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Vita Fraterna interculturale

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Una grande storia da costruire - 3

(In cammino verso il XVII CG)

«Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi » (Vita Consecrata 110)

Ratio Missionis Xaveriana 6, ci ricorda che alla base della nostra vocazione missionaria c’è la convinzione che «siamo stati chiamati e radunati in comunità per donarci totalmente per l’evangelizzazione dei non cristiani. È questo l’elemento che specifica la nostra identità (chi siamo), plasma le caratteristiche del nostro essere (come siamo) e guida il nostro agire (cosa facciamo)». I saveriani oggi sono una comunità interculturale, radunata e inviata ad annunziare con la testimonianza della vita il valore della fraternità cristiana che è il primo frutto della forza trasformatrice del Vangelo (Cf. VC 51; C 37). È ciò che vorrei considerare in questa riflessione (cf. https://dg.saveriani.org/it/comunicazioni/editoriale/item/una-grande-storia-da-costruire).

Vita Fraterna interculturale –

Recentemente, il P. Gabriele Ferrari, ricordando gli inizi dell’internazionalizzazione dell’Istituto, affermava che con l’interculturalità è cominciato il cammino della pienezza dell’Istituto (sic), che diventa così non più “nazionale” ma cattolico, universale! La Famiglia saveriana composta di confratelli di varia nazionalità era già un desiderio del Fondatore, anche se lui non l’aveva potuto realizzare personalmente (XVI CG 79). Come grazia che germoglia dal “sogno” stesso del Conforti, l’interculturalità sta “tessendo” il nuovo volto della nostra Famiglia. Profeticamente ci invita a passare dalla forma di vita in comune alla grazia della fraternità, con la quale ci presentiamo come inviati di Gesù Cristo. Averne cura dal punto di vista della fedeltà carismatica converte la vita fraterna interculturale in un’efficacissima e autentica azione missionaria, realizzata da testimoni e artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio e che Conforti ha racchiuso efficacemente nel principio: Fare del mondo una sola Famiglia in Cristo.

Il XVI CG ci ricorda che l’interculturalità per noi non è un dettaglio secondario, ma un “… valore da imparare e acquisire come virtù missionaria indispensabile” (97).” In altre parole, la fraternità saveriana interculturale non è per noi un “accidente”, ma un’opzione di fede, una scelta cristiana e carismatica (Cfr. RFX 92-96). Citando A. Gittins: “Intercultural living is an intentional and explicitly faith-based undertaking” (in Living mission interculturally, Liturgical Press 2015, 4). Camminando nella sequela del Cristo confortiano, ci viene indicata la direzione verso la quale crescere nell’accoglienza reciproca come portatori di diverse culture. La vita fraterna interculturale è la condizione che esprime il modo dei saveriani di credere e di esercitare la missione (C 35; 37). L’appartenenza a qualsiasi gruppo cede il passo alla lealtà di ogni singolo verso la Famiglia e il progetto comune. Allora, più che educare altri, è ormai tempo di esigere che i saveriani si educhino a questa interculturalità evangelica e saveriana, passando con più decisione dalla “convenzione” alla convinzione e dalla “rivendicazione” alla comunione.

Come averne cura? Ripetiamo: questo è un tema da trattare soprattutto dal punto di vista della fedeltà carismatica che è quella che abbatte tutti i muri, previene accentuazioni ideologiche, sgonfia complessi di superiorità/inferiorità, evita mentalità sindacaliste e non si lascia guidare né da patetici paternalismi né da logiche politiche “tipo” Nazioni Unite. Spesso ci paralizza la paura che normalmente cresce e si alimenta grazie all’immaginazione, ai nostri filtri, che portiamo dappertutto e attraverso i quali raccogliamo, nella massa indefinita dei fatti, quelli che sono più idonei a confermare i nostri pregiudizi. È necessario coltivare la necessità di avere la stessa mentalità di Gesù, i suoi stessi sentimenti quando va all’incontro dell’altro. Senza rispetto e cura dell’altro non c’è comunicazione, generazione, educazione. Non c’è progetto condiviso e non ci può essere alcuna missione comune.

