Probabilmente ad un lettore contemporaneo la questione non appare così importante ma, evidentemente, per la Chiesa di Gerusalemme, di matrice giudeo-cristiana, doveva costituire un problema di non poco conto, soprattutto a causa delle rigide norme giudaiche relative alla purità rituale. A questa considerazione, indispensabile per comprendere correttamente il motivo dell’apologia di Pietro davanti ai fratelli della Città Santa, va aggiunto anche che il “riassunto” messo sulla bocca dell’apostolo consente al lettore di ritornare a riflettere sul senso degli eventi narrati. In altre parole, non ci troviamo dinanzi a una sterile e noiosa ripetizione; piuttosto siamo in presenza di un’occasione da non lasciar sfuggire per comprendere ancora più in profondità il disegno di Dio celato dietro agli eventi della storia.
ANZITUTTO LA PAROLA PROCLAMATA E ACCOLTA
Se confrontiamo il discorso di Pietro con quanto narrato precedentemente in At 10,1-33, ci accorgiamo di una significativa inversione nell’ordine degli eventi narrati: se prima veniva narrata la visione di Cornelio e poi quella di Pietro, in At 11,4-18 l’apostolo narra anzitutto la propria esperienza estatica, nella quale egli udì la voce divina (At 11,9: “Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano”), e solo dopo riferisce la vicenda di Cornelio. In questo modo Pietro antepone a qualsiasi considerazione di carattere umano la Parola Dio, che suona come verdetto decisivo per interpretare e giustificare la realtà dei fatti, e cioè che dei pagani (profani) sono stati ammessi a pieno titolo alla comunione salvifica (Dio li ha purificati). Ancora, va notato che l’indice decisivo che segnala il successo dell’evangelizzazione è l’accoglienza della Parola di Dio da parte di Pietro e, soprattutto, da parte dei pagani. Non dimentichiamo che la vera, grande protagonista del libro degli Atti è proprio lei, la Parola proclamata dai missionari e accolta da tutti coloro che con un cuore integro e buono la custodiscono e le consentono di portare frutto (cfr. Lc 8,15).
LA GRANDE TENTAZIONE DIABOLICA: ALZARE MURI
Leggendo con attenzione questa pagina, verrebbe da dire che la storia per certi versi sembra ripetersi inesorabilmente. Ieri – come oggi – la grande tentazione è quella di innalzare muri e barriere tra chi sta dalla parte di Dio e gli altri. Evidentemente il Signore non gradisce questo stile sottilmente diabolico (il diavolo non è forse il divisore per eccellenza?) e interviene per scombinare quegli schemi troppo umani che, se sembrano dare sicurezza a chi li formula, costituiscono in realtà un autentico tradimento degli insegnamenti evangelici. Certo, constatare che anche Pietro e i primi cristiani di Gerusalemme hanno dovuto faticare non poco per “convertirsi” ad uno stile autenticamente evangelico da un lato ci consola, dall’altro però deve inquietarci, poiché dietro un’apparente critica dettata dal buon senso e dalla fedeltà alle norme religiose (“Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato con loro!”), si nasconde una logica pericolosamente diabolica che si insinua nel cuore dei credenti. Anche Gesù, del resto, venne criticato da uomini assolutamente convinti della bontà del loro comportamento, ma in realtà lontani anni luce da quel Dio che pensavano di onorare con la vita (cfr. Lc 11,14-26).
LA MISSIONE TRA OBBEDIENZA A DIO…
Ci pare utile a questo punto soffermarci su alcune particolarità dell’argomentazione sviluppata da Pietro nel discorso di At 11,5-17. Anzitutto l’apostolo, ponendo una domanda retorica, sottolinea che Dio stesso ha agito in lui e nelle persone coinvolte in questa vicenda così singolare, a partire da Cornelio e dalla sua famiglia: “Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?” (At 11,17). Va notato che l’espressione: “chi sono io per porre impedimento a Dio?” ritorna altre volte nel libro degli Atti (8,36; 10,47). L’accenno all’impedimento serve proprio a mettere in rilievo l’iniziativa divina che interviene nella storia degli uomini per cambiarne il corso e “costringerli” a compiere salti di qualità altrimenti impensabili. Ora, sembra dire Pietro, se un uomo è davvero credente, non può non essere docile e non può non obbedire alla volontà di Dio.
Come abbiamo già rilevato, Pietro insiste col ribadire la centralità dell’ascolto obbediente della Parola per discernere la volontà di Dio: «Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo discese su di loro, come in principio era disceso su di noi. Mi ricordai allora di quella Parola del Signore che diceva: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo”» (At 11,15-16). Senza la luce della Parola non solo è impossibile discernere la volontà di Dio, ma diviene difficile anche cogliere l’azione dello Spirito. Ora, non va dimenticato che nel libro degli Atti, accanto alla Parola, l’altro grande protagonista che conduce la Chiesa nel cammino della storia è proprio lo Spirito di Dio. Spirito e Parola sono i grandi doni che Dio ha messo a disposizione della missione, affinché essa possa essere davvero efficace.
…E CONVERSIONE DELL’APOSTOLO E DELLA COMUNITÀ
Come abbiamo già notato, è l’ascolto della Parola a creare le premesse affinché il miracolo dell’effusione dello Spirito si rinnovi, come avvenne nel giorno di Pentecoste. Lo riconosce lo stesso Pietro, quando in At 11,15 afferma: «Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo discese su di loro, come in principio era disceso su di noi». Attraverso tale esperienza il capo del collegio apostolico comprende che il dono dello Spirito non è prerogativa esclusiva di pochi eletti, ma è destinato a tutti coloro che accoglieranno il Vangelo, indipendentemente dal fatto che provengano dal giudaismo o dal paganesimo. Per il cristianesimo non esistono – o non dovrebbero esistere – muri di separazioni o categorie elitarie. È questo che Pietro cerca di far comprendere ai cristiani di Gerusalemme, indispettiti a causa della presenza dei pagani all’intero di una comunità fino a quel momento esclusivamente giudeo-cristiana. Alla “conversione” dell’apostolo segue fortunatamente la “conversione” della comunità, evidentemente sollecitata e sostenuta proprio dalla testimonianza di Pietro: «All’udire questo si calmarono e cominciarono a glorificare Dio dicendo: “Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!”» (At 11,18).
COME DONO PREZIOSO DI DIO
A proposito di conversione, in At 11,18 leggiamo che Dio ha concesso ai pagani “che si convertano”, anche se nel racconto dell’incontro tra Pietro e Cornelio mai si è parlato di conversione. Luca utilizza qui tale concetto adottando una prospettiva teologica a lui particolarmente cara. Per l’evangelista la conversione consiste sostanzialmente nell’accoglienza docile e obbediente della Parola di Dio affinché essa orienti e illumini l’esistenza del singolo e della comunità. Ora, se fino a questo punto degli Atti la conversione è stata presentata come risultato dello sforzo da parte dell’uomo, nell’episodio di Cornelio emerge una novità per certi versi inedita: prima di essere frutto dell’impegno e della penitenza, la conversione è un dono prezioso di Dio che raggiunge l’uomo grazie al mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. I due momenti non si escludono a vicenda, ma semplicemente si compongono in una mirabile sintesi: da un lato il desiderio di bene dell’uomo e dall’altro il dono di grazia di Dio. Come giustamente osserva Daniel Marguerat: “La visita dell’angelo a Cornelio è un effetto della risurrezione; essa offre a chi lo chiede, indipendentemente dalla propria appartenenza religiosa, l’accesso alla vita”.
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