Tavernerio, 2-7 gennaio 2023
Il metodo è stato quello delle “Settimane” precedenti: vedere-giudicare-agire, con l’intreccio costante dei tre momenti.
VEDERE
Ogni giornata è stata aperta da una lectio sugli Atti degli apostoli, rispettivamente di Alessandro Gennari sui cc. 15 e 17 e di Silvia Zanconato sui cc. 10 e 28, con suggestioni interessanti per la trasformazione della missione.
1) Anzitutto, la riflessione sull’altro, che spesso genera indebite e inappropriate generalizzazioni e pregiudizi, paure e chiusure, fino all’aggressività, più o meno espressa, e al rifiuto; eppure, l’altro, se accolto positivamente, diventa occasione preziosa di conoscenza più profonda di sé e dei limiti-fragilità propri e altrui, per rimodellarsi in una maggior comprensione, tolleranza, compassione.
2) Poi, la considerazione su momenti e situazioni missionarie sperimentate come limite-confine, geografico e ancor di più personale. Non vedendo via d’uscita, spesso rischiamo di viverli come fallimenti e sconfitte. Anche i missionari della prima ora hanno vissuto esperienze analoghe, che però, affrontate con lo sguardo di Dio e lo Spirito del Signore crocifisso (fallito) e risorto, si sono paradossalmente trasformate in kairos, ovvero in occasioni provvidenziali per rinnovare la fiducia, la speranza (cfr. Cristiano Bettega) e il coraggio anche davanti al sacrificio supremo della vita, con frutti di conversione per le persone avvicinate.
3) E ancora, la constatazione che la comunità di Atti partecipava attivamente al discernimento della via della missione: interpellata da Pietro – il capo della Chiesa – davanti all’apertura ai pagani (Cornelio) e da Paolo, che osa affrontare la via sconosciuta e pericolosa del mare perché la Parola non interrompa la sua corsa fino a Roma, anzi fino agli estremi confini della terra, a costo del martirio. Se è vero che “un punto di vista è la vista da un punto”, allora solo più punti di vista condivisi possono rivelare un piano maggiore, magari grazie al contributo (spesso sottovalutato) del membro più insignificante, che osa nuove strade, proprio là dove l’abitudine a certi schemi di pensiero e pregiudizi impedisce di vedere e andare oltre, per navigare in mare aperto.
4) Infine, la considerazione sull’importanza della parola di Dio annunciata, e prima ancora ascoltata, accolta e meditata, dal missionario in comunità. Solo così la Parola offre la visione di Dio sulla realtà, varcando il limite, apparentemente insormontabile, che ci separa dall’altro, incontrato da dominatori (umiliandolo), o da inferiori (con timore di annunciare un Vangelo scomodo), o meglio da compagni di viaggio che camminano insieme, alla pari, curiosi di conoscere con simpatia il mondo dell’altro fratello e sorella di fronte.
GIUDICARE
La Parola è dunque luce ai nostri passi, visione di una complessità personale, comunitaria e sociale, mai compresa totalmente e sempre da discernere umilmente, secondo il disegno e lo sguardo di Dio. Da qui alcuni passaggi.
1) Anzitutto sulla parola di Dio che “purifica” la nostra cultura, offrendo criteri di valutazione dei nostri giudizi affrettati – pregiudizi –, del nostro agire missionario, ricordandoci che davanti a Dio ciascuno è fratello/sorella in cui Dio ha già seminato il suo Bene-Amore, anche in coloro che incontriamo e che non lo conoscono, ma praticano la giustizia e la carità. Come Pietro davanti a Cornelio, dobbiamo spesso ammettere – con non poca fatica! – di non esserci ancora resi conto, di essere ciechi, peggio ancora di non voler vedere i segni di speranza che si svelano attorno a noi, mentre rimaniamo chiusi nel pessimismo e nell’apatia: “Signore spiegaci queste parabole… il seme già seminato e che cresce da sé”.
2) Ma anche sui “barbari” di At 28,2 (“indigeni” nella traduzione Cei), incontrati provvidenzialmente dopo i nostri naufragi missionari, che ci trattano con “rara gentilezza”, che crediamo di “meritare” solo perché non ci rendiamo ancora conto che i veri barbari siamo noi. Noi, che ci reputiamo di civiltà “superiore” e giudichiamo l’altro dall’alto, pur conoscendo già la paternità-misericordia di Dio e il dono-mandato della fraternità universale! “Fra voi però non è così” (Mc 10,43).
