Messaggio del P. Generale per la Giornata Missionaria Mondiale

Roma, 15 Ottobre 2019

«Fattosi giorno, Gesù uscì e si ritirò in un luogo isolato, ma la folla andò in cerca di lui.
Quando lo raggiunsero, volevano trattenerlo con loro e non lasciarlo più partire.
Ma Gesù disse loro: “Anche agli altri villaggi io devo annunziare il regno di Dio. Per questo Dio mi ha mandato”. E Gesù andò ad annunziare il suo messaggio nelle sinagoghe della Giudea» (Lc 4,42-44).

Carissimi,

due eventi marcano la vita ecclesiale in questo mese di ottobre: il mese missionario straordinario, a cento anni dalla promulgazione della Lettera apostolica Maximum illud da parte di Benedetto XV, e la celebrazione del Sinodo Speciale sulle Chiese in Amazzonia. Bella coincidenza!

Al centro di essi si trova la missione che Gesù Cristo ha affidato alla Chiesa: «Ma riceverete la forza dello Spirito Santo, che sta per scendere su di voi. Allora diventerete miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).

Mi viene spontaneo chiedermi: e noi, come Famiglia missionaria, come ci situiamo in questo mese? I due eventi ci toccano da vicino: da una parte, siamo missionari, e dall’altra siamo presenti nella regione amazzonica da circa sessanta anni. Qual è o può essere il nostro contributo, che cosa apporterà di positivo per la nostra vita di consacrati alla missione ad gentes?

Papa Francesco, annunciando questo Mese straordinario, scriveva: «Indico un Mese missionario straordinario nell’ottobre 2019, al fine di risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale».

E nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale ha scritto: «La provvidenziale coincidenza con la celebrazione del Sinodo Speciale sulle Chiese in Amazzonia mi porta a sottolineare come la missione affidataci da Gesù con il dono del suo Spirito sia ancora attuale e necessaria anche per quelle terre e per i loro abitanti. Una rinnovata Pentecoste spalanca le porte della Chiesa affinché nessuna cultura rimanga chiusa in sé stessa e nessun popolo sia isolato ma aperto alla comunione universale della fede. Nessuno rimanga chiuso nel proprio io, nell’autoreferenzialità della propria appartenenza etnica e religiosa».

Mi rendo conto ogni volta di più che l’invito che il Signore Gesù ci ha fatto di lavorare nella sua vigna comporta da parte nostra una grande responsabilità. Egli ha fissato il suo sguardo su di noi e ha pronunciato il nome di ciascuno. Facendolo ci ha voluto associare alla Missio Dei. «L’Istituto si pone a totale servizio del Regno di Dio nella Chiesa, che ne costituisce nel mondo il germe e il sacramento. La nostra missione ci chiede di proclamare il Regno là dove non è ancora riconosciuto, di denunciare quanto vi si oppone, di indicarlo già presente nei segni, di collaborare alla sua venuta» (C 7).

Vorrei quindi sottolineare, sotto la forma di condivisione, quattro punti che mi sembrano importanti per noi, «uomini chiamati a consacrare a Dio la loro vita per lo stesso ideale» (C 1), in questo momento. Potrebbe essere il nostro contributo all’iniziativa di papa Francesco.

1. Chiarezza nel linguaggio quando parliamo di missione. La missione della Chiesa è una: annunciare la Buona Notizia del Regno di Dio (Mc 1,15). In questa unica missione affidata alla Chiesa, noi, Missionari Saveriani, abbiamo un posto ben particolare e preciso: la missione Ad Gentes. «Fine unico ed esclusivo dell’Istituto è l’annuncio della buona novella del Regno di Dio ai non cristiani» (C 2). È salutare ricordare la enciclica Redemptoris Missio al nº 34: «L'attività missionaria specifica, o missione ad gentes, ha come destinatari “i popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo”, “coloro che sono lontani da Cristo”, tra i quali la chiesa “non ha ancora messo radici” e la cui cultura non è stata ancora influenzata dal Vangelo. Essa si distingue dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge a gruppi e ambienti non cristiani per l'assenza o insufficienza dell'annunzio evangelico e della presenza ecclesiale (…) Occorre, perciò, evitare che tale “compito più specificamente missionario, che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua chiesa”, subisca un appiattimento nella missione globale di tutto il popolo di Dio e, quindi, sia trascurato o dimenticato».

