Articolo apparso sulla edizione cartacea de L’Osservatore Romano,
del 24 settembre 2022, p.5
La giunta militare al poter a N’Djamena proroga le trattative mentre nel paese resta l’instabilità
È stato prorogato di almeno dieci giorni il dialogo di riconciliazione nazionale, avviato a fine agosto dalla giunta militare al potere in Ciad con una scadenza inizialmente fissata al 20 settembre. Ad annunciare le trattative era stato il generale Mahamat Idriss Déby Itno, autoproclamatosi capo di Stato alla guida di un consiglio militare nell’aprile 2021, alla morte del padre, il presidente Idriss Déby Itno, al potere dal 1990 fino alla sua scomparsa, quando fu ferito mortalmente durante un combattimento tra l’esercito di N’Djamena e un gruppo armato nel nord del Paese.
Un anno fa il generale Mahamat Idriss Déby Itno, che nel frattempo aveva sciolto il parlamento, destituito il governo e abrogato la Costituzione, promise un dialogo nazionale inclusivo per restituire il potere ai civili con elezioni «libere e democratiche», alla fine di una «transizione» di 18 mesi, rinnovabili soltanto una volta. La Francia, ex potenza coloniale, l’Unione africana e l’Unione europea, considerando il Ciad uno dei pilastri regionali nella lotta contro i jihadisti nel Sahel, assicurarono il loro sostegno al nuovo corso, vincolandolo al rispetto del termine dell’anno e mezzo di transizione.
«La regione del Sahel, e in particolare il Ciad, è un’area che subisce le conseguenze di due eventi drammatici: il cambiamento climatico — con la desertificazione di una delle zone più fertili del Lago Ciad, che vede molte popolazioni costrette a migrare — e la presenza del terrorismo transnazionale, soprattutto dall’Africa occidentale, dalla Nigeria, dov’è attivo il movimento dei Boko Haram», spiega Beatrice Nicolini, docente di Storia e istituzioni dell’Africa all’università Cattolica di Milano. Nelle dinamiche di instabilità della regione, aggiunge, c’è da considerare anche che «quasi tutti gli Stati africani che si formarono attorno agli anni Sessanta del ventesimo secolo, all’indomani delle indipendenze dalle colonie, in questo caso dalla Francia, possiedono dei confini politici assolutamente artificiali: se si osserva la cartina geografica, il Ciad ha dei confini molto geometrici, rispetto alla realtà locale». Si tratta, va avanti, di «un Paese grande tre volte la California, con 17 milioni di abitanti», dove non si è formato nel tempo, sottolinea la docente dell’università Cattolica di Milano, «un consenso dal basso» che potesse consentire la «creazione di una governance, di una serie di politiche inclusive di tutti i gruppi che si sono trovati a comporre il nuovo Stato»: paradossalmente, afferma, «l’unico modo per controllare questi confini politici, queste realtà così complesse, è risultato quello della forza», con un «investimento massiccio nell’esercito» e «in armamenti», a scapito di migliori condizioni di vita per la gente, sempre più povera, senza una gestione equa delle ricchezze locali - petrolio, oro e uranio - «tra le popolazioni».
In tale contesto, evidenzia Beatrice Nicolini, «dall’inizio degli anni Duemila ad oggi la zona si è inoltre letteralmente prosciugata dal punto di vista della ricchezza idrica, in maniera drammatica»: si è assistito a «siccità che in alcuni casi sono state anche “politiche”, indotte, cioè sono stati chiusi i rifornimenti di acqua ad alcune popolazioni, per sottometterle».
Il dialogo di riconciliazione si è aperto il 20 agosto scorso, nonostante il boicottaggio della maggioranza dell’opposizione e di alcuni dei movimenti armati del Paese. Con numerosi ritardi e interruzioni, gli oltre mille delegati non hanno ancora di fatto iniziato il loro lavoro sostanziale.
La scorsa settimana uno dei leader dell’opposizione, Succès Masra, è stato convocato dal procuratore della Repubblica di N’Djamena, mentre oltre 200 suoi sostenitori venivano arrestati nel corso di manifestazioni disperse con la forza. La giunta militare ha poi fatto sapere di aver sospeso la citazione in giudizio dell’uomo, proprio in attesa della conclusione del dialogo di riconciliazione, mentre nel sud del Paese nuovi scontri tra pastori nomadi e agricoltori stanziali provocavano almeno 19 morti, in una ricorrente conflittualità per il controllo delle terre fertili del Paese.
di GIADA AQUILINO
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