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“Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto”

2146/500

— Gv 15,1-17 

Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani

18-25 gennaio 2021

Condivido la mia riflessione a partire da tre parole: Unità come dono fragileFratture e riconciliazione e Segni di speranza per il futuro. Le tre parole caratterizzano il cammino del dialogo ecumenico che le Chiese stanno intraprendendo in modo illustrativo nella Chiesa di Milano.

UNITÀ COME DONO FRAGILE

Il tema scelto per quest’anno [2021] è: “Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (cfr Giovanni 15, 5-9) ed esprime la vocazione all’unità sostenuta dalla preghiera e dalla riconciliazione tra i discepoli di Cristo. Rimanere radicati in Cristo – cioè stare in comunione con il Risorto – si traduce, poi, in riconciliazione, in comunione, in solidarietà per, quindi, sbocciare nella testimonianza corale dell’Amore/unità di tutti quelli che professano la fede in Cristo. Il desiderio di pregare per l’unità dei cristiani nasce dal cuore stesso di Gesù:

Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. … Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. (Gv 17, 9-11).

L’amore tra i cristiani non è, quindi, facoltativo/opzionale, bensì un imperativo perché il mondo creda.

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35).

FRATTURE E RICONCILIAZIONE

Purtroppo l’unità desiderata dal Signore Gesù è stata segnata da fratture storiche che hanno esemplificato in maniera drammatica il grande peccato della disunione[1]. Mentre ci prepariamo a celebrare la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani (18-25 gennaio2021), ci ricordiamo dei 500 anni dalla scomunica di Martin Lutero. Il 3 gennaio 1521 papa Leone X promulga la bolla “Decet Romanum Pontificem”. In questa bolla, Leone X, emana contro Lutero, una sentenza di scomunica, di anatema, della perpetua condanna e di privazione della dignità, degli onori.

La situazione sopradescritta – rispetto al desiderio di Gesù – rivela che nonostante le molte buone esperienze tra le Chiese cristiane, la memoria ecumenica è stata macchiata anche da divisione, inimicizie, scontri, rottura dell’Unità/Comunione reciproca che hanno fatto emergere soprattutto i nostri peccati, le nostre differenze. La divisione e la separazione hanno gravemente nuociuto alla credibilità della testimonianza cristiana e sono frutto della mancanza di amore e della strumentalizzazione della fede e delle Chiese. Lungo la storia abbiamo puntato, spesso, sull’uniformità e alla “uccisione” delle differenze, punti deboli che han portato fino alla esclusione/eliminazione del fratello. 

Non possiamo cambiare la storia, ma possiamo guardare al futuro in modo diverso. Possiamo cambiare lo sguardo con cui guardiamo al passato. Possiamo cambiare i criteri con cui giudicare/interpretare il passato riconoscendo/assumendo e chiedendo perdono per i nostri peccati, i nostri errori: 

Già nel suo messaggio alla Dieta imperiale di Norimberga, il 25 novembre 1522, papa Adriano VI si lamentò di abusi e violazioni, peccati ed errori nella misura in cui ne fossero responsabili autorità ecclesiastiche. Molto più tardi, nel secolo scorso, papa Paolo VI, nel suo discorso di apertura della seconda sessione del concilio Vaticano II, ha chiesto perdono a Dio e ai «fratelli» separati delle Chiese orientali. Questo gesto del papa ha trovato espressione nel Concilio stesso, soprattutto nel decreto sull’ecumenismo e nella dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra aetate). Nell’omelia quaresimale per la «Giornata del perdono», papa Giovanni Paolo II similmente ha riconosciuto le colpe dei cristiani e ha elevato preghiere di perdono nel contesto del giubileo dell’anno 2000. […] Nella sua enciclica Ut unum sint ha accennato alla visita che aveva compiuto al Consiglio ecumenico delle Chiese, a Ginevra, il 12 giugno 1984, affermando che «la convinzione della Chiesa cattolica di aver conservato, in fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei padri, nel ministero del vescovo di Roma, il segno visibile e il garante dell’unità, costituisce una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani, la cui memoria è segnata da certi ricordi dolorosi». E poi aggiunse: «Per quello che ne siamo responsabili, con il mio predecessore Paolo VI imploro perdono». [234-235][2]

L’Ecumenismo può, perciò, cominciare con il rinnovamento dei cuori e con la disponibilità alla penitenza e alla conversione interiore.[3] Il paradigma che deve caratterizzare il cammino ecumenico è quello dell’ospitalità reciproca nel Nome di Cristo Gesù. 

