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Graffiti e cavoli

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Domenica 3 maggio, dopo la celebrazione della messa e l'incontro con Elena e Tsukasa (giapponese) per preparare il loro matrimonio, sono andato anch'io in Via Carducci, Milano, a dare una mano per ripulire i muri imbrattati. Subito mi furono dati guanti, spazzola e detersivi. In quello stuolo di giovanissimi, giovani e qualche ragazzo, in quel momento - tardo pomeriggio - ero l'unico dai capelli bianchi. Subito mi chiesero chi sono e che cosa faccio. Nessuna meraviglia alla mia risposta che sono prete, anche se io, un po' di meraviglia me l'aspettavo. Dopo tutto mi avrebbe gratificato. Invece per loro ero semplicemente l'ultimo arrivato. Chiesi se erano venuti come gruppo, ma seppi che si stavano incontrando per la prima volta. I discorsi che si scambiavano erano per lo più sui loro studi. La giovane che si combinò con me a pulire la stessa scritta mi confidò che da un anno stava disertando l'università e che ora era incerta sul da farsi. Dal vigore con cui puliva il muro, sono certo che troverà la sua via. Nessuno parlò né di black bloc, e nemmeno degli atti di violenza perpetrati due giorni prima. Solo continuavano a ripulire e a raccontarsi le loro avventure universitarie. Quella energia giovanile, forte e lieve, mi purificò dai miei malumori.

La scena di uomini incappucciati che devastano la città mi aveva amareggiato. Ma l'amarezza più amara fu quando ho intravisto in certi pronunciamenti di uomini politici un gusto celato per la sciagura avvenuta. Mi è parso come fossero contenti che la sciagura abbia dato loro l'occasione per assalire e distruggere a loro volta. Ne ho avuto la netta impressione da quel loro inferocirsi contro qualcosa e qualcuno, anziché sentire compassione per l'accaduto e meditare sulla via della guarigione dal male. Dico la mia convinzione: senz'altro fu un male minore che i muri di Via Carducci siano stati imbrattati e che alcune automobili siano state incendiate – lo dico chiedendo scusa a chi ha subito questi danni -, piuttosto che aver creato un clima poliziesco tale da trattenere la violenza nascosta sotto la coltre della paura. Perfino la madre Terra, quando non ne può più, esplode, trema, distrugge. So che dire questo appare impietoso per coloro che sono stati sepolti sotto le macerie in Nepal. Eppure rimarrebbe ben più impietoso subire le sciagure, senza riconoscervi l'ammonimento di un equilibrio perduto e che va ritrovato. In chi è rimasto illeso scaturisce una profonda commozione verso chi ha prosciugato il male con il suo corpo. E' questa una espressione cara a Simon Weil. E' il cuore del Vangelo. E' il Cristo che prosciuga il peccato con il suo corpo sulla croce.

Facevo queste considerazioni mentre sudavo per cancellare le macchie dal muro. Quei giovanissimi e giovani riparavano il male senza imprecare contro il male, ma raccontandosi le avventure della loro vita. Quasi allegramente. “... Ma dobbiamo anche capire perché hanno fatto questo!”, disse un anziano intervistato da una giornalista (3 maggio, telegiornale RAI 24). L'errore ripetuto nella storia è quello di contrastare la violenza con la violenza, anziché cogliere nella situazione violenta che accade la pregnanza di un cambiamento divenuto necessario. La violenza va letta, meditata. La lettura meditata della violenza ne libera la sua dose buona. Il fuoco, per sua natura, è violento. Chi lo spegne perché violento, rimane al freddo. Chi lo rispetta, si riscalda. Dagli urti violenti della storia l'umanità ha compiuto grandi passi. Gesù disse: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12).