Ecco la missione che la Chiesa ci ha affidato in un modo particolare. Non potrebbe essere questa una bella e provvidenziale occasione per rivedere con coraggio, alla luce del carisma ricevuto e quindi affidatoci, le nostre presenze missionarie? Rispondono esse a ciò che la Chiesa aspetta da noi?

2. «Io sono la vite. Voi siete i tralci. Se uno rimane unito a me e io a lui, egli produce molto frutto; senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). La nostra vita di persone consacrate a Dio nella missione ad gentes ha come base e fondamento l’unione stretta con Gesù Cristo. Non c’è alternativa! O ci siamo o non ci siamo. Più forte è questa unione più si vedono i frutti del Regno. Per contro, la debolezza, il raffreddamento, la mancanza di slancio… dell’attività missionaria ad gentes sono rivelatori di una carenza di vita d’unione con il Signore.

«La preghiera è la prima attività del missionario, sostegno della sua fedeltà e del suo impegno apostolico. Sull’esempio del Signore, …» (C 43). Rinnovare la nostra fedeltà all’incontro frequente e assiduo con Lui, deve essere uno dei regali più belli che offriamo alla Chiesa in questo mese.

3. «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (EG 273). Nei giorni scorsi ascoltando la lettura del libro di Giona mi è venuto in mente questa bella affermazione di Papa Francesco. Infatti, Giona, che suo malgrado annuncia il messaggio di conversione al popolo di Ninive e una volta terminato si ritira per vedere la “vendetta” del Signore su di essi, è portatore di un messaggio con il quale non si identifica. Questo è il dramma di Giona, e potrebbe essere anche il dramma di chi fra di noi distingue – per esempio – la parte “pubblica” e quella “privata” della propria personalità, come se fossero due realtà completamente differenti nella stessa persona.

«La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi». La missione alla quale il Signore ci associa coinvolge tutto il nostro essere. Io sono uno, non due. Si tratta in fondo dell’unificazione di tutto il nostro essere (pensieri, parole, azioni, sentimenti, desideri) intorno ad essa. Non possono esserci delle crepe più o meno visibili che faciliterebbero la connivenza con una mentalità e maniera di essere opposta alla missione affidataci, e che finirebbe per ridurci al nulla.

«(L’Incarnazione) ci chiede comunione di vita e di destino con i fratelli ai quali siamo inviati fino alla condivisione dei loro problemi e del loro cammino di liberazione» (C14). E questo avviene solo quando ci lasciamo coinvolgere totalmente dalla presenza e azione dello Spirito, sentendoci a nostro agio con la parola data il giorno della nostra professione, quando Dio ci ha consacrati. Non ci sono missioni di prima categoria e missioni di seconda categoria. Il luogo teologico per eccellenza per ognuno di noi è lì dove il Signore ci invia. Ed è proprio lì che Egli ci attende per camminare insieme, non secondo i nostri criteri particolari ma secondo i suoi. «Fedeli alle preferenze di Cristo, ci rivolgiamo in particolare, tra i non cristiani, ai destinatari privilegiati del Regno: i poveri, i deboli, gli emarginati dalla società, le vittime dell’oppressione e dell’ingiustizia» (C 9).

4. Siamo una Famiglia, siamo un Corpo. «Il Signore, per mezzo del Fondatore, ci ha riuniti in una famiglia religiosa, per rendere presente tra i non cristiani la Chiesa che è comunione e fraternità nuova in Cristo» (C 35). Famiglia spirituale che ha la sua origine quindi nella comunione di Dio Trinità, e allo stesso tempo è chiamata a renderla visibile tra i non cristiani.