3) Infine, sulle parole che pronunciamo e rivelano il nostro cuore, nel bene o nel male, donando o togliendo vita, guarendo o ferendo, creando comunione o distruggendola. Sappiamo che non basta cambiare parole, giocare con le parole: occorre piuttosto la metanoia – la conversione del cuore –, perché “la bocca parla dalla pienezza del cuore” (Mt 12,34). Siamo “annunciatori” solo perché abbiamo ricevuto il dono di incontrare e seguire il Signore. Solo la conversione ci apre la porta ad una vera “decolonizzazione”, intesa come processo di purificazione del nostro modo di pensare, parlare, agire, vincendo la tentazione di atteggiarci-crederci superiori, comandando, umiliando, creando asimmetria nel rapporto con l’altro. Paradossalmente questo può succedere anche quando lo lodiamo o esercitiamo la carità verso i poveri, che finiscono per essere schiavizzati in altre forme, più subdole, ma proprio per questo più umilianti e segreganti. Solo Gesù è Maestro in questo processo, mai del tutto compiuto, verso la “vera umiltà”, come affermazione piena della pari dignità di ciascun interlocutore (cfr. Gv 4: Gesù si fa assetato e bisognoso davanti a una donna, samaritana, per iniziarla a conoscere il Salvatore!). Da qui rinasce la Chiesa povera, umile e serva (cfr. Cristiano Bettega).
AGIRE
Gli spunti di riflessione sulle intense esperienze della missione in America latina (Stefano Raschietti), nel subcontinente indiano (Sergio Targa) e nell’Africa saheliana (Jesus Manuel Calero P.) con riferimento al mondo islamico, hanno tracciato in modo vivace e appassionato il crogiolo di tentativi, perplessità e tensioni, legati all’opera di evangelizzazione e delle comunità saveriane in loco. Al tempo stesso ci hanno spronato a riflettere più profondamente sul nostro inserimento in Europa, soprattutto con attenzione alle attuali emergenze (cfr. gli ultimi dossier di “Missione Oggi”, che aiutano a discernere e abitare profeticamente la crisi in atto) e la nostra presenza tra persone di altra cultura e fede.
1) Alla base di tutto, senza mai darlo per scontato, rimane necessario un lavoro di autentica e profonda conversione personale, purificando pensieri, atteggiamenti, abitudini, pre-giudizi, sentimenti profondi che generano distanza, dominio, superiorità e disprezzo, facendo sempre più nostri gli atteggiamenti del Signore Gesù: prossimità, servizio umile, bene-dizione nell’apprezzare il Bene già esistente, che precede il nostro arrivo e lavoro, compreso i beni immensi e stupendi dell’ambiente-creato (cfr. LS). Solo la com-unione con il Signore Gesù può operare tale cambiamento di prospettiva, guidandoci a conoscere meglio noi stessi e l’altro per amarlo, con-patire i suoi limiti come i nostri, e così sintonizzarci simpaticamente con il cuore dell’amico-fratello in cui ritroviamo Gesù stesso (Mt 25,31ss).
2) Qui e ora, nella nostra società plurale, la grande sfida lanciata dal Vangelo rimane l’accoglienza dell’altro, (dell’Altro nell’altro!), del diverso, nella sua unicità, ma in fondo bisognoso come noi e così radicalmente uguale a noi!
3) Gesù ci spinge oltre: donare-perdere la nostra vita nell’amicizia per ritrovarla, apprezzando l’unicità stupefacente di ciascuno e superando le fragilità, i limiti, le diversità di ogni genere che causano sospetto reciproco e divisione. Da qui alcune proposte concrete:
- piccoli passi di conoscenza reciproca, amicizia, condivisione, incontro, sfruttando le occasioni quotidiane, come il fare la fila assieme, gli incontri informali ecc.;
- fare attenzione al linguaggio, perché sia espressione del desiderio cordiale di incontro, di relazione che generi e sostenga la vita, soprattutto dei più umiliati; linguaggio che aiuti a ristabilire la giusta simmetria evangelica tra l’io e il tu in dialogo;
- inventare forme di incontro e dialogo a ogni livello: non esiste dialogo tra religioni, ma dialogo tra credenti (cfr. Gesù e la donna samaritana; Paolo che si è avventurato in mare aperto per portare il Vangelo; papa Francesco che ha aperto la strada di un dialogo nuovo con il grande imam Al Tayed);
- leggere i numeri (e i dossier) di “Missione Oggi” dedicati alle nuove emergenze per comprendere e abitare il nostro tempo;
- collaborare, con tutta la Famiglia carismatica saveriana, alla realizzazione di progetti, campi estivi, aprendosi anche alla cooperazione intercongregazionale, con esperienze sul territorio (per es. Suam, Missio Giovani);
- collaborare a iniziative di salvaguardia del creato;
- assumere sempre più uno stile di vita povero, sobrio, di servizio;
- impegnarsi a livello diocesano nell’animazione delle scuole a medio-lungo termine;
- sfruttare di più e meglio i nostri canali di comunicazione per diffondere nostre iniziative-eventi-riflessioni;
- impegnarsi a verifiche puntuali e sistematiche dei nostri impegni per rimanere in linea con quanto desiderato e proposto.
Insomma, senza cedere al facile irenismo, agli ostacoli che ci si parano davanti, alle paure, al sincretismo, al relativismo, al monologo dominante, al ritiro silenzioso davanti alla complessità del mondo, anche oggi ci è chiesto di riprendere coraggio, di lasciare “tutto” e seguire Gesù, affrontando il mare aperto con lui, gettare le reti con fiducia in lui, agendo sulla sua Parola! “Tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù” (2Cor 4,8-9), che vuole fare del mondo una sola famiglia di figli a gloria del Padre nello Spirito che è pienezza di vita, amore e gioia per tutti.