SEGNI DI SPERANZA PER IL FUTURO 

Dal Vat. II, la storia non può più essere letta “per trovare dove sta la ragione, ma per evidenziare dove sta il cammino, che con grandi difficoltà, le Chiese hanno cercato di fare verso l’unità[4] poiché è maturata la consapevolezza che la verità sta sempre davanti a noi: non la possediamo. Occorre, perciò, riconciliarsi con se stessi, con la propria identità prima di andare incontro agli altri. È necessario avere l’umiltà di riconoscere che parole come “dogma”, religione”, “ortodossia” sono estranee alla Bibbia, e parole bibliche come “verità” o “fede” hanno un contenuto esistenziale che le rende del tutto inadatte ad un discorso teoretico.[5]  Le chiese devono essere  portatrici di carismi differenti, e la loro diversità non può essere considerata un intralcio  all’unità, per cui è possibile applicare ai loro rapporti quanto sostiene Paolo sulla comunione delle diverse membra dell’unico corpo (cfr. 1 Cor 12, 4-31), dove l’apostolo mostra chiaramente che lo Spirito Santo crea l’unità non soltanto malgrado, bensì mediante la diversità.[6]

Occorre coltivare un desiderio  profondo che […] sappia distinguere tra quello che è essenziale alla nostra fede di cristiani e quello che invece può essere la manifestazione esteriore, che può differire, di questa nostra fede.[7]

L’ecumenismo deve essere impegno e preoccupazione di tutta la Chiesa e di ogni cristiano. In quanto missionari saveriani, l’ecumenismo non può passare in secondo piano, non possiamo continuare a condannare, a favorire le divisioni, ad escludere, a giudicare. Il compito nostro è di operare per l’Unità del Corpo di Cristo. Come sarebbe bello se tutte le comunità saveriane si impegnassero nel mettere in pratica quanto sostiene il Vademecum Ecumenico:

La preoccupazione di ripristinare l'unità", scrissero i padri del Concilio Vaticano II, "riguarda tutta la Chiesa, i fedeli e il clero. Si estende a tutti in base alla capacità di ciascuno, sia che sia esercitato nella vita quotidiana o negli studi teologici e storici" (UR §5). L'insistenza del Concilio sul fatto che l'impegno ecumenico richiede l'impegno di tutti i fedeli, e non solo dei teologi e dei dirigenti della Chiesa riuniti nei dialoghi internazionali, è stata ripetutamente sottolineata nei successivi documenti della Chiesa. San Giovanni Paolo II in Ut unum sint scrisse che l'impegno per l'ecumenismo, "lungi dall'essere responsabilità della sola Sede Apostolica, è anche dovere delle singole Chiese locali e particolari" (§31). La vera, anche se incompleta, comunione che già esiste tra cattolici e altri cristiani battezzati può e deve essere approfondita contemporaneamente a diversi livelli. Lo ha detto Papa Francesco nella frase: "camminare insieme, pregare insieme e lavorare insieme". Condividendo la nostra vita cristiana con gli altri cristiani, pregando con e per loro, e dando testimonianza comune della nostra fede cristiana attraverso l'azione, cresciamo nell'unità che è il desiderio del Signore per la sua Chiesa.[8]

La mia esperienza di ecumenismo, nella diocesi di Milano, è limitata alla zona V. La diocesi di Milano è suddivisa in 7 zone pastorali, ciascuna con il suo vicario episcopale. La stessa esperienza è vissuta nelle altre zone pastorali. Posso dire che l’esperienza ecumenica a Desio si coniuga a due livelli. Innanzitutto la prima esperienza ecumenica l’ho vissuta nell’equipe del dialogo interreligioso nell’occasione della domenica della Festa dei Popoli, a Desio, quando un’ora è riservata alla preghiera, sempre di carattere interreligioso. È un momento speciale durante il quale le religioni diverse si accolgono reciprocamente. Questo spazio di ospitalità interreligiosa vede cristiani cattolici, evangelici, mormoni insieme ai musulmani dare ciascuno il proprio contributo che viene ricevuto come un dono. Il secondo livello consiste in un percorso ecumenico a parte. Tutto nasce nel 2018 quando è sorta la domanda: se ci incontriamo già (in quanto cristiani) nel cammino del dialogo interreligioso, perché non dovremmo incontrarci per pregare insieme in quanto cristiani? Questo interrogativo ci ha portati a fissare il primo appuntamento nel gennaio 2019 nella Chiesa evangelica Gospel di Desio. Era la prima volta che cristiani cattolici e evangelici si incontravano per pregare insieme. Ricordo che tutti avevamo provato una grande gioia nel pregare e camminare insieme. L’arcidiocesi di Milano, quando ha saputo di questo incontro, mi ha invitato a far parte della commissione ecumenica della Zona V. Da allora l’appuntamento di Desio è fisso. Nel 2020, durante la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, ci siamo radunati nella nostra casa. Erano presenti il vicario episcopale, Mons. Luciano Angaroni e don Gianni Cesana, parroco di Desio.  

