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Un’interpretazione del concetto di missione ad gentes

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Con questa riflessione vorrei condividere quelle che sono state le conclusioni a cui è giunto il mio studio sull’evoluzione del concetto di missione ad gentes nella prospettiva saveriana, ovverosia come i missionari saveriani hanno interpretato il concetto di missione ad gentes nel corso del tempo. Per questa fine, è stata di un’importanza capitale il riferimento alla letteratura missionaria saveriana da cui emerge che l’idea di missione ad gentes non è lineare dal momento che le modalità della sua attuazione sono varie e cambiano a seconda delle circostanze storiche, sociali e culturali attraverso le quali l’Istituto ha preso forma e si è sviluppato nel tempo. Il confronto tra passato e presente ci ha condotto ad evidenziare alcuni aspetti essenziali.

Si nota anzitutto un’idea radicale e persistente di missione ad gentes, considerata come criterio col quale confrontarsi sempre, criterio di scelta di ogni attività dell’Istituto; e ciò fa sicché le altre attività vengono appositamente escluse.

Inoltre c’è stata una riduzione dell’attività di espansione geografica dell’Istituto, che aveva caratterizzato il periodo antecedente al Concilio ecumenico Vaticano II per concentrarsi sulla preparazione del personale missionario; in particolar modo la formazione permanente a favore della quale si sono ampliate le opportunità, l’aggiornamento e la riqualificazione del personale, l’organizzazione di convegni su varie tematiche inerenti alla missione, così come l’avvio del processo di ridimensionamento e di ristrutturazione per un maggior dinamismo dell’attività missionaria, e per stare al passo degli avvenimenti e far fronte ai cambiamenti continui che caratterizzano la società di oggi.

Il pronunciamento del Magistero a favore della missione ad gentes, prima attraverso la lettera apostolica Maximum illud, di Benedetto XV, un documento vivamente auspicato, nonché ben accolto dal fondatore dei Saveriani già all’avanguardia nel campo della cooperazione missionaria e del risveglio missionario, grazie al suo forte valore innovativo, aveva contribuito ad accrescere la consapevolezza del ruolo e della responsabilità del missionario, l’importanza del suo impegno per la salvezza del mondo non credente. Per i saveriani tale insegnamento è stato recepito come un codice di comportamento per la loro attività missionaria. Il documento rammenta il fine religioso e soprannaturale della missione e denuncia il rischio di confonderla con le conquiste mondane, usando mezzi non adatti alla finalità dell’evangelizzazione. In esso è chiaramente sottolineato che soltanto i mezzi soprannaturali possono consentire di raggiungere un fine soprannaturale. Avendo la missione una motivazione soprannaturale, il saveriano sa che il successo della missione dipende non soltanto dai suoi incessanti sforzi, ma anche e soprattutto dal fatto che essa sia fondata in Dio, il quale ne è il vero iniziatore e sa come penetrare nei cuori e nelle menti degli uomini per convertirli a sé attraverso l’impegno e la collaborazione del missionario.

Successivamente, con il concilio ecumenico Vaticano II, i saveriani sono giunti a una presa di coscienza della propria situazione, le lacune da colmare e l’inadeguatezza dei mezzi della loro attività rispetto alle nuove sfide generate da un mondo globalizzato e in continuo cambiamento. Il Concilio è stato recepito da essi come un’occasione cruciale di profondo aggiornamento, il primo aggiornamento sistematico nella storia dell’Istituto dopo la grande espansione geografica. La ricezione della dottrina insegnata dal concilio Vaticano II (ma anche il Magistero susseguente) riguardo alla missione ha trovato un’autentica interpretazione, che però ha bisogno di tradursi in azione concreta. Non si è ancora arrivati all’attuazione effettiva di alcune indicazioni del magistero per un cambiamento profondo, riguardo soprattutto al paradigma dell’impegno missionario. Quando si parla della missione ad gentes, si tende ad essere vaghi e generici.  Per di più, la tentazione di riferirsi costantemente al passato anziché e proiettarsi nel futuro tenendo conto della realtà presente a cui è doveroso concentrarsi con ottimismo e profonda speranza. Questo denota la mancanza di coraggio nell’oltrepassare alcune scelte e il timore di modificare elementi ritenuti caratteristici dell’istituto saveriano, ma che, a nostro avviso, non sono essenziali e non incidono sulla vita presente, tanto meno su quella futura.

