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La pace: la chiave per ristrutturare tutto l'insegnamento teologico

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Dall'inizio della guerra della Russia in Ucraina, il 24 febbraio 2022, il mondo sembra essersi svegliato alla realtà della guerra e dei suoi mali. In questi giorni, con le immagini che arrivano dalla Palestina e da Israele, gli orrori della guerra stanno scioccando molte persone. Tutti i media parlano di guerra. È tornata la guerra? Non è una novità.  Una certa ideologia ha fatto credere che dopo la Seconda Guerra Mondiale e la fine della Guerra Fredda la guerra fosse stata archiviata e resa di fatto impossibile.

Sbagliato. È stata ovviamente una bella illusione, ma anche una menzogna", risponde Sergio Tanzarella, docente di storia ecclesiastica presso la Pontificia Facoltà dell'Italia Meridionale. Lo ha detto in una lettera che ha scritto ai rettori di tutte le università e facoltà pontificie d'Italia il 15 maggio 2022. Per resistere all'ideologia della bontà della guerra e proporre una risposta profondamente cristiana alla guerra e alla violenza, ha suggerito che la pace secondo il Vangelo diventi la chiave di una possibile ristrutturazione di tutto l'insegnamento della teologia a livello universitario. La sua lettera è stata pubblicata in italiano dal sito Settimananews con il titolo : Per una teologia della pace. (Vedi Settimana NEWS maggio 2022). Ci ha dato il permesso di tradurla.

Ai Rettori delle Pontificie Università in Italia
Ai Presidi delle Pontificie Facoltà Teologiche in Italia
Ai Direttori degli Studi Teologici e degli Istituti Teologici
Ai Direttori degli Istituti Superiori di Scienze Religiose 
Gentilissime Autorità Accademiche, 

per molti anni la propaganda della bontà della guerra fredda fondata sul principio della deterrenza ha cercato di convincerci che con i lampi nucleari di Hiroshima e Nagasaki la guerra fosse stata archiviata e resa di fatto impossibile. Era evidentemente una buona illusione ma anche una menzogna perché le guerre e le stragi in Indocina, in Corea, in Algeria, in Vietnam, in Cambogia, con i loro milioni di morti, l’uso frequente di armi chimiche, il ricorso sistematico alla tortura erano lì a smentire questa tesi ottimista e negazionista. Contemporaneamente in Africa era un continuo susseguirsi di altre guerre, spesso ignorate ma non meno letali, premesse per gravissime carestie ed epidemie. Tutte guerre dove i morti civili sopravanzavano di molto i morti militari.

Dopo quell’agosto 1945 vi fu, quindi, un susseguirsi di guerre coloniali e post coloniali, tutte direttamente o indirettamente provocate e armate dalle nazioni più ricche del mondo, cui si aggiunsero sanguinose forme di repressione militare in Sud e Centro America con decine di migliaia di assassini e desaparesidos. Nel 1989 il crollo del muro di Berlino e due anni dopo la dissoluzione dell’impero sovietico illusero molti che nessuna guerra si sarebbe ormai più combattuta e che anche gli arsenali atomici capaci di distruggere molte volte la Terra, frutto della guerra fredda e del principio della deterrenza, sarebbero stati dismessi. Così tutti i popoli avrebbero potuto vivere occupandosi di istruzione e di salute in un nuovo tempo di pace.

La previsione fu totalmente sbagliata e le guerre si moltiplicarono con maggiore intensità e ferocia pur avendo sempre meno il coraggio di pronunciare il proprio nome divenendo con abili eufemismi operazione di polizia internazionale, missione umanitaria, operazione chirurgica, operazione militare speciale. Così in questi ultimi trent’anni vi è stato un susseguirsi di altre guerre: dalle due in Iraq, a quelle in Afghanistan, alla Libia, allo Yemen, a quelle della ex Jugoslavia, alla Siria e ancora sempre intere regioni dell’Africa fino alla guerra in corso in Ucraina, guerre solo geograficamente circoscritte ma che hanno visto impegnate coalizioni internazionali con eserciti enormi e con armi sempre più sofisticate, letali e costose.

In questa condizione di guerra diffusa e continuata -quella terza mondiale a pezzi denunciata più volte da papa Francesco - mentre produttori e commercianti di armi (assassini dal volto pulito, dalle labbra imburrate e dalle prodighe beneficenze) continuano a far festa, dovremmo aver capito che tutte le guerre sono destinate a non concludersi mai e ciò non solo per il danno economico irreparabile e per la fame, per i lutti e per i mutilati, per le vedove e gli orfani, per l’essere potenti fabbriche di profughi, ma soprattutto per la conseguenza dell’odio che non si estingue nemmeno attraverso il succedersi delle generazioni e che potenzialmente produrrà altre guerre. Si può dire, purtroppo, che dal 10 dicembre 1948 la Dichiarazione universale dei diritti umani è stata costantemente violata.

Dinnanzi a questa catastrofe di umanità che sono state e sono le guerre moderne il magistero pontificio ha sempre più affinato una posizione chiara che da Benedetto XV in poi ha espresso una totale condanna e il rifiuto ad offrire alla guerra giustificazioni morali e divine. Soprattutto dopo la Pacem in terris questo è apparso ancora più evidente! E tuttavia vi è da interrogarsi se ancora ha senso riproporre quella teoria della guerra giusta concepita ancor prima che le armi da fuoco fossero utilizzate per la guerra. Qui non si tratta più di schioppi o di bombarde ma di bombe a grappolo o al fosforo, di proiettili all’uranio impoverito, di mine antiuomo e di mine giocattolo, quelle per mutilare i bambini, e degli altri mille ordigni e sistemi d’arma con i quali oggi si fa la guerra, e di testate nucleari con le quali si minaccia di farla. Non solo l’uso di quelle armi ma anche il semplice possesso non chiede oggi a noi una condanna senza appello come già fece Giacomo Lercaro durante il Vaticano II? 

Ma soprattutto l’insegnamento della teologia mi appare oggi chiamato a porre attenzione al disarmo degli spiriti e dei cuori, al superamento dei nazionalismi e delle contrapposizioni tra i popoli, alla condanna di ogni tentativo religioso di giustificare la guerra, al superamento dei neo costantinismi, alla crisi ecologica umana in atto con la sistematica distruzione dell’ambiente e della fraternità. Urge che la teologia oggi insegni, con i propri strumenti di studio e con rigorosa scientificità, a rifiutare ogni guerra ai migranti – cioè quella realizzata con respingimenti, annegamenti, muri, filo spinato, legislazioni persecutorie, spostamento dei confini nazionali, campi di prigionia come i centri di permanenza per i rimpatri, nuove forme di schiavitù - e soprattutto aiuti a comprendere che il meticciato non è un pericolo ma uno dei segni dei tempi che dobbiamo con gratitudine accogliere e comprendere.  

