Certo che ne abbiamo combinate di belle, nella storia, pur più spesso edificante e gloriosa delle ‘missioni’ (1). Però attenzione ora, a non fare anche di peggio, cioè a gettar via il bambino assieme all’acqua sporca! La tentazione oggi è infatti di andare all’estremo opposto, e dire: stop alla missione ai non-cristiani! Le missioni estere sono finite! In altre parole: la ‘missione ad gentes’, nella sua specificità di primo annuncio del vangelo di Gesù ai popoli non-cristiani è già compiuta e finita?
Nel post-Concilio ne è stata formulata addirittura una ‘giustificazione teologica’, parlando di una necessaria ‘de-missione’. Si sottolinea invece volentieri la missione ad intra, o in modo vago generico, la missione universale della Chiesa, e al massimo, una ‘très souple’ mission ad omnes per promuovere al massimo, ma con estrema delicatezza, la religiosità dei credenti delle varie religioni, ma ciascuno all’interno della sua religione.
La reticenza o addirittura il rifiuto specifico de l’ad Gentes è diventato tanto forte nella Chiesa cattolica del post-concilio che Papa Giovanni Paolo II l’ha assunto praticamente come base motivante la sua enciclica Redemptoris Missio (1990). Formula esplicitamente lui stesso le obiezioni correnti verso le missioni ai non cristiani:
“A causa dei cambiamenti dell’epoca moderna e della diffusione delle nuove concezioni teologiche, alcuni si interrogano: ma è ancora attuale la missione presso i non cristiani? Non è stata essa già sostituita dal dialogo inter-religioso? E la promozione umana non è già un obiettivo sufficiente? E il rispetto della coscienza e della libertà non esclude di per sé ogni proposta di conversione? E non ci si può salvare in qualunque religione? Allora, perché la missione? (n°4).
E alle obbiezioni esplicitate da Giovanni Paolo II contro la missione ad gentes, se ne potrebbero aggiungere altre che corrono oggi anche nel ‘mondo cristiano’, come per esempio:
Ma esistono ancora oggi i ‘paesi di missione’? E ‘la missione’ oggi non è ovunque? E non c’è oggi più bisogno di ‘missionari’ a Roma e a New York che a Tokio e a Jakarta? Ma poi, non ci sono oggi, ormai dappertutto, le ‘chiese locali’? ‘A quoi bon’ dei missionari ‘ad gentes’ speciali?
Giovanni Paolo II prende molto sul serio tutte queste obbiezioni, e in tutta la sua enciclica afferma che i cattolici che la pensano così hanno torto marcio, e spiega ‘perché’ invece la missione ad gentes non solo è valida ancor oggi, ma perché è più che mai, di un’urgenza e di un’importanza ‘primaria’, nella Chiesa per il Mondo d’oggi.
Infatti, già dall’incipit dell’enciclica, il Papa afferma con forza:
"La missione di Cristo Redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. Alla fine ormai del secondo millennio della Sua (di Cristo) venuta, se portiamo uno sguardo d’insieme sull’umanità (di oggi), vediamo che questa missione è ancora ai suoi inizi, e che noi dobbiamo impegnare tutte le nostre forze al suo servizio” (RM 1).
Mettiamoci allora d’accordo e chiariamoci le idee tentando di uscire dalle nebbie parolaie polisemantiche ambigue di ‘missione!’ ‘missione!’ ‘missione!’)
I. TUTTA LA CHIESA è ‘IN MISSIONE’ e deve essere ‘MISSIONE’
Papa Francesco ha ripreso e rilanciato con forza e cocciutaggine la riscoperta del Vat.II, di una chiesa tutta ‘inviata’, quindi tutta in missione, ‘in uscita’, oggi nel cuore del Mondo e della Storia, per annunciare a tutti la incredibile, strepitosa ‘Bella Notizia’ che:
"Dio ha tanto amato il Mondo, da donare il suo unico Figlio! … così che, chiunque creda in Lui, non si perda, ma abbia la pienezza della Vita.
