Carissimi confratelli,
la situazione drammatica che si sta vivendo in varie nazioni a causa della pandemia del coronavirus, ci spinge a scrivere queste poche righe come segno di vicinanza e solidarietà a tutti e a ciascuno. Siamo in contatto con le varie comunità e cerchiamo di seguire da vicino il corso degli eventi, con particolare attenzione alla casa madre e alle comunità con anziani. Fino ad ora, la comunità della casa generalizia sta bene, grazie a Dio. Stiamo seguendo tutti i protocolli disposti dalle istituzioni, a partire dal primo comandamento detto e ripetuto milioni di volte in tutte le lingue, in queste settimane: “state a casa!”. Anche noi abbiamo dovuto “ristrutturare” alcuni aspetti della nostra vita comunitaria e delle nostre relazioni. Per nostra maggior sicurezza, e per quella degli altri, evitiamo contatti con l’esterno.
Ciò che sta succedendo non risparmia “nessuno”: infatti molte nazioni - europee e non – sono state o son travolte, colpite o solo sfiorate da questa pandemia, fino a raggiungere in alcuni casi situazioni realmente tragiche e dolorose. Le istituzioni sanitarie rischiano il collasso, a causa del grande numero di malati.
Quando succedono queste cose (epidemie, terremoti, stragi e massacri per cause politiche…) in “altri” paesi, le sentiamo molto lontane, come problema degli “altri”, rischiando di dare – persino alle malattie e alle tragedie – una definizione etnica. Ciò che sta succedendo oggi dovrebbe far crescere invece in noi la consapevolezza che il mondo, l’universo è una casa comune. Forse e finalmente, si sta capendo che siamo tutti sulla stessa barca, sullo stesso treno. A turno, infatti, si diventa separati, rifiutati, controllati … La pandemia del coronavirus ci sta dimostrando che, in un mondo globalizzato, difficilmente le crisi possono essere circoscritte. La prima lezione, che non è affatto nuova, è che solo insieme si possono affrontare le sfide e le emergenze che la vita ci riserva.
I governi cercano di fare la loro parte con decreti e misure forti, forse mai prese in tempi di democrazia, imponendo atteggiamenti e comportamenti consoni alla estrema gravità del problema. Tutto è bloccato per il bene della salute di tutti. Le misure adottate mettono in crisi le abituali dinamiche relazionali e sociali e i doveri cominciano a prevalere su diritti fino ad oggi ritenuti intoccabili ed assoluti. Stiamo imparando un’importante lezione dal personale medico e paramedico. Li ammiriamo perché in tanti paesi stanno affrontando, in modo eroico e spendendosi senza riserve, l’aspetto clinico e assistenziale della pandemia. Medici, infermieri e volontari sono lì dove le nostre paure ci fanno stare lontani, esposti al contagio nonostante tutti i mezzi di protezione che possano avere. Alcuni di essi sono stati contagiati nonostante i protocolli e han dato la loro vita facendo fino in fondo ciò a cui erano stati chiamati. Sono un esempio luminoso perché ciascuno dia il meglio di sé stesso anche in questa prova.
Anche noi saveriani siamo immersi nella stessa situazione, in varie Circoscrizioni. Prima in Cina, e via via negli altri paesi, viviamo questa drammatica realtà che in alcune aree assume i tratti di una vera e propria tragedia. Vari confratelli, così come alcune comunità, sono stati – e altri lo sono attualmente – in quarantena. Anche se non necessariamente collegati a questa pandemia, in pochi giorni quattro nostri confratelli ci hanno lasciato, come già informato. Nelle varie Circoscrizioni attività, incontri, ministero sono stati sospesi d’accordo alle indicazioni dei governi, delle chiese locali e conferenze episcopali nazionali. Ci ritroviamo tutti chiusi in casa, non per una vacanza, ma a causa di una grave emergenza. La Direzione Generale ha dovuto cancellare alcuni incontri e visite, per ora almeno fino ad aprile. Sappiamo di altri confratelli che avevano programmato dei viaggi per impegni vari o per vacanze e che sono stati costretti a rinunciarvi o che sono impediti a far rientro nelle rispettive sedi. A questo riguardo, consigliamo caldamente che ciascuno rimanga dove è, nella sua Circoscrizione, evitando di mettersi in viaggio. Come cittadini e come cristiani, condividiamo questa situazione di disagio e sofferenza, evitando ogni superficialità e assumendo in maniera corresponsabile comportamenti ed iniziative per fare la nostra parte per contenere il diffondersi del virus.