Le difficoltà che a volte troviamo per rendere questa testimonianza di comunione devono aiutarci ad andare in profondità per trovarne le cause. È possibile che la grazia di Dio non possa rieducare le nostre fragilità umane? Perché a volte, qui e là, si fa fatica a vivere insieme, a lavorare insieme? E talvolta si sente addirittura dire, forse scherzando, che la vita comunitaria sarebbe un impedimento per la missione ad gentes. Mi viene in mente il bel documento Vita fraterna in comunità, dove dice: «La comunità religiosa è il luogo ove avviene il quotidiano paziente passaggio dall'"io" al "noi", dal mio impegno all'impegno affidato alla comunità, dalla ricerca delle "mie cose" alla ricerca delle "cose di Cristo"» (n 39).

Papa Francesco, nel saluto che ha fatto il 30 settembre scorso ai rappresentanti degli otto istituti missionari di fondazione italiana, ci ha detto chiaramente: «Aiutate (il popolo di Dio) a ricordare che la missione non è opera individuale, di “campioni solitari”, ma è comunitaria, fraterna, condivisa». Aiutiamoci a camminare insieme! Poiché la nostra testimonianza di vita fraterna in comunità è voluta e desiderata da Dio «teniamo lo sguardo fisso in Gesù: è lui che ci ha aperto la strada della fede e ci condurrà sino alla fine» (Eb 12,2). «E vivremo di una tal vita, se prenderemo la Fede a regola indeclinabile della nostra condotta per guisa che informi i pensieri, le intenzioni, i sentimenti, le parole e le opere nostre. Vivremo di questa vita se in tutte le contingenze terremo Cristo innanzi agli occhi della nostra mente, ed egli ci accompagnerà ovunque…» (LT 7).

Buona preparazione alla festa del nostro padre san Guido M. Conforti.

Fraternamente,

Fernando García Rodríguez, sx

Rome, 15 October 2019

«At daybreak, Jesus went out to a solitary place. The people were looking for him and when they came to where he was, they tried to keep him from leaving them. But he said, “I must proclaim the good news of the kingdom of God to the other towns also, because that is why I was sent.” And he kept on preaching in the synagogues of Judea» (Lk 4,42-44).

Dear confreres,

two events mark the life of the Church in this month of October: the extraordinary missionary month, one hundred years after the promulgation of the Apostolic Letter Maximum illud by Benedict XV, and the celebration of the Special Synod on the Churches in the Amazon. Nice coincidence!

At the center of them is the mission that Jesus Christ entrusted to the Church: «But you will receive power when the Holy Spirit comes on you; and you will be my witnesses in Jerusalem, and in all Judea and Samaria, and to the ends of the earth » (Acts 1,8).

I instinctively ask myself: how can we, as a missionary family, place ourselves in this month? The two events touch us closely: on the one hand, we are missionaries, and on the other hand we have been present in the Amazon region for about sixty years. What is or can be our contribution and what positive contribution will these two events offer for our life as people consecrated to the mission ad gentes?

Pope Francis, announcing this extraordinary month, wrote: «I hereby call for an Extraordinary Missionary Month to be celebrated in October 2019, with the aim of fostering an increased awareness of the missio ad gentes and taking up again with renewed fervour the missionary transformation of the Church’s life and pastoral activity».

And in the message for World Mission Sunday 2018, he wrote: «The providential coincidence of this centenary year with the celebration of the Special Synod on the Churches in the Amazon allows me to emphasize how the mission entrusted to us by Jesus with the gift of his Spirit is also timely and necessary for those lands and their peoples. A renewed Pentecost opens wide the doors of the Church, in order that no culture remain closed in on itself and no people cut off from the universal communion of the faith. No one ought to remain closed in self-absorption, in the self-referentiality of his or her own ethnic and religious affiliation».

I realize more and more that the invitation the Lord Jesus made us to work in his vineyard entails a great responsibility on our part. He fixed his gaze on us and pronounced the name of each one. By doing so he wanted to associate us with the Missio Dei. «We commit ourselves entirely to serve the Kingdom of God within the Church. The Church is the seed and the sacrament of the Kingdom in the world. Our mission asks us to proclaim the Kingdom wherever it is still unknown, to denounce whatever obstacles stand in its way, to draw attention to the signs of its presence in the world and to cooperate in its coming» (C 7).

