ALLA RICERCA DI UN VOLTO NUOVO per la Missione ad Gentes.
(Giubileo Saveriano – 3)
Se il missionario ad gentes (chiunque esso sia, prete/ suora/ laico/a…), ha fatto la previa necessaria conversione, anche a livello ‘psico-culturale’, assumerà necessariamente dei tratti umani molto diversi dai missionari delle ‘missioni estere’ di felice memoria. Anche qui, nessuna pretesa di essere profeta rivoluzionario, ma solo tento di leggere alcuni tratti del volto del missionario di ieri, e di quello, molto diverso, atteso e desiderato, oggi.
Sempre difficile indovinare il tratto dominante, ma direi che il missionario AG di oggi debba essere soprattutto più ‘umano’, ‘fraterno’, maturo e solido, aperto e motivato, sereno e positivo, solidale e attento agli altri, anche un po’ ‘grintoso’, certo, perché animato dentro da un sogno-ideale-realtà che da senso, entusiasmo ed avvenire a tutta la sua vita, e può darlo anche a quella degli altri.
Quello che lo caratterizza non sono più le vesti, la barba, o il comportamento di straniero, o le casse di oggetti ‘esoterici’ o il fuori-strada con cui si presenta, ma solo la sua figura umana, semplice e autentica, uguale ma anche un pò ‘diversa’ da quelle di tutti gli umani. Uno sprazzo misterioso di luce (non si sa perché) deve infatti necessariamente illuminare e trasparire dal suo volto, quasi da far estasiare (cfr Gesù: 2 Pt 1,16; Lc 9,29), ma in modo spontaneo e naturale (cfr Lc 24,13-32), senza accecare e terrorizzare (cfr Mosé, Ex 34,28-35), senza far strabiliare e alienare (cfr Paolo e Barnaba, Act 14, 11ss)!
UN CAMBIO PROFONDO NEL VOLTO DEL MISSIONARIO CON LA BARBA.
Oggi il missionario AG … non può (più) presentarsi e apparire come :
- uno ‘straniero’ >estraneo, perché, anche se proviene da un’altra patria-cultura-ambiente, egli deve inserirsi e incarnarsi generosamente, senza rimpianti e senza reticenze, nel nuovo ‘mondo’: diventare gioiosamente, il più possibile, ‘come loro’; deve essere accettato e adottato come membro del villaggio, fino a farsi naturalizzare …;
- un ‘maestro’ che viene ad indottrinare dall’alto gli ignoranti e gli analfabeti, …
- Egli deve sentirsi piuttosto un ‘apprendista’ e condiscepolo tra la gente, all’ascolto della cultura e della situazione, cercando di leggere assieme agli altri ‘i segni dei tempi’, e cercare insieme agli altri il cammino migliore del progresso per tutto il gruppo …;
- un teologo, dottore e scriba, ma solo un vero ‘credente’, tra altri credenti, che cerca di approfondire la sua fede nutrendosi anche del senso religioso profondo dei piccoli/ poveri tra cui vive (Mt 11,25);
- un’autorità, un capo/ un dirigente che si impone ipso facto, … ma un semplice ospite col desiderio di poter esser accolto con magnanimità e a cuore aperto,… per poter semplicemen-te vivere tra di loro come uno di loro, e collaborare, senza pretese, al comune cammino comunitario …;
- il padrone, un gran signore, un ‘benefattore’, che arriva con un tir o un container, e co-mincia a distribuire regali e aiuti a pioggia, e magari programma subito un centro di salute o la scuoletta della missione… Ma un ‘signore’… nullatenente o quasi, che arriva a mani vuote, disponibile però ad impegnarsi nell’opera comune che è in programma o già in costruzione;
- un mago/ indovino, che la sa più lunga di tutti e penetra anche nei misteri della natura…
Ma una persona che si interroga sulla realtà e si mette alla ricerca come gli altri /e con gli altri del sentiero comunitario da prendere…
I ‘PECCATI’ delle ‘MISSIONI ESTERE’
Prendo in prestito dal compianto p. Francesco Marini, amico caro anche nelle battaglie intellettuali, una diagnosi severa, lucida e sintetica – com’era nel suo stile – dei limiti e degli errori compiuti attraverso le ‘missioni estere’ preconciliari. Se parliamo dei ‘peccati’ è per denunciare gli atteggiamenti che noi oggi dobbiamo decisamente cambiare, senza però voler dimenticare o negare le montagne di bene che le stesse ‘missioni estere’ hanno compiuto negli ultimi secoli nel mondo. Ma non è di questo che ora parliamo. Scrive P. Marini:
“(…) A prescindere dalle buone intenzioni e anzi, dallo zelo e dalla dedizione di (quasi) tutti i missionari, si è trattato obiettivamente di ingiustizie gravi: hanno difatti violato la dignità delle persone, delle culture (loro ricchezza), delle religioni (loro identità), i loro diritti (libertà, proprietà dei loro bene, indipendenza, pace…). (…)
“Qui non prendiamo in considerazione le debolezze morali degli uomini di Chiesa (… ).
