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P. Luigi Carrara. Passione per la missione

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Nella valle di Cornale

Mamma Elisabetta ha paura che suo neonato figlio Luigi voli anche lui per il paradiso, come già è avvenuto per tre suoi bambini in tenerissima età. Luigi, infatti, a diciotto mesi, è colpito da una broncopolmonite ed è il settimo dei dieci della famiglia Carrara Giuseppe. La mamma con alcune amiche veglia sul piccolino, prega e non si dà pace. Ha all’improvviso una intuizione, sale in fretta in camera a prendere il vestitino bianco del battesimo per rivestire la sua creatura come quel giorno e promette in cuor suo che lo donerà al Signore. Luigi guarisce e sarà sempre sano, alto e robusto.

Nato, il 3 marzo 1933, cresce nella sua bella famiglia, nel suo paese natale di Cornale di Pradalunga, tra le montagne, in provincia di Bergamo. Papà e mamma, sono semplici agricoltori, lavorano i campi, che sono in parte in pianura e anche qualcuno sui pendii della montagna. In casa hanno la bella abitudine con i figli di pregare mattino e sera. Luigi, è un ragazzo normale, con i fratelli e i compagni di scuola ama divertirsi con le slitte sulla neve, d’inverno, e a piedi nudi nei vedi prati, d’estate. Tutti lo chiamano Gino, come abbreviazione di Luigino.

A scuola riesce abbastanza bene, ma dopo le primarie resta a casa per qualche anno ad aiutare il padre nei campi. Ha quattordici anni, quando i genitori pensano di introdurlo in un lavoro presso amici o parenti. Ma un giorno il curato di allora, Don Ercole Ferri, si presenta alla casa dei Carrara con una notizia del tutto inaspettata: “Il vostro Gino vuol farsi missionario”. Il giovane non lo aveva mai detto a nessuno e non ha mai dato segni di tale volontà. La sua vocazione è nata come i tartufi nascosti sottoterra, di cui nessuno avverte l’inizio e la crescita. La mamma Elisabetta e soprattutto papà Giuseppe hanno un memento di smarrimento e pensano anche di modificare il suo proposito suggerendo il seminario diocesano. Ma la decisione di Luigi è ben maturata anche con il consiglio del suo parroco.

La mamma, il papà e i sette fratelli

+ La mamma Elisabetta ricorda: “Il mio Gino cresceva come tutti gli altri bambini, senza darmi grandi grattacapi. Non c’era nulla di strano in lui. Gli piaceva molto giocare con i suoi coetanei, ed era molto stimato da loro, che spesso lo sceglievano come loro capo nelle birichinate, proprie dei ragazzi. Qualche marachella l’ha fatta anche lui, ma non era rissoso, anzi sembrava fin troppo remissivo e mite.”

+ Nei giorni di vacanza in famiglia il papà Giuseppe ha la gioia di avere con sé Luigi, che lo accompagna nei campi a lavorare la terra, a tagliare il fieno, a raccoglierlo e a portalo a casa. È felicissimo di aiutare il papà, di alleviargli un po’ di fatica, ma anche di respirare dell’aria balsamica dei suoi monti. Così racconta il papà:” Quando poi c’era da salire sulla montagna era fuori dalla gioia. Allora la mamma, fin dalla sera preparava il pranzo al sacco, perché si restava lassù tutta la giornata. Eravamo tutte due veramente felici. A me sembrava di possederlo tutto per me (sarà stato egoismo?), a lui sembrava di vivere il suo ideale: essere vicino a Dio. Restava ammirato di tutte le meraviglie del creato e sapeva trovare un pensiero buono in ogni circostanza, anche negli imprevisti… Diceva: Così mi abituo alla missione”. Tornando a casa stanchi alla sera ci raccontavamo tante cose, tutte semplici, ma tanto belle. Devo proprio dire il vero, il mio Gino me lo sono goduto in quelle bellissime giornate vissute assieme all’aria dei nostri campi e dei nostri monti.”