The transformation of the mission - In front of the other
Cultural Week (Tavernerio 2-7 January 2023)
The method was that of the previous "Weeks": namely, see-judge-act, with the constant interweaving of the three moments.
SEE
Each day was opened with a lectio on the Acts of the Apostles, respectively by Alexandro Gennari on chapters 15 and 17 and Silvia Zanconato on chapters 10 and 28 of the Acts of the Apostles, with interesting suggestions for the transformation of the mission.
1) First of all, reflection on the other, which often generates generalisations and abusive and inappropriate prejudices, fears and closures, even to the point of aggression, more or less expressed, and rejection; however, the other, if welcomed positively, becomes a precious opportunity for a deeper knowledge of oneself and one's own limits and those of others, in order to reshape oneself in a greater understanding, tolerance and compassion
2) Secondly, taking into account the missionary moments and situations experienced as limits, both geographical and even more personal. Seeing no way out, we often risk experiencing them as failures and defeats. Even the missionaries of the first hour had similar experiences which, however, in the face of the gaze of God and the Spirit of the crucified (failed) and risen Lord, were paradoxically transformed into kairos, that is, providential opportunities for renewing trust, hope (cf. Cristiano Bettega) and courage, even in the face of the supreme sacrifice of life, with fruits of conversion for the people approached.
3) And again, a look at the community of Acts actively participated in discerning the path of the mission: challenged by Peter - the head of the Church - in the face of the openness to the Gentiles (Cornelius) and by Paul, who dared to face the unknown and dangerous path of the sea so that the Word would not interrupt its course towards Rome, or even towards the ends of the earth, at the cost of martyrdom. If it is true that "a point of view is the view from a point", then only several shared points of view can reveal a larger plan, perhaps thanks to the (often underestimated) contribution of the most insignificant member, which opens up new paths, where the habit of certain thought patterns and prejudices prevents one from seeing and going beyond, in order to sail the open sea.
4)Finally, the consideration of the importance of the Word of God proclaimed, and before that heard, welcomed and meditated upon, by the missionary in community. Only in this way does the Word offers God's vision of reality, crossing the seemingly insurmountable boundary that separates us from the other, encountered as a dominator (humiliating him), or as an inferior (fearing to proclaim an uncomfortable Gospel), or rather as a fellow traveller walking together, as an equal, curious to know the world of the other brother or sister in front of him or her with sympathy.
JUDGE
The Word is therefore a light on our steps, a vision of personal, community and social complexity, never totally understood and always to be discerned humbly, according to God's plan and gaze. Hence some passages.
1) First of all, on the word of God that "purifies" our culture, offering criteria to evaluate our -prejudices- judgements, of our missionary action, reminding us that before God each one is a brother/sister in whom God has already sown his Good-Love, even in those we meet who do not know him, but practice justice and charity. Like Peter before Cornelius, we often have to admit - without much effort! - that we have not yet realised, that we are blind, or worse still, that we do not want to see the signs of hope that are unveiled around us, while we remain locked in pessimism and apathy: "Lord, explain to us these parables... the seed that has already been sown and is growing by itself".
2) But also about the "barbarians" of Acts 28:2 ("natives" in the CEI translation), providentially encountered after our missionary shipwrecks, who treat us with a "rare kindness", which we believe we "deserve" only because we do not yet realise that we are the real barbarians. We, who consider ourselves of "superior" civilisation and judge the other from above, when we already know the fatherhood-mercy of God and the gift-mandate of universal brotherhood! "But it must not be so among you" (Mk 10:43).
3) Finally, about the words we speak that reveal what is hidden in our hearts, for good or ill, giving or taking away life, healing or wounding, creating communion or destroying it. We know that it is not enough to change words, to play with words: what is needed is metanoia - the conversion of the heart - for "the mouth speaks out of the abundance of the heart" (Mt 12:34). We are "heralds" only because we have received the gift of meeting and following the Lord. Only conversion opens the door to a true "decolonisation", understood as the process of purifying our way of thinking, speaking and acting, overcoming the temptation to act as if we were superior, to command, to humiliate, creating an asymmetry in our relationship with others. Paradoxically, this can also happen when we praise him or exercise charity towards the poor, who end up being enslaved in other, more subtle, but precisely for this reason more humiliating and segregating forms. Only Jesus is a Master in this process, never fully completed, towards "true humility", as a real affirmation of the equal dignity of each interlocutor (cf. Jn 4: Jesus makes himself thirsty and needy before a woman, a Samaritan woman, to initiate her to the knowledge of the Saviour!) From whom a poor, humble and servant church is born ( cf. Cristiano Bettega)
ACT
The points of reflection on the intense experiences of mission in Latin America (Stefano Raschietti), in the Indian subcontinent (Sergio Targa) and in Sahelian Africa (JesusManuel Calero P.) with reference to the Islamic world, have traced in a lively and passionate way the melting pot of attempts, perplexities and tensions, linked to the work of evangelisation and of the Xaverian communities in loco. At the same time, they pushed us to reflect more deeply on our insertion in Europe, especially with attention to the present urgencies (cf. the latest issues of "Missione Oggi", which help us to discern and to live prophetically the present crisis) and to our presence among people of other cultures and confessions.