Sono tempi “strani”, dove la realtà ci conduce per deserti e penitenze quaresimali inaspettati, non scelti a piacere ma “imposti” dalla situazione. Indubbiamente la vita ci sta mandando dei segnali forti che ci riportano alle verità fondamentali di ordine esistenziale, culturale, religioso che spesso diamo per scontate; segnali che richiedono un cambio di visione, una vera e propria conversione. Anche questo è un tempo da saper affrontare con determinazione e in cui dare il meglio di noi stessi. Come “sostenere” da cristiani questa prova? Come viverla? Come possiamo renderci utili agli altri per non lasciare solo il popolo di Dio? Quale è il nostro “contributo”?
Anzitutto adottando stili di vita consapevoli, coscienti che ciascuno di noi può essere causa di sciagura in casa, in comunità o nel vicinato. Detto chiaramente: con le nostre azioni possiamo influenzare la vita e la morte di decine di persone, per cui la prima responsabilità di ciascuno è evitare il più possibile ogni rischio di contagio. Un solo caso positivo al coronavirus mette fuori causa famiglie intere, comunità, ecc. mettendo in pericolo soprattutto la salute degli anziani e dei più fragili. Capire le ragioni degli altri è il primo segno di responsabilità e civiltà.
La nostra missione di credenti è quella di trasformare il male in occasione di bene, come la Fede solo può fare, a partire dall’esempio di Gesù sulla croce. Gli occhi della fede non negano e non cambiano la realtà ma permettono di leggerla e comprenderla in modo diverso, senza fobie e ossessioni. La forza dell’epidemia ci ricorda la nostra estrema fragilità dandoci un’altra lezione – la più importante – riguardo al significato della vita, all’idea che abbiamo di noi stessi e alla presunzione di invulnerabilità e di onnipotenza che la scienza e la tecnologia spesso ci hanno dato. Un microscopico virus è bastato a demolire il bel tutto. Come anche Gesù Cristo ha fatto nel momento di prova, preghiamo. Ricordiamoci nella preghiera; affidiamo alla benevolenza del Padre l’umanità sofferente. Il canale della preghiera, infatti, fa respirare l’anima e impedisce di essere soffocati dalla paura, dalla tristezza e dalla solitudine. Qui non possiamo non ricordare con affetto la semplice e schietta fede di tanti cristiani in mezzo ai quali viviamo: le loro novene, l’incessante supplica, i Rosari… consapevoli che la vita appartiene a Dio, nostro Padre.
Usare responsabilmente i social, per far arrivare alla gente – anche di altre nazioni – il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo, così da risvegliare in loro il senso della responsabilità collettiva e individuale. Telefono, Skype, WhatsApp, Facebook, … possono convertirsi da strumenti di gossip e frivolezze, a occasioni di incontro con amici, parenti, confratelli, persone che ci sono care … In questo modo potremo ascoltare, soffrire o rallegrarci per e con loro; consolare, incoraggiare, pregare insieme, prenderci cura, raccontarci … Attraverso un uso responsabile dei social, possiamo fare arrivare un altro tipo di contagio, positivo. Ciascuno può essere una presenza amica, una “forza” capace di prendersi cura di chi non ha altri su cui contare, di rafforzare legami di solidarietà nelle famiglie, comunità, sui territori. Così, insieme, si testimonia che la vita continua. Ci si aiuta a evitare altalene emotive che possono farci cadere in altri tipi di epidemie: quella della paura, della disperazione e dell’indifferenza; epidemie ancora senza vaccino! Attraverso un uso responsabile dei vari mezzi digitali, mettiamo in circolo un vaccino sociale e spirituale.
Vi salutiamo affettuosamente, raccomandando a tutti di seguire con disciplina le basiche raccomandazioni e le misure di prevenzione che servono precisamente per ridurre il rischio del contagio del virus (non uscire di casa, mantenere la distanza, niente strette di mano, abbracci, igiene personale, …). Meno contatti, meno contagi ci saranno. Evitiamo comportamenti ingenui e imprudenti che potrebbero esporci a rischi seri e far pagare ad altri un prezzo molto alto, fino alla perdita della vita stessa. Ripetiamo l’invito a che ciascuno rimanga dove si trova, nella sua Circoscrizione.
Restiamo uniti nella preghiera, assicurandola anche a quanti di noi sono o potrebbero essere colpiti da questa pandemia. Preghiamo per chi ha responsabilità scientifiche e politiche di tutela della salute pubblica. Ricordiamo i nostri e tutti i defunti, insieme a chi resta nel dolore per la perdita improvvisa dei propri cari.
