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Andiamocene altrove

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Lunedì (29.01.2024 n.r.d) della quarta settimana del tempo ordinario. Come d’abitudine, inizio la giornata con la lettura del Vangelo della Domenica seguente. Per me, povero fabbro ferraio, è necessaria una settimana per riuscire a balbettare qualche straccio di omelia nella celebrazione della Domenica seguente. Leggo quindi Marco 1,29-39. Gesù esce dalla Sinagoga ed entra nella casa dei suoi primi discepoli. È una conversione radicale: “dalla” Sinagoga “alla” Comunità cristiana. Ma…La comunità è immobile a letto, con febbre!

E qui mi distraggo. Abbiamo appena concluso la nostra assemblea annuale e mi sono riletto i numeri 35-37 del XVIII Capitolo generale. Di fatto, anche nella nostra assemblea, uno dei temi discussi è stato appunto la “Parrocchia Missionaria”.

Il XVIII Capitolo Generale ci ha regalato dei passaggi evangelicamente meravigliosi come l’orientamento di ricollocare la base della missione “ad Gentes” nell’incarnazione (n. 13); ci ha proposto panorami aperti a “novità radicali” (n. 11) e a uno “stile nuovo”; ha ridato forza alla nostra fede ricordandoci che l’altro è mio fratello; non solo, l’altro rivela Cristo, già presente in lui (n. 14 a-b). Questo Capitolo Generale ha affermato con forza che, nella dottrina e nella proposta confortiana, incontriamo un cammino di santità evangelico con caratteristiche e accentuazioni proprie. Non solo ci parla di “stile proprio” (n. 16), ma di “spiritualità saveriana”, di “famiglia carismatica saveriana” (n. 49) fino all’impegno di promuovere una “cultura saveriana” (n. 19). Grazie, caro Capitolo!

Su questo meraviglioso quadro io, però, ho intravisto un’ombra. Naturalmente è la mia impressione che può essere errata, ma che mi pare onesto comunicarla. Parlo stando in Brasile e quindi con l’esperienza dei nostri settant’anni brasiliani.

Per ben due Capitoli Generali (V e VI) si era messo in dubbio la costituzionalità della presenza saveriana in Brasile, “il paese più cattolico del mondo”, si ripeteva. P. Barsotti aveva difeso la nostra presenza in Brasile per ragioni di animazione vocazionale e di fatto, con coerenza, ha costruito grandi seminari: Jaguapitã (1960), Laranjeiras do Sul (1960) e Londrina (1965).

La costituzionalità, per così dire, era salva, ma non era serena la coscienza di chi aveva scelto la Famiglia Saveriana per vivere fra i non cristiani. La stragrande maggioranza dei confratelli era impegnata, con generosità e a volte con eroismo, nelle parrocchie. Creare una parrocchia dal nulla, iniziando a radunare cristiani intorno ad una croce, senza un posto all’ombra, non è facile. Ma, mi sono sempre domandato: dove sono i non cristiani per i quali ho scelto i Saveriani? Ho riunito, fino a farli diventare parrocchia, cristiani dispersi in infinite coltivazioni di caffè o nelle favelas, ma erano cristiani e, se non ancora battezzati, esigevano il battesimo. Ho dato particolare attenzione a “i poveri, i deboli, gli emarginati dalla società, le vittime dell’oppressione e dell’ingiustizia”. Ma, leggiamo con attenzione: “Fra i non cristiani, ai destinatari privilegiati del Regno, i poveri”. Ho visto molti poveri, ma non “fra i non cristiani” (C 9).

Fu nelle assemblee degli anni 70 che in Brasile nacque l’aggettivo “missionaria” da aggiungere alla parola “parrocchia”.

Cosa può significare realmente? La parrocchia è una comunità cristiana e in quanto tale, per sua natura, missionaria? Può darsi che se ne dimentichi, ma lo è! Ho collaborato alla fondazione di parrocchie e la prima fatica è il tracciato dei confini. “Demarcazione”, parola tutt’altro che missionaria. Durante la mia esperienza in questi 70 anni (dico la mia esperienza e ne chiedo scusa, ma è la mia registrazione dei fatti), ho visto parrocchie che organizzavano qualche attività in più per sostenere economicamente la formazione saveriana; ho ammirato qualche confratello più impegnato a dare una mano nel setttore dell’Animazione Vocazionale e a mandare ragazzi alla comunità saveriana, qualcuno (pochi) a fondare l’Infanzia e Adolescenza Missionaria.