Per quest’anno, nella Zona V, si prevedono vari incontri di preghiera: con la Chiesa ortodossa romena e la Chiesa Valdese, con la Chiesa Cristiana Evangelica Pentecostale e con la Chiesa ortodossa romena. Come saveriani, cerchiamo di sensibilizzare anche i giovani a partecipare agli incontri di preghiera e di riflessione sul cammino ecumenico. La nostra esperienza ecumenica, è ancora molto giovane ma promettente. Non è l’esperienza di esperti, ma di amici che si stimano perché sono cristiani. 

Ci auguriamo e auspichiamo per tutti, che l’impegno nel cammino ecumenico ci porti all’unità e alla riconciliazione; a gareggiare nello stimarci vicendevolmente per custodire la fraternità che si fonda sull’appartenenza comune all’unico Corpo, unico Spirito, unica Speranza, unica Vocazione; un solo Signore, una sola Fede, un solo Battesimo, un solo Dio Padre al di sopra di tutti che agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti (cfr. Ef. 4,4-6). 

 

[1] Cfr. Marco Dal Corso e Brunetto Salvarani, Ho parlato chiaramente al mondo. Cittadella Editrice, Assisi 2020, p.50.

[2] Dal conflitto alla comunione, n.234-235. 

[3] Cfr. Charta Oecumenica, n. 3. 

[4] Un laboratorio ecumenico a Venezia, a cura di, Istituto di Studi Ecumenici, 39 Quaderni di Studi Ecumenici, p. 256.

[5] Paolo De Bendetti, La chiamata di Samuele e altre letture bibliche, Morcelliana, Brescia 2008, p.134. 

[6] Cfr. Oscar Cullmann, L’unità attraverso la diversità, Queriniana, Brescia 1986, p.19-20.

[7] Cfr. Studi ecumenici, rivista, p.256.

[8] Vademecum Ecumenico, n.3. 


 Español

“Permaneced en mi amor y daréis fruto en abundancia” 

— Jn 15,1-17

Semana de Oración por la Unidad de los Cristianos

18-25 de enero 2021

Comparto mi reflexión a partir de tres palabras: Unidad como don frágil, Fracturas y reconciliación y Signos de esperanza para el futuro. Las tres palabras caracterizan el camino del diálogo ecuménico que las Iglesias están emprendiendo de modo ilustrativo en la Iglesia de Milán. 

UNIDAD COMO DON FRÁGIL 

El tema elegido para este año (2021) es: “Permanezcan en mi amor: produciréis mucho fruto” (cfr. Juan 15,5-9), y expresa la vocación a la unidad alimentada en la oración y la reconciliación entre los discípulos de Cristo. Permanecer arraigados en Cristo – es decir, estar en comunión con el Resucitado – se traduce, luego, en reconciliación, en comunión, en solidaridad, para hacer que luego brote el testimonio coral del Amor/unidad de todos aquellos que profesan la fe en Cristo. El deseo de orar por la unidad de los cristianos nace del corazón mismo de Jesús:

«Por ellos ruego; no ruego por el mundo, sino por los que tú me has dado, porque son tuyos; y todo lo mío es tuyo y todo lo tuyo es mío; y yo he sido glorificado en ellos. Yo ya no estoy en el mundo, pero ellos sí están en el mundo, y yo voy a ti. Padre santo, cuida en tu nombre a los que me has dado, para que sean uno como nosotros» (Jn 17,9-11).

El amor entre los cristianos no es, por consiguiente, facultativo/opcional, sino un imperativo para que el mundo crea. 

«Os doy un mandamiento nuevo: que os améis los unos a los otros. Que, como yo os he amado, así os améis también vosotros los unos a los otros. En esto conocerán todos que sois discípulos míos: si os tenéis amor los unos a los otros» (Jn 13,34-35).

