Carissimi,
Abbiamo appena iniziato il periodo di quaresima, tempo di preparazione al mistero pasquale. Ogni anno, la Chiesa ci fa un invito forte ad entrarvi in modo deciso e con il desiderio profondo di percorrere questo santo viaggio come un momento particolare di grazia, di incontro con il Signore per lasciarci guidare da lui e quindi dalla sua Parola. Per aiutarci a viverlo, vorrei indicare tre punti che considero essenziali per la crescita della nostra vita spirituale.
- Il primo è evidentemente il posto della Parola di Dio nella nostra vita. «Siate pronti ad accogliere quella parola che Dio fa crescere nel vostro cuore e che ha il potere di portarvi alla salvezza» (Gc 1,21). Dio non lo abbiamo mai visto fisicamente. Lo conosciamo attraverso la Parola che la Chiesa ci ha trasmesso. Quando la accogliamo interiormente e rimane in noi, essa ci fa «diventare figli di Dio» (Gv 1,12), cioè ci aiuta a raggiungere la finalità per la quale Dio ci ha generato alla vita e ci ha donato la vocazione. Come missionari, infatti, la sua Parola è il dono più grande che possiamo offrire all’umanità.
Perché questo accada, la Parola deve essere desiderata, ascoltata, capita, meditata, interiorizzata e fatta diventare carne nei pensieri, nelle parole, nei comportamenti, nelle passioni e nei sentimenti. La nostra vita diventa così manifestazione esterna della vita eterna che ci abita. Da questo capiamo perfettamente che la Parola di Dio non è una parola fra tante, ma è la Parola assoluta che porta in sé il dono dell’eternità.
Attenzione! Non diamo per scontato che noi religiosi e missionari saveriani, abbiamo capito questa verità e che la nostra vita rispecchi la parola di Dio. Infatti vediamo nel nostro quotidiano tante incoerenze e contraddizioni. Ma questo non deve scoraggiarci. Anzi, poiché la vita è un cammino, percorriamolo amando e desiderando la parola che rivela progressivamente la nostra vera identità di figli di Dio. E ogni giorno, la Parola che la Chiesa ci offre nella liturgia ci accompagna in questo cammino: «acquista la sapienza, acquista l’intelligenza; non dimenticare le parole della mia bocca e non allontanartene mai. Non abbandonarla ed essa ti custodirà, amala e veglierà su di te» (Prov 4,5-6).
- Il secondo punto è la vita fraterna nella comunità saveriana. «Non ingannate voi stessi: non accontentatevi di ascoltare la parola di Dio; mettetela anche in pratica» (Gc 1,22). La Parola che Dio semina e fa crescere nel nostro cuore ci rivela in primo luogo che l’altro è il fratello o la sorella che il Signore ci dà come dono per percorrere insieme il cammino della vita. Ed è la stessa Parola che, mediante l’azione dello Spirito, ci dà la capacità di stabilire dei rapporti di fraternità.
Per un saveriano, quindi, la vita fraterna nella comunità non è un optional, ma è il frutto dell’accoglienza del dono di Dio nella nostra vita. «Noi sappiamo che dalla morte siamo passati alla vita. La prova è questa: che amiamo i nostri fratelli. Chi non ama il prossimo è ancora sotto il dominio della morte» (1 Gv 3,14). Il cammino quaresimale è un tempo prezioso per raddrizzare ciò che è storto, per pulire ciò che è sporco. Qui è in gioco la verità della nostra fede. «Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e poi odia suo fratello, è bugiardo» (1 Gv 4,20). La Parola è chiara: bugiardo!
Nelle comunità saveriane abbiamo bisogno di vivere questo grande dono. A volte viviamo sotto lo stesso tetto, ma è come se l’altro non esistesse. Sviluppiamo atteggiamenti che vanno contro la sensibilità evangelica e quindi sono inconciliabili con il messaggio della Parola. Il più frequente di questi atteggiamenti è una specie di indifferenza; cioè l’altro non mi interessa più di tanto. Si va avanti con una certa rassegnazione perché non si può fare altrimenti. Altre volte si va fino all’esclusione dell’altro, creando sentimenti di odio, di disprezzo; lo si fa oggetto di derisione… In certi contesti, addirittura si creano dei gruppi chiusi per nazionalità o per interessi, che emarginano gli altri. A volte manca la condivisione della vita, dei beni materiali… Non inganniamoci, questo non è il cammino di Dio!
Scriveva nostro padre Mons. Conforti: «Noi pure colla carità verso Dio dobbiamo alimentare nei nostri cuori la carità per noi e pei fratelli ed innanzi tutto per quelli che formano con noi una stessa famiglia religiosa ed hanno comune la vita, le fatiche, i meriti, la direzione, tutto, in attesa di aver comune, in un giorno più o meno lontano, anche la gloria celeste. Su questo dovere essenziale non possiamo nutrir dubbi di sorta … Ognuno dal canto suo intanto sia sollecito di conservare gelosamente il vincolo di questa unione santa evitando quanto potesse indebolirla» (LT 9). Accogliamo questo invito nella verità e nell’impegno personale. Del resto si occupa il Signore.