La missione va avanti, e nella coscienza ecclesiale la missione ad gentes si attuerà finché la salvezza di Cristo non sarà annunciata ad ogni uomo. Il carisma saveriano consiste in questa forma di missione specifica, e i saveriani fanno in modo che tale carisma non si diluisca, ma si diffonda sempre più con la speranza che, con il loro contributo alla missione della chiesa, si arrivi a fare del mondo un’unica famiglia unita in Cristo. Nonostante le fatiche e le difficoltà, i saveriani non hanno perso l’ottimismo. Essi sono fiduciosi nell’azione dello Spirito Santo e si accordano ad essa per presentarsi al mondo come annunciatori della redenzione e della salvezza di Dio. Si dedicano interamente alla missione con rinnovato entusiasmo spirituale e una coraggiosa testimonianza. Il loro desiderio di missione si manifesta sempre di più nel cercare di qualificare la loro presenza, nella disponibilità e nella collaborazione con le comunità ecclesiali dove operano; consapevoli di essere chiamati là dove c’è più bisogno della presenza visibile della chiesa, e stando a stretto contatto con la realtà di quelli che non conoscono ancora Cristo e il suo vangelo. Essendo la comunità una norma per la testimonianza e uno stile di vita apostolica, la missione viene vissuta come un’azione comunitaria con lo scopo di dare vita a delle realtà stabili e garantirne la continuità grazie alla partecipazione di tutti i membri; benché questo fatto sia ancora una sfida da raccogliere.

Da questa prospettiva emerge che, se i saveriani vorranno essere dei missionari ad gentes nella specificità di missione verso i non cristiani e non in senso vago, essi dovrebbero essere più chiari nello spiegare il loro impegno, specificare e qualificare sempre di più la loro azione missionaria operando scelte concrete che siano in linea con il loro carisma e adatte alle sfide odierne della missione.

Attualmente tra i saveriani si sta insistendo molto su una forma di missione che non dipenda dalle molteplici attività, bensì l’essere presenti nel cammino che percorrono le persone che si è chiamati a servire, che sono per la maggior parte gli emarginati della società, i poveri... C’è però il rischio di “dare la colpa” a chi fa il bene alla gente bisognosa, cadendo in quella che una volta veniva chiamata «l’eresia dell’azione», cioè la tendenza di stigmatizzare l’atteggiamento di chi si immerge nelle opere sociali da non trovare tempo per la preghiera e la contemplazione. Tuttavia è necessario trovare un giusto equilibrio. In alcuni contesti, spesso i missionari vengono sollecitati dai bisogni delle persone, e secondo la sensibilità ci ciascuno, si cerca di prodigarsi dando una risposta concreta. E questo non è riprovevole se non crea dipendenza nei destinatari del servizio del missionario. Anche se a volte si dice che l’evangelizzazione non è mettersi a risolvere i problemi materiali della gente, perché questo può comportare il rischio di sviare lo scopo soprannaturale della missione che altro non è se non la salvezza integrale, e non soltanto la soddisfazione materiale. Nondimeno, a volte un gesto di carità compiuto dal missionario può valere più di proclami infitti e astratti. È importante compiere le opere di carità, esse fanno parte integrante dell’attività missionaria. Dal nostro punto di vista, nel campo missionario, la carità organizzata riveste un ruolo molto importante e non è da confondersi con l’assistenzialismo. È la carità, che spinge il missionario ad andare verso altri popoli a condividere con loro la propria vita, anzi a prodigarsi senza riserva per loro e per la causa del vangelo. La prima preoccupazione del missionario è quella di fare incontrare Cristo dopo averlo incontrato egli stesso e accolto nella propria vita, aiutare le persone ad avvicinare il regno di Dio, proporre loro la salvezza di Cristo offerta ad ogni uomo e che tocca profondamente tutto l’uomo. È su questo che si fonda la profonda convinzione del Conforti, e che lo ha spinto a cominciare l’opera di evangelizzazione per fare incontrare Cristo anche a tutti i popoli attraverso la presenza missionaria dei suoi figli.