I nostri studenti vorrebbero capire, vorrebbero soprattutto scoprire quanto il cristianesimo e le altre religioni possono collaborare per opporsi alla guerra e come contribuire alla costruzione di quella fratellanza umana di cui parlano il documento di Abu Dhabi e l’enciclica Fratelli tutti. E soprattutto se non è giunta l’ora – forse non più per scelta libera e responsabile ma perché costretti dall’urgenza della storia presente – di ricostruire tutto il sapere teologico sul senso profondo della Pace, senso costitutivo e fondante per il cristianesimo e per la evangelizzazione. Non si tratta di prevedere un corso specifico, iniziativa pur meritoria. Io stesso posso affermare che quasi sempre le autorità accademiche delle istituzioni presso cui ho insegnato sono state, su richiesta, disponibili a concederlo. Oggi non c’è bisogno di un corso ma di un nuovo impianto teologico adeguato alle emergenze della storia e attento ai segni dei tempi. Papa Francesco nella Veritatisgaudium - dopo avere osservato che «non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi» - ha efficacemente indicato che 

«Questo ingente e non rinviabile compito chiede, sul livello culturale della formazione accademica e dell'indagine scientifica l'impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma, - anzi mi permetto di dire –verso “una coraggiosa rivoluzione culturale”. In tale impegno la rete mondiale delle Università e Facoltà ecclesiastiche è chiamata a portare il decisivo contributo del lievito, del sale e della luce del Vangelo di Gesù Cristo e della Tradizione viva della Chiesa sempre aperta a nuovi scenari e a nuove proposte». 

A me sembra che l’invito del Papa al cambio di paradigma e alla rivoluzione culturale, a partire anche dai quattro criteri suggeriti nel documento, non sia stato ancora avviato. Temo anzi che possa prevalere una ossificazione didattica della teologia, una incapacità alla sperimentazione e una paura del rinnovamento. E ciò nonostante Francesco abbia ulteriormente esplicitato le sue indicazioni nel discorso di Napoli del 21 giungo 2019 La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo:

«occorre partire dal Vangelo della misericordia, dall’annuncio fatto da Gesù stesso e dai contesti originari dell’evangelizzazione. […] è necessaria una seria assunzione della storiain seno alla teologia, come spazio aperto all’incontro con il Signore. […] È necessaria la libertà teologica. Senza la possibilità di sperimentare strade nuove non si crea nulla di nuovo, e non si lascia spazio alla novità dello Spirito del Risorto […]. Questo significa una adeguata revisione della ratio studiorum. […] dotarsi di strutture leggere e flessibili che manifestino la priorità data all’accoglienza e al dialogo, al lavoro inter- e transdisciplinare e in rete. Gli statuti, l’organizzazione interna, il metodo di insegnamento, l’ordinamento degli studi dovrebbero riflettere la fisionomia della Chiesa “in uscita”. Tutto deve essere orientato negli orari e nei modi a favorire il più possibile la partecipazione di coloro che desiderano studiare teologia: oltre ai seminaristi e ai religiosi, anche i laici e le donne sia laiche che religiose. In particolare, il contributo che le donne stanno dando e possono dare alla teologia è indispensabile e la loro partecipazione va quindi sostenuta».

A distanza già di tre anni sarebbe importante che ogni istituzione accademica avviasse un processo di revisione alla luce di queste istanze e che i risultati fossero resi pubblici per diventare esemplari per altre istituzioni e di incoraggiamento per tutti. Il Papa, a “partire dal Vangelo della misericordia e da una seria assunzione della storiain seno alla teologia”, ci suggerisce uno straordinario spazio di libertà e di responsabilità operativa e creativa, non vi è più alcun pretesto per le giustificazioni di un immobilismo ripetitivo.  In questa assunzione del tempo e dello spazio è implicita una seria presa in carico dei mondi vitali e delle condizioni di vita degli uomini e delle donne, in una teologia contestuale in un ascolto non distratto delle domande rilevanti e urgenti. 

Una delle piste da percorrere è quella della costruzione di un nuovo progetto didattico di baccalaureato ispirato alla teologia per la Pace al quale occorre si adegui la auspicata e attesa nuova ratio studiorum. Sacra Scrittura, Storia civile e Storia della Chiesa (non storia evenemenziale, aproblematica, apologetica ma analisi critica delle fonti e decostruzione delle menzogne e delle generalizzazioni, superamento dell’uso pubblico della storia e di tutte le costruzioni di memorie funzionali all’asservimento degli esseri umani) con adeguati spazi nel monte ore dovrebbero fornire le basi ad un sapere teologico che ponga al centro la Pace del Vangelo non come aggettivo opzionale ma sostanza stessa dello studio teologico fondato sui principi della nonviolenza. Le possibilità sono qui enormi e tutte da sperimentare.

Si pensi,solo per fare qualche esempio, al contributo che può offrire lo studio degli scritti di autori come Erasmo da Rotterdam, fino ad arrivare a Luigi Sturzo, della grande tradizione del pensiero nonviolento classico da Tolstoj a Gandhi, da Giorgio Capitinia Danilo Dolci fino ai cattolici Lanza del Vasto, Jean Goss e HildegardeMayr, delle straordinarie testimonianze del XX secolo di Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Giuseppe Dossetti, Thomas Merton, Giorgio La Pira, Tonino Bello, Arturo Paoli, Desmond Tutu e di martiri come Martin Luther King, Oscar Romero, Marianella García Villas, Juan José Gerardi e Pierre Claverie. Sono esempi, tra i tanti, di figure che restano ad oggi praticamente sconosciuti ai nostri studenti. Ritengo che i loro scritti potrebbero dare alla didattica teologica una ricchezza straordinaria fino ad oggi sottovalutata e nei fatti negata. Come resta ancora ignorata la ricca tradizione dell’obiezione di coscienza cristiana dalla recluta Massimiliano fino a Franz Reinisch, Franz Jägerstätter, Max Josef Metzger, Josef Mayr-Nusser, Jean Claudel, Jean Pezet, Giuseppe Gozzini, Rosemary Lynch e tanti e tante che hanno offerto una testimonianza esemplare della nonviolenza evangelica. 

Ma siamo in ritardo, la teologia è in grande ritardo. Siamo chiamati dalle domande della storia ad una conversione della teologia. Chiamati a far confluire i nostri campi di ricerca, spesso molto specialistici, in una elaborazione collettiva e coraggiosa di una Teologia per la Pace fondata sul senso profondo della nonviolenza ispirata al Vangelo. Gli studenti ci guardano e ci chiedono di aiutarli a comprendere la complessità, a formare la propria coscienza ad un disarmo delle menti, a formulare un giudizio dirimente dinnanzi agli armamenti, alle stragi, alla tortura, ai bombardamenti e soprattutto di fronte ad un sistema finanziario militarizzato che produce fame, impoverimento, morte e che di fatto con ferocia governa il mondo, condiziona i parlamenti e che pretende di giustificare le disuguaglianze. Non vorrei che anche in un’ora così terribile si continuino a programmare studi teologici che lasciano gli studenti indifferenti, o rassegnati, rispetto alla realtà dell’inumanità e dell’ingiustizia sistemica. Se il risultato del nostro insegnamento è l’indifferenza, o la rassegnazione, allora è certo che abbiamo fallito. Anche perché non c’è traccia di indifferenza e di rassegnazione nel Vangelo. Ispiriamoci invece a quanto ancora ci raccomanda il Papa:

«Sogno Facoltà teologiche dove si viva la convivialità delle differenze, dove si pratichi una teologia del dialogo e dell’accoglienza; dove si sperimenti il modello del poliedro del sapere teologico in luogo di una sfera statica e disincarnata. Dove la ricerca teologica sia in grado di promuovere un impegnativo ma avvincente processo di inculturazione».            

