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Filippine, il vescovo dei senza voce

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Le tante sfide di monsignor Pablo Virgilio David, minacciato di morte durante gli anni di Duterte. Alla guida della diocesi di Kalookan, alla periferia di Manila, è anche presidente della Conferenza episcopale filippina.

Un vescovo ai margini e in prima linea. Che nella logica di Papa Francesco sono, in fondo, la stessa cosa. È l’esperienza di monsignor Pablo Virgilio David, che guida la diocesi di Kalookan, nella periferia metropolitana di Manila, ed è presidente della Conferenza episcopale delle Filippine, oltre a essere attivamente coinvolto nella Federazione delle Conferenze dei vescovi dell’Asia (Fabc). Il suo impegno pastorale e caritativo, spesso tra coloro che vivono nelle baracche, che non hanno servizi e talvolta neppure il certificato di nascita – e dunque non esistono ufficialmente -, lo ha portato a schierarsi contro tutte le forme di ingiustizia e violenza. Al punto che, durante la presidenza di Rodrigo Duterte, è stato accusato di sedizione e minacciato di morte, per aver denunciato violazioni dei diritti umani ed esecuzioni extra-giudiziali.

Vescovo David, com’è la situazione attuale? È ancora in pericolo?

«È cambiata l’amministrazione e non ho più bisogno di essere scortato. Avevo denunciato il fatto che la cosiddetta guerra contro i trafficanti di droga era immorale, illegale e sostanzialmente contro i poveri. Nelle Filippine la pena di morte non è ammessa. Certamente il governo deve combattere la criminalità, ma non lo può fare con metodi arbitrari e violenti sino ad arrivare a sistematiche uccisioni di supposti criminali. Ho sostenuto l’impegno di giornalisti coraggiosi che documentavano in maniera inconfutabile gli abusi. Molte delle persone uccise non erano armate e non resistevano all’intervento della polizia. Dopo le nostre denunce, hanno cambiato tattica: le esecuzioni non venivano più fatte da poliziotti in divisa ma da vigilantes mascherati e venivano classificate come “casi sotto indagine”, ma in realtà, poi, non c’era nessuna inchiesta. Il governo dichiara ufficialmente seimila “vittime della guerra contro la droga”. Ma sono molte di più: pensiamo che le persone uccise dai vigilantes, e non dichiarate dal governo, siano più di ventimila».

Lei è stato anche denunciato.

«Ho ricevuto cinque accuse per sedizione e altre pretestuose imputazioni da parte della polizia nazionale, in base alla testimonianza di una persona sconosciuta. Avevano un chiaro scopo intimidatorio. Sono stato difeso da mio fratello avvocato. Altri tre vescovi sono stati accusati, ma poi le accuse sono state fatte cadere dal procuratore prima di arrivare in tribunale».
Come giudica l’attuale governo del presidente Ferdinand Marcos Jr?
«È troppo presto per giudicare, ma la gente soffre per la difficile situazione economica. L’inflazione arriva all’8.7%. Il potere d’acquisto crolla, il cibo costa molto e quelli che vivono con il salario minimo hanno tante difficoltà. Molti si rendono conto che il governo usa sistematicamente i social media per disinformare e manipolare. Questo è successo anche durante la campagna elettorale. Chi possiede la tecnologia digitale impone un comportamento sociale e politico».

La sua diocesi di Kalookan si trova alla periferia dell’area metropolitana di Manila, una zona dove tantissime persone vivono ai margini in molti sensi…

«La diocesi di Kalookan conta 1 milione 800 mila abitanti, di cui quasi il 90% sono cattolici. Solo il 10% sono raggiunti dalle nostre parrocchie. Quando sono diventato vescovo, ho subito cercato quelli rimasti ai margini della pastorale tradizionale. Si tratta, in gran parte, di persone provenienti da altre province che non hanno nemmeno la residenza. Vivono in baraccopoli, senza adeguati servizi e abitazioni. Sono rimasto scioccato dall’apprendere che molti bambini non hanno neppure il certificato di nascita. Per lo Stato non esistono e non vanno né a scuola né in ospedale. I bambini nati a casa non vengono registrati per evitare il pagamento della tassa, pur minima, del certificato. Le conseguenze sono terribili. Ho incaricato una religiosa a tempo pieno di fare di tutto per registrare i bambini senza documenti della diocesi».

L’attenzione e la spinta di Papa Francesco verso le periferie l’hanno in qualche modo ispirata?

«Francesco ha visitato le Filippine nel 2015, io ero responsabile del comitato organizzativo, gli sono stato vicino e ho sentito tutti i suoi interventi. Ripeteva “Uscite, uscite! La Chiesa, se non è missionaria, non è Chiesa”. Ha introdotto nel linguaggio comune la parola “periferie”, al punto che alcuni hanno dovuto consultare il dizionario! Questo in qualche modo mi ha ispirato. Una delle mie priorità è creare “stazioni missionarie”. Oggi ne abbiamo 18 e circa 120 leader (o cappellani) laici, religiose o preti. Creiamo comunità di base più agili e aperte delle parrocchie tradizionali, per le quali non abbiamo, in ogni caso, il terreno, le risorse e il personale. Laici e suore possono essere eccellenti guide. Sono molto contento di loro. Ci sono inoltre 35 presbiteri diocesani».

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Gianni Criveller
7 Avril 2023
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