+ “In casa nostra, - racconta il fratello maggiore, Mario, - si aveva la bella consuetudine raccoglierci la sera in cucina per la recita del Santo Rosario. E questo, non solo da ragazzi, ma anche da giovanotti… Al lavoro e al sacrificio poi, ci avevano abituato per tempissimo i nostri genitori… Ma io non sapevo nulla del desiderio di Gino, che serbava nel cuore e che manifestò timidamente più tardi al parroco, ai genitori e poi a noi”.

+ “Mamma mia, ma questo qui vuol far partire anche me!” - Esclama poi l’altro fratello di Luigi, di nome Leone, l’ultimo della squadra della famiglia Carrara. Ha avuto un colloquio con Gino che gli aveva fatto vedere la cartina del Congo con tanta passione. Leone poi conserva come una reliquia una bellissima lettera di P. Luigi in occasione del suo matrimonio. Un vero cantico di fede e di amore! Non è di tutti saper vivere e manifestare la fede in famiglia.

- Marco, un altro fratello, un giorno gli fa notare che abbandonare la famiglia proprio nel momento in cui potrebbe aiutarla, Luigi non dice una parola, ma scoppia in pianto. Marco si accorge dell’imprudenza, poi si scusa e rimane unito a lui in amicizia più di prima.

+ La sorella Pierina è di appoggio a Luigi nel momento difficile dell’annuncio del suo segreto ai genitori e racconta: “Con molta delicatezza cercai di avvicinarlo perché mi aprisse il suo cuore e lo fece con semplicità perché comprese subito che io ero dalla sua parte. Parlai al papà e mamma con molto tatto, perché i genitori sono sempre genitori. Egli me ne fu grato per tutta la vita”.

+ L’altra sorella, Lucia, conosce bene Gino: “Non era un giovane dalle molte parole. Per lui parlano i suoi occhi, così limpidi e semplici come quelli di un bambino. Egli ama tutti e molto e tutti profondamente, come lo dimostrano le sue lettere.”

+ Il fratello Palmiro, due anni più giovane di Luigi, ricorda: “La nostra vita era così semplice che non aveva nulla di straordinario. Gino seguì la sua vocazione che ce lo portò ben presto lontano da casa, ma non dal cuore… Il suo ritorno in famiglia era sempre una festa per noi e per lui. Gustava tanto il trovarsi tra di noi, specialmente quando ci riunivamo tutti nella casa paterna.”

Quattordici anni in cammino per la missione

+ Luigi nell’autunno 1947, a poco meno di quindici anni, lascia Cornale per la cittadina di Pedrengo, per la scuola dei saveriani, non lontana da Bergamo e anche dal paese natio. La mamma l’accompagna all’istituto, vive momenti dolosi per il distacco, lo spia e lo segue dietro il cancello fino al suo dileguarsi nel gruppo dei compagni.

All’inizio della ripresa degli studi, il giovane Luigi ha un momento di perplessità. Ma, incoraggiato dal rettore dell’istituto, dopo qualche anno di pausa, continua gli studi per ben quattordici anni, passando per le varie scuole dei missionari saveriani: Poggio San Marcello, Grumone, San Pietro in Vincoli, Desio e a Parma per la teologia.

+ Luigi da buon bergamasco è energico, costante, metodico, con una grande fede ricevuta dalla famiglia. Si mostra spigliato e aperto con il rettore e con chi l’aiuta nel cammino spirituale. In lui c’è l’orientamento alla vita contemplativa con il passare degli anni. Luigi ricorda molto bene P. Amato Dagnino, che è un conosciuto maestro dello spirito nella teologia dei saveriani, e da lui riceve un’impronta ‘mistica’: ama e contempla Gesù che gli fa crescere sempre più la passione per l’evangelizzazione. Di fatto la gioia del Vangelo riempie il suo cuore e la sua vita. Lo si vede spesso a pregare a lungo e ad adempiere con cura il suo compito di sacrestano. P. Dagnino stesso in calce a una lettera di Luigi, studente in teologia, ai genitori scrive: “Il vostro Luigi è proprio buono come il pane; credo che diventerà proprio santo: che gloria, che gioia, che benedizione per voi!”