Serge Kabalama Cibangala, sx


Une interprétation du concept de mission ad gentes

Avec cette réflexion, je voudrais partager avec vous quelles ont été les conclusions de mon étude sur l'évolution du concept de mission ad gentes dans la perspective xavérienne, c'est-à-dire, comment les missionnaires xavériens ont interprété le concept de mission ad gentes au cours du temps. Pour ce faire, la référence à la littérature missionnaire xavérienne a été d’une importance capitale. De cette littérature, il ressort que l'idée de mission ad gentes n'est pas linéaire pour le fait que les modalités de sa mise en œuvre ont variés selon les circonstances historiques, sociales et culturelles dans lesquelles l'Institut a pris forme et s'est développé dans le temps. La comparaison entre le passé et le présent nous a amenés à mettre en évidence certains aspects essentiels.

Tout d'abord, il y a une idée radicale et persistante de la mission ad gentes, considérée comme le critère avec lequel il faut toujours se confronter, le critère de choix pour chaque activité de l'Institut ; et cela fait que d'autres activités sont exclues.

Ensuite, l'activité d'expansion géographique de l'Institut, qui avait caractérisé la période précédant le Concile Vatican II, a été réduite afin de se concentrer sur la préparation du personnel missionnaire. Spécialement la formation continue, pour laquelle il y a eu des opportunités accrues, la mise à jour et le recyclage du personnel, l'organisation de conférences sur différents thèmes inhérents à la mission, ainsi que l'initiation du processus de redimensionnement et de restructuration pour un plus grand dynamisme de l'activité missionnaire, et afin de faire face aux changements continus qui caractérisent la société actuelle.

La prise de position du Magistère en faveur de la mission ad gentes, d'abord à travers la lettre apostolique Maximum illud de Benoît XV, un document fortement souhaité et bien accueilli par le fondateur des Xavériens qui était déjà à l'avant-garde dans le domaine de la coopération missionnaire et du renouveau missionnaire, grâce à sa forte valeur novatrice, avait contribué à faire prendre conscience du rôle et de la responsabilité du missionnaire, de l'importance de son engagement pour le salut du monde non-croyant. Pour les Xavériens, cet enseignement a été transposé comme un code de conduite pour leur activité missionnaire. Le document rappelle la finalité religieuse et surnaturelle de la mission et dénonce le risque de la confondre avec des conquêtes mondaines, en utilisant des moyens qui ne sont pas adaptés au but de l'évangélisation. Il y est clairement souligné que seuls des moyens surnaturels peuvent permettre d'atteindre une fin surnaturelle. Puisque la mission a une motivation surnaturelle, le xavérien sait que le succès de la mission ne dépend pas seulement de ses efforts incessants, mais aussi et surtout du fait qu'elle est fondée en Dieu, qui en est le véritable initiateur et qui sait pénétrer dans le cœur et l'esprit des hommes pour les convertir à lui grâce à l'engagement et à la collaboration du missionnaire.

Avec le Concile œcuménique Vatican II, les Xavériens ont pris conscience de leur propre situation, des lacunes à combler et de l'inadéquation de leurs moyens pour répondre aux nouveaux défis générés par un monde globalisé et en mutation. Le Concile a été perçu par eux comme une opportunité cruciale pour une mise à jour profonde, la première mise à jour systématique dans l'histoire de l'Institut après sa grande expansion géographique. La réception de la doctrine enseignée par le Concile Vatican II (mais aussi par le Magistère que suivra) concernant la mission a trouvé une interprétation authentique, qui doit toutefois être traduite en actions concrètes. La mise en œuvre effective de certaines indications du Magistère pour un changement profond, surtout en ce qui concerne le paradigme de l'engagement missionnaire, n'a pas encore été réalisée. Lorsqu’on parle de la mission ad gentes, on a tendance à être vagues et généraux.  En outre, on est souvent tenté de se référer constamment au passé plutôt que de se projeter dans l'avenir, en tenant compte de la réalité présente sur laquelle il faut se concentrer avec optimisme et profonde espérance. Tout ceci dénote le manque de courage pour aller au-delà de certains choix et la peur de modifier des éléments considérés comme caractéristiques de l'institut xavérien, mais qui, à notre avis, ne sont pas essentiels et n'affectent pas la vie présente, et encore moins la vie future.