Saranno certo queste convivialità, queste pratiche, queste sperimentazioni e questi processi ad essere il nostro contributo - di istituzioni teologiche ed insegnanti - alla costruzione della Pace. 

Napoli, 8 maggio 2022
Sergio Tanzarella
ordinario di Storia della Chiesa
Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale sez. San Luigi
Via Petrarca, 115 80122 Napoli
sergiotanzarella@storiadelcristianesimo.it
Cel. 3498119835


La paix : clé de restructuration de tout l’enseignement de la théologie

Depuis le début de la guerre en Ukraine par la Russie, le 24 février 2022, le monde semble encore s’être éveillé à la réalité de la guerre et ses méfaits. En ces jours, avec les images qui viennent de la Palestine et d’Israël, les affres de la guerre choquent plus d’un. La guerre, tous les médias en parlent. La guerre est-elle de retour ? Rien de nouveau.  Une certaine idéologie a fait croire qu’après la deuxième guerre mondiale et la fin de la guerre froide que la guerre avait été archivée et rendue effectivement impossible.

Faux. C'était évidemment une bonne illusion, mais aussi un mensonge, répond Sergio Tanzarella, professeur d’histoire ecclésiastique à la faculté pontificale de l’Italie méridionale. Il affirmait cela dans une lettre qu’il a dressée aux recteurs de toutes les universités et facultés pontificales de l’Italie, le 15 Mai 2022. Pour résister à l’idéologie de la bonté de la guerre et proposer une réponse profondément chrétienne à la guerre et à la violence, il suggérait que la paix selon l’évangile devienne la clé de lecture d’une possible restructuration de tout l’enseignement de la théologie au niveau universitaire. Sa lettre a été publiée en italien par le site Settimananews sous le titre : Pour une théologie de la paix. (Cf. Settimana NEWS Mai 2022). Il nous a autorisé en en faire la traduction.

Aux Recteurs des Universités Pontificales en Italie
Aux Doyens des Facultés Pontificales de Théologie en Italie
Aux Directeurs des Etudes Théologiques et des Instituts Théologiques
Aux Directeurs des Instituts Supérieurs de Sciences Religieuses 

Chères autorités académiques 

Pendant de nombreuses années, la propagande de la bonté de la guerre froide fondée sur le principe de la dissuasion a essayé de nous convaincre qu'avec les éclairs nucléaires d'Hiroshima et de Nagasaki, la guerre avait été archivée et rendue effectivement impossible. C'était évidemment une bonne illusion, mais aussi un mensonge. Car les guerres et les massacres en Indochine, en Corée, en Algérie, au Vietnam, au Cambodge, avec leurs millions de morts, l'utilisation fréquente d'armes chimiques, le recours systématique à la torture étaient là pour démentir cette thèse optimiste et négationniste. Au même moment, il y avait en Afrique une succession ininterrompue d'autres guerres, souvent ignorées mais non moins meurtrières, ayant pour prémisses de graves famines et épidémies. Autant de guerres où les morts civils étaient bien plus nombreux que les morts militaires.

Après ce mois d'août 1945, il y a donc eu une succession de guerres coloniales et post-coloniales, toutes directement ou indirectement provoquées et armées par les nations les plus riches du monde, auxquelles se sont ajoutées des formes sanglantes de répression militaire en Amérique du Sud et en Amérique centrale avec des dizaines de milliers d'assassins et de desapareidos. En 1989, la chute du mur de Berlin et, deux ans plus tard, la dissolution de l'empire soviétique ont fait croire à beaucoup qu'il n'y aurait plus de guerres et que même les arsenaux atomiques capables de détruire plusieurs fois la Terre, fruit de la guerre froide et du principe de dissuasion, seraient déclassés. Tous les peuples pourraient alors avoir accès à l'éducation et aux soins de santé dans une nouvelle ère de paix.

La prédiction s'est avérée totalement fausse et les guerres se sont multipliées avec plus d'intensité et de férocité tout en ayant de moins en moins le courage de prononcer leur nom, devenant avec d'habiles euphémismes opération de police internationale, mission humanitaire, opération chirurgicale, opération militaire spéciale. Ainsi, au cours des trente dernières années, d'autres guerres se sont succédées : de deux en Irak, à celles d'Afghanistan, de la Libye, du Yémen, de l'ex-Yougoslavie, de la Syrie, et encore de régions entières de l'Afrique jusqu'à la guerre actuelle en Ukraine, des guerres seulement circonscrites géographiquement mais qui ont vu des coalitions internationales engagées avec des armées gigantesques et des armes de plus en plus sophistiquées, létales et coûteuses.

Dans cette condition de guerre généralisée et continue – la troisième guerre mondiale dénoncée à maintes reprises  par le Pape François - tandis que les fabricants et les commerçants d'armes (meurtriers au visage propre, aux lèvres beurrées et aux charités prodigues) continuent à faire la fête, nous aurions dû nous rendre compte que toutes les guerres sont destinées à ne jamais finir, et ceci non seulement à cause des dommages économiques irréparables et de la faim, des deuils et des mutilations, des veuves et des orphelins, de l'état de puissante usine de réfugiés, mais surtout à cause de la conséquence de la haine qui ne s'éteint pas même à travers la succession des générations et qui produira potentiellement d'autres guerres. On peut dire, malheureusement, que depuis le 10 décembre 1948, la Déclaration universelle des droits de l'homme est constamment violée.

Face à cette catastrophe de l'humanité qu'ont été et que sont les guerres modernes, le magistère pontifical a affiné de plus en plus une position claire qui, depuis Benoît XV, exprime une condamnation totale et un refus d'offrir de justifications morales et divines à la guerre. Surtout depuis Pacem in Terris, cette position est devenue encore plus évidente ! Et pourtant, il faut se demander si cela a encore un sens de proposer de nouveau cette théorie de la guerre juste conçue avant même l'utilisation des armes à feu pour la guerre. Il ne s'agit plus ici de tromblons ou de bombes, mais de bombes à fragmentation ou au phosphore, de balles à l'uranium appauvri, de mines anti-personnelles et de mines- jouets, celles destinées à mutiler les enfants, et de milliers d'autres engins et systèmes d'armes avec lesquels la guerre est menée aujourd'hui, et des têtes nucléaires avec lesquelles elle est menacée.