Fratelli, ciò che stiamo vivendo in queste settimane è un’altra chiamata alla conversione. Ci siamo chiesti prima come stare da cristiani e da missionari nella prova: come Famiglia, continuiamo il cammino con il coraggio della Speranza, confidando meno nella nostra fragile onnipotenza e credendo di più in Colui che ci ama e non ci abbandona mai, neanche quando la croce più pesante ci raggiunge.
Fraternamente,
i confratelli della Direzione Generale.
English
Dear confreres,
The dramatic situation many countries are now facing because of the coronavirus pandemic, pushes us to write these few lines as a sign of closeness and solidarity with each and every one of you. We are closely following events and happenings, with a special eye for our motherhouse in Parma and all other communities housing elderly confreres. We at the General Direction house in Rome are fine. As anybody else, we are following the dispositions put forward by Italian authorities, starting from the very first commandment repeated times and again in all languages: “stay home!” We too had to revisit some aspects of our community life and change them accordingly. For our own and others’ security, we try to avoid as far as possible any contact with the outside.
What is happening does not spare any one; many countries, European and non, have been affected in a greater or lesser way, sometimes even overwhelmed, by the pandemic. Health care institutions risk collapsing because of the great number of infected people looking for their services.
When things of this type (epidemics, earthquakes, massacres etc.) happen in other countries, we look at them as something far away, others’ problems, running the risk of giving them an ethnic definition. What is happening today should help us mature the awareness that the world, indeed the universe is our common home. Perhaps we now realise that we are all on the same boat, on the same train. In turn, we become separated, rejected, controlled… The current pandemic is showing us that in a globalised world any crisis can hardly be circumscribed. The first lesson to learn, although not new, is that only together can we face and win the challenges and emergencies life presents us with.
Governments carry out their own duties by introducing new strong and strict ordinances perhaps unheard of in modern democracies, something which, however, tries to effectively challenge the extreme seriousness of the problem facing us all. Nearly everything has been brought to a standstill to safeguard everybody’s health. Significantly, the new measures directly challenge our habits and social practices, so that duties appear to get the upper hand over rights until now considered absolute and non-negotiable. Medical personnel are teaching us an important lesson: everywhere they are heroically and without ado taking up the huge and nearly impossible task of caring for all the people victim of the contagion. We admire them and thank them. Doctors, nurses, paramedics and volunteers, risking themselves being infected, are there where we, out of fear, do not dare stay. Some of them have indeed fallen victims of the pandemic: they are a luminous example for us all.
We Xaverians too have been affected by this pandemic. First in China and then little by little in other countries too, we are living this dramatic situation, which in some places has become a tragedy. Several confreres and communities have been and still are in quarantine. Even though not necessarily linked to this pandemic, these last few days, as you already know, have seen four of our confreres pass away. In several Circumscriptions activities, meetings, and various ministries have been suspended in compliance with governmental and ecclesiastical dispositions. We are all locked inside our homes not for a holiday but because of a serious emergency. The General Direction itself had to cancel and postpone to April meetings and visits. We know then of confreres who had already planned travelling for holidays or other reasons and had to cancel, while other are stranded and unable to reach their own places because of travel limitations and restrictions. In this respect we strongly advice that anyone remain in his own Circumscription, avoiding any journey whatsoever. As citizens and Christians, we share this situation of suffering and distress, by avoiding any superficiality and assuming instead responsible behaviours and initiatives ordained to the containment of the contagion.
These are surreal times where reality leads us to unexpected desert and Lenten penances, something not chosen but imposed by the present situation. Undoubtedly, life is sending us strong signals: these are bringing us back to existential, cultural and religious fundamental truths which we often take for granted. These signals require a change of vision, a true conversion. Even this is a time of grace, a time to embrace, a time where we are required to give our best. How to acknowledge and sustain this challenge as Christians? How to live it out? How to be of service and accompany the people of God? What is our contribution?
First and foremost, we have to adopt conscious lifestyles, being aware that each one of us can involuntarily harm people around us, both in our own community and in the neighbourhood. Clearly said: our actions can influence the life and death of tens of people, so each one’s first responsibility is to try to avoid contagion. It is enough just one of us to be found positive to the virus to profoundly disrupt and endanger whole families, communities etc., particularly jeopardising the elderly and those with particular pre-existing health conditions. Understanding others’ reasons and needs is the first sign of civic responsibility.
