Skip to main content

Di Pasqua in Pasqua

1664/500

DI PASQUA IN PASQUA

Anche in Bangladesh c’è un grande bisogno ed un desiderio di resurrezione. La gente percepisce che la liberazione politica, ottenuta nel 1971, resta incompiuta soprattutto nel campo spirituale. La necessaria riconciliazione non ha ancora trovato la sua strada. Anche la politica malata potrebbe essere dunque un riflesso dei nostri mali spirituali

Ogni popolo deve misurarsi con i propri desideri. Ma bisogna ammettere che la stessa legittima aspirazione al benessere economico può diventare una grande livella dei veri bisogni del cuore. L’occidente cristiano sembra attanagliato dal dubbio di essere stato ingannato da Cristo redentore dell’uomo e perciò fa sempre più difficoltà a rileggere il cammino della propria storia. Finora si è troppo cercata nella depressione economica la ragione dei nostri mali. Ora la sua avventura si rivela come una scappatoia evidente. Essa si concentra sulla ridefinizione dell’essere umano e sulla possibilità di poter giocare a prendere il posto di Dio, sia come donatore della vita, che come colui che ne taglia l’ordito. L’isolamento dalla sorgente ha come meta inevitabile la cisterna screpolata.

C’è un crescente smarrimento circa l’origine e la fine dalla vita umana, ma forse soprattutto sul suo scopo. La vita rischia di diventare un giocattolo che si frantuma nelle nostre mani. Ci possiamo allora meravigliare se la perdita del senso stesso della vita porti alla depressione? 

La Pasqua e il senso della vita

Pensando al Bangladesh, considerato una volta un paese con il numero più alto di persone felici, mi viene da riflettere su un fatto in apparenza periferico: il modo con cui i cristiani celebrano la Pasqua di Resurrezione incide sul senso pieno della vita? La forza del cristianesimo in questo paese a prevalenza musulmana non sta di certo nei numeri, ma nella sua capacità di proporre il Bambino di Betlemme, il falegname di Nazareth, il Crocefisso del Calvario e il Cristo risorto. In tutte queste situazioni siamo assicurati che il nostro Dio, che si è fatto Emmanuele - il Dio con noi e per noi -, non ha giocato a fare l’uomo.

Il grande pericolo resta lo stesso: che il realismo dell’incarnazione diventi una bella favola innocua. Ora, anche tra noi, i grandi alberghi e le festicciole dei villaggi ci ammanniscono la figura pacioccona di Babbo Natale. E’ proprio di questo che hanno bisogno i nostri bambini? Stando a questo gioco, anche la vita quotidiana non trova più spazio nei nostri canti. Ci rifugiamo nell’emotività del rito. Dove sono i canti della nascita, del lavoro, del matrimonio e della fraternità?

La lavanda dei piedi è molto spesso una cerimonia ristretta al giovedì santo. Le stesse lacrime versate lungo la via della croce rivelano che, rispondendo ai segni dei tempi, stiamo completando quello che manca alla passione di Cristo? Riconosciamo che per molti quelle lacrime sono appena un saggio delle lacrime versate nella vita concreta. Dove trovare il sorriso dei testimoni del Risorto? Forse bisogna andare in altri paesi del mondo, dove per tanti cristiani l’affetto per la croce di Cristo viene manifestato a proprio rischio e pericolo.

Non è che in Bangladesh sia più facile essere cristiani. La devozione, a volte un po’ emotiva, non ci libera dalla tentazione di credere che si nasca cristiani. Solo un catecumenato di rievangelizzazione, che prenda per mano tutta la vita, ci può salvare dall’insignificanza. 

Immersione nella Settimana Santa

La Settimana Santa potrebbe essere un’occasione privilegiata per ripassare il Mar Rosso e per immergerci di nuovo nel battesimo del Giordano. Più si riconoscono i doni di Dio e più scopriremo il nostro compito nel mondo e la direzione del nostro cammino.

Finche’ le vicende della nostra vita, le sue gioie, i dolori e le speranze non porteranno il marchio di Cristo Crocefisso e Risorto, noi vivremo sempre nel pericolo di voltarci in dietro verso l’Egitto della nostra schiavitù, di ‘adattarci “alla mentalità di questo mondo” (Rom. 12,2) In pratica, di ‘sbattezzarci’, per affidarci a qualche altro salvatore di turno. Il cristiano che non gode di essere un figlio di Dio salvato da Cristo nella speranza e popolo della nuova alleanza, cercherà sempre il compromesso con altre ragioni di vita.