Non seulement l'utilisation de ces armes mais aussi leur simple possession n'exigent-elles pas aujourd'hui de notre part une condamnation sans appel comme l'a fait Giacomo Lercaro pendant Vatican II ?  Mais surtout, l'enseignement de la théologie me semble aujourd'hui appelé à prêter attention au désarmement des esprits et des cœurs, au dépassement des nationalismes et des oppositions entre les peuples, à la condamnation de toute tentative religieuse de justifier la guerre, au dépassement des néo-constantinismes, à la crise écologique humaine en cours avec la destruction systématique de l'environnement et de la fraternité. Il est urgent que la théologie enseigne aujourd'hui, avec ses propres outils d'étude et avec une scientificité rigoureuse, à rejeter toute guerre contre les migrants - c'est-à-dire celles menées avec des rejets, des noyades, des murs, des barbelés, des législations persécutrices, le déplacement des frontières nationales, des camps de prisonniers comme des centres de détention pour le rapatriement, de nouvelles formes d'esclavage - et surtout à nous faire comprendre que le métissage n'est pas un danger mais un des signes des temps que nous devons accueillir et comprendre avec gratitude.

Nos étudiants voudraient comprendre, ils voudraient surtout découvrir combien le christianisme et les autres religions peuvent collaborer pour s'opposer à la guerre, et comment ils peuvent contribuer à la construction de cette fraternité humaine dont parlent le document d'Abu Dhabi et l'encyclique Fratelli Tutti. Et surtout, si le moment n'est pas venu - peut-être plus par un choix libre et responsable mais parce que contraint par l'urgence de l'histoire présente - de reconstruire toute la connaissance théologique sur le sens profond de la Paix, un sens constitutif et fondateur du christianisme et de l'évangélisation. Il ne s'agit pas d'offrir un cours spécifique, même s'il s'agit d'une initiative louable. Je peux moi-même affirmer que presque toujours les autorités académiques des institutions où j'ai enseigné ont été disposées à l'accorder sur demande. Aujourd'hui, il n'y a pas besoin d'un cours mais d'un nouveau cadre théologique adapté aux urgences de l'histoire et attentif aux signes des temps. Le pape François dans Veritatis Gaudium - après avoir observé que "nous n'avons pas encore la culture nécessaire pour affronter cette crise" - a effectivement indiqué que: 

“Cette tâche immense et imprescriptible exige, au niveau culturel de la formation académique et de la recherche scientifique, un engagement généreux et convergent vers un changement radical de paradigme, - j'oserais même dire - vers "une révolution culturelle courageuse". Dans cet engagement, le réseau mondial des Universités et des Facultés ecclésiastiques est appelé à apporter la contribution décisive du levain, du sel et de la lumière de l'Évangile de Jésus-Christ et de la Tradition vivante de l'Église, toujours ouverte à de nouveaux scénarios et à de nouvelles propositions”. 

Il me semble que l'invitation du pape à un changement de paradigme et à une révolution culturelle, en partant également de quatre critères suggérés dans le document, n'a pas encore été lancée. Au contraire, je crains qu'une ossification didactique de la théologie, une incapacité à expérimenter et une peur du renouveau ne prévalent. Et cela malgré le fait que François ait explicité davantage ses indications dans son discours à Naples le 21 juin 2019, La théologie après Veritatis Gaudium dans le contexte de la Méditerranée :

“il est nécessaire de partir de l'Évangile de la miséricorde, de l'annonce faite par Jésus lui-même et des contextes originaux de l'évangélisation. [...] Il est nécessaire d'assumer sérieusement l'histoire dans la théologie, comme un espace ouvert à la rencontre avec le Seigneur. [...] La liberté théologique est nécessaire. Sans la possibilité d'expérimenter de nouveaux chemins, on ne crée rien de nouveau et on ne laisse pas de place à la nouveauté de l'Esprit du Ressuscité [...]. Cela implique une révision adéquate de la Ratio Studiorum. [...] se doter de structures agiles et flexibles qui manifestent la priorité donnée à l'accueil et au dialogue, au travail inter- et transdisciplinaire et au travail en réseau. Les statuts, l'organisation interne, la méthode d'enseignement, l'ordre des études doivent refléter la physionomie de l'Église "en sortie". Tout doit être orienté en termes de temps et de moyens pour favoriser au maximum la participation de ceux qui souhaitent étudier la théologie : outre les séminaristes et les religieux, également les laïcs et les femmes tant laïques que religieuses. En particulier, la contribution que les femmes apportent et peuvent apporter à la théologie est indispensable et leur participation doit donc être soutenue”.

Trois ans plus tard déjà, il serait important que chaque institution universitaire entame un processus de révision à la lumière de ces demandes et que les résultats soient rendus publics afin de devenir un exemple pour les autres institutions et un encouragement pour tous. Le Pape, partant "de l'Evangile de la miséricorde et d'une sérieuse assomption de l'histoire dans la théologie", suggère un extraordinaire espace de liberté et de responsabilité opérationnelle et créative, il n'y a plus d'excuse pour les justifications de l'immobilisme répétitif.  Cette prise en charge du temps et de l'espace implique une prise en charge sérieuse des mondes vitaux et des conditions de vie des hommes et des femmes, dans une théologie contextuelle, dans une écoute non distraite des questions pertinentes et urgentes. 

Une de voies à suivre est celle de la construction d'un nouveau projet d'enseignement du baccalauréat inspiré par la théologie de la paix, auquel il faut adapter la nouvelle Ratio Studiorum espérée et attendue. L'Écriture Sainte, l'Histoire Civile et l'Histoire de l'Église (non pas l'histoire événementielle, a-problématique et apologétique, mais l'analyse critique des sources et la déconstruction des mensonges et des généralisations, en surmontant l'utilisation publique de l'histoire et toutes les constructions de mémoires fonctionnelles à l'asservissement des êtres humains), avec un espace adéquat dans le curriculum, devraient fournir les bases d'une connaissance théologique qui place la l'Évangile de la Paix au centre, non pas comme un adjectif facultatif, mais la substance même de l'étude théologique fondée sur les principes de la non-violence.

Les possibilités sont ici énormes et toutes à expérimenter. On pense, pour ne citer que quelques exemples, à l'apport que représente l'étude des écrits d'auteurs comme Érasme de Rotterdam, jusqu'à Luigi Sturzo, de la grande tradition de la pensée non-violente classique de Tolstoï à Gandhi, de Giorgio Capitinia Danilo Dolci au catholique Lanza del Vasto, Jean Goss et Hildegarde Mayr, les extraordinaires témoignages du XXe siècle de Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Giuseppe Dossetti, Thomas Merton, Giorgio La Pira, Tonino Bello, Arturo Paoli, Desmond Tutu et des martyrs comme Martin Luther King, Oscar Romero, Marianella García Villas, Juan José Gerardi et Pierre Claverie. Ce sont des exemples, parmi tant d'autres, de figures qui restent à ce jour pratiquement inconnues de nos étudiants. Je crois que leurs écrits pourraient donner à l'enseignement théologique une richesse extraordinaire qui a été jusqu'à présent sous-estimée, voire niée. Tout comme reste ignorée la riche tradition de l'objection de conscience chrétienne, de la recrue Maximilien à Franz Reinisch, Franz Jägerstätter, Max Josef Metzger, Josef Mayr-Nusser, Jean Claudel, Jean Pezet, Giuseppe Gozzini, Rosemary Lynch et tant d'autres qui ont offert un témoignage exemplaire de la non-violence évangélique.