1) At the foundation of everything, without ever taking it for granted, a work of authentic and profound personal conversion remains necessary, purifying thoughts, attitudes, habits, prejudices, deep feelings that generate distance, domination, superiority and contempt, making more and more our own the attitudes of the Lord Jesus: closeness, humble service, kindness in appreciating the Good that already exists, that precedes our arrival and our work, including the immense and amazing goods of the created environment (cf. LS). Only communion with the Lord Jesus can bring about such a change of perspective, guiding us to know ourselves better and to love the other, to empathise with his or her limitations as well as our own, and thus to attune ourselves sympathetically to the heart of the friend-brother in whom we find Jesus himself (Mt 25:31ff).
2) Here and now, in our plural society, the great challenge of the Gospel is to welcome the other (the Other in the other!), the different, in his uniqueness, but at heart needy like us and so radically equal to us!
3) Jesus urges us to go further: to give up our life in friendship in order to find it again, by appreciating the astonishing uniqueness of each person and by overcoming the fragilities, the limits, the differences of all kinds that provoke mutual suspicion and division. Hence some concrete proposals:
a) small steps to get to know each other, to befriend each other, to share, to meet each other, to take advantage of daily opportunities, such as queuing together, informal meetings, etc;
b) paying attention to language, so that it expresses the cordial desire for encounter, for a relationship that generates and sustains life, especially for the most humiliated; a language that helps to re-establish the right evangelical symmetry between the I and the you in dialogue;
c) inventing forms of encounter and dialogue at all levels: there is no dialogue between religions, but a dialogue between believers (cf. Jesus and the Samaritan woman; Paul who ventured out into the open sea to bring the Gospel; Pope Francis who opened the way to a new dialogue with the great Imam Al Tayed);
d)read the issues (and dossiers) of "Missione Oggi" dedicated to the new urgencies and challenges for understanding and living in our time;
e) to collaborate with the whole Xaverian Charismatic Family in the realisation of projects, summer camps, opening up also to inter-congregational cooperation, with experiences in the territory (e.g. Suam, Missio Giovani);
f) to collaborate in initiatives aimed at safeguarding creation;
g) to adopt more and more a poor and sober lifestyle, focused on service;
h) to commit ourselves at diocesan level to the animation of schools in the medium and long term;
i) make greater and better use of our communication channels to disseminate our initiatives-events-reflections;
l) to commit ourselves to systematically re-examining our commitments in good time in order to remain in phase with what is desired and proposed.
In short, without giving in to easy irenicism, to the obstacles that await us, to fears, to syncretism, to relativism, to the dominant monologue, to silent retreat in the face of the complexity of the world, we are asked, even today, to take courage, to "leave everything" and to follow Jesus, facing the high seas with him, casting our nets with confidence in him, acting on his Word! "Troubled on every side, but not crushed; shaken, but not in despair; persecuted, but not forsaken; struck down, but not killed, bearing always and everywhere in our bodies the death of Jesus" (2 Cor 4:8-9), who wants to make the world one family of children to the glory of the Father in the Spirit who is fullness of life, love and joy for all.
La transformation de la mission - En face de l'autre
Semaine culturelle (Tavernerio 2-7 janvier 2023)
La méthode était celle des "Semaines" précédentes : à savoir; voir-juger-agir, avec l'imbrication constante des trois moments.
VOIR
Chaque journée a été ouverte par une lectio sur les Actes des Apôtres, respectivement par Alexandre Gennari sur les chapitres 15 et 17 et Silvia Zanconato sur les chapitres 10 et 28 des Actes des Apôtres, avec des suggestions intéressantes pour la transformation de la mission.
1) Tout d'abord, la réflexion sur l'autre, qui génère souvent des généralisations et des préjugés abusifs et inappropriés, des peurs et des fermetures, jusqu'à l'agression, plus ou moins exprimée, et le rejet ; pourtant, l'autre, s'il est accueilli positivement, devient une occasion précieuse pour une connaissance plus approfondie de soi et de ses propres limites et de celles des autres, pour se remodeler dans une plus grande compréhension, tolérance et compassion.
2) Ensuite, la prise en compte des moments et des situations missionnaires vécus comme des limites, géographiques et encore plus personnelles. Ne voyant pas d'issue, nous risquons souvent de les vivre comme des échecs et des défaites. Même les missionnaires de la première heure ont vécu des expériences similaires qui, cependant, face au regard de Dieu et à l'Esprit du Seigneur crucifié (raté) et ressuscité, se sont paradoxalement transformés en inkairos, c'est-à-dire en occasions providentielles pour renouveler la confiance, l'espérance (cf. Cristiano Bettega) et le courage, même face au sacrifice suprême de la vie, avec des fruits de conversion pour les personnes approchées.