+ P. Giovanni Castelli, padre generale dei saveriani in quel tempo, racconta: “Un giorno mi capita in camera e mi dice: Padre, chiesa nuova, candelabri nuovi, marmi e bronzi… tutto bello, ma abbiamo un leggio che fa pietà”. Lo presi subito in macchina con me e andammo difilato dal signor Orcesi in città. Entrai in negozio, gli dissi: ‘Ora scegli il leggio più bello che trovi’. Scelse quello che gli sembrava il più bello e prezioso. Era felice come una pasqua. Sembrava che gli avessi fatto un regalo personale.”

+ Se Luigi non è attratto da certe ricreazioni chiassose, egli partecipa tuttavia volentieri alle patite di calcio ed è anche un bravo arbitro. In questo ruolo mostra autorevolezza, tanto che i compagni se lo contendono. È deciso e attento: studia le norme del gioco, come studia il libro della liturgia… È ben voluto da tutti, anche perché si presta volentieri a piccoli servizi.

+ Dopo quattro anni di teologia a Parma, s’avvicina la data della sua ordinazione sacerdotale e Luigi si prepara con gli esercizi spirituali. Scrive una lettera ai famigliari: “Mi trovo a Bassano del Grappa per gli esercizi ignaziani… Io sto benissimo. Sono giorni molto belli, di tranquillità e di pace.”

È ordinato sacerdote il 15 ottobre 1961 da monsignor Dante Battaglierin, vescovo di Khulna nel Pakistan Orientale, oggi Bangladesh, nella cappella della Casa madre di Parma, con la partecipazione dei suoi famigliari. Il giorno seguente si reca in pellegrinaggio alla Madonna di Fontanellato, non lontano dalla città, e scrive ai suoi: “Con questa prima messa ho messo sotto la protezione della Madonna tutta la mia vita di sacerdote-missionario e con me tutti voi di famiglia.”

Nella domenica successiva celebra solennemente l’Eucaristia a Cornale di Pradalunga, in festa sono i genitori, i fratelli, i parenti e tutto il paese.

“Il Congo mi attende!”

+ Il 1° gennaio 1962, P. Luigi scrive ai famigliari: “Rallegratevi, gioite, esultate con me poiché una grande notizia ed un grande dono devo comunicarvi!!! La destinazione è finalmente arrivata! Il Congo mi attende! Il 1961 mi ha visto sacerdote, il 1962 mi vedrà in missione! Chiamato a dissodare la vigna del Signore, a lavorare direttamente sul campo più bello, più promettente, più bisognoso.”

È l’annuncio appassionato come quello di un arrivo vittorioso dopo una lunga maratona! P. Luigi, prete novello, non può aspettare molto per partire in missione; è stato consacrato per questo, interamente votato all’evangelizzazione.

+ Passeranno però altri otto mesi prima della partenza. P. Luigi deve terminare gli studi di teologia, andrà qualche giorno in famiglia, saluterà cordialmente la popolazione di Cornale. Ma intanto arrivano notizie non assicuranti dal Congo: dopo l’uccisione del primo ministro Patrice Lumumba (gennaio ’61), si susseguono disordini nel paese e a Kindu sono uccisi tredici aviatori italiani (11 novembre ‘61) e muore in un misterioso incidente aereo del segretario generale dell’Onu… Il papà Giuseppe e la figlia Pierina sentono il dovere di intervenire e viaggiano a Parma per parlare con il Superiore Generale per un cambio di destinazione del figlio. Ma il padre Castelli tanto fece e tanto disse (‘I superiori hanno la testa sulle spalle’) che i due ritornano a casa senza dire parola. P. Luigi, invece, non ha dubbi e scrive: “Sono molto e molto tranquillo e contento, siatelo anche voi.”