FRACTURAS Y RECONCILIACIÓN 

Desafortunadamente la unidad deseada por el Señor Jesús ha sido marcada por fracturas históricas que han ejemplificado de manera dramática el gran pecado de la desunión[1]. Mientras nos preparamos a celebrar la Semana de Oración por la unidad de los Cristianos (18-25 enero 2021), recordamos los 500 años de la excomunión de Martín Lutero. El 3 de enero 1521 el Papa León X promulgó la bula “Decet Romanum Pontificem”. En esta bula, León X, emana contra Lutero una sentencia de excomunión, de anatema, de perpetua condena y de privación de la dignidad, de los honores

La situación arriba descrita – respecto al deseo de Jesús – revela que a pesar de muchas buenas experiencias entre las Iglesias cristianas, la memoria ecuménica también ha sido manchada por división, enemistades, desencuentros, ruptura de la Unidad/Comunión recíproca que han hecho emerger, antes que nada, nuestros pecados, nuestras diferencias. La división y la separación han dañado gravemente la credibilidad del testimonio cristiano y son fruto de la falta de amor y de la instrumentalización de la fe y de las Iglesias. A lo largo de la historia hemos apostado, a menudo, por la uniformidad y por la “supresión” de las diferencias, puntos débiles que han llevado incluso a la exclusión/eliminación del hermano.  

No podemos cambiar la historia, pero podemos mirar el futuro de modo diferente. Podemos cambiar la mirada con la que vemos el pasado. Podemos cambiar los criterios con los cuales juzgar/interpretar el pasado reconociendo/asumiendo y pidiendo perdón por nuestros pecados, nuestros errores: 

Ya en su mensaje a la Asamblea imperial de Nuremberg, el 25 de noviembre de 1522, el Papa Adriano VI lamentó los abusos y violaciones, pecados y errores de los que fueran responsables las autoridades eclesiásticas. Mucho más tarde, en el siglo pasado, el Papa Pablo VI, en su discurso de apertura de la segunda sesión del Concilio Vaticano II, pidió perdón a Dios y a los “hermanos” separados de las Iglesias orientales. Este gesto del Papa encontró expresión en el Concilio mismo, sobre todo en el Decreto sobre el Ecumenismo y en la Declaración sobre las Relaciones de la Iglesia con las Religiones no cristianas (Nostra aetate). En la homilía cuaresmal en ocasión de la “Jornada del perdón”, el Papa Juan Pablo II, de manera similar, reconoció las culpas de los cristianos y elevó oraciones de perdón en el contexto del Jubileo del año 2000. […] En su encíclica Ut unum sint hizo referencia a la visita que llevó a cabo al Consejo Ecuménico de las Iglesias, en Ginebra, el 12 de junio de 1984, afirmando que “la convicción de la Iglesia católica de haber conservado, en fidelidad a la tradición apostólica y a la fe de los Padres, en el ministerio del obispo de Roma, la señal visible y el garante de la unidad, constituye una dificultad para la mayor parte de los otros cristianos, cuya memoria está marcada por ciertos recuerdos dolorosos”. Y luego añadió: “Por aquello que somos responsables, con mi predecesor Pablo VI suplico perdón” (234-235)[2].

El Ecumenismo puede, por tanto, empezar con la renovación de los corazones y con la disponibilidad a la penitencia y a la conversión interior[3].  El paradigma que ha de caracterizar el camino ecuménico es el de la hospitalidad recíproca en el Nombre de Cristo Jesús. 

SEÑALES DE ESPERANZA PARA EL FUTURO 

A partir del Vaticano II, ya la historia no puede ser leída “para encontrar dónde está la razón, sino para evidenciar dónde está el camino, que con grandes dificultades, las Iglesias han tratado de hacer hacia la unidad[4] porque ha madurado la conciencia de que la verdad está siempre ante nosotros: no la poseemos. Hace falta, por tanto, reconciliarse consigo mismos, con la propia identidad, antes de salir al encuentro de los demás. Es necesario tener la humildad de reconocer que palabras como “dogma”, “religión”, “ortodoxia” son extrañas para la Biblia, y palabras bíblicas como “verdad” o “fe” tienen un contenido existencial que las hace completamente inadecuadas para un discurso teórico[5]. Las Iglesias han de ser portadoras de carismas diferentes, y su diversidad no puede ser considerada un obstáculo para la unidad, por lo cual es posible aplicar a sus relaciones cuanto Pablo sostiene sobre la comunión de los diversos miembros del único cuerpo (cfr. 1Cor 12,4-31), donde el apóstol enseña claramente que el Espíritu Santo crea la unidad no solamente a pesar de, sino a través de la diversidad[6].  

Es necesario cultivar un deseo profundo que […] sepa distinguir entre lo que es esencial a nuestra fe de cristianos y lo que en cambio puede ser la manifestación exterior, que puede diferir, de nuestra fe[7].  

