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L'arte di accompagnare le persone fragili

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“L’ARTE” D’ACCOMPAGNARE LE PERSONE FRAGILI.

Quand’ero ancora studente di teologia trovai una frase di Albert Camus, che diceva: “Non camminare davanti a me, potrei non seguirti; non camminare dietro a me, potrei non servirti da guida; cammina al mio lato e sii un amico”. Da allora questo pensiero mi ha sempre accompagnato. Un motto che non è stato sempre facile da mettere in pratica, ma che allo stesso tempo mi ha aiutato a prendere delle decisioni e a non avere paura di cambiare e di ricominciare.

Dopo alcuni anni di lavoro missionario in Sierra Leone e poi in Tchad ho chiesto ai miei superiori di offrirmi la possibilità di assistere i confratelli anziani e ammalati.

Si parla di “assistenza” ai malati o di prestare un “servizio” ai malati. A me non  piace questa terminologia perché sembra che ci sia un divario tra chi assiste e la persona assistita, tra chi presta un servizio e chi lo riceve. Lo stesso vale per il termine “ammalato”, sembra rilevare la parte disfunzionale. Preferisco utilizzare la parola “accompagnare”, nel senso di percorrere una strada assieme, camminare assieme (nelle diverse circostanze che la vita presenta). In definitiva crescere insieme. Invece della parola “ammalato”, preferisco utilizzare la parola “fragile”, perché così mi percepisco alla pari. Infatti tutti abbiamo le nostre fragilità e debolezze. La presa di coscienza della propria fragilità, delle proprie ferite ci permette di riconoscere nell’altro il bisogno-desiderio di vicinanza.

Condividere la fragilità è un ”arte” che s’impara giorno dopo giorno (Manicardi Luciano, L’umano soffrire), anzi io direi “che non s’impara mai”, perche ciascuno vive la propria situazione in una maniera personalissima. Davanti alla sofferenza e alla morte, ciascuno svela in che cosa ripone il senso della propria esistenza.

La sofferenza e la morte sono la prova più radicale a cui è sottoposta la consistenza dell’uomo. Nel momento della malattia, della sofferenza e della morte, può vivere un momento di rottura con se stesso, di crisi nella comunicazione con gli altri. La malattia può essere vissuta come una crisi di senso e scuotere le nostre convinzioni. In molti casi può svelarsi un legame tra esperienza della malattia e dimensione religiosa, nella percezione della propria precarietà e del proprio essere. È un momento di maturazione personale ed ecclesiale.  (Zanchetta Renato. Malattia, salute, salvezza).

Essere accanto alle persone fragili, camminare con loro, implica assumersi le proprie responsabilità, senza espropriare (invadere) l’altro. Il limite tra cura e paternalismo è sottile, cosi come la distinzione fra azione necessaria e azione non necessaria all'essere dell'altro.

La chiave sta’ nella maniera di porsi di fronte all’altro.

La persona, di fronte ad un'altra non autonoma, deve evitare di guardare all’altro come “malato bisognoso”. Deve piuttosto riconoscerne la dignità, le competenze, la capacità di parlare, comunicare, percepire, provare emozioni, contrattare e decidere (Vigorelli Pietro, L’approccio Capacitante).

Nell’arte dell’accompagnamento è fondamentale sapere osservare, sapere ascoltare, sapere rispettare il silenzio, le pause, la lentezza, l’incoerenza delle frasi o del pensiero.. L’accompagnatore dovrebbe imparare e fare lo sforzo di entrare nel mondo dell’altro senza interrompere, correggere, completare le frasi, fare domande. In definitiva restituire il motivo narrativo e riconoscere le emozioni: “mantenere la parola”, è segno di vita. 

Non esistono età prive di capacità, né periodi della vita privi di semi da far germogliare, né momenti della vita in cui non sia possibile la crescita. 

Nella vecchiaia e nella malattia non si tratta di dare anni alla vita, bensì di dare vita agli anni. Il vero problema non sta nell’invecchiare ma nel riuscire a vivere con pienezza quello che si ha e quello che si è.

Libera trascrizione dell’intervento di P. Angel Aguirre sx al Giubileo dei Missionari al Santuario del Divino Amore, Venerdi 28 Ottobre 2016

Aguirre José Angel sx
31 Octobre 2016
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