Cristo ha detto: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Dicendo ciò, si è forse illuso o ci ha ingannato? Quando si è presentato ai suoi come risorto, mostrando i segni dei chiodi e della lancia, ha solo voluto commuoverci? Quando noi alziamo gli occhi verso colui che è stato trafitto, facciamo solo un atto di devozione? A me piace meditare con la gente sul dipinto del Crocefisso di Salvatore Dalí tutto riversato verso il mondo. Ci chiediamo: ”Che cosa vede Cristo dalla croce? Perché’ ai suoi piedi non si vedono persone che guardano verso di Lui? Gesù sta ancora aspettando il nostro sguardo e la nostra invocazione? Se non teniamo unite insieme la morte e la resurrezione di Cristo non ci può essere vero cristianesimo. La settimana santa ci propone questo esercizio spirituale.

Lasciando entrare Dio nella nostra vita, la fede ci traccerà la strada. È già accaduto al ladrone crocefisso accanto a Gesù, al centurione ai piedi della croce, a Pietro che è ritornato al suo primo amore per Cristo. E a tanti altri nella storia.

Il ricordo efficace di Cristo

La settimana santa ci porta la grazia potente di afferrare noi poveri smemorati per diventare come il Cireneo, per buttarci nella corsa con Pietro e Giovanni verso la tomba vuota, per farci aspettare nella fede colui che aveva promesso di ritornare dopo tre giorni. Anche se noi avessimo dimenticato il suo nome, egli non ha dimenticato il nostro.    

Gesù ha chiesto l’acqua alla samaritana. Egli ha chiesto di ricordarci del dono della sua vita. Ogni mancata risposta porta il marchio dell’ingratitudine e dell’indifferenza.

Perché’ siamo chiamati a passare di Pasqua in Pasqua? Per rompere la trincea che ci tiene asserragliati nel nostro buco di difesa. Difesa da Dio che vuole espugnarci. Egli ci presenta suo Figlio come il bambino di Betlemme, il falegname di Nazareth, l‘instancabile annunciatore del Regno di Dio, il medico dei corpi e delle anime, colui che pende dalla croce, il risorto che mostra le ferite che gli abbiamo inflitto e che egli ha trasformato in segni splendenti della sua misericordia.

Entrare e far entrare nella Pasqua

Ricordo con commozione l’introduzione alla veglia pasquale che ero solito organizzare nei villaggi del Bangladesh. Facevo sedere tutti a crocchi, adulti e bambini, sull’erba del sagrato. La gente, che teneva in mano la propria candela spenta, era sorpresa per questo rallentamento imposto alla cerimonia liturgica. Essi volevano solo precipitarsi a prendere un bel posto in chiesa. Invece io chiedevo agli adulti di spiegare semplicemente ai bambini perché’ quella notte era diversa delle altre. Passando ad ascoltare i vari gruppetti, restavo stupito davanti alla facondia con cui gli adulti spiegavano il senso della benedizione del fuoco, delle letture dell’Antico Testamento, dell’acqua battesimale e dell’Eucarestia. Era come far rivivere la catechesi di Gesù sulla via di Emmaus. Intanto scendeva l’oscurità e in tutti era cresciuta l’aspettativa di mettersi in cammino nella luce di Cristo Risorto verso la terra promessa.

Quante volte nella mia mente ho rievocato la tela di Alessandro Maganza, custodita nella chiesa di Cereda di Cornedo Vicentino, mio paese natale! In essa è raffigurato Cristo che celebra la Pasqua ebraica: in piedi, con i fianchi cinti, il vincastro in mano. Sulla tavola, ha davanti ha l’agnello pasquale, ma con una mano egli tocca il pane. Sembra che dica:” Ora sono io il nuovo Mosè e il nuovo agnello: per questo mi farò anche pane per il vostro viaggio”. Nel quadro, sullo sfondo oscuro, si intravvede la lampada a sette braccia che getta un po’ di luce sulla scena. Da ora in poi Gesù stesso sarà la colonna di luce per il popolo dei salvati. Portando a compimento la Pasqua ebraica, Gesù coinvolge l’umanità in un cammino di liberazione e di speranza. Come diventa coinvolgente il suo ardente desiderio di celebrare la sua Pasqua con noi!