El ecumenismo ha de ser empeño y preocupación de toda la Iglesia y de cada cristiano. En cuanto Misioneros Xaverianos, el ecumenismo no puede pasar en segundo plano, no podemos seguir condenando, favoreciendo las divisiones, excluyendo, juzgando. Nuestra tarea es trabajar por la unidad del Cuerpo de Cristo. Cómo sería bello si todas las comunidades xaverianas se empeñasen en llevar a la práctica cuanto sostiene el Vademécum Ecuménico

“El empeño por el restablecimiento de la unidad”, escribieron los Padres del Concilio Vaticano II, “corresponde a la Iglesia entera, afecta tanto a los fieles como a los pastores a cada uno según su propia capacidad, ya en la vida cristiana diaria, ya en las investigaciones teológicas e históricas” (UR §5). La insistencia del Concilio sobre el hecho de que el empeño ecuménico requiere el compromiso de todos los fieles, y no sólo de los teólogos y de los dirigentes de la Iglesia reunidos en los diálogos internacionales, ha sido subrayada repetidamente en los sucesivos documentos de la Iglesia. San Juan Pablo II en Ut unum sint escribió que el empeño por el ecumenismo, “lejos del ser responsabilidad de la sola Sede Apostólica, es también deber de cada una de las Iglesias locales y particulares” (§31). La verdadera, aunque incompleta, comunión que ya existe entre católicos y otros cristianos bautizados puede y debe ser profundizada al mismo tiempo a varios niveles. Lo ha dicho el Papa Francisco en la frase: “caminar juntos, orar juntos y trabajar juntos”. Compartiendo nuestra vida cristiana con los demás cristianos, orando con y por ellos, y dando testimonio común de nuestra fe cristiana a través de la acción, crezcamos en la unidad que es el deseo del Señor para su Iglesia[8].

Mi experiencia de ecumenismo, en la diócesis de Milán, está limitada a la zona V. La diócesis de Milán está subdividida en 7 zonas pastorales, cada una con su Vicario episcopal. La misma experiencia es vivida en las otras zonas pastorales. Puedo decir que la experiencia ecuménica en Desio se conjuga en dos niveles. Ante todo, la primera experiencia ecuménica la he vivido en el equipo del diálogo interreligioso en ocasión del domingo de la Fiesta de los Pueblos, en Desio, cuando se ha reservado una hora para la oración, siempre de carácter interreligioso. Es un momento especial durante el cual las diversas religiones se acogen recíprocamente. Este espacio de hospitalidad interreligiosa ve a cristianos católicos, evangélicos, mormones, junto a musulmanes, dar cada uno la propia contribución que es recibida como don. El segundo nivel consiste en un recorrido ecuménico aparte. Todo nace en el 2018 cuando surgió la pregunta: ¿si ya nos encontramos, en cuanto cristianos, en el camino del diálogo interreligioso, por qué no deberíamos encontrarnos para orar juntos en cuanto cristianos? Este interrogante nos ha llevado a fijar la primera cita en enero 2019 en la Iglesia evangélica Gospel de Desio. Fue la primera vez que cristianos católicos y evangélicos se encontraron para orar juntos. Recuerdo que todos hemos probamos una gran alegría en el orar y caminar juntos. La archidiócesis de Milán, cuando ha sabido de este encuentro, me ha invitado a formar parte de la Comisión Ecuménica de la Zona V. Desde entonces, la cita de Desio es algo fijo. En 2020, durante la Semana de Oración por la unidad de los Cristianos, nos hemos reunido en nuestra casa. Estuvieron presentes el Vicario episcopal, Mons. Luciano Angaroni y don Gianni Cesana, párroco de Desio. 

Para este año, en la Zona V, se prevén varios encuentros de oración: con la Iglesia Ortodoxa rumana y la Iglesia Valdense, con la Iglesia Cristiana Evangélica Pentecostal y con la Iglesia Ortodoxa rumana. Como Xaverianos, buscamos también de sensibilizar a los jóvenes a participar en los encuentros de oración y reflexión sobre el camino ecuménico. Nuestra experiencia ecuménica es aún muy joven pero prometedora. No es la experiencia de expertos, sino de amigos que se estiman porque son cristianos. 

Esperamos y deseamos a todos, que el empeño en el camino ecuménico nos lleve a la unidad y a la reconciliación; a competir en el estimarnos recíprocamente a fin de custodiar la fraternidad que se basa en la pertenencia común al único Cuerpo, único Espíritu, única Esperanza, única Vocación; un solo Señor, una sola Fe, un sólo Bautismo, un sólo Dios Padre por encima de todos, que actúa a través de todos y está presente en todos (cfr. Efesios 4,4-6). 