+ L’otto settembre 1961 P. Luigi parte da Parma per Roma e il 9 lascia Roma per il Congo. Un viaggio di tre giorni. Tutto è descritto diligentemente e minuziosamente nella sua lettera scritta all’arrivo. Vuole far viaggiare con sé i genitori e i fratelli, che, come lui, non hanno mai provato le emozioni di un volo in aereo. Incuriosito è lui per primo, lo sono i suoi a casa e anche noi che leggiamo il suo scritto dopo più di sessanta anni. P. Luigi prende nota del modello di ogni velivolo, della velocità, dell’altezza del volo, della temperatura, degli orari, di quello che vede dal finestrino, di quello che mangia e di quello che visita nelle città di transito: Roma, Atene, Khartoum, Nairobi, Bujumbura… E arriva a Uvira, sede diocesana del vescovo, in Congo, l’11 settembre ‘62.

+ I primi giorni in Congo P. Luigi viaggia per qualche settimana per prendere visione delle missioni affidate ai saveriani e poi per pochi mesi dimora a Kalambo, la casa di riferimento dei saveriani e scuola per catechisti, a metà strada tra Uvira e Bukavu. Il primo impegno di chi arriva per la prima volta è lo studio della lingua, anzi di due lingue: il francese, parlata dalla gente istruita, e la lingua swahili, parlata dalla popolazione. Nella lettera del 13 ottobre, P. Luigi non finisce più di raccontare la visita fatta a Bukavu, dei bambini, delle donne, delle case… Poi aggiunge: “Ho una vita regolare come quando ero a Parma, studiando francese, andando a scuola con i nostri ragazzi, futuri maestri, per fare l’orecchio a quel benedetto francese; spero che a forza di battere entrerà qualcosa nella zucca… Fra qualche giorno inizierò anche il kiswahili, lingua locale, che non è così facile come me lo avevano dato ad intendere.”

Prima esperienza a Fizi

+ Nel mese di dicembre del ‘62 è già a Baraka, a circa 90 km a sud di Uvira, grande villaggio lungo il lago Tanganika. Qui P. Luigi, soggiorna qualche giorno e descrive in una lettera la nuova località, che lo ospiterà negli ultimi mesi della sua vita: “Guardando dalla finestra, abbraccio con lo sguardo il paese Baraka, che si stende lungo il grande lago Tanganika. La posizione è incantevole quella della missione cattolica: a tre km dal lago e dal villaggio sopra una collina, isolata da tutto e da tutti. Uniche costruzioni vicine sono le scuole primarie e due classi di secondarie della missione, quindi scuole cattoliche, anche se tra i suoi alunni ci sono dei protestanti, dei musulmani e soprattutto dei pagani.”. Questa casa era la residenza dei missionari Padri Bianchi dal 1948 quando fondarono Baraka. La casa è vicina alle scuole, ma, secondo le usanze, sulla collina e lontana dalle abitazioni del villaggio. I saveriani s’impegnano per una nuova ubicazione, costruendo la chiesa, la casa di abitazione e le scuole nel villaggio e sulla riva del lago.

+ P. Luigi non si ferma a Baraka, ma è nominato nella missione confinante di Fizi, sulle montagne a 1300 m. Qui ha l’opportunità di accompagnare un confratello (P. Camorani) ancora più in là, a Nakiliza, a 250 km, dove festeggia il suo primo Natale in Africa. Il 13 gennaio 1963, così racconta nella sua lettera scritta sul posto: “Casa magnifica, Chiesa bellissima, credo che siano le più belle di tutta la Missione; costruita dai Padri Bianchi nel 1956, abbandonate nel 60 a causa dei torbidi. Giorni tranquilli e belli. Canto la S. Messa di mezzanotte. È Natale. La chiesa si riempie. Non c’è luce ed allora si fa uso di alcune candele… La Missione incomincia a prender vita: la sola presenza dei padri crea una nuova atmosfera…” (Nakiliza, 13 gennaio 1963)

+ Per due anni P. Luigi è a Fizi e fa la sua prima esperienza missionaria con P. Giovanni Didonè, con il quale, come egli scrive: “Ci facciamo buona compagnia, e siamo ambedue contenti. La missione ha un solo anno di vita, ed è ancora agli inizi: Abbiamo la nostra chiesetta in mattoni, terminata un mese fa, ed una casetta in legno di quattro stanze prefabbricate a Uvira e montata in tre giorni. Abbiamo anche il nostro motorino per la luce elettrica”. (Fizi, 12 febbraio 1063)

P. Luigi è veramente in missione. I cristiani sono pochi e si fa fatica comunicare. La popolazione in stragrande maggioranza è pagana e in parte musulmana e protestante. I missionari accolti un anno prima con ostilità, ora sono visti di buon occhio.