3) Et encore, l'observation que la communauté des Actes a participé activement au discernement du chemin de la mission : interpellée par Pierre - le chef de l'Eglise - devant l'ouverture aux païens (Corneille) et par Paul, qui ose affronter le chemin inconnu et dangereux de la mer pour que la Parole n'interrompe pas sa course vers Rome, voire vers les extrémités de la terre, au prix du martyre. S'il est vrai qu'"un point de vue est la vue d'un point", alors seuls plusieurs points de vue partagés peuvent révéler un plan plus vaste, peut-être grâce à la contribution (souvent sous-estimée) du membre le plus insignifiant, qui ouvre de nouvelles voies, là où l'habitude de certains schémas de pensée et préjugés empêche de voir et d'aller au-delà, pour naviguer au large.
4) Enfin, la considération de l'importance de la Parole de Dieu proclamée, et avant cela entendue, accueillie et méditée, par le missionnaire en communauté. Ce n'est que de cette manière que la Parole offre la vision de Dieu de la réalité, en traversant la frontière apparemment insurmontable qui nous sépare de l'autre, rencontré en tant que dominateur (l'humiliant), ou en tant qu'inférieur (craignant d'annoncer un Évangile inconfortable), ou plutôt en tant que compagnon de route marchant ensemble, en tant qu'égal, curieux de connaître avec sympathie le monde de l'autre frère ou sœur en face de lui.
JUGER
La Parole est donc une lumière sur nos pas, une vision d'une complexité personnelle, communautaire et sociale, jamais totalement comprise et toujours à discerner humblement, selon le dessein et le regard de Dieu. D'où quelques passages.
- Tout d'abord, sur la parole de Dieu qui "purifie" notre culture, en offrant des critères pour évaluer nos jugements -préjugés-, de notre action missionnaire, en nous rappelant que devant Dieu chacun est un frère/sœur dans lequel Dieu a déjà semé son Bon-Amour, même dans ceux que nous rencontrons et qui ne le connaissent pas, mais pratiquent la justice et la charité. Comme Pierre devant Corneille, nous devons souvent admettre - sans trop d'efforts ! - que nous n'avons pas encore réalisé, que nous sommes aveugles, ou pire encore, que nous ne voulons pas voir les signes d'espérance qui se dévoilent autour de nous, alors que nous restons enfermés dans le pessimisme et l'apathie : " Seigneur, explique-nous ces paraboles... la graine qui a déjà été semée et qui pousse toute seule ".
- Mais aussi sur les "barbares" d'Actes 28,2 ("indigènes" dans la traduction de la CEI), rencontrés providentiellement après nos naufrages missionnaires, qui nous traitent avec une "rare bonté", que nous croyons "mériter" uniquement parce que nous ne nous rendons pas encore compte que nous sommes les vrais barbares. Nous, qui nous considérons de civilisation "supérieure" et jugeons l'autre d'en haut, alors que nous connaissons déjà la paternité-miséricorde de Dieu et le don-mandat de la fraternité universelle ! "Mais il ne doit pas en être ainsi parmi vous" (Mc 10,43).
- Enfin, sur les paroles que nous prononçons et qui touchent notre cœur, en bien ou en mal, donnant ou enlevant la vie, guérissant ou blessant, créant la communion ou la détruisant. Nous savons qu'il ne suffit pas de changer les mots, de jouer avec les mots : ce qu'il faut, c'est la metanoia - la conversion du cœur - car "la bouche parle de l’abondance du cœur" (Mt 12,34). Nous ne sommes de "hérauts" que parce que nous avons reçu le don de rencontrer et de suivre le Seigneur. Seule la conversion ouvre la porte à une véritable "décolonisation", entendue comme le processus de purification de notre manière de penser, de parler, d'agir, en surmontant la tentation d'agir comme si nous étions supérieurs, de commander, d'humilier, en créant une asymétrie dans notre relation avec les autres. Paradoxalement, cela peut aussi se produire lorsque nous le louons ou exerçons la charité envers les pauvres, qui finissent par être asservis sous d'autres formes, plus subtiles, mais précisément pour cette raison plus humiliantes et ségrégatives. Seul Jésus est Maître dans ce processus, jamais totalement achevé, vers la "véritable humilité", comme pleine affirmation de l'égale dignité de chaque interlocuteur (cf. Jn 4 : Jésus se fait assoiffé et nécessiteux devant une femme, une Samaritaine, pour l'initier à la connaissance du Sauveur !) De qui renaît une Eglise pauvre, humbe et servante ( cf. Christiano Bettega)
AGIR
Les points de réflexion sur les expériences intenses de la mission en Amérique Latine (Stefano Raschietti), dans le sous-continent indien (Sergio Targa) et en Afrique sahélienne (JesusManuel Calero P.) avec référence au monde islamique, ont tracé de façon vivante et passionnée le creuset des tentatives, des perplexités et des tensions, liées à l'œuvre d'évangélisation et des communautés xavériennes in loco. En même temps, ils nous ont poussés à réfléchir plus profondément sur notre insertion en Europe, surtout avec une attention aux urgences actuelles (cf. les derniers dossiers de "Missione Oggi", qui aident à discerner et à habiter prophétiquement la crise actuelle) et à notre présence parmi les personnes d'autres cultures et d'autres confessions.