I would therefore like to share and emphasize four points that seem important to us, «men called to consecrate their lives to God for the same ideal» (C 1), right now. It could be our contribution to the initiative of Pope Francis.

1. Clarity in language when we talk about mission. The mission of the Church is one: to announce the Good News of the Kingdom of God (Mk 1.15). In this unique mission entrusted to the Church, we, Xaverian Missionaries, have a very special and particular place: the missio Ad Gentes. «The sole and exclusive purpose of our Institute is to proclaim the Good News of the Kingdom of God to non-Christians» (C 2). It is healthy to recall the encyclical Redemptoris Missio at No. 34: «Missionary activity proper, namely the mission ad gentes, is directed to "peoples or groups who do not yet believe in Christ," "who are far from Christ," in whom the Church "has not yet taken root" and whose culture has not yet been influenced by the Gospel. It is distinct from other ecclesial activities inasmuch as it is addressed to groups and settings which are non-Christian because the preaching of the Gospel and the presence of the Church are either absent or insufficient. (…) It is therefore necessary to ensure that this specifically "missionary work that Jesus entrusted and still entrusts each day to his Church" does not become an indistinguishable part of the overall mission of the whole People of God and as a result become neglected or forgotten». Here is the mission that the Church has entrusted to us in a particular way. Could this not be a beautiful and providential opportunity to review our missionary presences with courage, in the light of the charism received and therefore entrusted to us? Do they respond to what the Church expects of us?

2. «I am the vine; you are the branches. If you remain in me and I in you, you will bear much fruit; apart from me you can do nothing» (Gv 15,5). Our life as persons consecrated to God in the mission ad gentes has as its basis and foundation the close union with Jesus Christ. There is no alternative! Either we like it or not. The stronger this union the more the fruits of the Kingdom are to be seen. On the opposite, weakness, lukewarmness, lack of enthusiasm ... in the missionary activity ad gentes reveal a weak communion with the Lord. «Prayer is the principal activity of the missionary. It sustains his fidelity and his apostolic commitment. Following the example of the Lord…» (C 43). Renewing our fidelity to the frequent and assiduous encounter with Him must be one of the most beautiful gifts we offer to the Church this month.

3. «I am a mission on this earth; that is the reason why I am here in this world» (EG 273). In recent days, listening to the reading of the book of Jonah, this beautiful statement by Pope Francis came to my mind. In fact, Jonah, who in spite of himself, announces the message of conversion to the people of Nineveh, and once finished he withdraws to see the "revenge" of the Lord on them, is the bearer of a message with which he does not identify himself. This is Jonah's drama, and it could also be the drama of who among us distinguishes - for example - the "public" and "private" sides of his personality, as if they were two completely different realities in the same person.

«My mission of being in the heart of the people is not just a part of my life or a badge I can take off; it is not an “extra” or just another moment in life. Instead, it is something I cannot uproot from my being without destroying my very self». The mission to which the Lord associates us involves our whole being. I am one, not two. It is basically the unification of our whole being (thoughts, words, actions, feelings, desires) around mission. There can be no more or less visible cracks since they would facilitate connivance with a mentality and way of being which is opposed to the mission entrusted to us, and which would end up nullifying us.

«(Incarnation) requires that we share the life and the destiny of the people to whom we are sent, participating in their problems and quest for liberation» (C14). And this happens only when we allow ourselves to be totally involved in the presence and action of the Spirit, feeling at ease with the word given on the day of our profession, when God has consecrated us. There are no first-class missions and second-class missions. The theological place par excellence for each of us is there, where the Lord sends us. And it is precisely there that He awaits us to walk together, not according to our particular criteria but according to His own.  «Faithful to Christ’s own option, we direct our efforts among non-Christians, in a particular way, to the privileged ones of the Kingdom: the poor, the weak, the marginalized, and victims of oppression and injustice» (C 9).