Our mission as believers is that of transforming evil into occasions for good, something which only Faith can accomplish, and that Jesus showed us on the cross. Faith’s eyes do not deny or change reality, but instead allow us to read it and comprehend it differently, without fears or obsessions. The strength of the epidemics reminds us of our extreme fragility, teaching us the most important lesson about the meaning of life, against the very often-held idea of omnipotence and invulnerability nourished by modern science and technology. A microscopic virus has been enough to demolish our sand-built castle. Jesus when tested prayed. It is on this example of his that we have to pray. Let us remember each other in our prayer. Let us entrust this suffering humanity to the Father’s benevolence. The channel of prayer allows the soul to breathe while avoiding suffocation from fear, sadness and solitude. We cannot forget here the simple yet fresh faith of many Christians among whom we live who through rosaries, novena and incessant prayer implore life from our Father, the Lord of life.
We have then to use responsibly the social media. These are useful instruments to alert and aware people, also of other nations, about the dangers of the pandemic and awaken in them their individual and collective responsibility. Telephone, Whatsapp, Facebook etc. can be transformed from instruments of gossips and fake-news to instruments of communion with friends, relatives, confreres etc. In this way we will be able to suffer and be happy with them; to listen to them, consoling, encouraging and praying with them. The social media, used responsibly, may thus become instruments of a positive contagion. Everyone may become a friendly presence, a strength for those who has none upon whom rely; a strength able to reinforce bonds of solidarity in families, in communities and in territories. This becomes also a way to witness that life goes on against any emotional swings. The pandemic may indeed engender different sort of epidemics, those of fear, desperation and indifference: these too are without vaccine! The responsible use of digital media may indeed circulate a social and spiritual vaccine.
We greet all of you affectionately, strongly reminding you all to follow diligently the ordinances (stay home, maintain safe distance from each other, no handshakes, embraces or physical contact in general, personal hygiene) enacted to prevent and fence in the contagion. Fewer social contacts mean less contagion! Let us avoid naive and foolish behaviour, always reminding ourselves that such a behaviour may put others and us at risk. We may indeed put at stake our and others’ life. Once again, we strongly advice anyone to remain in his own Circumscription.
Let us all remain united in prayer, remembering particularly those who have been directly hit by the pandemic. And let us not forget to pray also for those who have the scientific and political responsibility to safeguard public health. For all our dead and for all the dead, together with their grief stricken relatives, let us raise our prayer.
Brothers, what we are living in these weeks is a call to conversion. Above, we have asked ourselves how to take up this challenge first as Christians and then as missionaries: as a Family let us continue in the path of courage with hope, relying less on our fragile omnipotence and putting more our trust in He who loves us and does not abandon us, not even when the heaviest of the crosses catches up with us.
Your brothers of the General Direction
Español
Muy estimados hermanos,
la situación dramática que se está viviendo en varios países a causa de la pandemia del coronavirus, nos mueve a escribir estas pocas líneas como señal de cercanía y solidaridad con todos y cada uno. Estamos en contacto con las varias comunidades e intentamos seguir de cerca el curso de los eventos, dando una particular atención a la Casa Madre y a las comunidades con ancianos. Hasta ahora, la comunidad de la Casa General está bien, gracias a Dios. Estamos siguiendo todos los protocolos dispuestos por las instituciones, a partir del primer mandamiento explicado y repetido millones de veces en todas las lenguas, en estas semanas: “¡estén en sus casas!”. También nosotros hemos tenido que “reestructurar” algunos aspectos de nuestra vida comunitaria y de nuestras relaciones. Para nuestra mayor seguridad, y por aquella de los demás, evitamos contactos con el exterior.
Lo que está sucediendo no exenta a “nadie”: en efecto, muchas naciones –europeas y no europeas– han sido o son abatidas, golpeadas o sólo apenas molestadas por esta pandemia, hasta alcanzar en algunos casos situaciones realmente trágicas y dolorosas. Las instituciones sanitarias arriesgan el colapso, a causa del gran número de enfermos.
Cuando suceden estas cosas (epidemias, terremotos, matanzas y masacres por causas políticas…) en “otros” países, las sentimos muy lejanas, como problema de los “demás”, corriendo el riesgo de dar –incluso a las enfermedades y a las tragedias– una definición étnica. En cambio, lo que está sucediendo hoy debería hacer crecer en nosotros la conciencia de que el mundo, el universo, es una casa común. Quizás y finalmente, se está entendiendo que estamos todos en el mismo barco, en el mismo tren. Por separado, en efecto, se llega a ser segregados, desechados, controlados… La pandemia del coronavirus nos está demostrándonos que, en un mundo globalizado, las crisis difícilmente pueden ser circunscritas. La primera lección, que de ninguna manera es nueva, es que sólo juntos podemos afrontar los desafíos y las emergencias que la vida nos reserva.