+ Per parlare bene una lingua ci vuole sempre un anno. P. Luigi, il 12 marzo del ‘63, è felice di scrivere: “Incomincio a capire qualche cosa e perciò anche ad ascoltare qualche confessione. Domenica scorsa e l’altra ho letto al vangelo una predica che avevo scopiazzato un po’ dai libri.”

Entra un po’alla volta nell’attività missionaria: annuncio della Parola, incontri, prossimità con visite a famiglie e villaggi, servizi alla popolazione.

+ L’adesione al vangelo è un cammino lungo: “Le persone sono naturalmente religiose, ma mescolano le pratiche cristiane con quelle pagane: in fondo che ne sanno loro. Il cristianesimo non ha forse impiegato secoli e secoli per radicarsi nella nostra società? Ed allora perché meravigliarsi…”

+ P. Luigi mostra una grande sensibilità per la condizione della donna: “Qui i lavori pesanti, come quelli dei campi, tagliare la legna dei boschi, portarla a casa… sono riservati quasi esclusivamente alle donne… Purtroppo non si concepisce la donna diversamente; occorrerà tempo e fatica per farla loro intendere diversamente, non alle donne, che sarebbe facile, ma agli uomini”.

+ Inoltre il giovane P. Luigi aiuta con simpatia i ragazzi: “Ieri l’ho passato tutto aggiustando due stravecchi palloni che non stavano più insieme, ma ci sono riuscito con due aghi da lana e un po’ di spago senza pece; del resto il pallone qui è un ottimo mezzo per avvicinare la gente… Questo è un mezzo di farci degli amici.” “Conosco ormai un mucchio di ragazzi, gioco, scherzo con loro, e quando passo nel villaggio, per andare all’ospedale o alle scuole o anche solo per trovare qualcuno, tutti salutano fuori dalle loro capanne, mi salutano con entusiasmo, corrono in mezzo alla strada, mi impediscono di continuare, si attaccano alla mia bicicletta, quando mi scorgono da lontano danno l’allarme; Padiri, Padiri!!... ecc. e non vi dico altro.” (Fizi, 6 gennaio 1964)

Un safari memorabile

Nella festa della Madonna di Lourdes (11.2.64), P. Luigi ha la gioia immensa di raccontare la sua prima avventura missionaria sui monti dei Banyarwanda (Tuzi emigrati da tempo dal Rwanda) e scrive: “Dopo p. Giovanni è stato il mio turno; il mio primo viaggio, solo, attraverso alcune lontane cristianità, durato dieci giorni.” Il padre è accompagnato da cinque giovanotti scesi dalle montagne per andargli incontro e aiutarlo nel portare le cose necessarie per le celebrazioni, per dormire, per il cibo, per l’aiuto alla gente. Il viaggio inizia il 25 gennaio e termina il 3 febbraio 1964. Il racconto di P. Gino è dettagliato come quello del viaggio in aereo dal Italia al Congo: orari di partenza e di marcia, tutti in fila indiana e con il peso sulla testa sullo stretto sentiero, le erbe che li coprono e invadono, la rugiada abbondante che inzuppa i vestiti, il padre in groppa a uno dei giovani nel passaggio del torrente, un tempo d’attesa per aspettare i più lenti e infine il coraggio per affrontare di petto l’ultima salita…. E nella sua lettera P. Luigi continua il suo racconto: “Pensavo di non farcela, essendo la prima volta dopo tanti mesi di vita sedentaria… Uno dei giovani è andato a prendermi una bottiglia di ottimo latte: latte di pura e grassa vacca. Così rinforzato, riprendo in testa a tutti.”

