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La chiesa di fronte alla pandemia

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In queste settimane, molti di noi, anche missionari più o meno abituati ad affrontare situazioni pericolose, sono costretti a rimanere confinati in casa. Con il Covid-19 siamo tutti esposti al contagio e tutti potenziali diffusori inconsapevoli del virus. In molti paesi le celebrazioni liturgiche, gli incontri e le attività pastorali sono state sospese. Si ricorre alle messe in streaming e a incontri on-line. Non si può scherzare col virus. Il numero di confratelli contagiati e deceduti nella nostra sola congregazione ci dice quanto questa situazione sia seria.

In molti di noi, missionari e pastori dediti alla vita attiva, l’essere confinati a casa pesa molto in termini psicologici. Ciò è comprensibile. Non siamo mai stati abituati a star fermi, a non incontrare la gente, a passare giornate nella solitudine… Del resto, forse non siamo stati chiamati da Dio a questo tipo di vita, troppo “monastico”. A ciò si aggiunge la frustrazione di non poter rispondere alle necessità della gente. Il non poter celebrare i funerali, lascia in molti un forte senso di delusione, come se la chiesa, e noi con essa, stesse abbandonando le persone nel momento più delicato di sofferenza. Qualcuno può arrivare a chiedersi se questo stare a casa, troppo obbedienti alle regole di un governo, non sia segno di debolezza, un tirarsi indietro, un rinchiudersi nella paura del contagio. Sono domande lecite, dovute all’insofferenza per la quarantena, ma anche ad un autentico spirito di servizio per il gregge che pare abbandonato.

Dov’è la chiesa in questo momento di pandemia? Vediamo ciò che fa e dice il papa, e ascoltiamo le dichiarazioni dei vescovi. Seguiamo le discussioni di chi afferma che non permettere la messa leda la libertà religiosa. Assistiamo alla dedizione dei gruppi caritativi delle parrocchie che distribuiscono pacchetti di cibo per gli indigenti; vediamo comunità religiose che si occupano dei poveri… Ma sembra che tutto ciò non basti, che, insomma, la chiesa si sia defilata. Dove sono i preti, dove sono i vescovi, le suore, i seminaristi. Si sono ritirati nella sola attività di preghiera? Non dovrebbero testimoniare un amore più coraggioso? Il Covid-19 sembra aver messo la chiesa in ginocchio, rivelando la sua poca capacità di servire proprio quando il bisogno e la sofferenza hanno assunto dimensioni enormi.

Ma è proprio così? È veramente sparita la chiesa davanti al Covid-19? Mi sento di dire di no. È vero che io prete, con le mie competenze nel campo religioso, sono stato confinato in casa. Ma altri cristiani sono stati sbattuti in prima linea, costretti dalla situazione, dalla loro professione, ma anche da un vero amore per il prossimo, che sa di scelta consapevole e di coraggio al di là della paura. Penso a quanti medici, infermieri, addetti alle pulizie negli ospedali, poliziotti e militari, autotrasportatori, cassieri dei supermercati, ricercatori, farmacisti, governanti e amministratori, ecc. si sono trovati improvvisamente a cercare di fronteggiare una simile catastrofe, provando a rispondere a questo dolore collettivo con competenza e con amore eroico. Molti hanno esposto la propria vita al pericolo del contagio. Molti sono anche morti. Molti di essi sono cristiani e altri, pur non essendolo in maniera consapevole, agiscono per amore del prossimo, come Cristo, e quindi sono anch’essi parte di una chiesa che vive degli ideali del Maestro.

La vita del vangelo si è vista anche in tanti rapporti rinati nelle famiglie, nella solidarietà tra vicini di casa, nel farsi prossimo a coloro che hanno perso un proprio caro, e anche nelle preghiere che abbiamo pronunciato l’uno per l’altro… Queste testimonianze di vita, molto laica, ma allo stesso tempo cristianissima, mi fanno dire che la chiesa non sia scappata davanti al Covid-19. Se per il momento non è possibile dare il conforto dei sacramenti e i sacerdoti non possono avvicinarsi alla loro gente, non significa che la chiesa sia morta. Anzi! Il Covid-19 ha suscitato tanta creatività e, a mio modo di vedere, ha sprigionato una montagna di energie positive, con episodi di amore eroico che non è altro che vangelo vissuto. Il mondo probabilmente, come dice papa Francesco, non si è mai sentito così “nella stessa barca”, interconnesso come in questo tempo. Forse il mondo sta scoprendo di essere di più “una sola famiglia.” Sarebbe un peccato se tutto ciò sparisse col ritorno della cosiddetta “normalità”, qualsiasi cosa essa voglia dire.

La testimonianza di valori evangelici è probabilmente anche frutto del lavoro di evangelizzazione che pazientemente è stato portato avanti dai preti e dai religiosi in questi anni non facili. Formare al Vangelo è un’opera importante per il bene dell’umanità. Il Covid-19 sta dimostrando quanto lo sia.

Manila, 8 Maggio, 2020

Matteo Rebecchi
8 Mai 2020
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