Los gobiernos, tratan de hacer su parte con decretos y medidas fuertes, quizás nunca antes tomadas en tiempos de democracia, imponiendo actitudes y comportamientos acordes a la extrema gravedad del problema. Todo es bloqueado para el bien de la salud de todos. Las medidas adoptadas ponen en crisis las habituales dinámicas relacionales y sociales y los deberes empiezan a prevalecer sobre derechos que hasta hoy eran retenidos como intocables y absolutos. Estamos aprendiendo una importante lección del personal médico y paramédico. Los admiramos porque en muchos países están afrontando, de modo heroico y sin reservas, el aspecto clínico y asistencial de la pandemia. Médicos, enfermeros y voluntarios están allí dónde nuestros miedos nos hacen estar lejanos, expuestos al contagio a pesar de todos los medios de protección que puedan tener. Algunos de ellos han sido contagiados a pesar de los protocolos y han dado su vida haciendo hasta el final aquello a lo que habían sido llamados. Son un ejemplo luminoso para que cada uno dé, también, lo mejor de sí mismo en esta prueba.
También nosotros Xaverianos estamos sumergidos en esta misma situación en varias Circunscripciones. Primero en China, y poco a poco en los otros países, vivimos esta dramática realidad que en algunas áreas asume los rasgos de una verdadera y real tragedia. Varios hermanos, así como algunas comunidades, han estado –y otros están actualmente– en cuarentena. Y, aunque no necesariamente relacionados con esta pandemia, en pocos días, cuatro de nuestros hermanos nos han dejado, como ya se ha informado. En varias Circunscripciones, las actividades, encuentros, ministerio, han sido suspendidos de acuerdo a las indicaciones de los gobiernos, de las Iglesias locales y de las Conferencias Episcopales nacionales. Nos encontramos todos confinados en nuestras casas, no para una vacación, sino a causa de una grave emergencia. La Dirección General ha tenido que cancelar algunos encuentros y visitas, por ahora y al menos hasta a abril. Sabemos que otros hermanos que habían programado viajes por empeños varios o por vacaciones, se han visto obligados a renunciar a todo ello o se han visto impedidos a regresar a sus correspondientes sedes. Con respecto a esto, aconsejamos vivamente que cada uno permanezca en el lugar donde está, en su Circunscripción, evitando ponerse en viaje. Como ciudadanos y como cristianos, compartimos esta situación de malestar y sufrimiento, evitando toda superficialidad y asumiendo de manera corresponsable comportamientos e iniciativas que nos tocan para contener la difusión del virus.
Son tiempos “extraños”, en los que la realidad nos conduce por desiertos y penitencias cuaresmales inesperadas, no elegidos por gusto propio, sino “impuestos” por la situación. Indudablemente la vida nos está mandando señales fuertes que nos reconducen a las verdades fundamentales de orden existencial, cultural, religioso, que a menudo damos por descontadas; señales que requieren un cambio de visión, una verdadera y real conversión. También este es un tiempo que hay que saber afrontar con determinación dando lo mejor de nosotros mismos. ¿Cómo “resistir” como cristianos esta prueba? ¿Cómo vivirla? ¿Cómo podemos hacernos útiles a los demás para no dejar solo al pueblo de Dios? ¿Cuál es nuestra “aportación”?
Ante todo, adoptando estilos de vida responsables, conscientes de que cada uno de nosotros puede ser causa de desgracia en casa, en la comunidad o entre los vecinos. Dicho de manera clara: con nuestras acciones podemos influenciar la vida y la muerte de decenas de personas, por ello, la primera responsabilidad de cada uno es evitar lo más posible todo riesgo de contagio. Un sólo caso positivo al coronavirus pone en peligro a familias enteras, comunidades, etc., poniendo sobre todo en peligro la salud de los ancianos y de los más frágiles. Entender las situaciones de los demás es la primera señal de responsabilidad y civilización.