Dopo 11 o 12 ore di strada a piedi, la piccola comitiva arriva e sosta vicino al fuoco in una capanna accogliente. Il padre ricorda: “Tra le chiacchere, uno mi dice; ‘Jambo la ajabu’, una cosa che ci meraviglia altamente è che voi europei, abituati a viaggiare solo con le macchine, venite fin qui a piedi per la vostra religione. Seppi poi che era un protestante…”

Nel primo villaggio nell’altopiano c’è un gruppetto ad aspettarlo. Quando lo vedono, annunciano a gran voce il suo arrivo ed allora da ogni casa sbucano donne, bambini, anziani. Tutti, anche i mocciosi vogliono stringere la mano al padre e tutti sono sorridenti. Il Padre è arrivato! Non gli danno tempo per riposare, perché domani ci sarà tanta gente, verranno da tutte le parti, non ci sarà più tempo per loro che abitano vicini. Così P. Luigi inizia le confessioni, alle 18.30 resta libero per far bollire un po’ di latte. Alle 20 sente ancora bussare alla porta. Sono ancora loro, i vicini di capanna, vogliono chiacchierare con lui, fanno domande le più curiose e ridano insieme a crepapelle per piccole cose. Sono felici! Fumano la pipa e la fanno passare di bocca in bocca in segno di fratellanza. Solo alle 21.30 p. Luigi resta libero per pregare e coricarsi. Di fuori della sua capanna a cielo aperto dormono una mandria di vacche e i loro guardiani, due grossi cani, che si accovacciano contro la porta dell’ospite. Può dormire tranquillamente!

Il giorno dopo, P. Luigi inizia il primo giorno che sarà lungo con le confessioni, la celebrazione della messa verso mezzogiorno nella chiesetta di fango, con canti in kinyarwanda e con l’entusiasmo che lo commuove. Nel pomeriggio c’è da risolvere qualche questione e da incontrare i catecumeni uno per uno per l’ammissione al battesimo… All’arrivo della notte, si va a casa e p. Luigi, al lume della lampada a petrolio, si ritira e scalda un po’ di cibo, prega e scrive piccole note. Nei giorni successivi c’è tutto il programma di visita ad altri villaggi dell’altopiano e si cammina e cammina attraverso prati sempre verdi a perdita d’occhio, su e giù per alture, con il sole e, anche, con nebbia e pioggia. P. Luigi, alla fine, è soddisfatto e scrive: “Giovani e vecchi non hanno mai visto il padre nel loro villaggio. Mai nessun padre ha percorso quei sentieri, ha visitato quei villaggi. Alla mia partenza dai villaggi, passo quasi in trionfo, tutti mi seguono, mi accompagnano per un lungo tratto: uomini, donne con in braccio o sul dorso i più piccoli.”

+ Rientrando a Fizi P. Luigi ritrova il maestro spirituale P. Amato Dagnino, sua guida negli studi in teologia, arrivato per qualche tempo in Congo, il quale scrive di lui: “P. Luigi è bravo e buono.; parla già molto bene la lingua del luogo; fa catechismo ai catecumeni e predica: sarebbe già capace ormai di fare il parroco; studia molto, quindi lo imparerà meglio; anche adesso, mentre sto scrivendo, lui è là nella sua camera che studia.”

Da Fizi a Baraka

P. Luigi è stato varie volte a Baraka, che, venendo da Uvira, è la missione prima di Fizi. La distanza tra i due residenze è di circa 35 Km. I padri delle due missioni si aiutano a vicenda. Ed ecco che egli è chiamato a Baraka per aiutare il fratel Faccin rimasto solo. Facendo i calcoli, P. Luigi al suo arrivo passa qualche mese a Kalambo per lo studio della lingua, risiede per due anni a Fizi con P. Giovanni Didonè, e alle fine è a Baraka, che ora ha la nuova chiesa lungo il lago Tanganika. Il 22 ottobre 1964, annuncia il suo trasferimento: “Mi trovo a Baraka dal giorno 16 a sostituire i due padri attualmente in Italia. Non sono solo. Ho con me Fr. Faccin. Prima facevo la spola Fizi-Baraka, ma era difficile spostarsi. Ora mi sono stabilito qui.”

