
Dejando a Fátima en la puerta de su casa, le di un abrazo. Olvidé por un momento los tabúes y costumbres del mundo musulmán. No era el momento de hacer demasiadas preguntas. Era el momento de hacer sentir la presencia de un niño por parte de una madre que tanto lo extrañaba.
Rolando nos había dicho a Gabriel y a mí que uno de los principales propósitos de la presencia javeriana en Marruecos es ser un puente entre el mundo cristiano y el musulmán.
"Ustedes han sido este puente", nos dijo Rolando, "yo lo vi esta noche, conociendo a esta mujer".
Construire des pontes : de la prison de Parme au Maroc
« Tu fais partie de ma famille parce que tu m’as apporté un morceau de mon fils. » Ce sont les paroles que j’ai entendues d’une mère marocaine lorsque je lui ai apporté des nouvelles de son fils enfermé dans la prison de Parme.
*Nous utiliserons des noms fictifs pour cet article par respect pour la vie privée des personnes impliquées dans cette histoire.
Abdoul a 22 ans. Il a été arrêté il y a 8 mois, période pendant laquelle il n’a pas pu avoir de contact avec sa mère qui vit au Maroc. Condamné pour trafic de stupéfiants, il lui est interdit de communiquer avec l’extérieur.
J’ai rencontré Abdoul deux semaines avant de partir au Maroc pour travailler sur un documentaire au sein du groupe MissioNET.
Depuis le mois d’octobre, chaque semaine, je rends visite aux détenus de la prison de Parme avec ma sœur xavérienne, Anna Vergani.
« Abdoul, sais-tu que je pars bientôt dans ton pays ? », lui ai-je dit lors d’une de nos réunions hebdomadaires. « Y adonde vas ? » m’a-t-il répondu en espagnol, me demandant quelle ville exacte j’allais visiter.
« S’il te plaît, tu dois rencontrer ma mère », m’a dit Abdoul, sautant d’un côté à l’autre de la pièce au milieu de la salle à sécurité moyenne, « Elle habite dans ce quartier. »
Abdoul et moi n’arrivions pas à croire que j’irais à Fnideq, la même ville d’où il venait et la même région où nos confrères xavériens se trouvent depuis quatre ans. Fnideq compte 77 000 habitants et les deux Xavériens sont les seuls chrétiens dans un pays où 99% des habitants sont musulmans.
Quelques semaines après avoir rencontré Abdoul, Anna a réussi à obtenir le numéro de sa mère en contactant son avocat.
Et c’est comme ça qu’on s’est rencontrés.
Cela s’est passé pendant le mois de Ramadan, une période sainte pour les musulmans où ils jeûnent, prient et font l’aumône. Pendant ce temps, le rythme de vie change complètement. Les gens jeûnent de l’aube au crépuscule et toute vie s’écoule plus lentement, donnant plus d’espace à la prière et à l’étude du Coran.
Fatima, la mère d’Abdoul, m’a invitée à un Iftar, la rupture du jeûne que les musulmans font tous les jours du Ramadan après le coucher du soleil.
Avec Rolando Ruiz, l’un des Xavériens vivant à Fnideq, et Gabriel Arroyo avec qui nous travaillons dans le groupe MissioNET, nous sommes partis à la rencontre de cette femme.
Mon cœur était rempli d’appréhension.
Je n’arrivais pas à croire que cela allait vraiment arriver.
Ce fut l’une des rencontres les plus belles et les plus puissantes que j’aie jamais vécues.
Fatima portait le hijab, le voile traditionnel que les femmes musulmanes utilisent pour se couvrir la tête. Nous étions dans le restaurant où il travaillait.
Il n’y a pas eu d’accolades ou de baisers sur les joues, comme c’est la coutume dans l’endroit. Mais Fatima nous a reçus avec un beau sourire.
Il nous a ouvert la voie vers une table qui nous était réservée et à chaque place de remplacement, nous attendions une assiette avec des dattes, un œuf dur et un verre de lait, tous des éléments typiques de la rupture du jeûne pendant le mois de Ramadan.
Dès que nous fûmes assis à table, il y eut un moment de présentation.
Rolando traduisait notre conversation de Darija en espagnol et parfois même l’un des serveurs venait nous aider à nous comprendre.
Après un premier moment pour faire connaissance, Fatima m’a demandé : « Comment va Abdoul ? Savez-vous quand il sortira de prison ?
Je lui ai parlé du fait qu’on se voit une fois par semaine, qu’Abdoul va bien et qu’il me semble être un gars plein d’énergie et avec un caractère joyeux qui ne se laisse pas abattre facilement.
« C’est mon fils ! » me répondit-elle, confirmant la description que je lui avais faite de son fils.
Je n’oublierai jamais la joie dans les yeux de Fatima.
C’était la joie d’une mère recevant des nouvelles de son fils qui avait quitté la maison alors qu’il n’avait que 16 ans. Abdoul avait traversé à la nage le golfe entre Fnideq et Ceuta, une partie du Maroc qui fait administrativement partie de l’Espagne. Après avoir été détenu dans des centres pour mineurs pour migrants, il a déménagé en Espagne pour travailler comme barbier. Lorsqu’il est entré en Italie, on lui a offert un emploi facile.
« J’ai fait une erreur », me dit Abdoul à chaque fois que je lui rends visite. « Je sais que je n’étais pas censée m’arrêter là. La vraie vie est là-bas et j’ai hâte d’en sortir.
Nous avons passé deux heures ensemble à Fatima.
Le chant qui venait de la mosquée, appelant à la prière, accompagnait notre conversation qui semblait imprégnée de la présence de Dieu qui se rencontrait sur cette table comme un pont entre deux mondes si éloignés.
Deux heures m’ont suffi pour me faire réaliser à quel point le monde est petit. Et combien le rêve de notre fondateur de « Faire du monde une seule famille » est déjà une réalité. Il suffit d’ouvrir les yeux pour s’en rendre compte et saisir toutes les occasions de grandir dans la communion et la fraternité humaine.
Nous avons proposé de raccompagner Fatima chez elle.
Elle s’est sentie si proche de nous qu’elle a accepté.
Ce soir-là, Fatima a brisé de nombreux tabous pour une femme musulmane : elle a pris l’initiative d’inviter un homme à dîner, elle a décidé de dîner avec trois hommes dans un lieu public et elle a accepté d’être accompagnée chez elle par trois inconnus.
Toutes choses qu’une femme musulmane n’aurait jamais choisi de faire si ces hommes ne lui avaient pas permis, ne serait-ce qu’un instant, de revoir son fils.
En laissant Fatima à la porte d’entrée de sa maison, je l’ai serrée dans mes bras. J’ai oublié un instant les tabous et les coutumes du monde musulman. Ce n’était pas le moment de poser trop de questions. C’était le moment de faire sentir la présence d’un enfant à une mère qui lui manquait tant.
Rolando nous avait dit, ainsi qu’à Gabriel, que l’un des principaux objectifs de la présence xavérienne au Maroc était d’être un pont entre les mondes chrétien et musulman.
« Vous avez été ce pont, nous dit Rolando, je l’ai vu ce soir, en rencontrant cette femme. »
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