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Inizio Anno Giubilare Saveriano - Omelia

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«Sia da tutti conosciuto e amato nostro Signore Gesù Cristo»

Ringraziamo il Signore che ci convoca in questo giorno speciale per tutti noi.  Lo ringraziamo per la sua Parola che abbiamo appena ascoltato e che ai nostri cuori suona così appropriata, così particolare, così certa. La profezia di Isaia sull’avvento del regno di Dio, la consapevolezza di Paolo che si presenta – allo stesso tempo – come un grande e fragile missionario; il mandato missionario di Gesù – raccontato dall’evangelista Marco – che con fiducia e speranza affida il Vangelo a quegli apostoli ancora indecisi e paurosi… Questi testi sono proprio per noi, oggi, qui.

Vogliamo immaginare Mons. Conforti un giorno come oggi, cento anni fa, inviando la Quinta Lettera Circolare, chiamata poi Lettera Testamento, «Ai carissimi Missionari presenti e futuri della Pia Società di S. Francesco Saverio per le Missioni Estere». Sappiamo che lo scopo di questa lettera era quello di comunicare l’approvazione definitiva delle nostre prime Costituzioni da parte del dicastero romano. In essa, anzitutto invitava «a ringraziare il Signore», e allo stesso tempo richiamava l’attenzione «sopra l’impegno grave e solenne che noi veniamo ora a contrarre per esso dinanzi a Dio ed alla sua Chiesa» (LT 1). Era il 2 luglio 1921.

Oggi ci troviamo qui, in questo santuario della nostra Casa Madre, in unione spirituale, anche attraverso lo streaming, con tutti i nostri confratelli sparsi nel mondo saveriano, con le sorelle Saveriane e le sorelle Giuseppine, con i laici saveriani, e con tutti i nostri famigliari, benefattori e amici. Oggi, facciamo memoria di questo momento storico della nostra Famiglia, e diamo inizio a quest’anno di grazia, un anno giubilare che si concluderà il 2 luglio 2021.

Isaia, Gesù, gli apostoli, Paolo, Francesco Saverio, Guido M. Conforti… (e tanti, tanti altri): sono i nostri legami forti che ci dicono che siamo parte di una storia. Facciamo memoria per non sradicarci dal terreno che ci nutre, dalle radici sane e forti che ci hanno generato. Facciamo memoria perché non possiamo rischiare di diventare estranei a noi stessi. E, come ha detto papa Francesco in questi giorni, “la memoria non è una cosa privata, ma è la via che ci unisce a Dio e agli altri”.

Tre sono i punti che vorrei sottolineare durante questa omelia: ringraziare il Signore; riconoscere le nostre debolezze, i nostri peccati; e una parola di speranza che potremmo riassumere nell’espressione: ripartenza.

  • Ringraziare il Signore. Tanti sono i motivi che abbiamo per dire grazie a Dio, dal profondo del nostro cuore. Il ringraziamento scaturisce dalla consapevolezza del dono e del bene ricevuto. La nostra storia è segnata dalla presenza continua di Dio. Siamo frutto del dono di Dio! Con un cuore pieno di gioia e riconoscenza diciamo: grazie, Signore!

Grazie innanzitutto per il dono della fede, perché abbiamo conosciuto Gesù Cristo, per la sua Parola di Vita, perché abbiamo sentito i nostri i nomi sulle sue labbra. È vero, come abbiamo appena ascoltato, che Gesù rimprovera i suoi discepoli «perché avevano avuto poca fede e si ostinavano a non credere a quelli che lo avevano visto risuscitato». La fede, pur nei nostri dubbi e incertezze, è il più grande dono che Dio ci fa. Siamo discepoli del Signore Gesù!

Grazie a Gesù Cristo, l’icona del Padre, per la fiducia che ha messo in noi, così poveri e fragili. Ci ha affidato il suo mandato missionario: «Andate in tutto il mondo e portate il messaggio del Vangelo ad ogni creatura». Ce l’ha affidato e quindi ci ha associati a lui. Siamo diventati così, per pura grazia divina, discepoli-missionari del Signore Gesù.

Grazie per questi 125 anni di vita del nostro Istituto missionario. Grazie per l’approvazione delle prime Costituzioni da parte della Chiesa. «V’invito ad esultare ed a ringraziare il Signore per questo fatto che è per noi argomento non dubbio della santità ed opportunità della Istituzione, alla quale abbiamo dato il nome» (LT 1). Il sogno del Conforti, da tempo coltivato nel suo cuore, veniva riconosciuto come ispirato dallo Spirito e voluto da Dio stesso. Approvando le Costituzioni, la Chiesa ci ha affidato ufficialmente, insieme ad altri Istituti e Congregazioni missionarie, una particolarità ben specifica dell’unica missione di Gesù Cristo: la missione ad Gentes. Affidare vuol dire dare fiducia.