4. We are a Family, we are a body. «Through the Founder, the Lord has gathered us into one religious family so that the Church, the new brotherhood in union with Christ, may be made present among non-Christians» (C 35). A spiritual family that has its origin therefore in the communion of God the Trinity, and at the same time is called to make it visible among non-Christians.
   The difficulties that we sometimes find to live out this testimony of communion must help us to go deep and to discover the reasons. Is it possible that God's grace cannot re-educate our human frailties? Why sometimes, here and there, it is so hard to live together, to work together? And sometimes one even hears, perhaps jokingly, that community life would be an impediment to the missio ad gentes. It comes to my mind the inspiring document Fraternal life in community, where it is said: «Religious community is the place where the daily and patient passage from "me" to "us" takes place, from my commitment to a commitment entrusted to the community, from seeking "my things" to seeking "the things of Christ"» (n 39).

Pope Francis, in the words of greeting he gave last September 30 to the representatives of the eight Italian Missionary Institutes, clearly told us: «Help (the people of God) to remember that the mission is not an individual work, of "solitary champions", but it is communal, fraternal and shared». Let us help each other walk together! Since our testimony of fraternal life in community is wanted and desired by God «let us keep our gaze fixed on Jesus: it is he who has opened the way of faith to us and will lead us to the end» (Heb 12: 2). «And we will live in this way if we make faith the absolute norm for our conduct and allow it to shape our thoughts, motives, sentiments, words and deeds. We will live this way if in all circumstances we keep Christ in mind; he will always be with us…» (TL 7).

Have a good preparation for the feast of our father, Saint Guido M. Conforti.

Fraternally,

Fernando García Rodríguez, sx

Roma, el 15 de octubre 2019 

“Al hacerse de día, salió y se fue a un lugar solitario. La gente le andaba buscando y, llegando donde él, trataban de retenerle para que no les dejara. Pero él les dijo: «También a otras ciudades tengo que anunciar la Buena Nueva del Reino de Dios, porque a esto he sido enviado». E iba predicando por las sinagogas de Judea” (Lc 4,42-44). 

Muy estimados, 

dos acontecimientos marcan la vida eclesial en este mes de octubre: el Mes extraordinario de la misión, a cien años de la promulgación de la Carta apostólica Maximum illud de parte de Benedicto XV y la celebración del Sínodo Especial sobre las Iglesias en Amazonia. ¡Bonita coincidencia! 

Al centro de estos eventos se encuentra la misión que Jesucristo ha confiado a la Iglesia: «recibirán la fuerza del Espíritu Santo, que vendrá sobre ustedes, y serán mis testigos en Jerusalén, en toda Judea y Samaria, y hasta los confines de la tierra» (Hech 1,8). 

Me viene espontáneo preguntarme: y nosotros, como Familia misionera, ¿cómo nos situamos en este mes? Los dos acontecimientos nos tocan de cerca: de una parte, somos misioneros, y por otra, estamos presentes en la región amazónica desde hace unos sesenta años. ¿Cuál es o puede ser nuestra contribución y qué aportará de positivo a nuestra vida de consagrados para la misión ad gentes? 

El Papa Francisco, anunciando este Mes Extraordinario, escribió: «convoco un Mes misionero extraordinario en octubre de 2019, con el fin de despertar aún más la conciencia misionera de la missio ad gentes y de retomar con un nuevo impulso la transformación misionera de la vida y de la pastoral». 

Está en el mensaje por el Día Misionero Mundial ha escrito: «La coincidencia providencial con la celebración del Sínodo Especial para la región Panamazónica me lleva a destacar que la misión confiada por Jesús, con el don de su Espíritu, sigue siendo actual y necesaria también para los habitantes de esas tierras. Un renovado Pentecostés abre las puertas de la Iglesia para que ninguna cultura permanezca cerrada en sí misma y ningún pueblo se quede aislado, sino que se abran a la comunión universal de la fe. Que nadie se quede cerrado en el propio yo, en la auto -referencialidad de la propia pertenencia étnica y religiosa». 