- Il terzo punto è una vita povera. Scriveva Mons. Conforti: «Amiamo la povertà che è la prima rinuncia che Cristo esige da coloro che vogliono essere perfetti e si propongono di seguirlo da vicino. Egli vuol regnare da solo sui loro cuori, e perciò esige da essi il distacco affettivo ed effettivo da tutte le cose della terra» (LT 4). D’accordo con queste parole, la povertà va situata a due livelli. Il primo è quello spirituale: «Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio: Dio dona loro il suo regno» (Mt 5,3). Si tratta di amare e servire solo il Signore Dio e nessun altro! Si tratta di amare e servire solo la parola di Dio e nessun’altra! Il nostro cuore non può essere diviso, perché se fosse così si distruggerebbe. «Nessun servitore può servire due padroni: perché, o amerà l’uno e odierà l’altro; oppure preferirà il primo e disprezzerà il secondo. Non potete servire Dio e il denaro» (Lc 16,13). Quindi non possiamo servire due signori allo stesso tempo!
Il secondo livello è quello materiale. Mons. Conforti parla di «distacco affettivo ed effettivo da tutte le cose della terra». Poiché Dio è l’unico Signore della nostra vita, gliela affidiamo completamente. Se questo punto non è chiaro e non è vissuto come si deve, il nostro cuore cercherà di riempirsi di cose materiali. In fondo, alla base della trasgressione nel voto di povertà c’è una mancanza di vera fede.
Povertà vuol dire libertà di fronte ai beni materiali. Possederli e usarli in una maniera disordinata, e quindi in contraddizione con il piano di Dio, è una grande tentazione per noi, come lo è stata per Gesù (Lc 4,1-13). I beni materiali vanno usati nella misura in cui servono perché il regno di Dio vada avanti, ma allo stesso tempo vanno combattuti quando prendono o vogliono prendere il posto di Dio. Pensiamo alle conseguenze di tutto ciò nella pratica missionaria: con quale stile esercitiamo il servizio missionario affidatoci? Con la potenza dei soldi e delle opere o con la testimonianza della semplicità e della forza del Vangelo? Nelle nostre missioni, le nostre relazioni sono basate sull’accoglienza, il rispetto, la pazienza, la misericordia o sulla dipendenza dai nostri soldi?
Sono convinto che nella Famiglia saveriana sia necessario e urgente riflettere bene sul nostro vissuto di questo voto, sia nell’ambito personale come in quello comunitario e dell’attività missionaria. In gioco c’è la vitalità e la credibilità della nostra identità. Se la nostra vita in questo campo è guidata da criteri mondani, cosa possiamo aspettarci dalla nostra consacrazione religiosa?
Lasciamoci guidare nella riflessione, durante questo tempo di quaresima, dalle stesse parole che Mons. Conforti ha scritto. Diceva: «Una povertà opulenta, a cui nulla mancasse dei comodi della vita non potrebbe certamente piacere al Signore e non sarebbe la povertà esercitata dagli Apostoli e dagli Apostolici. Ognuno di noi quindi, sia in Missione che nelle case dell’Istituto, si accontenti per sé del necessario al vitto ed al vestito che gli verrà somministrato e nulla esiga in più e nulla possegga in proprio. È questa la povertà della quale abbiamo fatta volontaria professione: la povertà che ci renderà veramente liberi da ogni attacco alla terra e sicuri di conseguire il Regno de’ cieli promesso di preferenza ai poveri di spirito» (LT 4).
Il nº 28 delle nostre Costituzioni, indica concretamente a ogni saveriano il cammino da percorrere in questo campo della povertà comunitaria. Dice: «La povertà vissuta comunitariamente esige che:
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- mettiamo in comune tutto quanto abbiamo;
- adottiamo uno stile di vita effettivamente povero, scegliendo quanto è povero e si addice ai poveri;
- ci sottomettiamo alla comune legge del lavoro;
- abbiamo cura delle cose comuni;
- diamo rendiconto fedele della nostra amministrazione».
La Quaresima, prima di ogni pratica di pietà, va vissuta come tempo privilegiato di incontro con il Signore, tempo per lasciarci amare da Lui come fece con il giovane ricco (Mc 10,21). Tempo per riconoscere i propri peccati, le miserie che portiamo avanti forse da anni e che ci orientano sempre verso il basso, e poi affidarle al Signore perché solo lui ha la capacità di salvarci. Se non facciamo questo passo, cioè quello di affidare al Signore le nostre miserie umane, rimarremo sempre impantanati nel fango. Da soli non ce la facciamo! San Paolo invita la comunità cristiana di Corinto a lasciarsi riconciliare con Dio (2 Co 5,20). Accogliamo questo invito come fatto ad ognuno di noi e percorriamo questo cammino di riconciliazione con il Signore in una maniera decisa sapendo che è il cammino della risurrezione, della vita eterna.
Buon tempo di quaresima!
Fraternamente,
Fernando García, sx
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