Grazie per i confratelli che, iniziando da Mons. Conforti, fino agli ultimi che ci hanno lasciato - pensiamo in particolare ai confratelli deceduti, vittime del Covid-19 - hanno offerto la loro vita, in un modo o in un altro, perché «Gesù Cristo sia conosciuto e amato». È interessante ricordare come sono partiti per la missione tanti confratelli, in quali condizioni, le difficoltà incontrate … e come hanno fatto di «quel luogo» l’epifania del Signore. I cimiteri sparsi nelle differenti Circoscrizioni dove riposano molti di questi nostri confratelli sono testimoni del dono totale della loro vita.

Una menzione particolare va data ai nostri confratelli martiri. Essi sono l’espressione più chiara e significativa del carisma saveriano. Il dono della loro vita, in Cina, nella Repubblica Democratica del Congo, in Bangladesh, in Brasile e in Burundi, manifesta l’eloquenza della vocazione missionaria.

Grazie anche per tutti noi, quanti oggi formiamo la Famiglia saveriana. I confratelli sparsi nei quattro continenti, le Sorelle Missionarie di Maria-Saveriane, le sorelle Giuseppine, i laici saveriani, e tutta la rete di parenti, amici e benefattori che ci accompagnano e che sono parte della missione di evangelizzazione ad Gentes affidataci dalla Chiesa.

La missione continua grazie a tanti confratelli, sorelle e laici che testimoniano con la loro vita, giorno dopo giorno, spesso in maniera discreta e quasi anonima, lì dove si trovano, la passione di Dio per l’umanità. La manifestano attraverso l’annuncio diretto del Vangelo ai non cristiani, la promozione sociale, la difesa della vita e del creato, nel dialogo/incontro interreligioso e interculturale, nella denuncia profetica di ciò che nega Dio … Per questo ringraziamo profondamente il Signore.

  • Riconoscere le nostre debolezze, i nostri peccati. Essi sono parte della nostra vita e della nostra storia. Sono quelle realtà personali, comunitarie, istituzionali che impediscono l’azione di Dio. Sono un ostacolo alla manifestazione dell’amore di Dio. Lontano da noi il voler fare dei giudizi. Solo Dio conosce ciò che c’è nel profondo del cuore umano. Vogliamo però mettere queste nostre debolezze davanti al Signore; lasciare che ci guardi con amore per poter ripartire (continuare il nostro cammino) con un cuore pentito e pieno di riconoscenza. È necessario essere consapevoli dei nostri peccati, perché solo chi si rende conto di ciò che è realmente può aprirsi all’azione dello Spirito con un desiderio di conversione. Inoltre, qui è importante ricordare che formiamo un’unica realtà, un solo corpo, e quindi ciò che fa un membro coinvolge, in modo positivo o negativo, l’intero corpo. Per questo, davanti al Signore, vediamo insieme questa realtà di fragilità che ha diverse manifestazioni. Ne indico alcune.
  • Un modo di essere e di fare individualista. «Un difetto che appare molto diffuso e causa della maggior parte delle difficoltà è l’individualismo», scriveva la DG nel 1990, nella sua Lettera, Esigenze della nostra vocazione missionaria. Trent’anni dopo, dobbiamo riconoscere che l’individualismo continua ad essere presente nella vita della nostra Famiglia. Lo si vede nell’eccesso di protagonismo, nel fare per conto proprio senza coinvolgere gli altri e senza informare, nel procedere in solitario al punto da considerare i confratelli e la comunità un ostacolo alla propria realizzazione. Come abbiamo scritto nella nostra Lettera, alla base di tutto questo c’è l’IO (l’EGO), in maiuscolo.

Si fa fatica a morire al proprio io per nascere al noi. Si preferisce andare avanti come se uno fosse eterno. A volte si nota molto chiaramente l’atteggiamento di chi non si sente o non vuole sentirsi parte di un progetto comunitario, di un processo che si fa insieme, che richiede tempi di ricerca, di riflessione e discernimento. Si va avanti, staccati dal Corpo pur rimanendo nel Corpo. Tutto ciò ha un’incidenza diretta e negativa sulla qualità della vita comunitaria. L’abbiamo scritto chiaramente anche nella lettera per il Giubileo: l’individualismo è espressione di un discepolato mancato (cfr. Mc 8,34).