"Dio infatti non ha inviato il suo Figlio nel mondo per giudicare il Mondo ma perché il Mondo sia da Lui salvato” (Giov. 3, 16-17).
II. - Questa missionarietà universale è essenziale, ‘naturale’ e costitutiva stessa dell’essere-Chiesa; è la vocazione ‘nativa’ fondamentale di ogni battezzato-cristiano (Cfr LG 1, 13-17).
E Papa Francesco aggiunge che dobbiamo prender coscienza anche del fatto che oggi è caduta la divisione “tra in mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’al-tra”, e che quindi la Chiesa oggi deve essere tutta intera ‘in missione’ (cfr Discorso di Natale alla Curia vaticana, 21.12.’19).
Essa dovrebbe dunque gorgogliare e circolare perenne e vivace già all’interno di ogni comunità cristiana, e zampillare fresca e allegra anche all’esterno, per creare tutto intorno oasi di vita nuova, che disseta di speranza anche i vicini della porta accanto, ma che ad ogni costo bisogna far arrivare anche alla gente delle molte periferie abbandonate e degradate della tua stessa città.
Disgraziatamente, nonostante tutti ‘i sussurri e grida’ e le continue ‘trovate’ e i gesti stupefacenti di Papa Francesco, questa ‘missionarietà’ universale e nativa di tutta la Chiesa, - e di ogni cristiano, che rispetti il suo battesimo - fa ancora molta fatica oggi a diventare mentalità ecclesiale e a dinamizzare missionariamente la vita delle comunità cristiane, laici, preti e vescovi inclusi!
Così, nonostante gli orizzonti immensi aperti più di 60 anni fa dal Concilio (cfr LG, GS, NAe, DH…), chi riuscirà mai a svegliare e a far smuovere il pachiderma del ‘mondo cattolico’, sdraiato tranquillamente, di traverso, sull’autostrada della Storia mondiale?
III. - Per di più, nel frattempo, sembra essersi sgonfiato quasi del tutto nella ‘cristianità’, anche lo slancio missionario, pur particolare ed elitario, ma vivo e generoso negli ultimi secoli, per ‘le missioni estere’ e per ‘la conversione dei pagani’.
Questo raffreddamento pericoloso lo aveva già denunciato a chiare lettere la Red.Missio di Giovanni Paolo II. Diceva:
In questa’nuova primavera’ del cristianesimo (suscitata dal Concilio, ndr), non si può tacere tuttavia, di una tendenza negativa che questo documento desidera contribuire a superare: sembra infatti che la specifica ‘missione ad gentes’ diventi meno attiva, ciò che non va certamente nella linea delle direttive del Concilio e dell’insegnamento ulteriore del Magistero”(RM 2).
Può forse sembrare strano che anche Papa Francesco non parli quasi più delle ‘missioni estere’ e dei missionari doc, ma è forse, giustamente, preoccupato di risvegliare prima la missionarietà nativa e universale di tutta la Chiesa, di cui la ‘missio ad gentes’ non è che una dimensione ‘specifica’, pur primaria ed essenziale.
MA il relativo silenzio di Francesco sulle ‘missioni’ (classiche, al plurale) o specificamente sulla ‘missione ad gentes’ può essere dovuto forse anche al fatto che …
IV. - Il modello pre-conciliare delle ‘missioni estere’ - anche nella sua più recente formula della ‘plantatio ecclesiae’, - cioè il modello coloniale e ecclesiocentrico delle ‘missioni’ - è oggi assolutamente superato e improponibile, nei suoi fini e nei suoi metodi, dalla/nella Chiesa post-conciliare per il mondo d’oggi.
Un modello, quello ‘ecclesiocentrico’, per di più spesso inquadrato nello stampo coloniale e quasi sempre ‘colonizzatore’, che è oggi assolutamente improponibile e superato con il Vaticano II, quasi come è evidentemente improponibile e superato fortunatamente da secoli il modello delle ‘crociate’ o delle ‘guerre sante’, o quello della caccia agli eretici, che pure nel passato, non dimentichiamolo!, furono proposti solennemente, per secoli, da Papa e Santi predicatori, come un dovere missionario per convertire eretici e infedeli, e in particolare, per combattere violentemente l’Islam. Questo ci ricorda che il modello della /delle missioni è già cambiato radicalmente più volte nella storia della Chiesa, a partire dal primo Invio/ mandato missionario di Gesù Risorto.