Insieme in chiesa, e fuori?

Le nostre celebrazioni ci vedono al nostro posto, dietro a Lui, correndo-danzando-zoppicando. Mi viene da pensare alla massa raccogliticcia di coloro che sono stati contagiati dalla fuga degli ebrei dall’Egitto. La nostra marcia è così convincente da far sì che qualcuno, aggrappandosi ai nostri mantelli, debba dire: ‘Noi vogliamo venire con voi’?

Purtroppo la nostra fragilità umana e il nostro egoismo insidiano lo stesso cammino della salvezza facendo emergere più l’io che il noi, ossia l’essere comunità in Cristo e il sentirci solidali con tutta l’umanità. La stessa frammentazione delle chiese concorre a fare emergere più l’organizzazione che il mistero della chiesa. Noi siamo ben altro che un’organizzazione benefica non governativa, anche se la società ci tollera o ci loda fintanto che ci trova utili. La chiesa delle origini si è rivelata dirompente, più che per sue opere buone, per la sua fede nel Cristo risorto. Non si trattava certo di sonnifero o di oppio!

Ora la corsa dietro a Gesù, vissuta dagli Apostoli, da Paolo, dai santi che invochiamo nelle litanie e che ci è stata additata nel nostro battesimo, rischia di segnare una battuta di arresto o di deviazione. Da persone coinvolte in prima persona, ci accontentiamo di farci benefattori, o di restare semplici spettatori di chi si trova in marcia. Madre Teresa di Calcutta non aveva paura di dire: ‘Ciò’ che faccio, lo faccio con Lui e per Lui’. Non si è fermata quando le hanno detto: “Le tue buone ragioni non ci riguardano. Ferma le tue Suore!” A lei premeva solo continuare l’opera di Cristo. Per questo aveva risposto: ”Io stessa fermerò le mie Suore, quando vedrò che le vostre madri, le vostre figlie e le vostra sorelle stanno facendo ciò che le mie Suore fanno”.

Quando Gesù passava per le strade della Palestina, molti gli sono andati dietro per ascoltarlo e farsi guarire, e molti sono rimasti sul ciglio della strada a difendere le ragioni della loro inerzia o del loro prestigio. Qualcuno per vederlo è salito su una pianta, qualcuno alla sua proposta se n’è andato triste, stringendo tra le mani il gruzzolo che gli garantiva qualche sicurezza. Gesù ci prende talmente sul serio che arriva a dire anche ai suoi intimi: ‘Volete andarvene anche voi?’

Per grazia di Dio, anche oggi molti testimoni e martiri ci dicono che seguire Gesù fino al dono della vita è la scelta vincente. Ma il loro esempio ci tocca? Li sentiamo come una grazia che oggi Dio fa alla sua chiesa? Forse essi stanno rompendo la nostra sonnolenza. Per incontrare i martiri di Cristo non dobbiamo tornare al Colosseo, attorno al quale facciamo la nostra via crucis. Fino a che punto ci sentiamo parte della compagnia dei segnati dal sangue dell’Agnello?

Il nostro modo di celebrare la Pasqua dovrebbe qualificare il nostro modo di essere cristiani. Camminiamo trattenendo ancora nel cuore un po’ di affetto per l’Egitto? Riusciamo a tenere lo sguardo affettuosamente rivolto a Gesù Cristo, che ci ha aperto la strada della fede? Egli non ha tenuto conto di una morte vergognosa sulla croce, perché’ pensava alla gloria riservata per lui in cambio di quella sofferenza. Egli ci ha aperto una via nuova e vivente (cfr. Ebrei 10,19; 12,2). Questa via è offerta anche a noi con il suo: ‘Se vuoi...’.

Il viaggio resta rischioso

Forse un giorno rischieremo il viaggio verso Marte con le sole garanzie offerte dalla scienza. Gesù non offre le garanzie della matematica, ma solo quella della fede, che pure risponde anche alle domande della ragione. Il suo centuplo non ci toglie le bruciature della persecuzione. Perché’ allora non prendiamo lezione dai veri vittoriosi della storia?