Mais nous sommes à la traîne, la théologie est très à la traîne. Nous sommes appelés par les questions de l'histoire à une conversion de la théologie. Appelés à rassembler nos domaines de recherche souvent très spécialisés dans une élaboration collective et courageuse d'une théologie de la paix fondée sur le sens profond de la non-violence inspiré par l'Évangile. Les étudiants se tournent vers nous et nous demandent de les aider à comprendre la complexité, à former leur conscience à un désarmement des esprits, à formuler un jugement impérieux face aux armements, aux massacres, aux tortures, aux bombardements, et surtout face à un système financier militarisé qui produit la faim, l'appauvrissement, la mort, et qui en fait gouverne férocement le monde, conditionne les parlements, et prétend justifier les inégalités. Je n'aimerais pas que, même à une heure aussi terrible, nous continuions à programmer des études théologiques qui laissent les étudiants indifférents, ou résignés, à la réalité de l'inhumanité et de l'injustice systémique. Si le résultat de notre enseignement est l'indifférence, ou la résignation, alors il est certain que nous avons échoué. D'autant plus qu'il n'y a aucune trace d'indifférence ou de résignation dans l'Évangile. Inspirons-nous plutôt de ce que le Pape recommande encore :

“Je rêve de facultés de théologie où l'on vit la convivialité des différences, où l'on pratique une théologie du dialogue et de l'accueil ; où l'on expérimente le modèle du polyèdre de la connaissance théologique au lieu d'une sphère statique et désincarnée. Où la recherche théologique est en mesure de promouvoir un processus d'inculturation stimulant et convaincant”.            

Ce seront certainement ces convivialités, ces pratiques, ces expériences et ces processus qui seront notre contribution - d'institutions et d'enseignants de théologie - à la construction de la Paix. 

Naples, 8 mai 2022
Sergio Tanzarella
Professeur d'histoire de l'Église
Faculté Pontificale de Théologie de l'Italie du Sud section San Luigi
Via Petrarca, 115 80122 Naples
sergiotanzarella@storiadelcristianesimo.it
Cel. 3498119835


Peace: the key to restructuring all theological teaching

Since the start of the Russia's war in Ukraine on 24 February 2022, the world still seems to have woken up to the reality of war and its evils. These days, with the images coming out of Palestine and Israel, the horrors of war are shocking many people. All the media are talking about war. Is war back? Nothing new.  A certain ideology led people to believe that after the Second World War and the end of the Cold War, war had been archived and made effectively impossible.

Wrong. It was obviously a good illusion, but it was also a lie," replies Sergio Tanzarella, professor of ecclesiastical history at the Pontifical Faculty of Southern Italy. He said this in a letter he wrote to the rectors of all the universities and pontifical faculties in Italy on 15 May 2022. In order to resist the ideology of the goodness of war and propose a profoundly Christian response to war and violence, he suggested that peace according to the Gospel should become the key to a possible restructuring of all the teaching of theology at university level. His letter was published in Italian by the Settimananews website under the title: For a theology of peace. (See Settimana NEWS/23 May 2022). He has given us permission to translate it.

To the Rectors of the Pontifical Universities in Italy
To the Deans of the Pontifical Theological Faculties in Italy
To the Directors of Theological Studies and Theological Institutes
To the Directors of the Higher Institutes of Religious Sciences 
Dear academic authorities 

For many years the propaganda of the goodness of the Cold War based on the principle of deterrence tried to convince us that with the nuclear flashes of Hiroshima and Nagasaki, war had been archived and made effectively impossible. This was obviously a good illusion, but also a lie, because the wars and massacres in Indochina, Korea, Algeria, Vietnam and Cambodia, with their millions of deaths, the frequent use of chemical weapons, and the systematic use of torture, were there to disprove this optimistic and denialist thesis. At the same time, there was an uninterrupted succession of other wars in Africa, often ignored but no less deadly, with serious famines and epidemics as their premise. These were wars in which civilian deaths were far outnumbered than military ones.

After August 1945, there was a succession of colonial and post-colonial wars, all directly or indirectly provoked and armed by the world's richest nations, to which were added bloody forms of military repression in South and Central America with tens of thousands of assassins and desapareidos. In 1989, the fall of the Berlin Wall and, two years later, the dissolution of the Soviet empire led many to believe that there would be no more wars and that even the atomic arsenals capable of destroying the Earth several times over, the fruit of the Cold War and the principle of deterrence, would be decommissioned. All peoples could then have access to education and health care in a new era of peace.

The prediction proved to be totally wrong and wars have multiplied with greater intensity and ferocity while having less and less courage to dare pronouncing their name, becoming with clever euphemisms international police operations, humanitarian missions, surgical operations, special military operations. Thus, in the last thirty years, other wars have followed one another: from two in Iraq, to Afghanistan, Libya, Yemen, the former Yugoslavia, Syria, and even entire regions of Africa up to the current war in Ukraine, wars that are only geographically circumscribed but which have seen international coalitions engaged with gigantic armies and increasingly sophisticated, lethal and expensive weapons.

In this condition of generalised and continuous war - the third world war repeatedly denounced by Pope Francis - while the arms manufacturers and traders (clean-faced, buttery-lipped murderers with lavish charities) continue to celebrate, we should have realised that all wars are destined never to end, not only because of the irreparable economic damage and hunger, the bereavement and mutilation, the widows and orphans, the state of the mighty refugee factory, but above all because of the consequence of hatred which does not die out even through the succession of generations and which will potentially produce other wars. It can be said, unfortunately, that since 10 December 1948, the Universal Declaration of Human Rights has been constantly violated.

Faced with this catastrophe of humanity that modern wars have been and are, the papal magisterium has increasingly refined a clear position which, since Benedict XV, expresses a total condemnation and a refusal to offer moral and divine justifications for war. Especially since Pacem in Terris, this position has become even more evident! And yet, one must ask whether it still makes sense to propose in a new way this just war theory conceived even before the use of firearms in war. We are no longer talking about blunderbusses or bombs, but about cluster bombs or phosphorus bombs, depleted uranium bullets, anti-personnel mines and toy mines, those designed to maim children, and thousands of other devices and weapon systems with which war is waged today, and the nuclear warheads with which it is threatened.

Not only the use of these weapons but also their simple possession do they not demand from us today a condemnation without appeal as Giacomo Lercaro did during Vatican II?  But above all, the teaching of theology today seems to me to be called to pay attention to the disarmament of minds and hearts, to the overcoming of nationalisms and oppositions among people, to the condemnation of every religious attempt to justify war, to the overcoming of neo-constantinisms, to the human ecological crisis underway with the systematic destruction of the environment and of fraternity. It is urgent that theology teaches us today, with its own study tools and with rigorous scientificity, to reject all wars against migrants - that is, those waged with rejections, drownings, walls, barbed wire, persecutory legislation, the displacement of national borders, prison camps as well as detention centres for repatriation, new forms of slavery - and above all to make us understand that miscegenation-‘creolisation’- is not a danger but one of the signs of the times that we must welcome and understand with gratitude.