 

[1] Cfr. Marco Dal Corso e Brunetto Salvarani, Ho parlato chiaramente al mondo. Cittadella Editrice, Assisi 2020, p.50.

[2] Dal conflitto alla comunione, n. 234-235. 

[3] Cfr. Charta Oecumenica, n. 3.

[4] Un laboratorio ecumenico a Venezia, a cura di, Istituto di Studi Ecumenici, 39 Quaderni di Studi Ecumenici, p. 256.

[5] Paolo De Bendetti, La chiamata di Samuele e altre letture bibliche, Morcelliana, Brescia 2008, p.134.

[6] Cfr. Oscar Cullmann, L’unità attraverso la diversità, Queriniana, Brescia 1986, p.19-20.

[7] Cfr. Studi ecumenici, rivista, p.256.

[8] Vademecum Ecumenico, n.3.

 


 Français

« Demeurez dans mon amour et vous porterez du fruit en abondance »

— Jn 15,1-17

Semaine de prière pour l’Unité des Chrétiens

18-25 janvier 2021

Je partage ma réflexion en commençant par trois expressions : L’unité comme cadeau fragile, Fractures et réconciliation et Signes d’espérance pour l’avenir. Les trois expressions caractérisent le chemin du dialogue œcuménique que les Églises entreprennent à titre illustratif dans l’Église de Milan.

L’UNITÉ COMME UN CADEAU FRAGILE

Le thème choisi pour cette année [2021] est : "Demeurez dans mon amour : vous produirez beaucoup de fruits" (cf. Jn 15, 5-9) et exprime la vocation à l’unité soutenue par la prière et la réconciliation entre les disciples du Christ. Rester enraciné dans le Christ - c’est-à-dire être en communion avec le Ressuscité - se traduit alors par réconciliation, communion, solidarité pour s’épanouir, donc, dans le témoignage unanime de l’Amour / unité de tous ceux qui professent la foi au Christ. Le désir de prier pour l’unité entre chrétiens vient du cœur même de Jésus :

Moi, je prie pour eux ; ce n’est pas pour le monde que je prie, mais pour ceux que tu m’as donnés, car ils sont à toi… je ne suis plus dans le monde ; eux, ils sont dans le monde, et moi, je viens vers toi. Père saint, garde-les unis dans ton nom, le nom que tu m’as donné, pour qu’ils soient un, comme nous-mêmes (Jn 17,9-11).

L’amour entre les chrétiens n’est donc pas facultatif / optionnel, mais un impératif pour que le monde croie.

Je vous donne un commandement nouveau : c’est de vous aimer les uns les autres. Comme je vous ai aimés, vous aussi aimez-vous les uns les autres.

À ceci, tous reconnaîtront que vous êtes mes disciples : si vous avez de l’amour les uns pour les autres (Jn 13,34-35).

FRACTURES ET RÉCONCILIATION

Malheureusement, l’unité souhaitée par Jésus Christ a été marquée par des fractures historiques qui illustrent de manière dramatique le grand péché de la désunion[1].  Alors que nous nous préparons à célébrer la Semaine de prière pour l’Unité des Chrétiens (18-25 janvier 2021), nous nous souvenons du 500èmeanniversaire de l’excommunication de Martin Luther. Le 3 janvier 1521, le pape Léon X promulgue la bulle « Decet Romanum Pontificem ». Dans cette bulle, Léon X prononce contre Luther une sentence d’excommunication, d’anathème, de condamnation perpétuelle et de privation de la dignité et des honneurs.

La situation décrite ci-dessus - en ce qui concerne le désir de Jésus - révèle que malgré les nombreuses bonnes expériences parmi les Églises chrétiennes, la mémoire œcuménique a également été entachée par la division, les inimitiés, les affrontements, la rupture de l’unité / communion mutuelle qui ont fait ressortir avant tout nos péchés, nos différences. La division et la séparation ont gravement endommagé la crédibilité du témoignage chrétien et sont le fruit du manque d’amour et de l’instrumentalisation de la foi et des Églises. Tout au long de l’histoire, nous nous sommes souvent concentrés sur l’uniformité et le « massacre » des différences, points faibles qui ont conduit à l’exclusion / l’élimination du frère.