Le cause più profonde sono quelle ideologiche, quelle che essendo contrarie al ‘cambiate mentalità’ del Vangelo, hanno reso possibili le sue negazioni. Per questo, più che parlare di ‘peccati’, occorre parlare di errori, ottusità del cuore, visione distorta …
Come per esempio:
- il pregiudizio culturale dell’etnocentrismo, che è arrivato fino al punto di mettere in discussione la caratteristica umana degli indigeni;
- il pregiudizio teologico e anti-ecumenico che condannava non solo i pagani, ma addirittura tutti gli eretici e scismatici all’inferno;
- il pregiudizio antireligioso che giudicava opera diabolica ogni religione non cristiana;
- il pregiudizio religioso che assegnava alla religione una priorità sull’uomo, come se fosse l’uomo per la religione e non la religione per l’uomo; che si preoccupava (quasi) esclusivamente della salvezza eterna dell’anima e poco considerava la qualità della vita umana presente e la salvezza da mali presenti nella storia;
- la collusione con il potere politico, sia nel senso di utilizzazione del potere politico da parte della Chiesa (per esempio: l’evangelizzazione fatta ‘manu aliena’, addirittura affidata al potere politico, invece di farla attraverso la sua testimonianza personale), sia nel senso di strumentalizzazione del-la Chiesa da parte dello Stato (per esempio: lo scioglimento dei Gesuiti e delle ‘riduzioni’, la ge-stione delle diocesi…).
“Che l’evangelizzazione abbia accompagnato la colonizzazione, abbia cercato di sfruttarla e ne sia stata utilizzata, non solo ha rovinato l’annuncio, ma ha costituito pure in pratica una ‘giustificazione’ del colonialismo stesso agli occhi degli indigeni. Da qui l’uso della violenza, strumento ‘ovvio’ per uno Stato, ma che la Chiesa ha dovuto ingoiare per non rompere l’alleanza tra trono e altare”. (…)
“Sono state ‘colpe’ perché erano evitabili già a quel tempo: c’erano difatti persone che lo avevano dichiarato, avevano attirato l’attenzione, lottavano contro quei metodi anti evangelici. Anzi alcuni missionari sono stati tra i più tenaci difensori delle persone e dei popoli, delle culture e delle religioni che incontravano”. (…) (Essi) sono oggi ricordati come gli eroi del tempo. Sono stati però, purtroppo, un’eccezione, travolti dalla mentalità generale contro la quale dovevano lottare”.
“Non si tratta quindi solo colpe di qualcuno, ma comuni; non di qualche momento, ma di secoli di prassi; non di persone che combattevano la Chiesa, ma di uomini di Chiesa, che agivano in suo nome e con la sua benedizione: erano dunque infedeltà della Chiesa al Vangelo. Bisogna riconoscere onestamente che la Chiesa che annunciava il Vangelo di Gesù, lo comprendeva e poi lo applicava in modo che noi oggi riconosciamo del tutto insufficiente, anzi, contraddittorio con esso”. (In: Il coraggio della verità. Alcuni amici raccontano p. Francesco Marini, Associazione Missione Oggi, 2019, pag.74ss).
MODELLI PRECONCILIARI DELLE ‘MISSIONI ESTERE’ DA SUPERARE
Riassumerei il discorso storico-teologico di p. Marini in alcuni modelli che hanno ben motivato e animato le ‘missioni estere’ negli ultimi secoli, ma che il Concilio Vaticano II ci obbliga oggi a rifiutare /ripensare radicalmente:
- il modello soteriologico apocalittico dell’urgenza di “strappare le anime dal fuoco dell’Inferno”;
- o il modello socio-culturale-religioso di fare ‘tabula rasa’ di tutte le superstizioni pagane;
- o il modello coloniale preteso civilizzatore di portare ‘la fede (secondo gli schemi tridentini!) e (la nostra!) civiltà’;
- o anche il modello ecclesiocentrico di una ‘plantatio ecclesiae’ concorrenziale, più giuridico-etica strutturale, che carismatica-spirituale, individualista e teorica, più che comunitaria e inculturata come lievito nella massa
Salve tutte le buone intenzioni personali e le azioni eroiche dei missionari, e salvi i frutti sempre abbondanti dello Spirito, ‘a prescindere’, …
- é teologicamente improponibile oggi il modello soteriologico apocalittico classico che incitava a correre a battezzare il più possibile e più in fretta possibile tutti ‘i poveri pagani’ (magari anche con mezzi poco ortodossi!), per strapparli dalle grinfie del Diavolo e sottrarli al fuoco inesorabile dell’inferno che li attende…
- é teologicamente e culturalmente errato per noi oggi il modello socio-culturale-religioso che incitava ad andare generosamente tra i ‘primitivi’ per fare ‘tabula rasa’ di tutte le loro ‘superstizioni diaboliche’ e le ‘depravazioni pagane’, per portare la sola ‘vera’ religione e ‘la’ civiltà, per raddrizzare così con l’osservanza dei dieci comandamenti e dei precetti molteplici della Chiesa, i costumi selvaggi e umanamente depravati dei ‘pagani’ (= le tradizioni e i costumi locali) …
- è antropologicamente e socialmente inaccettabile oggi anche il modello socio-culturale-politico coloniale e colonialista della seconda metà del 2° millennio, di ‘dover’ portare ovunque ‘fede e civiltà’ (la sola buona, naturalmente, cioè la nostra ‘civiltà’ occidentale!) E naturalmente usare anche con la mano di ferro, se occorre, per qualche inevitabile giusto ritorno…
- e non è più proponibile, secondo l’ecclesiologia conciliare, neanche il modello ecclesiocentrico della ‘plantatio ecclesiae’, ecumenicamente concorrenziale, più giuridico, moralistico e istituzionale che kerigmatico, carismatico, spirituale e comunitario: modello che ha creato finalmente degli ‘isolotti cristiani’, staccati ed estranei al loro humus culturale, indifferenti e ininfluenti per il progresso solidale nel loro contesto umano e sociale, ben lontani dall’essere inculturati come lievito nella massa…
QUALE DUNQUE IL NUOVO VOLTO
della Missione ad gentes?
Antonio Trettel, sx - Bukavu, Settembre 2020
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