  • L’ ad gentes. Gli ultimi Capitoli Generali hanno denunciato chiaramente un calo della passione nella nostra Famiglia per il primo annuncio, facendo ripetuti appelli per un riposizionamento urgente delle nostre presenze missionarie. Buona parte delle nostre attività sono ancora rivolte a persone e gruppi umani già raggiunti da una prima evangelizzazione. Ci dedichiamo ancora ad attività pastorali generiche, forse più gratificanti ma certo meno cariche di spinta profetica. Il calo della passione per la missione ad gentes è dovuto alla diminuzione dell’intensità della vita di fede. Questa, a sua volta, ha come conseguenza la ricerca di una certa comodità, la preferenza per rimanere con quello che si conosce e dove si è, e quindi la poca disponibilità per ‘l’uscita abramica’.
  • Identità Saveriana. A volte si sente e si vede una relativizzazione di questa identità, cioè dell’unione inseparabile fra vita apostolica missionaria e vita religiosa, con i voti di povertà, obbedienza e castità, così come è stato voluto da Mons. Conforti. In alcuni, questa relativizzazione è teorizzata, in altri praticata apertamente, senza scrupoli né interrogativi. Si tratta di una vera e propria mutilazione del carisma: progetti personali, gestione privata dei mezzi senza rendere conto a nessuno, attaccamento a un luogo o a un’attività specifica, facendo mancare così la disponibilità necessaria che tiene conto del progetto saveriano nel suo insieme…
  • L’abuso di autorità. Mi riferisco a quella maniera di fare di chi, avendo ricevuto la fiducia da parte della Chiesa e del nostro Istituto, invece di mettersi al servizio degli altri come Gesù ci indica, abusa di questa fiducia utilizzandola come potere per dominare, per imporre, per corrompere e agire senza rendere conto alcuno a coloro che ci hanno affidato questa responsabilità. L’abuso di autorità riguarda tutti gli ambiti della nostra vita: il modo di pensare, di parlare, di agire, di gestire le nostre relazioni affettive, l’utilizzo “privato” dei mezzi materiali ed economici … E ciò spesso si fa pesare “sulle spalle” dei destinatari della nostra azione missionaria.
  • La vita di preghiera personale e comunitaria. Dovrebbe essere la nostra prima attività, sostegno della nostra fedeltà e impegno apostolico (C 43). Si vede una carenza, sia a livello personale come comunitario. A volte ci si conforma con il minimo, minimo. «Se un albero è buono, fa frutti buoni» (Mt 7,17). Senza una vera vita de preghiera non c’è vita cristiana, e ancora meno vita consacrata. Si va verso la mondanità, diventando funzionari e separando la sfera pubblica da quella privata.
  • Una parola di speranza sotto il nome di ripartenza.

Il cammino che il Capitolo Generale del 2013 proponeva alla nostra Famiglia, era un invito a ripartire, a ristrutturare, a riposizionarci, tenendo presente l’esempio del Fondatore visto nelle sue innumerevoli ripartenze. (Di questa caratteristica di Mons. Conforti, ce ne aveva parlato anche don Angelo Manfredi, nel convegno sulla Spiritualità Saveriana del 2006). Come Famiglia missionaria, stiamo cercando di ripartire e di riposizionarci con fatica, ma anche con coraggio. Lo facciamo con gli occhi della fede che ci aiuta ad interpretare le sfide del mondo con fiducia, speranza e creatività, al di là delle nostre fragilità personali o di Istituto.  

Ripartire,

  • Innanzitutto dalla nostra identità specifica nella Chiesa: siamo una Famiglia missionaria chiamata da Dio a consacrargli la nostra vita per la missione ad Gentes, uscendo dalla propria terra, cultura e Chiesa di origine. È la nostra identità nella Chiesa.
  • Dalle nostre radici: dall’amore di Dio per ognuno di noi: è Dio che ci ha amati per primo (1 Gv 4,10). Ripartire dal primo amore: «erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39); ripartire dall’unione intima con il Signore Gesù come il tralcio è unito alla vite (Gv 15,5).
  • (Ripartire) Dal “sogno” di Dio, dal banchetto messianico di cui Isaia ci ha parlato nella prima lettura, dal regno di Dio. Avere nelle nostre menti e nei nostri cuori le parole di Mons. Conforti: portare il «nostro povero contributo all’avveramento del vaticinio di Cristo, auspicante la formazione di una sola famiglia cristiana, che abbracci l’umanità» (LT 1). Fare del mondo una sola Famiglia in Cristo. È questo ideale che mette in movimento la forza divina che lo Spirito di Dio deposita in noi. Quando non c’è ideale non c’è Dio, e quindi non c’è vita.

