… dalla Sierra Leone
“Non ricordate le cose che sono passate. Ecco, io le rinnovo ai nostri giorni”. (Is. 43,18)
LA STRAORDINARIA LIBERAZIONE DEI RIFUGIATI DELLA SIERRA LEONE IN GUINEA
Quanto scrivo in questo articolo si riferisce al periodo di circa due anni passato in Guinea tra i rifugiati della Sierra Leone. Lì vivemmo un’esperienza straordinaria, un’esperienza umana e di fede, che mi ha segnato profondamente e di cui non ho mai cessato di ringraziare il Signore.
Dopo l’evacuazione forzata dei saveriani dalla Sierra Leone, fui mandato insieme con altri due confratelli nel giugno 1999, a fare ministero tra i rifugiati sierraleonesi in Guinea. Ve n’erano circa 600.000 allora, ammassati per lo più al sud del paese. Noi tre saveriani andammo nella zona di Forecariah, al nordest, cioè presso la costa atlantica, appena al di là della frontiera, dove si trovavano le nostre missioni di Kambia e Madina in Sierra Leone.
Avendo come base, Forecariah, visitavamo regolarmente i tre campi più popolati e più vicini alla cittadina di residenza: Kaliah, Farmoriah, Kalako, con una popolazione di circa 30.000 persone. Molti rifugiati vivevano nei villaggi e nelle città della Guinea, abbastanza bene integrati in quanto etnicamente imparentati. I Susu infatti sono presenti sia in Guinea che in Sierra Leone.
Il nostro lavoro si svolgeva in un clima di relativa tranquillità, anche se la Guinea, ufficialmente una democrazia, era governata da un dittatore piuttosto brutale. Finche’ improvvisamente arrivò la guerra. La guerra che era cessata nella vicina Sierra Leone (ma sempre sotto il controllo dei ribelli) fu esportata in Guinea. Questo avvenne all’inizio del settembre 2000. Ripetuti attacchi furono scatenati dai ribelli della Sierra Leone, oltre la frontiera in Guinea, proprio nella zona dove stavamo lavorando. Fu in quell’occasione che due confratelli saveriani, i Padri Mosele e Manganello, furono presi e portati via. Loro si trovavano a Pamelap, una cittadina al confine tra i due paesi. Noi eravamo a circa 30 km.
Gli attacchi si ripeterono lungo tutta la linea di confine fino alla Liberia. La reazione in Guinea fu rabbiosa e violenta. Il presidente dittatore Lansana Conte`, in un discorso alla nazione, accusò TUTTI I RIFUGIATI di essere conniventi coi ribelli, quindi responsabili degli attacchi, dei danni, degli incendi e dell’uccisione di cittadini guineani. “E’ così che ci ripagano per i soldati ch abbiamo mandato e sacrificato per difendere il loro paese, e per l’ospitalità che abbiamo loro offerto in questi anni? ….. Rinchiudeteli tutti nei campi. Non lasciateli circolare in Guinea!”
Immediatamente, mentre ancora stava parlando, si scatenò la caccia ai rifugiati che vivevano fuori dai campi o si muovevano nei dintorni. Ci furono bastonature, spogliamenti, umiliazioni, violenze di ogni genere. Inutile dire che tutti gli addetti dell’ACNUR (Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati), tutte le ONG, tutti gli enti assistenziali sparirono dalla zona di lavoro presso i campi, e non si videro per molti mesi.
Iniziò per i rifugiati un periodo di vero terrore, aggravato dalla scarsità di cibo e mancanza di assistenza medica. La minaccia non veniva solo dalla popolazione locale, ma anche dai ribelli stessi, che avanzando in Guinea, erano arrivati al bordo dei campi profughi. Tutti temevano che se fossero entrati nei campi, avrebbero portato via a forza uomini e ragazzi per arruolarli nelle loro file.
Noi ci rendevamo presenti per alcuni giorni alla fine della settimana. Il permesso datoci dall’ Arcivescovo di Conakry, Mons. Sarah, prevedeva la nostra presenza nei campi solo la domenica per la preghiera. Era bello e consolante poter essere in mezzo ai rifugiati, me era anche una grande pena. Tutti venivano da noi per dirci: “Padri, aiutateci! Portateci via da qui. Stiamo morendo.” Dopo la Messa, i musulmani stessi ci chiamavano nella loro tenda-moschea: “Padri, aiutateci! Qui siamo minacciati da ogni parte. Non possiamo più vivere qui”.
Invitavamo tutti ad avere fiducia, a pregare (e si pregava sì, con tanta fede!). Promettevamo di raccontare tutto all’ambasciatore della Sierra Leone a Conakry. Ma cosa fare per rimediare a quella tragedia? Che cosa fare per tante migliaia di persone? Abbiamo avuto un’intuizione: “POSSONO TORNARE A CASA VIA MARE, da Conakry a Freetown. HANNO IL DIRITTO DI TORNARE A CASA! Con l’aiuto dell’ambasciatore, dobbiamo far valere questo loro diritto”.
