Editoriale di MO luglio-agosto 2023
Ho ricevuto la notizia della morte di mons. Luigi Bettazzi (16 luglio 2023), vescovo emerito di Ivrea, già presidente di Pax Christi Italia e di Pax Christi Internazionale, mentre ero in Africa, in Congo RD, a Bukavu, per partecipare al Capitolo Generale dei Saveriani (1-23 luglio 2023). Mi è venuto spontaneo accostarne la figura a quella di un altro instancabile tessitore di pace, appunto l’arcivescovo di Bukavu, Christophe Munzihirwa, gesuita, ucciso il 29 ottobre 1996, durante la prima guerra del Congo. Infatti, la domenica precedente – 9 luglio 2023 – ero stato in visita al luogo in cui il corpo di Munzihirwa, crivellato di colpi dagli invasori ruandesi, fu trovato e ricomposto da alcuni miei confratelli della comunità di Vamaro, quartiere di Bukavu, prima di essere traslocato in cattedrale. Nel discorso ai vescovi del Congo, nel suo recente viaggio in Africa, papa Francesco ha citato Munzihirwa come esempio da seguire: “Dinanzi al popolo che soffre e all’ingiustizia, il Vangelo chiede di alzare la voce. Quando secondo Dio alziamo la voce, rischiamo. Lo ha fatto – questo alzare la voce – lo ha fatto un vostro fratello, il servo di Dio mons. Christophe Munzihirwa, pastore coraggioso e voce profetica, che ha custodito il suo popolo offrendo la vita”.
La Chiesa ha bisogno – ha ribadito il papa ai vescovi delle 48 circoscrizioni ecclesiastiche del Congo – “di respirare l’aria pura del Vangelo”, scacciando quella inquinata della mondanità, e di “custodire il cuore giovane della fede”. Vescovi come Munzihirwa e Bettazzi sono stati senz’altro – in contesti geografici, sociali ed ecclesiali, molto diversi – testimoni di quest’aria pura e custodi di questo cuore giovane, in momenti molto difficili per le rispettive società e Chiese, soprattutto quando sembrava che il fuoco della profezia venisse spento da calcoli o ambiguità con il potere. Ascoltando i miei confratelli in Congo, ho percepito che, dopo la morte di Munzihirwa, manca ancora molto alla Chiesa congolese il respiro di quest’aria pura del Vangelo. Munzihirwa era un vescovo “di strada”, non “di episcopio”, sempre vicino alla realtà della vita della sua gente, capace di ascoltare tutte le parti in causa, di tracciare lucide analisi, di prendere scomode posizioni profetiche, sempre a servizio del popolo, di tutto il popolo, con un’autentica passione ecumenica, in grado di far convergere denominazioni cristiane e fedi religiose diverse, oltre che la società civile di Bukavu.
Se fosse stato padre conciliare, come Bettazzi, anche Munzihirwa avrebbe aderito al “Patto delle Catacombe”, firmato da oltre 500 vescovi del Vaticano II, che volevano essere radicalmente fedeli a “una Chiesa povera e dei poveri”. Bettazzi testimoniò fino alla morte quest’aria pura del Vangelo, non con proclami retorici, ma con il suo corpo presente accanto agli operai in sciopero, durante la marcia dei 500 a Sarajevo, con don Tonino Bello, ma anche nei tanti luoghi martoriati della terra, come El Salvador di mons. Oscar Romero e il Guatemala di mons. Juan Gerardi, dove andò nel 2000 per condividere il Grande Giubileo con i poveri di quelle obliate periferie del mondo. Mi ha impressionato la sua costante e ostinata partecipazione alle marce per la pace di fine anno. Non ha mai fatto mancare il suo “corpo di pace”, nemmeno nell’ultima ad Altamura (31 dicembre 2022). Era, infatti, convinto, come obiettore di coscienza alle spese militari, della necessità di disarmare le relazioni internazionali sempre e solo attraverso la presenza di “corpi civili nonviolenti”, accanto alla diplomazia. Munzihirwa e Bettazzi, corpi di pace, l’aria pura del Vangelo!
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