Significativo che, dopo settant’anni, stiamo ancora domandandoci cosa sia e perché “missionaria” una nostra parrocchia e non un'altra che (e ve ne sono) creano iniziative per la “missio ad gentes” ben più creative e significative delle nostre.

Fra le giustificazioni segnalate dal XVIII Capitolo Generale in favore delle parrocchie ve n’è una sincera e vera: la “necessità attuale di sostenere le attività della Circoscrizione” e cioè il motivo economico. Purtroppo anche questo frequentemente dimenticato dalle nostre parrocchie missionarie; si vedano infatti i richiami quasi mensili nel nostro foglio di comunicazione. Insomma, se dopo 70 anni stiamo ancora discutendo, significa che qualcosa non ha funzionato e non funziona.

E perché ricordare la parrocchia (mi permetto di chiedere al XVIII Capitolo Generale) proprio ora che abbiamo appena letto “del progressivo sfilacciarsi della struttura parrocchiale” e del “processo di declino delle parrocchie territoriali?”. “A fronte della crisi della parrocchia, non serve e non funziona un progetto restauratore che alcuni autori propongono” (vedi articolo di Gabriele Ferrari, commentando una ricerca di Tomáš Halík, Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare). 

Il coraggio di cambiare!

Il testo capitolare inizia affermando che l’inserimento nella Chiesa locale si fa specificatamente tramite la parrocchia. Mi permetto di ricordare che Antonio Abate, dal deserto, era chiamato a risolvere problemi delle diocesi; inserito, dunque, senza sacerdozio e senza parrocchia. San Benedetto, altro consacrato a Dio non legato alla gerarchia, è entrato perfino in competizione con la parrocchia e ha dovuto cambiare indirizzo, da Subiaco a Montecassino. San Francesco d’Assisi era in cammino, sempre.

Le vere riforme avvengono fuori dalle strutture. Il nuovo si verifica nella libertà dello Spirito. Bene le nostre Costituzioni: “Anche quando ci rivolgiamo ai non cristiani indipendentemente dalle strutture ecclesiali, lo facciamo sempre in comunione con la Chiesa locale” (n. 11). I “non cristiani” si incontrano fuori dalle strutture ecclesiali. Comunione, sì; appiattimento su schemi di cristianità tridentina o costantiniana, no!

Non ho dimenticato la mia meditazione, sto proprio meditando Mc 1,29-39: “Usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea…Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta…  Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni”.

Usciti… Davanti alla porta… Andiamocene altrove!

Siamo ancora con qualche linea di febbre e ci manca il coraggio di uscire dai confini parrocchiali? Quando “l’audacia” di essere chiesa in uscita o, come ora ama dire papa Francesco, una Chiesa in “estasi”, fuori dalle mura, fuori di sé. Ecco, “fuori di sé” come Gesù al capitolo 3,21 di Marco.

Il XVIII Capitolo Generale esemplifica: centri, case di formazione, case per Saveriani anziani, santuari e naturalmente anche parrocchie (n. 20). Subito al numero seguente incoraggia la formazione di comunità miste che possono essere realizzate in alcuni contesti (cfr. C 36.3).

Usciti dai confini parrocchiali ci saremo messi finalmente sulla strada che papa Francesco continuamente ripete:

Per favore, non viviamo una fede «da sacrestia»”.

Allora Egli (Gesù) esce dal luogo sacro e inizia a predicare la Parola tra la gente, sulle strade dove le donne e gli uomini del suo tempo faticano ogni giorno. A Cristo interessa portare la vicinanza di Dio proprio nei luoghi e nelle situazioni in cui le persone vivono, lottano, sperano, talvolta stringendo tra le mani fallimenti e insuccessi, proprio come quei pescatori che nella notte non avevano preso nulla”.

Guardare il cielo, andare in cammino e adorare. E chiediamo la grazia di non perdere mai il coraggio: il coraggio di essere cercatori di Dio, uomini di speranza, intrepidi sognatori che scrutano il cielo, il coraggio della perseveranza nel camminare sulle strade del mondo, con la stanchezza del vero cammino, e il coraggio di adorare, il coraggio di guardare il Signore che illumina ogni uomo. Che il Signore ci dia questa grazia, soprattutto la grazia di saper adorare”.

Hortolandia, Brasile, 30 gennaio 2024.

P. Alfiero Ceresoli s.x.

Alfiero Ceresoli sx
31 Enero 2024
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