Nuestra misión como creyentes consiste en transformar el mal en ocasión de bien, tal como sólo la Fe puede hacerlo, a partir del ejemplo de Jesús en la cruz. Los ojos de la fe no niegan y no cambian la realidad, sino que permiten leerla y comprenderla de modo diferente, sin fobias y sin obsesiones. La fuerza de la epidemia nos recuerda nuestra extrema fragilidad dándonos otra lección –la más importante– sobre el sentido de la vida, la idea que tenemos de nosotros mismos, la presunción de invulnerabilidad y omnipotencia que a menudo la ciencia y la tecnología nos han dado. Un microscópico virus ha bastado para demoler todo. Como también Jesucristo ha hecho en el momento de la prueba, oremos. Recordémonos en la oración; confiemos a la benevolencia del Padre a la humanidad sufriente. El canal de la oración, en efecto, hace respirar al alma e impide ser sofocados por el miedo, la tristeza y la soledad. No podemos no recordar con afecto, aquí, la sencilla y franca fe de muchos cristianos en medio de los cuales vivimos: sus novenas, la incesante súplica, los Rosarios… conscientes de que la vida pertenece a Dios, nuestro Padre.
Usar responsablemente las “redes”, para hacer llegar a la gente –también de otras naciones– el mensaje de la peligrosidad de lo que está ocurriendo, de manera de despertar en ellos el sentido de la responsabilidad colectiva e individual. Teléfono, Skype, WhatsApp, Facebook… pueden convertirse de instrumentos de mero chismorreo y otras frivolidades, en ocasiones de encuentro con amigos, parientes, hermanos, personas que nos son queridas… De este modo podremos escuchar, sufrir o alegrarnos con ellos y por ellos; consolar, animar, orar juntos, cuidarnos mutuamente, compartir… A través de un uso responsable de las redes, podemos difundir un contagio positivo. Cada uno puede ser una presencia amiga, una “fuerza” capaz de cuidar a quien no tiene otros sobre los cuales contar, capaz de reforzar vínculos de solidaridad en las familias, en las comunidades, en los territorios. De esta manera, juntos, se testimonia que la vida continúa. Nos ayudamos a evitar altibajos emotivos que nos pueden hacer caer en otros tipos de epidemias: la del miedo, de la desesperación y de la indiferencia; epidemias que aún no tienen vacunas. A través de un uso responsable de los varios medios digitales, pongamos en circulación una vacuna social y espiritual.
Los saludamos afablemente, recomendando a todos de seguir con disciplina las recomendaciones básicas y las medidas de prevención que sirven precisamente para reducir el riesgo de contagio del virus (no salgas de casa, distancia, nada de apretones de manos y abrazos, higiene personal…). A menos contactos, menos contagios. Evitemos comportamientos ingenuos e imprudentes que podrían exponernos a riesgos serios y hacer pagar a otros un precio muy alto, hasta la pérdida de la vida misma. Repetimos la invitación a que cada uno permanezca donde se encuentra, en su Circunscripción.
Permanezcamos unidos en la oración, asegurándola también a cuantos de nosotros han sido o podrían ser afectados por esta pandemia. Oremos por quienes tienen responsabilidades científicas y políticas de tutela de la salud pública. Recordemos a nuestros difuntos y a todos los difuntos, también a quienes sufren por la pérdida repentina de los propios seres queridos.
Hermanos, lo que estamos viviendo en estas semanas es una llamada más a la conversión. Nos hemos preguntado anteriormente cómo afrontar en cuanto cristianos y misioneros la prueba: como Familia, continuamos el camino con la osadía de la Esperanza, confiando menos en nuestra frágil omnipotencia y creyendo más en Aquel que nos ama y nunca nos abandona, menos cuando la más pesada cruz nos alcanza.
Fraternalmente,
los hermanos de la Dirección General.
Français
Chers Confrères,
La situation dramatique que traversent des nombreux pays à cause de la pandémie du Coronavirus, nous pousse à vous écrire ce petit mot en signe de proximité et de solidarité vis-à-vis de tous et de chacun en particulier. Nous sommes en contact avec nos communautés et nous essayons de suivre de près le cours des événements, avec une attention particulière à la maison Mère et les communautés qui ont des confrères avancés en âge. Jusqu’à présent, tout le monde se porte bien ici à la maison Générale. Nous suivons toutes les indications selon les dispositions des Institutions, en commençant par le premier commandement qui nous a été dit et répété mille et une fois dans toutes les langues, au cours de ces semaines : « Restez à la maison ». Nous avons dû, nous aussi, revoir certains détails de la vie en communauté ainsi que nos relations. Pour notre plus grande sécurité, et celle des autres, nous évitons tous contacts avec l’extérieur.
La situation qui touche le monde n’épargne « personne » : beaucoup de nations en effet – en Europe et ailleurs – se trouvent bouleversées, frappées ou tout simplement touchées par cette pandémie ; dans certains cas, on assiste à des situations réellement tragiques et douloureuses. Les institutions sanitaires sont au point de déborder, à cause de la grande quantité de malades.