Nell’ultima loro riunione (Ottobre 2016), i Rettori delle teologie appropriatamente affermavano: «…il “problema” interculturale va in qualche modo relativizzato. Il nucleo centrale della nostra consacrazione missionaria è Gesù Cristo e l’annuncio del suo Vangelo. L’autoreferenzialità, l’intolleranza, lo spirito d’indipendenza, l’uso di categorie culturali come scudo per proteggere il proprio individualismo, la fiacchezza dell’amore verso l’altro trovano nella debolezza identitaria le cause più profonde. Ne consegue che in fondo non è l’interculturalità il vero problema della nostra Congregazione ma piuttosto quello della riscoperta e identificazione con il nostro carisma…. La fedeltà all’ispirazione confortiana è la chiave per la miglior pedagogia interculturale. È ciò che fa della nostra convivenza interculturale una vera e propria scuola di vita missionaria… ». 


 A great history still to be accomplished - 3

(Preparing for the XVII General Chapter)

«You have not only a glorious history to remember and to recount, but also a great history still to be accomplished! Look to the future, where the Spirit is sending you in order to do even greater things» (Vita Consecrata 110)

Ratio Missionis Xaveriana 6 reminds us that our missionary vocation is based upon the conviction that «we have been called and gathered in community to give ourselves totally for the evangelization of non-Christians. This is the element that establishes our identity (who we are), shapes the characteristics of our being (how we are) and guides our action (what we do)». The Xaverians today are an intercultural community, gathered and sent to proclaim, through the witness of their life, the value of Christian fraternity, which is the first fruit of the transforming power of the Gospel (cf. VC 51; C 37). This is the topic of this reflection (cf. https://dg.saveriani.org/it/comunicazioni/editoriale/item/una-grande-storia-da-costruire).

Intercultural fraternal life –

Recently, Fr. Gabriele Ferrari, referring to the beginnings of the Institute’s internationalization, stated that interculturality set in motion the journey towards the fullness of the Institute (sic), which thus becomes no longer “national”, but catholic, universal! The Xaverian Family, made up of confreres of different nationalities, was already a desire of the Founder’s, even though he was personally unable to fulfill it (XVI GC 79). As a grace that emerges from Conforti’s “dream”, interculturality is “composing” the new face of our Congregation. Prophetically, it invites us to move from a common form of life to the grace of fraternity, with which we present ourselves as people sent by Jesus Christ. To cultivate this from the perspective of charismatic fidelity transforms the fraternal life into a very effective and authentic missionary action, fulfilled by witnesses and authors of the project of communion that is at the pinnacle of human history as desired by God, which Conforti summed up very well in the principle: Make the world a single family.

The XVI General Chapter reminds us that interculturality is not a secondary detail for us, but a “… value to be learned and acquired as an indispensable missionary virtue” (97).” In other words, the intercultural Xaverian fraternity is not “accidental”, but a faith-inspired option, a Christian and charismatic choice (cf. RFX 92-96). To quote A. Gittins: “Intercultural living is an intentional and explicitly faith-based undertaking” (in Living mission interculturally, Liturgical Press 2015, 4). Living the Confortian sequela Christi shows us the direction we must take in order to grow in mutual acceptance as bearers of different cultures. The intercultural fraternal life is the condition that expresses the way in which the Xaverians believe and carry out the mission (C 35; 37). Belonging to any group gives way to each individual’s loyalty towards the Family and the common project. Therefore, more than forming others, the time has now come to demand that the Xaverians form themselves to this evangelical and Xaverian interculturality, resolutely moving away from “convention” to conviction and from “revendication” to communion.