+ P. Luigi era entusiasta del posto, quando scriveva ai suoi famigliari due anni prima. Aveva colto la bellezza della natura in occasione del suo primo soggiorno e ha saputo pure raccontare con arte in una sua lettera: “Ad est della nostra casa si stende, nella direzione nord-sud, il lago Tanganika. Lago immenso, qui però molto stretto, perché diviso da una isoletta lunga km 4 o 5 e che arriva fino a noi. Essendo ad est è proprio dietro ad essa che si eleva il sole, presentandoci, ogni giorno, uno spettacolo sempre nuovo ed incantevole. Le nubi ora oscure, ora soffici, ora dense, ora rade sono inondate dalla gioiosa luce del sole, in una aurora rapida e fantastica. In due o tre minuti cambiano colore ed intensità, finché scompaiono avvolte dal sole in un amplesso soave. Il sole pare che attenda il nostro campanello per alzarsi, in modo che il nostro primo pensiero s’innalzi immediato al Signore in una lode…” (Baraka, 9 dicembre 1962)

+ Ma, se il cielo e la natura sono riflesso della bellezza di Dio, la terra del Congo, calpestata e distrutta, è ora vittima della rivalità egoistica degli uomini in divisi in una guerra fratricida.

L’indipendenza del Congo, celebrata il 30 giugno del 1960, doveva essere l’inizio di una nazione di grandi speranze e di benessere per tutti gli abitanti. P. Luigi, prima di partire, conosceva le prime notizie di un paese instabile e poi in missione nelle sue lettere ai famigliari accenna alla situazione difficile: “Il cibo non ci manca, è la pace che ci manca. Tanti sono sul Calvario”.

L’anno 1964 è terribile per il paese e per la Chiesa. C’è una gioventù che si ribella al governo e che attacca in generale gli europei e i congolesi ricchi, per impossessarsi dei loro beni e del potere. E c’è una seconda categoria di ribelli motivati dalla ideologia marxista, cioè di coloro che hanno studiato in Unione sovietica e in Cina, che perseguitano e uccidono missionari europei e preti, religiosi, religiose congolesi. La lista dei martiri in tutto il paese è lunga (si parla di 263 missionari, uomini e donne).

+ La regione del Kivu non è risparmiata. L’anno 1964 inizia con la rivolta di Mulele, leader rivoluzionario dei Simba (che vuol dire Leoni), cioè dei ribelli marxisti. Rapidamente la rivoluzione si diffonde nell’est del paese: nella pianura di Ruzizi (15 aprile), a Uvira (15 maggio), nella zona dell’Ubembe, lungo il lago Tanganika (25 maggio). Le vittime sono incalcolabili e tra quelle il provinciale dei fratelli maristi (26.6.1964) e a Uvira nella casa del vescovo ed economato sono tenuti prigionieri come ostaggi per mesi il vescovo, una dozzina di saveriani, una decina di religiose, sorelle saveriane e altre congregazioni, e qualche laico. Vivono alcuni mesi difficili e pericolosi con minacce e umiliazioni di ogni genere, ma sono liberati il 7 ottobre ‘64, grazie ad un assalto improvviso di un commando speciale.

+ P. Luigi si aspetta l’arrivo dei rivoluzionari. Così scrive, il 22 novembre 1964, nella sua ultima lettera: “I fratelli separati (i protestanti) se ne sono andati da tempo: noi ci siamo; il che ci accresce la stima in modo che domani potremo fare un po’ di bene. Vi ho scritto un’altra volta, ma senz’altro non vi è giunta. È pericoloso. Ricordatemi tanto al Signore assieme agli altri tre che si trovano nelle stesse condizioni. Vi ricordo spesso. Vi abbraccio tutti nel Signore, specie mamma e papà. Siamo nelle mani di Dio. Pregate e fate pregare tanto. Spero che vi arrivi questo bigliettino e presto quelli più grandi. Vi abbraccio, Luigi.”

Il bigliettino, consegnato a un cristiano del posto, giunse alla famiglia il 30 novembre, due giorni dopo la sua uccisione.