Our students would like to understand, and above all they would like to discover, how Christianity and other religions can work together to oppose war, and how they can contribute to the construction of that human brotherhood of which the Abu Dhabi document and the encyclical Fratelli Tutti speak about. And above all, if the time has not come - perhaps no longer by a free and responsible choice but because forced by the urgency of present history - to reconstruct all the theological knowledge on the profound meaning of Peace, a constitutive and founding meaning of Christianity and evangelisation. It is not a question of offering a specific course, although this is a laudable initiative. I myself can testify that almost always the academic authorities of the institutions where I have taught have been willing to grant it on request. Today, there is no need for a course but for a new theological framework adapted to the urgencies of history and attentive to the signs of the times. Pope Francis in Veritatis Gaudium - after observing that "we do not yet have the necessary culture to face this crisis" - has indeed indicated that:

"This immense and imprescriptible task requires, at the cultural level of academic formation and scientific research, a generous and convergent commitment to a radical change of paradigm, - I would even dare to say - to "a courageous cultural revolution". In this commitment, the worldwide network of universities and ecclesiastical faculties is called to make the decisive contribution of the leaven, salt and light of the Gospel of Jesus Christ and the living Tradition of the Church, always open to new scenarios and new proposals". 

It seems to me that the Pope's invitation to a paradigm shift and a cultural revolution, based also on the four criteria suggested in the document, has not yet been launched. On the contrary, I fear that a didactic ossification of theology, an inability to experiment and a fear of renewal prevail. This is despite the fact that Francis made his indications more explicit in his speech in Naples on 21 June 2019, Theology after Veritatis gaudium in the context of the Mediterranean:

"it is necessary to start from the Gospel of mercy, from the proclamation made by Jesus himself and from the original contexts of evangelisation. [...] It is necessary to take history seriously in theology, as a space open to the encounter with the Lord. [...] Theological freedom is necessary. Without the possibility of experimenting with new paths, nothing new is created and there is no room for the newness of the Spirit of the Risen Lord [...]. This implies an adequate revision of the Ratio Studiorum. [...] to have agile and flexible structures that give priority to welcoming and dialogue, to inter- and transdisciplinary work and to networking. The statutes, the internal organisation, the teaching method, the order of studies must reflect the physiognomy of the Church "on its way out". Everything must be oriented in terms of time and means to favour the maximum participation of those who wish to study theology: besides seminarians and religious, also lay people and women, both lay and religious. In particular, the contribution that women make and can make to theology is indispensable and their participation must therefore be supported”.

Already three years later, it would be important that every university institution begins a process of revision in the light of these demands and that the results be made public in order to become an example for other institutions and an encouragement for all. The Pope, starting from "the Gospel of mercy and a serious assumption of history in theology", suggests an extraordinary space of freedom and operational and creative responsibility, there is no longer any excuse for the justifications of repetitive immobility.  This assumption of responsibility for time and space implies a serious assumption of responsibility for the vital worlds and living conditions of men and women, in a contextual theology, in an undistracted listening to relevant and urgent questions. 

One of the paths to follow is that of the construction of a new teaching project for the baccalaureate inspired by the theology of peace, to which the hoped-for and expected new Ratio Studiorum must be adapted. Sacred Scripture, Civil History and Church History (not possible, aproblematic and apologetic history, but the critical analysis of sources and the deconstruction of lies and generalisations, overcoming the public use of history and all the constructions of memories functional to the enslavement of human beings), with adequate space in the curriculum, should provide the basis for a theological knowledge that places the Gospel of Peace at the center, not as an optional adjective, but the very substance of theological study based on the principles of non-violence.

The possibilities here are enormous and all to be experienced. One thinks, to give just a few examples, of the contribution made by the study of the writings of authors such as Erasmus of Rotterdam to Luigi Sturzo, of the great tradition of classical non-violent thought from Tolstoy to Gandhi, from Giorgio Capitinia Danilo Dolci to the Catholic Lanza del Vasto, Jean Goss and Hildegarde Mayr, the extraordinary testimonies of the twentieth century by Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Giuseppe Dossetti, Thomas Merton, Giorgio La Pira, Tonino Bello, Arturo Paoli, Desmond Tutu and martyrs such as Martin Luther King, Oscar Romero, Marianella García Villas, Juan José Gerardi and Pierre Claverie. These are examples, among many others, of figures who remain to this day practically unknown to our students. I believe that their writings could give theological education an extraordinary richness that has been underestimated or even denied until now. Just as the rich tradition of Christian conscientious objection, from Maximilian Rookie to Franz Reinisch, Franz Jägerstätter, Max Josef Metzger, Josef Mayr-Nusser, Jean Claudel, Jean Pezet, Giuseppe Gozzini, Rosemary Lynch and so many others who have offered exemplary witness to evangelical non-violence, remains ignored.

But we are lagging behind, theology is lagging behind. We are called by the questions of history to a conversion of theology. Called to bring together our often highly specialised fields of research in a collective and courageous elaboration of a theology of peace based on the Gospel's deep sense of non-violence. Students look to us to help them understand complexity, to form their conscience to a disarmament of the mind, to formulate a compelling judgement in the face of armaments, massacres, tortures, bombings, and above all in the face of a militarised financial system that produces hunger, impoverishment, death, and in fact ferociously governs the world, conditions parliaments, and pretends to justify inequalities. I hate to think that, even at such a terrible hour, we continue to programme theological studies that leave students indifferent, or resigned, to the reality of inhumanity and systemic injustice. If the result of our teaching is indifference, or resignation, then surely we have failed. Especially since there is no trace of indifference or resignation in the Gospel. Instead, let us be inspired by what the Pope still recommends:

"I dream of faculties of theology where the conviviality of differences is lived, where a theology of dialogue and welcome is practiced; where the polyhedron model of theological knowledge is experienced instead of a static and disembodied sphere. Where theological research is able to promote a stimulating and convincing process of inculturation.            

It will certainly be these convivialities, these practices, these experiences and these processes that will be our contribution - as institutions and as theological educators - to the construction of Peace. 

Naples, 8 May 2022
Sergio Tanzarella
Professor of Church History
Pontifical Faculty of Theology of Southern Italy, San Luigi Section
Via Petrarca, 115 80122 Naples
sergiotanzarella@storiadelcristianesimo.it
Cel. 3498119835


La paz: clave para la reestructuración de toda la enseñanza teologica

Desde el inicio de la guerra en Ucrania por parte de Rusia el 24 de febrero de 2022, el mundo parece haber despertado nuevamente a la realidad de la guerra y sus estragos. En estos días, con las imágenes que llegan de Palestina e Israel, los horrores de la guerra impactan a muchos. La guerra está en boca de todos. ¿La guerra ha vuelto? Nada nuevo. Una cierta ideología hizo creer que después de la Segunda Guerra Mundial y el fin de la Guerra Fría, la guerra había sido archivada y su regreso era imposible.