Nous ne pouvons pas changer l’histoire, mais nous pouvons regarder l’avenir différemment. Nous pouvons changer la façon dont nous regardons le passé. Nous pouvons changer les critères par lesquels juger / interpréter le passé en reconnaissant / assumant et en demandant pardon pour nos péchés, nos erreurs :

Dans son message au parlement impérial de Nuremberg, le 25 novembre 1522, le pape Hadrien VI se plaignait déjà, d’abus et d’outrages, de péchés et d’erreurs commis par les autorités de l’Église. Beaucoup plus tard, au siècle dernier, dans son discours inaugural de la deuxième session du Concile Vatican II, le pape Paul VI a demandé pardon à Dieu et aux « frères » divisés de l’Orient. Ce geste du pape a été repris dans le Concile lui-même, surtout à travers le Décret sur l’œcuménisme et la Déclaration sur les relations de l’Église avec les religions non-chrétiennes (Nostra Aetate).

Lors d’un sermon de Carême, le « Jour du pardon », le pape Jean-Paul II a lui aussi confessé cette culpabilité et a demandé pardon comme une part de la démarche de l’Année sainte 2000. Il fut le premier non seulement à redire les regrets de son prédécesseur Paul VI et des Pères du concile pour ces souvenirs douloureux, mais à faire quelque chose. Il relia également la demande de pardon à sa charge d’évêque de Rome. Dans son encyclique Ut unum sint, il fait référence à sa visite au Conseil œcuménique des Églises à Genève, le 12 juin 1984, où il reconnaissait ceci : « la conviction qu’a l’Église catholique d’avoir conservé, fidèle à la tradition apostolique et à la foi des Pères, le signe visible et le garant de l’unité dans le ministère de l’évêque de Rome, représente une difficulté pour la plupart des autres chrétiens, dont la mémoire est marquée par certains souvenirs douloureux ».

Il ajouta alors : « Pour ce dont nous sommes responsables, il demande pardon, comme l’a fait mon prédécesseur Paul VI ». [234-235][2]

L’œcuménisme peut donc commencer par le renouvellement des cœurs et par la disponibilité à la pénitence et à la conversion intérieure[3]. Le paradigme qui doit caractériser le voyage œcuménique est celui de l’hospitalité mutuelle au Nom du Christ Jésus.

SIGNES D’ESPOIR POUR L’AVENIR

A partir de Vat. II, l’histoire ne peut plus être lue « pour trouver où se trouve la raison, mais pour mettre en évidence où se trouve le chemin, que les Eglises ont essayé avec beaucoup de difficulté d’emprunter vers l’unité »[4] puisque l’on a pris conscience que la vérité est toujours devant nous : nous ne la possédons pas. Il faut donc se réconcilier avec soi-même, avec sa propre identité avant de sortir à la rencontre des autres. Il est nécessaire d’avoir l’humilité de reconnaître que des mots comme « dogme », « religion », « orthodoxie » sont étrangers à la Bible, et des mots bibliques tels que « vérité » ou « foi » ont un contenu existentiel qui les rend totalement inadaptés à un discours théorique[5]. Les Églises doivent être porteuses de charismes différents, et leur diversité ne peut être considérée comme un obstacle à l’unité, il est donc possible d’appliquer à leurs relations ce que Paul avance sur la communion des différents membres d’un même corps (cf. 1 Co 12, 4-31), où l’apôtre montre clairement que le Saint-Esprit crée l’unité non seulement malgré, mais aussi à travers la diversité[6].

Il faut cultiver un désir profond qui […] sait faire la distinction entre ce qui est essentiel à notre foi en tant que chrétiens et ce qui peut au contraire être la manifestation extérieure, qui peut différer, de notre foi[7].

L’œcuménisme doit être l’engagement et la préoccupation de toute l’Église et de chaque chrétien. En tant que Missionnaires Xavériens, l’œcuménisme ne peut pas passer au second plan, nous ne pouvons pas continuer à condamner, à favoriser les divisions, à exclure, à juger. Notre tâche est de travailler pour l’unité du corps du Christ. Que ce serait bien si toutes les communautés xavériennes s’engageaient à mettre en pratique ce que soutient le Vademecum œcuménique :

« Le souci de réaliser l’union » écrivaient les Pères du Concile Vatican II, « concerne l’Église tout entière, fidèles autant que pasteurs, et touche chacun selon ses capacités propres, aussi bien dans la vie quotidienne que dans les recherches théologiques et historiques » (UR 5). L’insistance du Concile sur la nécessité d’un engagement de tous les fidèles dans la tâche œcuménique, et pas seulement des théologiens et des responsables d’Église lors des rencontres de dialogue international, sera soulignée à maintes reprises dans les documents ecclésiaux postérieurs. Dans Ut unum sint, saint Jean-Paul II écrit que « loin d’être une prérogative exclusive du Siège apostolique, la responsabilité du dialogue œcuménique, clairement déclarée depuis le temps du Concile, incombe aussi aux Églises locales ou particulières » (UUS 31). La communion réelle, bien qu’imparfaite, qui existe déjà entre les catholiques et les autres chrétiens baptisés peut et doit être approfondie simultanément à différents niveaux. L’expression du Pape François : « Marcher ensemble, prier ensemble, travailler ensemble » résume bien cette démarche. En partageant notre vie de foi avec d’autres chrétiens, en priant avec et pour eux, et en rendant par nos actes un témoignage commun de notre foi chrétienne, nous grandissons dans l’unité que le Seigneur désire pour son Église »[8].