L’ambasciatore (un musulmanone simpatico che ci ammirava per il nostro lavoro tra i rifugiati) ci ascolto’. Era d’accordo, bisognava fare qualcosa. Si trattava di trasportare i rifugiati dai campi fino a Conakry (tre/quattro ore di viaggio); poi da Conakry occorreva un traghetto o delle imbarcazioni fino a Freetown. Chi poteva permettersi di finanziare un’impresa così costosa? Di certo non l’ambasciata della Sierra Leone, il paese più povero del mondo. La Provvidenza ci fece incontrare il Direttore del CRS (Catholic Relief Service, l’organizzazione assistenziale umanitaria dei vescovi USA) – e questo di certo non fu un caso! Questi era di passaggio in Guinea, ma sentito quanto stava succedendo, mise subito a disposizione i fondi necessari (migliaia di dollari) per l’operazione di trasporto. La Caritas di Conakry si interessò ad organizzare un convoglio di 8 grossi camion ogni settimana. L’ambasciatore si interessò presso il governo di Freetown perché’ mandasse una nave traghetto una volta alla settimana.
Così il piano si mise in moto. Non ci aspettavamo certo che tutto andasse liscio. Ma neppure avremmo immaginato che le autorità della Guinea avrebbero fatto di tutto per mandare a monte il nostro piano. I rifugiati venivano caricati sui camion come animali, fatti attendere per ore ed ore sotto il sole cocente, fermati lungo il tragitto o rimandati indietro per sciocchi pretesti.
Eppure, tra mille difficoltà, il piano va avanti. Il ritorno si avvera. Ogni settimana il numero dei rifugiati nei campi cala di 700/800 persone. E noi, radunati ogni domenica per celebrare l’Eucarestia e per invocare il Signore, ci accorgiamo che sta avvenendo qualcosa di straordinario. Migliaia di anni prima, il Signore Yahweh aveva strappato dalle mani del Faraone e degli Egiziani oppressori il popolo degli Israeliti. Per loro aveva aperto il mare e li aveva condotti attraverso il deserto.
Oggi si sta ripetendo la stessa meraviglia. Il Signore sta riportando a casa migliaia di rifugiati: NOI! Noi che eravamo alla merce’ degli oppressori della Guinea, noi che siamo stati minacciati, picchiati, umiliati, il Signore ci sta liberando dai loro artigli. Esternamente nulla appare di straordinario: una fortunata coincidenza, camion che si muovono verso i campi e che tornano carichi di gente stremata ma con il cuore felice, incertezze, ritardi burocratici, piccinerie della soldataglia… Ma chi ci e’ vissuto dentro, chi ha sofferto ed ha invocato il Signore giorno e notte, con la voce e con tutto il proprio essere, ha la chiara percezione che QUESTO E’ UN MIRACOLO! Il Signore ha nuovamente ascoltato il grido degli umili e degli oppressi: e’ nuovamente intervenuto per liberarli e salvarli.
Comprendiamo, allora, anche quel testo del profeta Isaia che annunciando il nuovo esodo, il ritorno degli esiliati dalla cattività, dichiara; “Così dice il Signore, colui che aprì una via nel mare… Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche. Ecco, io le rinnovo ai nostri giorni, NON VE NE ACCORGETE?” Sì, il Signore non ha mai cessato di compiere meraviglie. Quelle descritte nella Bibbia sono grandiose, ma non sono le uniche. Infatti, non ha mai cessato e non cesserà mai di compierle. Solo chi ha “occhi per vedere e orecchi per intendere” e’ capace di scoprirle e di esultarne.
L’esodo dei rifugiati non terminò in poche settimane. Si protrasse dal novembre 2000 fino alla fine di maggio del 2001. Venne interrotto più volte, successe perfino che i convogli dei camion furono rimandati indietro vuoti a Conakry, grazie alla piccineria delle autorità di Forecariah. Il Commissariato dei Rifugiati dell’ONU, che esiste per proteggere e prendersi cura dei rifugiati, all’inizio ignorò e poi apertamente scoraggiò il piano di rimpatrio. Ma dopo vari mesi, forse per salvare la faccia dinanzi al mondo che stava osservando, ne assunse la piena responsabilità. Così quando si misero in moto loro, “ i professionisti”, non erano più i grossi camion da trasporto merci a portare a casa i rifugiati, ma comodi autobus per le persone e bei camion marcati “ACNUR” per i bagagli. Non solo, ma da Conakry a Freetown, loro stessi organizzarono il trasporto con navi traghetto quasi giornaliero.
La domenica 20 maggio, feci la mia ultima visita ai campi profughi presso Forecariah. Alla Messa c’erano pochi fedeli, ma subito dissi loro: “Non rattristatevi perché siamo pochi… Tutti gli altri sono tornati a casa! Rallegriamoci e ringraziamo il Signore poiché ha ascoltato le nostre suppliche. Ci ha liberati, ci porta a casa!” Quella mattina stavano allestendo l’ultimo convoglio di rifugiati. Da quel giorno i campi rimasero vuoti. Grazie a chi? Agli autobus dell’ACNUR? No! Grazie al braccio potente del Signore nostro Dio!
Piero Lazzarini sx
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