Me doy cuenta cada vez más que la invitación que el Señor Jesús nos ha hecho de trabajar en su viña, comporta de nuestra parte una gran responsabilidad. Él ha fijado su mirada sobre nosotros y ha pronunciado el nombre de cada uno de nosotros. Haciendo así, nos ha querido asociar a la Missio Dei. «El Instituto se pone al total servicio del Reino de Dios en la Iglesia, la cual es germen y sacramento de este Reino en el mundo. Nuestra misión nos exige proclamar el Reino allí donde aún no está reconocido, denunciar cuanto se opone al mismo, mostrarlo ya presente en los signos y colaborar a su venida» (C 7). 

Quisiera subrayar, por consiguiente, bajo la forma de compartición, cuatro puntos que me parecen importantes, en este momento, para nosotros “hombres llamados a consagrar sus vidas a Dios por el mismo ideal” (C 1). Podría ser nuestra aportación a la iniciativa del Papa Francisco. 

1 

Claridad en el lenguaje cuando hablamos de misión. La misión de la Iglesia es una: anunciar la Buena Noticia del Reino de Dios (Mc 1,15). En esta única misión confiada a la Iglesia, nosotros, Misioneros Xaverianos, tenemos un puesto muy particular y preciso: la misión Ad Gentes. «Fin único y exclusivo del instituto es el anuncio de la Buena Nueva del Reino de Dios a los no cristianos» (C 2). Es saludable recordar la encíclica Redemptoris Missio 34: «La actividad misionera específica, o misión ad gentes, tiene como destinatarios “a los pueblos o grupos humanos que todavía no creen en Cristo”, “a los que están alejados de Cristo”, entre los cuales la Iglesia “no ha arraigado todavía”, y cuya cultura no ha sido influenciada aún por el Evangelio. Esta actividad se distingue de las demás actividades eclesiales, porque se dirige a grupos y ambientes no cristianos, debido a la ausencia o insuficiencia del anuncio evangélico y de la presencia eclesial. […] Por tanto, hay que evitar que esta “responsabilidad más específicamente misionera que Jesús ha confiado y diariamente vuelve a confiar a su Iglesia”, se vuelva una flaca realidad dentro de la misión global del Pueblo de Dios y, consiguientemente, descuidada u olvidada». 

He aquí la misión que la Iglesia nos ha confiado en modo particular. ¿No podría ser ésta una bonita y providencial ocasión para reconsiderar con coraje, a la luz del carisma recibido y, por lo tanto, que se nos ha confiado, nuestras presencias misioneras? ¿Corresponden a lo que la Iglesia espera de nosotros? 

2 

«Yo soy la vid; ustedes los sarmientos. El que permanece en mí y yo en él, ése da mucho fruto; porque separados de mí no pueden hacer nada» (Jn 15). Nuestra vida de personas consagradas a Dios en la misión ad gentes tiene como base y fundamento la unión estrecha con Jesucristo. ¡No hay alternativa! O estamos o no estamos. Más fuerte es esta unión más se ven los frutos del Reino. Por lo contrario, 

la debilidad, el enfriamiento, la falta de empuje… de la actividad misionera ad gentes son reveladoras de una falta de vida de unión con el Señor. 

«La oración es la primera actividad del misionero, sostén de su fidelidad y de su tarea apostólica. A ejemplo del Señor…» (C 43). Renovar nuestra fidelidad al encuentro frecuente y asiduo con Él, debe ser uno de los dones más bellos que ofrecemos a la Iglesia en este mes. 

3 

«Yo soy una misión en esta tierra, y para eso estoy en este mundo» (EG 273). En los días pasados escuchando la lectura del libro de Jonás me vino a la mente esta bonita afirmación del Papa Francisco. En efecto, Jonás, que a pesar suyo anuncia el mensaje de conversión al pueblo de Nínive y una vez que ha terminado se aparta para ver la “venganza” del Señor sobre ellos, es portador de un mensaje con el que no se identifica. Éste es el drama de Jonás, y también podría ser el drama de quién entre nosotros distingue -por ejemplo- la parte “pública” y aquella “privada” de la misma personalidad, como si fueran dos realidades completamente diferentes en la misma persona. 