È da questa reticenza verso un certo passato missionario (purtroppo lungi dall’essere del tutto ‘passato’!), che nasce forse, con Papa Francesco, anche la dichiarata e programmata, ma assai lenta e difficile ristrutturazione della storica Congregazione di ‘Propaganda fide’, con tutte le sue complesse strutture economiche e le sue propaggini politiche’ e sociali mondiali, per unirla alla neonata Congregazione della Nuova Evangelizzazione? (Ma come riuscire a mettere al passo l’elefante e il pulcino?)
V. - Resta però il fatto che il mondo non-cristiano…
nella sua ‘specificità’ dei popoli e culture che ancora non hanno conosciuto / accolto in profondità la grande bella notizia del Vangelo di Gesù come il Salvatore del mondo, (2) - è ancora là, immenso: anzi sempre più immenso e ignaro!
Se dunque, il modello delle ‘missioni estere’ è superato, la missione ad gentes, invece, come espressione ‘specifica’ della missionarietà universale e connaturale alla Chiesa tutta verso tutti i popoli delle terra (Mt 28,18ss // Mc 16,15ss // Lc 24, 45ss; Jn 20, 20ss // Atti 1, 8ss …, è oggi più pertinente che mai : la missione è anzi oggi sempre più urgente e necessaria verso ‘le genti’, cioè tra le culture e i popoli non cristiani, in crescita esponenziale nel nostro mondo. Abbiamo un ‘dono’ unico da condividere, ‘un servizio’ indispensabile da compiere verso il mondo d’oggi.
Come scrive suggestivamente Giovanni Paolo II:
“Quello che mi spinge ancor di più a proclamare l’urgenza della evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la Chiesa può rendere ad ogni uomo e all’intera umanità nel mondo attuale, il quale conosce delle conquiste straordinarie ma sembra aver perduto il senso delle realtà ultime, e della sua stessa esistenza” (RM 2). Nella ragnatela viscida del coronavirus in cui si trova l’umanità nel 2020, queste parole non sembrano ancor più penetranti?
Ma oltretutto, come ce lo ricorda lo stesso Giovanni Paolo II, la missione ad gentes è ‘necessaria’ e ‘fa bene’ innanzitutto alla Chiesa stessa: “Questo documento (RM) ha un obiettivo d’ordine interno (alla Chiesa): il rinnovamento della fede e della vita cristiana. Infatti, la missione rinnova la Chiesa, fortifica la fede e l’identità cristiana, da nuovo vigore all’entusiasmo e delle nuove motivazioni. La fede si rafforza quando la si dona!” (ib.2 - sottolineato nel testo).
Una splendida la visione dell’importanza salvifica radicale della missione ad gentes sia per il mondo non-cristiano sia per la stessa Chiesa la trovo nella testimonianza di vita e nel sogno missionario di p. Yves Raguin (1912-1998), missionario gesuita a Taipei/Taiwan (3).
VI.- Quindi:
- Dato che la ‘specifica’ missio ad gentes è ancor oggi, urgente e indispensabile come non mai,
- dato che il modello pre-conciliare delle ‘missioni estere’ è oggi assolutamente improponibile,
- Quale è dunque il modello post-conciliare buono, valido oggi, per la missione ad gentes?
A me sembra che, oggi come oggi, il nuovo ‘modello’ della missione ad gentes post-conciliare (anche se magari è poi antico come il Vangelo), è ancora da ‘inventare’, o almeno ancora da definire e progettare ecclesialmente, e poi da vivere in concreto nei mondi del primo annuncio…
Certo il Concilio ce ne ha già tracciato le linee fondamentali, e Papa Francesco sta proiettandone dei tratti significativi, e anzi già da alcuni decenni alcuni profeti - Teillard de Chardin, Charles de Foucauld, Voillaume… (1) - hanno già tentato di viverlo e incarnarlo, piuttosto che teorizzarlo. Ma non si dovrebbe forse ora tentare di formularlo anche teoricamente?