Quand ces genres de choses arrivent (épidémies, tremblements de terre, ravages e massacres pour des raisons politiques, …) dans « d’autres » pays, nous les ressentons de loin, comme un problème des « autres », au point d’en donner – même dans les cas de maladies et tragédies – une définition ethnique. La situation actuelle devrait, plutôt, accroître en nous la conscience selon laquelle, le monde, l’univers est une maison commune. Peut-être et finalement, on est en train de comprendre que nous sommes tous sur la même barque, sur le même train. A tour de rôle, en effet, nous nous retrouvons séparés, rejetés, contrôlés, … La pandémie du Coronavirus nous démontre que, dans un monde globalisé, il est difficile circonscrire les crises. La première leçon, qui n’est d’ailleurs pas nouvelle, est que c’est seulement ensemble que l’on peut affronter les défis et les émergences que la vie nous réserve.
Les gouvernements essayent de faire leur part du travail avec des décrets et mesures fortes, jamais considérés en temps de démocratie, imposant ainsi des attitudes et comportements conformes à l’extrême gravité du problème. Tout est bloqué pour le bien de la santé de tous. Les mesures adoptées mettent en crise les habituelles dynamiques relationnelles et sociales, et les devoirs commencent à prévaloir sur les droits qui étaient considérés, jusqu’en ce jour, intouchables et absolus. Nous sommes en train d’apprendre une importante leçon du corps des médecins et auxiliaires. Nous les admirons parce que, dans beaucoup de pays, ils affrontent, de façon héroïque et sans réserve, l’aspect clinique et le besoin d’assistance de la pandémie. Médecins, infirmiers et volontaires sont présents là où nos peurs nous retiennent au loin, ils sont exposés au danger de contagion malgré tous les moyens de protection qu’ils peuvent avoir à disposition. Certains d’entre eux ont été contaminés malgré les mesures de protocole et ont donné leur vie en faisant jusqu’à la fin le travail auquel ils ont été appelés. Ils sont un exemple qui éclaire et invite chacun de nous à donner le mieux de soi-même dans ce moment d’épreuve.
Nous aussi, xavériens, nous sommes dans la même situation, dans beaucoup de Circonscriptions. D’abord en Chine, et par la suite, dans d’autres pays, nous vivons cette dramatique réalité qui, dans certaines zones, se présente comme une vraie tragédie. Beaucoup de Confrères, ainsi que quelques communautés, ont été – d’autres sont encore – en quarantaine. Bien que ce ne soit pas en rapport avec cette pandémie, dans peu de jours, nous avons perdu quatre confrères, comme il vous a été informé. Dans nombreuses Circonscriptions, les activités, rencontres, ministère sont suspendus suivant les indications des gouvernements respectifs, des églises locales et conférences épiscopales nationales. Nous sommes tous bloqués à la maison, pas pour des vacances, mais à cause d’une émergence. La Direction Générale a dû annuler certaines rencontres et visites, jusqu’à la fin du mois d’avril pour le moment. Nous savons que certains confrères avaient déjà programmé des voyages pour des motifs de travail ou de vacances et qui sont obligés à y renoncer, d’autres ne peuvent même pas rentrer dans leurs communautés respectives. Ceci étant, nous conseillons vivement que chacun reste où il se trouve, dans sa Circonscription, et évite d’entreprendre des voyages. Comme citoyens et comme chrétiens, partageons cette situation d’embarras et de souffrance, en évitant toute superficialité et en assumant de manière coresponsable des comportements et initiatives pour réaliser notre part en vue de mettre un frein à l’expansion du virus.
Nous vivons des moments « étranges », où la réalité nous conduit à travers des déserts et pénitences inattendus pour ce carême. Nous ne les avons pas choisis, mais ils nous sont « imposés » par la situation. Sans doute, la vie nous envoie, en ce moment, des signes forts qui nous portent à des vérités fondamentales de l’ordre existentiel, culturel, religieux, que nous considérons le plus souvent évidents. Ces signes nous exigent un changement de vision, une vraie et authentique conversion. Ceci est un temps que nous devons savoir affronter avec détermination et en lequel nous devons donner le meilleur de nous-mêmes. Comment maîtriser, en chrétiens, cette épreuve ? Comment la vivre ? Comment pouvons-nous nous rendre utiles aux autres pour ne pas laisser seul le peuple de Dieu ? Quelle est notre contribution ?