1) A la base de tout, sans jamais le prendre pour acquis, un travail de conversion personnelle authentique et profonde reste nécessaire, en purifiant les pensées, les attitudes, les habitudes, les préjugés, les sentiments profonds qui génèrent distance, domination, supériorité et mépris, en faisant de plus en plus nôtres les attitudes du Seigneur Jésus : proximité, humble service, bonté dans l'appréciation du Bien qui existe déjà, qui précède notre arrivée et notre travail, y compris les biens immenses et stupéfiants de l'environnement créé (cf. LS). Seule la communion avec le Seigneur Jésus peut provoquer un tel changement de perspective, en nous guidant pour mieux nous connaître et pour aimer l'autre, pour compatir à ses limites comme aux nôtres, et ainsi nous accorder avec sympathie au cœur de l'ami-frère en qui nous trouvons Jésus lui-même (Mt 25,31ss).
2) Ici et maintenant, dans notre société plurielle, le grand défi lancé par l'Evangile reste l'accueil de l'autre (l'Autre dans l'autre !), du différent, dans son unicité, mais au fond nécessiteux comme nous et si radicalement égal à nous !
3)Jésus nous pousse à aller plus loin : donner-perdre notre vie dans l'amitié pour la retrouver, en appréciant l'étonnante unicité de chacun et en dépassant les fragilités, les limites, les différences de toutes sortes qui provoquent la suspicion mutuelle et la division.D'où quelques propositions concrètes :
a)des petits pas pour apprendre à se connaître, se lier d'amitié, partager, se rencontrer, profiter des occasions quotidiennes, comme faire la queue ensemble, des réunions informelles, etc ;
b) prêter attention au langage, afin qu'il soit l'expression du désir cordial de la rencontre, d'une relation qui génère et soutient la vie, surtout pour les plus humiliés ; un langage qui aide à rétablir la juste symétrie évangélique entre le je et le tu dans le dialogue ;
c)inventer des formes de rencontre et de dialogue à tous les niveaux : il n'y a pas de dialogue entre les religions, mais un dialogue entre les croyants (cf. Jésus et la Samaritaine ; Paul qui s'est aventuré en pleine mer pour apporter l'Evangile ; le Pape François qui a ouvert la voie à un nouveau dialogue avec le grand Imam Al Tayed) ;
d)lire les numéros (et les dossiers) de "Missione Oggi" consacrés aux nouvelles urgences pour comprendre et habiter notre temps ;
e)collaborer, avec toute la Famille Charismatique Xavérienne, à la réalisation de projets, de camps d'été, en s'ouvrant aussi à la coopération inter-congrégationnelle, avec des expériences sur le territoire (ex. Suam, Missio Giovani) ;
f) collaborer à des initiatives visant à sauvegarder la création ;
g) adopter de plus en plus un style de vie pauvre et sobre, axé sur le service ;
h) s'engager au niveau diocésain dans l'animation des écoles à moyen et long terme ;
i) utiliser davantage et mieux nos canaux de communication pour diffuser nos initiatives-événements-réflexions ;
l)s'engager à réexaminer systématiquement et en temps utile nos engagements pour rester en phase avec ce qui est souhaité et proposé.
Bref, sans céder à l'irénisme facile, aux obstacles qui nous attendent, aux peurs, au syncrétisme, au relativisme, au monologue dominant, à la retraite silencieuse devant la complexité du monde, il nous est demandé, aujourd'hui encore, de reprendre courage, de " tout " quitter et de suivre Jésus, en affrontant avec lui la haute mer, en jetant nos filets avec confiance en lui, en agissant sur sa Parole ! "Troublés de toutes parts, mais non écrasés ; ébranlés, mais non désespérés ; persécutés, mais non abandonnés ; terrassés, mais non tués, portant toujours et partout dans nos corps la mort de Jésus" (2 Co 4, 8-9), qui veut faire du monde une seule famille d'enfants à la gloire du Père dans l'Esprit qui est plénitude de vie, amour et joie pour tous.
La transformación de la misión – De frente al otro
Semana cultural (Tavernerio 2-7 enero 2023)
El método usado fue el de las "Semanas" anteriores: ver, juzgar y actuar.
VER
Cada día se abrió con una lectio sobre los Hechos de los Apóstoles, respectivamente por Alessandro Gennari (capítulos 15 y 17) y por Silvia Zanconato (capítulos 10 y 28), con interesantes sugerencias para la transformación de la misión.