Antonio Trettel sx
Bukavu, 12 settembre 2020
NOTE
(1) Per non scoraggiarci per tante contro-testimonianze lungo tutta la storia della Chiesa e in particolare delle missioni, cerchiamo di metter in luce anche forse le più nascoste ma molto più belle testimonianze di profonda fedeltà al Vangelo annunciato. Per esempio, ho trovato a sorpresa un bellissimo esempio di quella che chiamo una necessaria previa ‘conversione psico-culturale’ del missionario, in Augusto Luca nel suo libro sconvolgente: ‘Alessandro Valignano. La missione come dialogo con i popoli e le culture’, EMI 2005, 148ss.
Siamo in Giappone negli anni 1570 e p. Luca ci presenta un simpaticissimo missionario gesuita, p. Organtino, che tra l’altro dichiarava: “Io sono più giapponese che italiano perché il Signore con la sua grazia mi ha trasformato in uno di questa nazione”. Oppure: “non pensi (lei) che i giapponesi siano un popolo incivile. Per quanto ci crediamo superiori, a parte la fede cristiana, noi di fronte a loro siamo barbarissimi”. Consiglio di leggere tutto il testo citato di Luca: davvero un bel esempio di ‘conversione colturale’ e di incarnazione missionaria straordinaria. Ancor più profonda, penso, di quella di Charles de Foucauld, se si possono fare dei paragoni de genere.
(2) Ricordiamo sempre le tre dimensioni costitutive oggi della missionarietà universale della Chiesa, come le propone ufficialmente Giovanni Paolo II nella RM: *l’ad gentes, tra i popoli non-cristiani; *la pastorale missionaria, ‘ad intra’ e ‘ad extra’ delle comunità cristiane; *la nuova evangelizzazione, tra i post-cristiani. Il Papa sottolinea tuttavia con decisione le motivazioni forti e attuali e la ‘specificità’, priorità e urgenza assoluta oggi della missione ad gentes!
(3) P. Francesco Pierli, comboniano, ci trasmette la testimonianza di vita e il sogno missionario di Yves RAGUIN (1912-1998), missionario gesuita a Taipei/Taiwan, raccolta da lui stesso in loco nel 1994 (in Nigrizia n°6, giugno 2018, p. 59):
“Io sono - mi disse p. Raguin - un missionario diverso. Non ho mai battezzato praticamente nessuno, e mai mi sono proposto di convertire qualcuno. Mio obiettivo è sempre stato l’incontro delle grandi religioni e culture asiatiche con il messaggio cristiano e con la persona di Gesù, nella convinzione che una trasformazione profonda sarebbe avvenuta sia nelle religioni asiatiche che nel cristianesimo. La persona del Risorto è pienezza, ma il cristianesimo e la Chiesa sono ancora profondamente immaturi perché manca l’incarnazione in grandi porzioni della umanità con esperienze mistiche e spirituali uniche, come appunto in Asia.
La mia missione non vuole sostituire il cristianesimo alle altre religioni; la missione deve far e-mergere in tutte le religioni quanto di Cristo è già presente. La trasformazione delle religioni attraverso l’influenza di Cristo e della Chiesa è la priorità numero uno, non tanto le conversioni individuali.
Per me l’ideale è Gandhi (1869-1948) che subì l’influsso di Gesù e dei vangeli ma restando convinto induista. Una conversione formale al cristianesimo lo avrebbe separato dal suo popolo, impoverendo infinitamente l’India e il mondo intero. Gandhi ha pure contribuito ad arricchire il cristianesimo (malato, non poco, di violenza religiosa) attraverso un’interpretazione originale e nuova di Cristo a servizio dello Shalom, che è il cuore del Regno, al cui servizio Cristo investì la sua vita”.
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