Per ripartire, queste sono le necessarie condizioni:

  • Chiarezza carismatica. Il carisma, come dono dello Spirito alla sua Chiesa, va vissuto nella sua totalità e integrità. Non c’è posto per la riduzione del carisma, per il suo adattamento ai “bisogni” personali. È un carisma, è un dono, è una vocazione. E l’amiamo come l’identità personale che il Signore ha dato a ciascuno di noi.
  • Aprire le porte, come è successo ai discepoli riuniti nel Cenacolo: lasciarsi guidare dallo Spirito per andare a vivere e rimanere nei contesti, luoghi e situazioni esistenziali dove Gesù non è ancora conosciuto né amato (Mc 16,15-20). C’è bisogno di sconfiggere la paura, di allontanare gli equilibri umani, quei sì… ma; sì…però….
  • Lasciare le sicurezze mondane per affidarsi totalmente alla provvidenza di Dio Padre che si prende cura degli uccelli del cielo e degli animali della terra (Mt 6,25-33).
  • Lasciare quegli spazi, strutture, campi di lavoro, impegni apostolici che non sono più nostri, perché semplicemente non sono più al servizio della missione ad Gentes.
  • Coraggio apostolico, missionario, come quello che ha accompagnato tanti dei nostri confratelli e sorelle. Ma non dimentichiamo che questo coraggio è un dono dello Spirito, è frutto dell’unione con il Signore.
  • Smettere di pensare a se stessi (Mc 8,34), ai propri bisogni, alle preoccupazioni ossessive per la propria salute, alla ricerca del benessere e quindi della sicurezza… Gesù chiede ai suoi discepoli di smettere di pensare a se stessi (Mc 8,34). Quando la preoccupazione per l’IO è grande, allora non c’è più la fede e quindi non c’è più Dio. Si riduce la propria vita a un’opera umana. Un musulmano diceva in questi giorni: «Il Messia atteso dal popolo di Israele non si è presentato secondo le loro attese di potere e prestigio, ma è venuto per liberare il popolo dalla schiavitù dell’IO».
  • Persone innamorate, appassionate del Dio Amore e del suo progetto di salvezza per l’umanità. Passione che richiede il TUTTO: pensieri, parole, opere, sentimenti, cuore. Persone unificate intorno all’ideale di Dio. Nei nostri cuori, non ci dovrebbe essere posto neanche per una minima spaccatura (fessura).
  • Essere leggeri di equipaggio, esseri pronti per andare, come Abramo nostro padre nella fede, senza esitazioni e dubbi, ovunque il Signore ci indica di andare. La nostra vita è un cammino di fede, non è un camino umano. Per vocazione – cristiana e missionaria - siamo nomadi, non sedentari; esposti all’incertezza, alla precarietà e non in ricerca di sicurezze.
  • Amare la nostra Famiglia saveriana come la propria famiglia, e la missione che essa ha ricevuto da Dio; con i confratelli che il Signore mette sul nostro cammino nei differenti momenti della nostra vita, così come sono, per poter amarlo attraverso di loro.

Non c’è posto, nella nostra Famiglia, per la tiepidezza, i compromessi, lo scoraggiamento, la stanchezza esistenziale, l’indifferenza e, ancor meno, per la paura o per la doppia vita. Dio ci ha salvati in Gesù Cristo. Viviamo la gioia della salvezza di Dio, la gioia di chi ha incontrato il tesoro nascosto.

 

Oggi, nella nostra Famiglia, ci vogliono creatività, ricerca continua, condivisione, andare oltre i sentieri conosciuti. Ci vuole fraternità.

Che quest’anno giubilare sia un anno di grazia per la nostra Famiglia missionaria e quindi per ciascuno di noi. RIPARTIAMO con la stessa gioia e speranza che accompagnarono Mons. Conforti quando annunciò l’approvazione delle Costituzioni da parte dalla Santa Sede «ai carissimi missionari presenti e futuri della Pia Società di San Francesco Saverio per le Missioni Estere».

Sia da tutti conosciuto e amato nostro Signore Gesù Cristo.

San Francesco Saverio e San Guido Maria Conforti, pregate per noi.

 

2 luglio 2020

Parma, Casa Madre.

Fernando Garcia sx
02 July 2020
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