«La misión en el corazón del pueblo no es una parte de mi vida, o un adorno que me puedo quitar; no es un apéndice o un momento más de la existencia. Es algo que yo no puedo arrancar de mi ser si no quiero destruirme» (ibid.) La misión a la que el Señor nos asocia involucra todo nuestro ser. Yo soy uno, no dos. Se trata en el fondo de la unificación de todo nuestro ser (pensamientos, palabras, acciones, sentimientos, deseos) en torno a la misión. No puede haber grietas más o visibles que le faciliten la complicidad con una mentalidad y manera de ser opuesta a la misión que se nos ha confiado, y que acabaría por reducirnos a la nada. 

«(La encarnación) nos pide comunión de vida y de destino con los hermanos a los que somos enviados hasta compartir sus problemas y su camino de liberación» (C 14). Y esto ocurre sólo cuando nos dejamos envolver totalmente por la presencia y acción del Espíritu, sintiéndonos contentos con la palabra dada el día de nuestra profesión, cuando Dios nos consagró. No hay misiones de primera categoría y misiones de segunda categoría. El lugar teológico por excelencia para cada uno de nosotros está allí donde el Señor nos envía. Y justamente allí Él nos espera para caminar juntos, no según nuestros criterios particulares sino según los suyos. «Fieles a las preferencias de Cristo, nos dirigimos en particular, entre los no cristianos, a los destinatarios privilegiados del Reino: los pobres, los débiles, los marginados por la sociedad, las víctimas de la opresión y de la injusticia» (C 9). 

4 

Somos una Familia, somos un Cuerpo. «El Señor, por medio del Fundador, nos ha reunido en una familia religiosa, para hacer presente entre los no cristianos a la Iglesia que es comunión y fraternidad nueva en Cristo» (C 35). Familia espiritual que tiene su origen, por lo tanto, en la comunión de Dios Trinidad, y al mismo tiempo es llamada a hacerla visible entre los no cristianos. 

Las dificultades que a veces encontramos para dar este testimonio de comunión tienen que ayudarnos a ir en profundidad para encontrar sus causas. ¿Es posible que la gracia de Dios no pueda reeducar nuestras fragilidades humanas? ¿Por qué a veces, aquí y allá, se fatiga a vivir juntos, a trabajar juntos? Y a veces se llega a decir, quizás bromeando, que la vida comunitaria sería un impedimento para la misión ad gentes. Me viene a la mente el bonito documento Vida fraterna en comunidad, que dice: «La comunidad religiosa es el lugar donde se verifica el cotidiano y paciente paso del «yo» al «nosotros», de mi compromiso al compromiso confiado a la comunidad, de la búsqueda de «mis cosas» a la búsqueda de las «cosas de Cristo» (39). 

El Papa Francisco, en el saludo que ha hecho el 30 de septiembre pasado a los representantes de los ocho institutos misioneros de fundación italiana, nos ha dicho claramente: «Ayuden (al pueblo de Dios) a recordar que la misión no es una obra individual, de “campeones solitarios”, sino comunitaria, fraterna, compartida». ¡Ayudémonos a caminar juntos! Porque nuestro testimonio de vida fraterna en comunidad es querido y deseado por Dios «tengamos fijos los ojos en Jesús, que nos ha abierto el camino de la fe y nos conducirá hasta el final» (Heb 12,2). «Y viviremos de esa vida, si tomamos la fe como norma indeclinable de nuestra conducta, de modo que en nosotros lo oriente todo: los pensamientos, las intenciones, los sentimientos, las palabras y las obras. Viviremos de esa vida si en toda ocasión tenemos a Cristo ante los ojos de nuestra mente, y si Él nos acompaña por doquier» (CT 7). 

Buena preparación a la fiesta de nuestro padre San Guido M. Conforti. 

Fraternalmente, 

Fernando García Rodríguez, sx