Avant tout, adopter des styles de vie consciencieux. Etre conscients que chacun de nous peut être cause de malheur à la maison, en communauté ou dans le voisinage. En d’autres termes : avec nos actions nous pouvons mettre en danger la vie et provoquer la mort de plusieurs personnes. Sur ce, la première responsabilité qui incombe à chacun de nous est d’éviter le plus possible tout risque de contagion. Un seul cas positif au coronavirus expose familles et communautés entières, en mettant surtout en danger la santé des personnes âgées et des plus fragiles. Se mettre à la place des autres est le premier signe de responsabilité et de civilité.
Notre mission des croyants est celle de transformer le mal en une occasion de bien, chose que seul la Foi peut opérer, suivant l’exemple de Jésus sur la croix. Les yeux de la foi ne nient pas et ne changent pas la réalité, mais permettent de la lire et de la comprendre de façons différente, sans phobies ni obsessions. La force de l’épidémie nous rappelle notre fragilité extrême en noud faisant une leçon – la plus importante – concernant le sens de la vie, l’idée que nous avons de nous-mêmes, la présomption d’invulnérabilité et d’omnipotence que la science et la technologie nous ont souvent donné. Un virus à la taille microscopique a été suffisant pour tout démolir. De même que Jésus dans le moment d’épreuve, prions nous aussi. Rappelons-nous de la prière ; confions à la bienveillance du Père l’humanité souffrante. La voie de la prière, en effet, fait respirer l’âme et fait à ce que l’on ne reste pas étouffé par la peur, la tristesse et la solitude. Nous ne pouvons pas ne pas nous rappeler avec affection de la simple et sincère foi de tant de chrétiens autour de nous : leurs neuvaines, prières sans cesse, rosaires, … conscients que la vie appartient à Dieu, notre Père.
Utiliser avec responsabilité les social-media, pour communiquer aux gens – même ceux des autres nations – le message de la gravité de la situation, de sorte à éveiller en eux le sens de la responsabilité collective e individuelle. Téléphone, Skype, WhatsApp, Facebook, … peuvent se convertir, plutôt que des passe-temps, devenir des instruments et occasion pour rencontrer les amis, les parents, les confrères et des personnes qui nous sont chères. Nous pourrions, en ce sens, les écouter, souffrir ou nous réjouir avec eux ; consoler, encourager, prier ensemble, prendre soin d’eux et nous rapporter… A travers une utilisation responsable des social-media, nous pouvons transmettre un autre type de contagion, positif. Chacun de nous peut devenir une présence amie, une « force » capable de prendre soin de celui qui n’a personne d’autre à sur qui compter, et ainsi renforcer des liens de solidarité dans les familles, communautés ou territoires. De cette sorte nous rendons ensemble le témoignage que la vie continue. Nous nous entraidons à éviter des variations émotives qui peuvent nous faire tomber dans d’autres types d’épidémie : celle de la peur, du désespoir et de l’indifférence ; épidémies qui n’ont pas encore de vaccin ! Mettons en place, à travers une utilisation responsable de l’outil digital, un vaccin social et spirituel.
Nous vous saluons fraternellement, et nous vous recommandons de suivre avec discipline les indications de base et les mesures de préventions qui servent précisément à réduire le risque de contagion du virus (ne sortez pas de la maison, de la chambre, ne vous serrez-pas les mains, ne vous faites pas des embrassades, et veillez à l’hygiène personnelle, …). Dans la mesure où il y aura moins de contact, moins de contagions il y aura. Evitons d’être naïfs et imprudents dans nos comportements, cela pourrait nous exposer à des sérieux risques et faire payer à d’autres un prix élevé, jusqu’à la perte de la vie. Nous réitérons l’invitation à tout un chacun, à rester là où il se trouve, dans sa Circonscription.
Demeurons unis dans la prière, en la rassurant aussi à ceux qui, parmi nous, sont ou pourraient être frappés par cette pandémie. Prions pour ceux qui ont la responsabilité scientifique et politique de la sauvegarde de la santé publique. Rappelons-nous de nos défunts et de tous les défunts, et soyons proches de ceux qui sont dans la douleur à cause de la perte inopinée des êtres chers.
Chers frères, la situation que nous traversons dans ces semaines est un autre appel à la conversion. Nous nous sommes posés la question de savoir comment vivre l’épreuve en chrétiens et missionnaires : comme Famille, continuons le chemin avec le courage de l’Espérance, faisant de moins en moins confiance à notre fragile omnipotence et croyant de plus en plus en Celui qui nous aime et ne nous abandonne jamais, même quand nous faisons face à la croix plus lourde.
Fraternellement,
Les Confrères de la Direction Générale.
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