1. En primer lugar, la reflexión sobre el otro, que a menudo genera generalizaciones y prejuicios indebidos e inoportunos, miedos y cerrazones, hasta la agresión, más o menos expresa, y el rechazo; sin embargo, el otro, si se acoge positivamente, se convierte en una preciosa oportunidad para un conocimiento más profundo de uno mismo y de los límites-fragilidad propios y ajenos, para remodelarse en una mayor comprensión, tolerancia, compasión.
2. Luego, la consideración de los momentos y situaciones misioneras vividas como límites, geográficos y más aún personales. Al no ver ninguna salida, a menudo nos arriesgamos a vivirlos como fracasos y derrotas. También los misioneros de la primera hora han tenido experiencias parecidas, que, sin embargo, ante la mirada de Dios y el Espíritu del Señor crucificado (fracasado) y resucitado, se convirtieron paradójicamente en kairós, es decir, en ocasiones providenciales para renovar la confianza, la esperanza (cf. Cristiano Bettega) y el coraje incluso ante el supremo sacrificio de la vida, con frutos de conversión para el pueblo al que se acercaban.
3. Y de nuevo, la constatación de que la comunidad de los Hechos participó activamente en el discernimiento del camino de la misión: interpelada por Pedro -el jefe de la Iglesia- ante la apertura a los paganos (Cornelio) y por Pablo, que se atreve a afrontar el desconocido y peligroso camino del mar para que la Palabra no interrumpa su carrera hacia Roma, más aún, hasta los confines de la tierra, a costa del martirio. Si es cierto que "un punto de vista es la visión desde un punto", entonces sólo varios puntos de vista compartidos pueden revelar un plan mayor, tal vez gracias a la contribución (a menudo subestimada) del miembro más insignificante, que se atreve a emprender nuevos caminos, justo allí donde la costumbre de ciertos patrones de pensamiento y prejuicios impide ver e ir más allá, navegar en mar abierto.
4) Por último, la consideración de la importancia de la Palabra de Dios proclamada, y antes escuchada, acogida y meditada, por el misionero en comunidad. Sólo así la Palabra ofrece la visión divina de la realidad, traspasando la frontera aparentemente infranqueable que nos separa del otro, encontrado como dominador (humillándolo), o como inferior (temeroso de proclamar un Evangelio incómodo), o más bien como compañero de viaje que camina junto, como igual, curioso de conocer con simpatía el mundo del otro hermano y hermana de enfrente.
JUZGAR
La Palabra es así luz a nuestros pasos, visión de una complejidad personal, comunitaria y social, nunca totalmente comprendida y siempre por discernir humildemente, según el designio y la mirada de Dios. De ahí algunos pasajes.
1. En primer lugar sobre la Palabra de Dios que "purifica" nuestra cultura, ofreciendo criterios para evaluar nuestros juicios precipitados -prejuicios-, nuestra acción misionera, recordándonos que ante Dios, cada uno es un hermano/hermana en quien Dios ya ha sembrado su Bien-Amor, incluso en aquellos que encontramos y que no le conocen, pero practican la justicia y la caridad. Como Pedro ante Cornelio, a menudo debemos admitir -¡con no poco esfuerzo! - que aún no nos hemos dado cuenta, que estamos ciegos, peor aún, que no queremos ver los signos de esperanza que se desvelan a nuestro alrededor, mientras permanecemos encerrados en el pesimismo y la apatía: "Señor explícanos estas parábolas... la semilla que ya ha sido sembrada y que crece por sí misma".
2. Pero también sobre los "bárbaros" de Hch 28,2 ("nativos" en la traducción de la CEI), encontrados providencialmente tras nuestros naufragios misioneros, que nos tratan con "rara amabilidad", que creemos "merecer" sólo porque aún no nos damos cuenta de que los verdaderos bárbaros somos nosotros. Nosotros, que nos consideramos de civilización "superior" y juzgamos al otro desde arriba, ¡aunque ya conocemos la paternidad-misericordia de Dios y el don-mandato de la fraternidad universal! "Pero entre vosotros no es así" (Mc 10,43).
3. Por último, sobre las palabras que pronunciamos y revelan nuestro corazón, para bien o para mal, dando o quitando vida, curando o hiriendo, creando comunión o destruyéndola. Sabemos que no basta con cambiar las palabras, con jugar con las palabras: más bien es necesaria la metanoia -la conversión del corazón-, porque "la boca habla por la plenitud del corazón" (Mt 12,34). Somos "heraldos" sólo porque hemos recibido el don de encontrar y seguir al Señor. Sólo la conversión abre la puerta a una verdadera "descolonización", entendida como un proceso de purificación de nuestra forma de pensar, de hablar, de actuar, superando la tentación de actuar con superioridad, mandando, humillando, creando asimetría en la relación con el otro. Paradójicamente, esto también puede ocurrir cuando alabamos o ejercemos la caridad con los pobres, que acaban siendo esclavizados de otras formas, más sutiles, pero precisamente por ello más humillantes y segregadoras. Sólo Jesús es Maestro en este proceso, nunca del todo concluido, hacia la "verdadera humildad", como afirmación plena de la igual dignidad de cada interlocutor (cf. Jn 4: ¡Jesús se hace sediento y menesteroso ante una mujer, una samaritana, para iniciarla en el conocimiento del Salvador!) De aquí renace la Iglesia pobre, humilde y servidora (cf. Cristiano Bettega).