How can we cultivate this? I repeat: this is a topic that should be dealt with above all from the perspective of the charismatic fidelity that breaks down all walls, prevents ideological emphases, deflates superiority and inferiority complexes, avoids syndicalist mentalities and does not fall under the sway of pathetic paternalisms or political mentalities à la United Nations. Often we are paralyzed by fear, which usually increases and is nourished thanks to the imagination, to the filters that we carry with us wherever we go and through which we gather, in the undefined mass of facts, those which are more suitable for confirming our prejudices. We must cultivate the need to have the same mentality and sentiments as Jesus in his encounters with others. There is no communication, generation, or education unless we respect and care for others. There is no shared project and there can be no common mission.

In their last meeting (October 2016), the Theology Rectors appropriately said «…the intercultural “problem” must in some way be relativized. The central nucleus of our missionary consecration is Jesus Christ and the proclamation of his Gospel. The most profound causes of self-reference, intolerance, the spirit of independence, the use of cultural categories as a shield to protect one’s individualism and the weak love for the others lie in the weakness of our identity as Xaverians. It follows from this that, ultimately, interculturality is not the real problem of our Congregation, but, rather, the rediscovery of our charism and our identification with it... Fidelity to the Confortian inspiration is the key to the best intercultural pedagogy. It is what makes our cultural co-existence a true and proper school of missionary life … ». 


 Una gran historia a construir - 3 

(En camino hacia el XVII CG) 

«¡Ustedes no solamente tienen una historia gloriosa que recordar y contar, sino una gran historia que construir! Pongan los ojos en el futuro,  hacia el que el Espíritu les impulsa,  para seguir haciendo con ustedes grandes cosas»  (Vita Consecrata 110). 

Ratio Missionis Xaveriana 6, nos recuerda que como base de nuestra vocación misionera está la convicción de que «hemos sido llamados y reunidos en comunidad para donarnos totalmente a la evangelización de los no cristianos. Este es el elemento que especifica nuestra identidad (quiénes somos), plasma las características de nuestro ser (cómo somos), y guía nuestro actuar (qué hacemos)». Los Xaverianos hoy, son una comunidad intercultural, reunida y enviada a anunciar con el testimonio de la vida el valor de la fraternidad cristiana que es el primer fruto de la fuerza trasformadora del Evangelio (cfr. VC 51; C 37). Esto es lo que quisiera considerar en esta reflexión. 

(cfr. https://dg.saveriani.org/it/comunicazioni/editoriale/item/una-grande-historia-de-construir). 

Vida Fraterna intercultural 

Recientemente, el P. Gabriele Ferrari, recordando los inicios de la internacionalización del Instituto, afirmaba que con la interculturalidad ha comenzado el camino de la plenitud del Instituto (sic), que de esta manera se vuelve ya no más “nacional”, sino católico, universal. La Familia xaveriana compuesta por cohermanos de varias nacionalidades había sido ya un deseo del Fundador, aunque no lo pudo realizar personalmente (XVI CG 79). Como gracia que brota del “sueño” mismo de Mons. Conforti, la interculturalidad está “tejiendo” el nuevo rostro de nuestra Familia. Proféticamente nos invita a pasar de la forma de vida en común a la gracia de la fraternidad, con la que nos presentamos como enviados de Jesucristo. Tener cuidado de esto, desde el punto de vista de la fidelidad carismática, convierte la vida fraterna intercultural en una eficaz y auténtica acción misionera, realizada por testigos y artífices de aquel proyecto de comunión que está en la cumbre de la historia del hombre según Dios y que Mons. Conforti compendió eficazmente en el principio de Hacer del mundo una sola Familia en Cristo. 

El XVI CG nos recuerda que la interculturalidad para nosotros no es un detalle secundario sino un “… valor a aprender y adquirir como virtud misionera indispensable” (97). En otras palabras, la fraternidad xaveriana intercultural no es para nosotros un “accidente” sino una opción de fe, una opción cristiana y carismática (cfr. RFX 92-96). Citando a A. Gittins: “Intercultural living is an intentional and explicitly faith-based undertaking” (en Living mission interculturally, Liturgical Press 2015, 4). Caminando en la sequela del Cristo confortiano, se nos indica la dirección hacia la cual crecer en la aceptación recíproca como 

portadores de muchas culturas. La vida fraterna intercultural es la condición que expresa el modo de creer y de ejercer la misión de los Xaverianos (C 35; 37). La pertenencia a cualquier grupo cede el paso a la lealtad de todo individuo hacia la Familia y al proyecto común. Por consiguiente, más que educar a otros, ha llegado el tiempo de exigir que los Xaverianos se eduquen a esta interculturalidad evangélica y xaveriana, pasando con más determinación de la “convención” a la convicción y de la “reivindicación” a la comunión. 