La mission va de l'avant, et dans la conscience ecclésiale, la mission ad gentes sera menée à bien jusqu'à ce que le salut du Christ soit annoncé à tout homme. Le charisme xavérien consiste en cette forme spécifique de mission, et les xavériens veillent à ce que ce charisme ne se dilue pas, mais se propage de plus en plus avec l'espérance que, par leur contribution à la mission de l'église, ils réussiront à faire du monde une seule famille unie dans le Christ. Malgré les épreuves et les difficultés, les Xavériens n'ont pas perdu l’optimisme. Ils ont confiance dans l'action du Saint-Esprit et sont en phase avec lui pour se présenter au monde comme des hérauts de la rédemption et du salut de Dieu. Ils se consacrent entièrement à la mission avec un enthousiasme spirituel renouvelé et un témoignage courageux. Leur désir de mission se manifeste de plus en plus dans leurs efforts pour qualifier leur présence, dans la disponibilité et la collaboration avec les communautés ecclésiales du milieu où ils travaillent ; conscients, surtout, d'être appelés là où la présence visible de l'église est la plus nécessaire, et d'être en contact étroit avec la réalité de ceux qui ne connaissent pas encore le Christ et son évangile. La communauté étant une norme de témoignage et un style de vie apostolique, la mission est vécue comme une action communautaire dans le but de donner vie à des réalités stables et de garantir la continuité grâce à la participation de tous les membres ; bien que ce fait soit encore un défi à relever.

De cette perspective, il ressort que, si les Xavériens veulent être des missionnaires ad gentes dans la spécificité de la mission auprès des non-chrétiens et non dans un sens vague, ils doivent être plus clairs dans l'explication de leur engagement, préciser et qualifier de plus en plus leur action missionnaire en faisant des choix concrets, conformes à leur charisme et adaptés aux défis missionnaires du moment.

Actuellement, chez les Xavériens, on insiste beaucoup sur une forme de mission qui ne doit pas dépendre d'une multitude d'activités, mais plutôt la présence aux milieux de gens que l'on est appelé à servir, qui sont pour la plupart des marginaux de la société, des pauvres... cheminer avec eux. Toutefois cette observation peut comporter le risque de condamner ceux qui se dépensent sans ménagement pour venir en aide aux personnes dans le besoin, en tombant ainsi dans ce qu'on appelait jadis "l'hérésie de l'action", c'est-à-dire la tendance à critiquer l'attitude de ceux qui sont tellement plongés dans les œuvres sociales au point de ne pas trouver du temps pour la prière et la contemplation. Cependant, il est nécessaire de trouver le juste équilibre.  Dans certains contextes, les missionnaires sont souvent sollicités par les besoins des gens, et selon la sensibilité de chacun, ils tentent d'apporter une réponse concrète. Et cela n'est pas répréhensible si cela ne crée pas de dépendance chez les bénéficiaires du service du missionnaire. Souvent l’on dit que l'évangélisation ne consiste pas à résoudre les problèmes sociaux et matériels des gens, car cela peut comporter le risque de détourner l'attention du but surnaturel de la mission qui n'est autre que le salut intégral, et pas seulement la satisfaction matérielle. Néanmoins, parfois, un geste de charité posé par le missionnaire peut valoir plus que des annonces abstraites. Il est important d'accomplir des œuvres de charité, car elles font partie intégrante de l'activité missionnaire. La charité organisée joue un rôle très important et ne doit pas être confondue avec le paternalisme o l’assistentialisme. C'est la charité qui pousse le missionnaire à aller vers d'autres peuples pour partager sa vie avec eux, à se consacrer pour eux et pour la cause de l'Évangile. Sa préoccupation première est de faire rencontrer le Christ aux gens après l'avoir lui-même rencontré et accueilli dans leur propre vie, d'aider les gens à s'approcher du royaume de Dieu, de leur proposer le salut du Christ offert à tout homme et qui touche profondément l'homme tout entier. C'est la base de la conviction profonde de Conforti, qui l'a poussé à entreprendre l'œuvre d'évangélisation pour porter le Christ aux peuples lointains à travers la présence missionnaire de ses fils.

Serge Kabalama Cibangala sx
7 Janvier 2022
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