ACTUAR
Los puntos de reflexión sobre las intensas experiencias de la misión en América Latina (Stefano Raschietti), en el subcontinente indio (Sergio Targa) y en el África saheliana (Jesús Manuel Calero P.) con referencia al mundo islámico, han trazado de manera viva y apasionada el crisol de tentativas, perplejidades y tensiones, relacionadas con la obra de evangelización y de las comunidades javerianas in loco. Al mismo tiempo, nos han impulsado a reflexionar más profundamente sobre nuestra inserción en Europa, especialmente con atención a las emergencias actuales (cf. los últimos dossiers de "Missione Oggi", que ayudan a discernir y habitar proféticamente la crisis actual) y nuestra presencia entre personas de otras culturas y confesiones.
1. En la base de todo, sin darlo nunca por descontado, sigue siendo necesario un trabajo de auténtica y profunda conversión personal, purificando pensamientos, actitudes, hábitos, prejuicios, sentimientos profundos que generan distancia, dominación, superioridad y desprecio, haciendo cada vez más nuestras las actitudes del Señor Jesús: proximidad, servicio humilde, bondad en la apreciación del Bien que ya existe, que precede a nuestra llegada y obra, incluidos los inmensos y estupendos bienes del entorno creado (cf. LS). Sólo la comunión con el Señor Jesús puede producir ese cambio de perspectiva, que nos lleva a conocernos mejor a nosotros mismos y al otro para amarlo, a compadecernos de sus limitaciones como de las nuestras, y así sintonizar comprensivamente con el corazón del amigo-hermano en el que encontramos al mismo Jesús (Mt 25,31ss).
2. Aquí y ahora, en nuestra sociedad plural, el gran desafío lanzado por el Evangelio sigue siendo la acogida del otro, (¡del Otro en el otro!), del diferente, en su singularidad, pero al fin y al cabo necesitado como nosotros y tan radicalmente igual a nosotros!
3. Jesús nos empuja más allá: a dar-perder la vida en la amistad para volver a encontrarla, apreciando la asombrosa singularidad de cada uno y superando fragilidades, limitaciones, diferencias de todo tipo que causan recelo mutuo y división. De ahí algunas propuestas concretas:
- pequeños pasos para conocerse, entablar amistad, compartir, reunirse, aprovechando ocasiones cotidianas, como hacer cola juntos, encuentros informales, etc;
- prestar atención al lenguaje, para que sea expresión del deseo cordial de encuentro, de una relación que genere y sostenga la vida, especialmente de los más humillados; un lenguaje que ayude a restablecer la justa simetría evangélica entre el yo y el tú en el diálogo;
- inventar formas de encuentro y de diálogo a todos los niveles: no hay diálogo entre religiones, sino diálogo entre creyentes (cf. Jesús y la samaritana; Pablo que se aventuró en mar abierto para llevar el Evangelio; el Papa Francisco que abrió la vía a un nuevo diálogo con el gran imán Al Tayed);
- leer los números (y dossiers) de "Missione Oggi" dedicados a las nuevas emergencias para comprender y habitar nuestro tiempo;
- colaborar, con toda la familia carismática javeriana, en la realización de proyectos, campamentos de verano, abriéndose también a la cooperación intercongregacional, con experiencias en el área (por ejemplo Suam, Missio Giovani);
- colaborar en iniciativas para la protección de la creación;
- asumir cada vez más un estilo de vida pobre, sobrio y orientado al servicio;
- comprometerse a nivel diocesano en la animación de las escuelas a medio y largo plazo;
- hacer más y mejor uso de nuestros canales de comunicación para difundir nuestras iniciativas-eventos-reflexiones;
- l) realizar controles oportunos y sistemáticos de nuestros compromisos para permanecer en línea con lo que se desea y se propone.
En definitiva, sin ceder al irenismo fácil, a los obstáculos que se nos presentan, a los miedos, al sincretismo, al relativismo, al monólogo dominante, al retiro silencioso ante la complejidad del mundo, aún hoy se nos pide que recobrar el valor, para dejar “todo” y seguir a Jesús, afrontando con él mar abierto, echando las redes con confianza en él, ¡actuando según su Palabra! “Problemas por todos lados, pero no aplastados; sorprendido, pero no desesperado; perseguido, pero no abandonado; heridos, pero no muertos, llevando en el cuerpo siempre y en todo lugar la muerte de Jesús» (2 Cor 4, 8-9), que quiere hacer del mundo una familia de hijos para gloria del Padre en el Espíritu, que es la plenitud de vida, amor y alegría para todos.
Link &
Download
Access here with your username and password to view and download the reserved files.