In questi ultimi anni mi sono fermato a riflettere sul grande e meraviglioso Mistero pasquale, che offre la chiave di lettura della storia umana. L’ho presentato alla luce della bibbia, della liturgia, della teologia, della spiritualità cristiana, dei suoi innumerevoli testimoni, della riflessione dei grandi educatori e   degli stessi artisti. Peccato che tante belle interpretazioni di questi ultimi le abbiamo relegate nei musei. Ma anche da là ci possono disturbare.

Su questo tema ho voluto dedicare un bel volume, illustrato a forma di album, ai bambini che imparano dalla vita la legge del grano di frumento che, cadendo in terra muore e porta molto frutto. Non volevo privarli del cuore del mistero cristiano che appassionava tanto Paolo di Tarso e dovrebbe appassionare tutti i battezzati. Dio mi liberi dall’inganno che mi possa bastare una dotta presentazione della croce e della resurrezione di Cristo. 

Un mistero che chiama per nome anche i morti

Da un po’ di tempo mi sconcerta una scelta (pastorale?) che si diffonde come un’epidemia. In alcuni cimiteri cristiani del Bangladesh vengono geometricamente allineate tante croci uguali che non portano più il nome ricevuto nel battesimo, ma solo un numero. Così la trasmissione del credo della fede non tocca più la concretezza del nome della persona! Piantiamo nella terra dei ‘semi anonimi’. Questo sopravvento della matematica anche tra i nostri defunti mi sgomenta. Mi sembra una nuova strategia di satana, ben contento di farci dire: ‘Il nome del battesimo non deve essere tramandato ai posteri. Le litanie dei santi sono ormai a numero chiuso. Il nome cristiano non è più un annuncio di appartenenza, né un segno di speranza nella resurrezione’.

L’ateo dice tranquillamente: ’L’uomo è come un numero tra le stelle’. C’è chi parla di non-senso. Eppure sappiamo che Dio chiama le stelle per nome e tiene scritto il nostro nome sulla sua mano. Se smarriamo la mano di chi ci sostiene, dove ci possiamo collocare?

Per me la Pasqua resta ancora la culla dell’uomo salvato da Dio, l’inizio di un cammino pieno di significato, perché’ ha con se’ la stessa compagnia di Dio fatto uomo, che ci rassicura sulla nostra origine e sul nostro fine.

Ogni essere umano ha bisogno della Pasqua. Non per nulla il Vaticano II ha affermato: ”Cristo è morto per tutti e la vocazione dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale” (Vaticano II, ‘Chiesa e mondo moderno’, 22/1389).

La pulitura continua della perla

Anche come missionario, non me la sento di buttare ai porci questa perla del Vaticano II. Essa mi dice che il bene che posso e debbo fare per gli altri, ha un senso se si colloca sulla linea del bene che Dio stesso per mezzo di Cristo continua a fare per tutti gli uomini. E’ il paradosso cristiano! Davanti alla demolizione delle chiese, delle stesse nostre opere di carità, delle bellezze create dall’uomo nella storia, il cristiano crede che il Padre stia lavorando per la salvezza di tutti. Egli continua a piantare ed a costruire, con l’invito a dargli una mano.

Mi sento stimolato ogni giorno di più a fare conoscere questa consolante verità. Come vorrei vederla risplendere nel cuore di tutti! Come mi piace sentire alitare lo Spirito di vita anche sulle tombe di coloro il cui nome dice semplicemente : ‘Cristo ha toccato la mia carne ed io risorgerò con Lui’.

La nostra religione non è semplicemente la religione del libro, ma è la religione della Persona, del Dio dei vivi. La sua gloria splende nell’uomo vivente. Dio non s’impone, neppure con i suoi doni. Egli semplicemente si propone nello stile di Gesù: ‘Se tu conoscessi il dono di Dio...Fai anche tu come me, che sono il buon samaritano degli uomini’.

   Per questo, finche’ siamo in questo mondo, è bello passare di pasqua in pasqua, in un innovato cammino di libertà e di speranza, fino al giorno in cui entreremo nel riposo di Dio.

Silvano Garello                                                                                                     

silgarello@dhaka.net

Garello Silvano sx
08 April 2015
1664 Views
Available in
Tags

Link &
Download

Area reserved for the Xaverian Family.
Access here with your username and password to view and download the reserved files.