“Morire vicino al Fratello”

+ I rivoltosi sono arrivati a Baraka nel mese di giugno ‘64, non maltrattano i missionari, ma chiedono l’uso della macchina, della bici e della barca, con la promessa di restituire. Di notte fanno la guardia, sdraiati per terra cantano canzoni che non sono di guerra. Per i missionari è impossibile comunicare.

Nel mese di ottobre e novembre la situazione diventa pesante e molto tesa, i ribelli ricevono notizie: a Bukavu, i loro compagni d’armi sono vinti dalle forze governative, e a Uvira, il 7 ottobre vengono liberati i missionari e arrivano i bombardamenti degli aerei.

P. Luigi nella missione può fare ben poco: casa e chiesa. Sa pregare nella chiesa per ore e ore. Fratel Faccin continua la costruzione, l’altare della nuova chiesa è del tutto provvisorio.

+Alle 14.00 del 28 novembre 1964, una camionetta stipata di ribelli arriva a Baraka, con un forte stridore di freni si arresta davanti alla casetta dei padri, di fianco alla chiesa. Fratel Vittorio esce da casa e va incontro a loro, convinto di poterli allontanare senza fatica, come altre volte, ma il colonnello Abedi Masanga, di vecchia conoscenza, comincia a tirar fuori la storia della radio trasmittente e della politica dei padri contraria alla rivoluzione. Ad un certo punto comanda al fratello di salire con lui sulla jeep. Il fratello obbedisce e davanti la chiesa dice le sue ultime parole: “Non posso lasciar solo il padre a Baraka”. Apre la portiera per uscire.

Il colonnello, che ha già la pistola spianata in sua direzione, accecato dall’odio, spara uno, due, tre colpi, che raggiungono al petto fratel Vittorio. Egli cade tra la jeep e il piazzale della chiesa, rantolando. 

Padre Luigi, intento a confessare nella chiesa, ha sentito e visto tutto. Esce e, indossando ancora la stola violacea, si avvia sicuro verso l’Abedi. Vedendolo arrivare così sereno, l’ira del colonnello si riaccende di nuovo. “Ti porto a Fizi per ucciderti con gli altri padri.”

P. Luigi gli risponde calmo: “Se mi vuoi uccidere, preferisco morire qui vicino a mio fratello” … Si inginocchia per pregare. Abedi lo colpisce così con la sua arma, a pochi passi dal corpo ormai esanime del fratello. Il colonnello poi continua il suo commino omicida verso Fizi per completare la sua follia con l’uccisione del P. Giovanni Didonè e Abbé Albert Joubert.

+ “Non posso lasciar solo il padre” e “Se mi vuoi uccidere, preferisco morire qui vicino a mio fratello”, l’uno accanto l’altro, fratelli e per amore dei fratelli senza limiti. P. Luigi ha 31 anni e Fratel Vittorio ne ha 30. Giovani, forti, generosi, consacrati. La loro morte è una totale immersione nella solidarietà con tutte le vittime della malvagità, delle discriminazioni, delle violenze e guerre. Con la morte non hanno fallito la loro missione, non hanno concluso semplicemente la loro vita con atto generoso, ma hanno espresso la forza dell’amore a Gesù e la forza dell’amore di solidarietà con la condizione dei poveri. Un dono totale di sé che sommerge il male, perché solo il bene vince il male sull’esempio del maestro: “Fate del bene a quelli che vi odiano” (Lc 6,27) e “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. L’Abedi uccide P. Luigi mentre è in ginocchio, la posizione che gli è tanto cara in tutta la sua vita.

+ I corpi dei due martiri rimangono insepolti per tutto il giorno e la notte fino a che mani pietose non li seppelliscono in fretta e di nascosto.

+ La mamma Elisabetta, qualche tempo dopo, riceve un dono prezioso, che conserva gelosamente: il Breviario di P. Luigi. Il segnalibro è fissato ai vespri del 28 novembre, il giorno della sua morte.

Giuseppe Dovigo sx

Giuseppe Dovigo sx
12 Mars 2024
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