Deve essere molto interessante la visita di una EXPO che ha come slogan: “nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Forse i paesi più poveri hanno una cura più delicata verso il cibo, perché ne conoscono il valore prezioso. La violenza della fame educa al valore del cibo. L'assuefazione pigra al cibo butta nell'obesità. Ho visto in televisione la ragazza guida del padiglione dello Azerbaigian che presentava i piatti caratteristici del suo paese. E' lo stesso piatto di riso bianco, unico per tutto l'anno, che però viene decorato con i petali dei fiori del momento. La bellezza diventa parte essenziale del cibo povero e ne decide il sapore stagionale.

Papa Francesco ha invitato a visitare l'EXPO non dimenticando mai i volti di quelli che hanno fame. Lungo Via Monte Napoleone a Milano, fra stands di Ferrari e altre automobili di lusso, sono state improvvisate delle aiuole di ortaggi: cavoli, pomodori, pianticelle di sedano ecc. Sul marciapiede donne e uomini, per lo più incerottati, si fermano ad ammirare il fior fiore della moda esposto nelle vetrine, mentre robuste guardie del corpo accolgono quelli che entrano nelle boutique. Finite le compere, li riaccompagnano fuori. Che ci stanno a fare i cavoli in Via Monte Napoleone? Gli stranieri che vengono a visitare l'EXPO devono uscire dalla città e andare nella campagna della Pianura Padana per ammirare le coltivazioni di ortaggi, di riso, di frumento, di granoturco ecc. Là i cavoli sono a casa loro, in Via Monte Napoleone subiscono la violenza dell'artificio umano. Fanno brutta figura.

La sera del 30 aprile ho fatto visita a una giovane coppia, lei giapponese e lui italiano. La mamma mi aveva telefonato per darmi la notizia che al loro bambino di un anno circa è stato diagnosticato una carenza genetica che ne comprometterà lo sviluppo fisico. Non avrà il dono della parola. Lungo il viaggio verso la loro casa mi chiedevo con quali espressioni avrei potuto confortare due giovani genitori colpiti da una prova così dura. Meglio sarebbe direi: così violenta. Quando, tolte le scarpe, entrai in casa, la mamma stava imboccando il piccolo seduto sul seggiolone. Ad ogni boccone la mamma sorrideva e il bambino rispondeva a sua volta con il sorriso. Per la disfunzione genetica che lo ha colpito il bambino non parlerà, ma in cambio sorriderà sempre. Negli Stati Uniti questi bambini sono chiamati smiling angels. Nel frattempo il papà aveva preparato lo sukiyaki, una piatto speciale giapponese che non gustavo da quando sono ritornato in Italia.

“Padre Luciano, si vede che il Signore ha avuto fiducia di noi se proprio a noi ha affidato questo nostro caro bambino....”. Lo sukiyaki diede energie al mio corpo; ma furono soprattutto il sorriso di quella mamma e le parole di quel papà a dare energie al mio spirito. Andato per confortare, sono stato confortato. Finita la cena presi in braccio il bambino. Mi sorrideva e anch'io sorridevo.

Se potessi incontrare i black bloc vorrei invitarli a convertirsi alla violenza del regno dei cieli. Stanno usando in modo sbagliato un ardore che all'origine è valore prezioso. E' l'ardore di cui l'umanità oggi ha radicale bisogno. Io da solo non ne ho il coraggio, ma con loro me la sentirei di fare alcuni gesti di violenza evangelica. Sì, prenderemmo in prestito un camioncino e assieme riporteremmo i cavoli imprigionati in Via Monte Napoleone negli orti della bella Pianura Padana. Poi, incoraggiati dal primo successo, potremmo farci promotori di una grande festa: una domenica in cui gli immigrati che vivono in Milano e vicinanze sono accolti gratuitamente nel padiglione della loro patria e noi italiani in quello italiano. E tutto l'EXPO per un giorno diverrebbe un concerto di canti, danze, amicizie. A conclusione, il girotondo di tutti i bambini attorno all'albero della vita. Che rimane sempre solo un richiamo di quelli che inondano di verde la bellissima terra di Brianza.

p. Luciano

Mazzocchi Luciano sx
07 May 2015
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