Falso. Eso fue, evidentemente, una bella ilusión, pero también una mentira, responde Sergio Tanzarella, profesor de historia eclesiástica en la Facultad Pontificia del Sur de Italia. Hizo esta afirmación en una carta que envió a los rectores de todas las universidades y facultades pontificales de Italia el 15 de mayo de 2022. Para resistir la ideología de la bondad de la guerra y proponer una respuesta profundamente cristiana a la guerra y a la violencia, sugirió que la paz según el Evangelio se convierta en la clave para reestructurar toda la enseñanza teologica a nivel universitario. Su carta fue publicada en italiano en el sitio Settimananews bajo el título: "Por una teología de la paz" (Cf. Settimana NEWS de mayo de 2022). Nos ha autorizado a traducirla.

A los Rectores de las Universidades Pontificias en Italia
A los Decanos de las Facultades Pontificales de Teología en Italia
A los Directores de Estudios Teológicos e Institutos Teológicos
A los Directores de Institutos Superiores de Ciencias Religiosas

Estimadas autoridades académicas,

Durante muchos años, la propaganda de la Guerra Fría basada en el principio de la disuasión trató de convencernos de que, con los destellos nucleares de Hiroshima y Nagasaki, la guerra se había archivado y se había vuelto efectivamente imposible. Eso fue, evidentemente, una buena ilusión, pero también una mentira. Porque las guerras y masacres en Indochina, Corea, Argelia, Vietnam, Camboya, con sus millones de muertos, el uso frecuente de armas químicas y el recurso sistemático a la tortura estaban allí para desmentir esta tesis optimista y negacionista. Al mismo tiempo, en África hubo una sucesión ininterrumpida de otras guerras, a menudo ignoradas pero igualmente mortales, con graves hambrunas y epidemias como preludio. En muchas de estas guerras, las víctimas civiles superaron en número a las víctimas militares.

Después de agosto de 1945, hubo una sucesión de guerras coloniales y poscoloniales, todas provocadas y armadas directa o indirectamente por las naciones más ricas del mundo, a las que se sumaron formas sangrientas de represión militar en América del Sur y América Central, con decenas de miles de asesinatos y desaparecidos. En 1989, la caída del Muro de Berlín y, dos años después, la disolución del Imperio Soviético hicieron que muchos creyeran que no habría más guerras y que incluso los arsenales nucleares capaces de destruir la Tierra varias veces, fruto de la Guerra Fría y el principio de disuasión, serían desmantelados. Todos los pueblos podrían entonces acceder a la educación y la atención médica en una nueva era de paz.

La predicción resultó ser completamente falsa y las guerras se multiplicaron con mayor intensidad y ferocidad, aunque cada vez tenían menos coraje para mencionar su nombre, convirtiéndose en operaciones de policía internacional, misiones humanitarias, operaciones quirúrgicas o militares especiales con hábiles eufemismos. En los últimos treinta años, ha habido muchas guerras, desde las dos de Irak hasta las de Afganistán, Libia, Yemen, la ex Yugoslavia, Siria, y diversas regiones de África, hasta la actual guerra en Ucrania. Estas guerras pueden estar geográficamente circunscritas, pero han involucrado a coaliciones internacionales con ejércitos gigantescos y armas cada vez más sofisticadas, letales y costosas.

En esta situación de guerra generalizada y continua, a menudo llamada la tercera guerra mundial por el Papa Francisco, mientras los fabricantes y comerciantes de armas (asesinos con caras limpias, labios untados y caridad prodigada) continúan festejando, deberíamos haber comprendido que todas las guerras están destinadas a no terminar nunca, no solo debido a los daños económicos irreparables, el hambre, el luto y las mutilaciones, las viudas y los huérfanos, el estado de una poderosa fábrica de refugiados, sino sobre todo debido a las consecuencias del odio que no se apaga ni a través de las generaciones, lo que potencialmente podría dar lugar a otras guerras. Lamentablemente, desde el 10 de diciembre de 1948, la Declaración Universal de Derechos Humanos ha sido constantemente violada.

Frente a esta catástrofe humanitaria que han sido y siguen siendo las guerras modernas, el magisterio pontifical ha refinado cada vez más una posición clara que, desde Benedicto XV, expresa una condena total y un rechazo a ofrecer justificaciones morales y divinas para la guerra. Sobre todo desde "Pacem in Terris", esta posición se ha vuelto aún más evidente. Sin embargo, debemos preguntarnos si todavía tiene sentido proponer nuevamente la teoría de la guerra justa, concebida incluso antes del uso de armas de fuego para la guerra. Ya no se trata de mosquetes o bombas, sino de bombas de fragmentación o fósforo, balas de uranio empobrecido, minas antipersona y minas-juguete destinadas a mutilar a los niños, y miles de otros dispositivos y sistemas de armas con los que se lleva a cabo la guerra hoy, y cabezas nucleares con las que se la amenaza.

¿No exige hoy en día, no solo el uso de estas armas, sino también su mera posesión, una condena inapelable por nuestra parte, como lo hizo Giacomo Lercaro durante el Concilio Vaticano II? Pero sobre todo, la enseñanza de la teología me parece llamada a prestar atención al desarme de las mentes y los corazones, a superar el nacionalismo y la oposición entre los pueblos, a condenar cualquier intento religioso de justificar la guerra, a superar los neocantinismos, a la crisis ecológica humana en curso con la destrucción sistemática del entorno y la fraternidad. Es urgente que la teología enseñe hoy, con sus propias herramientas de estudio y con rigor científico, a rechazar cualquier guerra contra los migrantes, es decir, aquellas que se llevan a cabo con rechazos, ahogamientos, muros, alambradas, leyes persecutorias, cambios en las fronteras nacionales, campos de prisioneros convertidos en centros de detención para la repatriación, nuevas formas de esclavitud, y sobre todo, que nos haga comprender que la mezcla racial no es un peligro, sino uno de los signos de los tiempos que debemos acoger y comprender con gratitud.

Nuestros estudiantes desean comprender, desean descubrir en particular cómo el cristianismo y otras religiones pueden colaborar para oponerse a la guerra y cómo pueden contribuir a la construcción de esa fraternidad humana de la que hablan el documento de Abu Dhabi y la encíclica "Fratelli Tutti". Y sobre todo, ¿no ha llegado el momento, quizás más por elección libre y responsable que por la urgencia de la historia actual, de reconstruir todo el conocimiento teológico sobre el profundo significado de la paz, un significado constitutivo y fundador del cristianismo y la evangelización? No se trata de ofrecer un curso específico, aunque sea una iniciativa loable. Puedo afirmar que casi siempre las autoridades académicas de las instituciones donde he enseñado han estado dispuestas a concederlo bajo demanda. Hoy en día, no necesitamos un curso, sino un nuevo marco teológico adaptado a las urgencias de la historia y atento a los signos de los tiempos. El Papa Francisco, en "Veritatis Gaudium", después de observar que "aún no tenemos la cultura necesaria para enfrentar esta crisis", indicó que:

"Esta tarea inmensa e imprescriptible exige, a nivel cultural de la formación académica y de la investigación científica, un compromiso generoso y convergente hacia un cambio radical de paradigma, me atrevería a decir, hacia una 'revolución cultural valiente'. En este compromiso, la red global de universidades y facultades eclesiásticas está llamada a aportar la contribución decisiva del fermento, la sal y la luz del Evangelio de Jesucristo y de la Tradición viva de la Iglesia, siempre abierta a nuevos escenarios y propuestas".