Mon expérience de l’œcuménisme, dans le diocèse de Milan, se limite à la zone V. Le diocèse de Milan est divisé en 7 zones pastorales, chacune avec son vicaire épiscopal. La même expérience est vécue dans les autres zones pastorales. Je peux dire que l’expérience œcuménique de Desio est combinée à deux niveaux. Tout d’abord, j’ai vécu ma première expérience œcuménique dans l’équipe du dialogue interreligieux à l’occasion du dimanche de la Fête des Peuples, à Desio, où une heure est réservée à la prière, toujours à caractère interreligieux. C’est un moment privilégié pendant lequel les différentes religions s’accueillent mutuellement. Cet espace d’hospitalité interreligieuse voit les chrétiens catholiques, évangéliques et mormons ainsi que les musulmans apporter chacun leur propre contribution qui est reçue comme un cadeau. 

Le deuxième niveau consiste en un chemin œcuménique distinct. Tout a commencé en 2018 lorsque la question s’est posée : si nous nous rencontrons déjà (en tant que chrétiens) sur le chemin du dialogue interreligieux, pourquoi ne devrions-nous pas nous réunir pour prier ensemble en tant que chrétiens ? Cette question nous a amenés à fixer le premier rendez-vous en janvier 2019 dans l’église évangélique Gospel de Desio. C’était la première fois que des chrétiens catholiques et évangéliques se réunissaient pour prier ensemble. Je me souviens que nous avions tous une grande joie à prier et à marcher ensemble. Lorsque l’archidiocèse de Milan a appris cette rencontre, ils m’ont invité à faire partie de la commission œcuménique de la zone V. Depuis lors, le rendez-vous à Desio a été fixé. En 2020, lors de la Semaine de prière pour l’unité des chrétiens, nous nous sommes réunis chez nous. Le vicaire épiscopal, Mgr Luciano Angaroni et Don Gianni Cesana, curé de Desio étaient présents.

Différentes réunions de prière sont prévues cette année dans la zone V : avec l’Église orthodoxe roumaine et l’Église vaudoise, avec l’Église chrétienne évangélique pentecôtiste et avec l’Église orthodoxe roumaine. En tant que Xavériens, nous essayons également de sensibiliser les jeunes à participer à des réunions de prière et de réflexion sur le chemin œcuménique. Notre expérience œcuménique est encore très jeune mais prometteuse. Ce n’est pas l’expérience d’experts, mais d’amis qui s’estiment parce qu’ils sont chrétiens.

Nous espérons et espérons pour tous que notre engagement dans le chemin œcuménique nous mènera à l’unité et à la réconciliation ; rivaliser dans l’estime de l’autre pour sauvegarder la fraternité qui est basée sur l’appartenance commune à un seul Corps, un seul Esprit, une seule Espérance, une seule Vocation ; un seul Seigneur, une seule foi, un seul baptême, un seul Dieu le Père au-dessus de tous qui agit par tous et est présent en tous (cf. Eph. 4,4-6).

 

[1] Cfr. Marco Dal Corso e Brunetto Salvarani, Ho parlato chiaramente al mondo. Cittadella Editrice, Assisi 2020, p.50.

[2] Dal conflitto alla comunione, n.234-235. 

[3] Cfr. Charta Oecumenica, n. 3. 

[4] Un laboratorio ecumenico a Venezia, a cura di, Istituto di Studi Ecumenici, 39 Quaderni di Studi Ecumenici, p. 256.

[5] Paolo De Bendetti, La chiamata di Samuele e altre letture bibliche, Morcelliana, Brescia 2008, p.134. 

[6] Cfr. Oscar Cullmann, L’unità attraverso la diversità, Queriniana, Brescia 1986, p.19-20.

[7] Cfr. Studi ecumenici, rivista, p.256.

[8] Vademecum Ecumenico, n.3. 

p. Emmanuel Adili sx
15 Janvier 2021
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