Me parece que la invitación del Papa a un cambio de paradigma y a una revolución cultural, partiendo también de los cuatro criterios sugeridos en el documento, aún no se ha lanzado. Al contrario, temo que prevalezca la rigidez en la enseñanza teológica, la incapacidad para experimentar y el miedo a la renovación. Y eso a pesar de que Francisco ha detallado aún más sus indicaciones en su discurso en Nápoles el 21 de junio de 2019, "La teología después de 'Veritatis Gaudium' en el contexto del Mediterráneo":

"Es necesario partir del Evangelio de la misericordia, del anuncio hecho por Jesús mismo y de los contextos originales de la evangelización. [...] Es necesario asumir seriamente la historia en la teología, como un espacio abierto al encuentro con el Señor. [...] La libertad teológica es necesaria. Sin la posibilidad de experimentar nuevos caminos, no se crea nada nuevo y no se da lugar a la novedad del Espíritu del Resucitado [...]. Esto implica una revisión adecuada de la Ratio Studiorum. [...] contar con estructuras ágiles y flexibles que reflejen la fisonomía de la Iglesia "en salida". Todo debe estar orientado en términos de tiempo y recursos para fomentar al máximo la participación de quienes desean estudiar teología: además de los seminaristas y religiosos, también los laicos y las mujeres, tanto laicas como religiosas. En particular, es indispensable apoyar la contribución que las mujeres hacen y pueden hacer a la teología".

Tres años después, sería importante que cada institución universitaria inicie un proceso de revisión a la luz de estas demandas y que los resultados se hagan públicos para servir de ejemplo a otras instituciones y de estímulo para todos. El Papa, partiendo de "el Evangelio de la misericordia y una seria asunción de la historia en la teología", sugiere un espacio extraordinario de libertad y responsabilidad operativa y creativa, y ya no hay excusa para justificar la repetición del inmovilismo. Esta toma de conciencia del tiempo y del espacio implica una toma de conciencia seria de los mundos vitales y de las condiciones de vida de hombres y mujeres, en una teología contextual, en una escucha atenta de las preguntas relevantes y urgentes.

Una de las vías a seguir es la construcción de un nuevo proyecto de enseñanza del bachillerato inspirado en la teología de la paz, al que debe adaptarse la nueva Ratio Studiorum esperada y anhelada. La Sagrada Escritura, la Historia Civil y la Historia de la Iglesia (no la historia de eventos, apológica y sin problemas, sino el análisis crítico de las fuentes y la deconstrucción de mentiras y generalizaciones, superando el uso público de la historia y todas las construcciones de memorias funcionales a la esclavización de los seres humanos), con un espacio adecuado en el plan de estudios, deberían proporcionar las bases de un conocimiento teológico que coloque el Evangelio de la Paz en el centro, no como un adjetivo opcional, sino como la sustancia misma del estudio teológico basado en los principios de la no violencia.

Las posibilidades son enormes y deben experimentarse todas. Podemos pensar, solo por citar algunos ejemplos, en la contribución que representan los escritos de autores como Erasmo de Róterdam, hasta Luigi Sturzo, desde la

gran tradición del pensamiento no violento clásico de Tolstói a Gandhi, desde Giorgio Capitini y Danilo Dolci hasta el católico Lanza del Vasto, Jean Goss y Hildegarde Mayr, los extraordinarios testimonios del siglo XX de Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Giuseppe Dossetti, Thomas Merton, Giorgio La Pira, Tonino Bello, Arturo Paoli, Desmond Tutu y mártires como Martin Luther King, Oscar Romero, Marianella García Villas, Juan José Gerardi y Pierre Claverie. Estos son ejemplos, entre muchos otros, de figuras que siguen siendo prácticamente desconocidas para nuestros estudiantes. Creo que sus escritos podrían enriquecer enormemente la enseñanza teológica, lo que hasta ahora ha sido subestimado e incluso negado. Al igual que la rica tradición de la objeción de conciencia cristiana, desde Maximilien hasta Franz Reinisch, Franz Jägerstätter, Max Josef Metzger, Josef Mayr-Nusser, Jean Claudel, Jean Pezet, Giuseppe Gozzini, Rosemary Lynch y muchos otros que han ofrecido un testimonio ejemplar de la no violencia evangélica.

Pero estamos atrasados, la teología está muy atrasada. Las cuestiones de la historia nos llaman a una conversión de la teología. Estamos llamados a reunir nuestras áreas de investigación, a menudo muy especializadas, en una elaboración colectiva y valiente de una teología de la paz basada en el profundo significado de la no violencia inspirada por el Evangelio. Los estudiantes acuden a nosotros y nos piden ayuda para comprender la complejidad, para formar su conciencia en el desarme de las mentes, para emitir un juicio perentorio sobre armamentos, masacres, torturas, bombardeos y, sobre todo, frente a un sistema financiero militarizado que produce hambre, empobrecimiento y muerte, y que gobierna ferozmente el mundo, condiciona a los parlamentos y pretende justificar las desigualdades. No me gustaría que, incluso en un momento tan terrible, siguiéramos programando estudios teológicos que dejen a los estudiantes indiferentes o resignados ante la realidad de la inhumanidad y la injusticia sistémica. Si el resultado de nuestra enseñanza es la indiferencia o la resignación, entonces es seguro que hemos fracasado. Sobre todo, no hay rastro de indiferencia ni de resignación en el Evangelio. En lugar de ello, inspiremos lo que el Papa recomienda:

"Sueño con facultades de teología donde se viva la convivencia de las diferencias, donde se practique una teología del diálogo y la acogida; donde se experimente el modelo del poliedro del conocimiento teológico en lugar de una esfera estática y desencarnada. Donde la investigación teológica sea capaz de promover un proceso de inculturación estimulante y convincente".

Sin duda, serán estas convivencias, prácticas, experiencias y procesos las que constituirán nuestra contribución, como instituciones y profesores de teología, a la construcción de la paz.

Nápoles, 8 de mayo de 2022
Sergio Tanzarella
Profesor de Historia de la Iglesia
Facultad Pontificia de Teología de Italia del Sur, sección San Luigi
Via Petrarca, 115 80122 Nápoles
sergiotanzarella@storiadelcristianesimo.it
3498119835

Sergio Tanzarella
16 Octubre 2023
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