¿Cómo atender a todo esto? Repetimos: este es un tema a tratar sobre todo desde el punto de vista de la fidelidad carismática que es aquella que derriba todos los muros, previene acentuaciones ideológicas, desinfla complejos de superioridad o de inferioridad, evita mentalidades sindicalistas y no se deja guiar por patéticos paternalismos ni por lógicas políticas “tipo” Naciones Unidas. A menudo nos paraliza el miedo que normalmente crece y se nutre gracias a la imaginación, a nuestros filtros, que llevamos por todas partes y por aquellos que recogemos en la masa indefinida de los hechos, aquellos que son más idóneos para confirmar nuestros prejuicios. Es necesario cultivar la necesidad de tener la misma mentalidad de Jesús, sus mismos sentimientos cuando va al encuentro del otro. Sin respeto y atención al otro, no hay comunicación, capacidad generativa, educación. No hay proyecto compartido y no puede haber alguna misión común. 

En su última reunión (octubre 2016), los Rectores de las Teologías pertinentemente afirmaban: «… el “problema” intercultural ha de ser de algún modo relativizado. El núcleo central de nuestra consagración misionera es Jesucristo y el anuncio de su Evangelio. La auto-referencialidad, la intolerancia, el espíritu de independencia, el uso de categorías culturales como escudo para proteger el propio individualismo, la flaqueza del amor hacia el otro, encuentran en la debilidad de la identidad las causas más profundas. Consecuencia de ello, es que en el fondo no es la interculturalidad el verdadero problema de nuestra Congregación, sino sobre todo el redescubrimiento e identificación con nuestro carisma… La fidelidad a la inspiración confortiana es la clave para la mejor pedagogía intercultural: es lo que hace de nuestra convivencia intercultural una verdadera y real escuela de vida misionera…». 


Une grande histoire à construire - 3

(En marche vers le XVII CG)

Vous n’avez pas seulement à vous rappeler et à raconter une histoire glorieuse, mais vous avez à construire une grande histoire! Regardez vers l’avenir, où l’Esprit vous envoie pour faire encore avec vous de grandes choses. (Vita consecrata 110)

La Ratio Missionis Xaveriana, au n. 6, nous rappelle qu’à la base de notre vocation missionnaire il y a la conviction que « nous sommes appelés et réunis en communauté pour nous donner totalement à l’évangélisation des non-chrétiens. C’est cet élément qui spécifie notre identité (qui sommes-nous), façonne les caractéristiques de notre être (que sommes-nous) et guide notre agir (que faisons-nous) » (RMX 6). Les Xavériens aujourd’hui sont une communauté interculturelle, réunie et envoyée annoncer, par le témoignage de vie, la valeur de la fraternité chrétienne qui est le premier fruit de la force transformatrice de l’Évangile (cf. VC 51 ; C 37). C’est ce que je voudrais considérer dans cette réflexion (cf. https://dg.saveriani.org/it/comunicazioni/editoriale/item/una-grande-storia-da-costruire).

Vie fraternelle interculturelle

Récemment, le père Gabriele Ferrari, en rappelant les commencements de l’internationalité de l’Institut, affirmait « qu’avec l’interculturalité est commencé le parcours de la plénitude de l’Institut, qui, ainsi, devient non plus national mais catholique, universel ». La Famille xavérienne composée de confrères de différentes nationalités était déjà un désir du Fondateur, même s’il n’avait pas pu la réaliser personnellement (cf. XVI CG 79). Telle qu’une grâce qui bourgeonne du rêve de Conforti, l’interculturalité est en train de tisser le nouveau visage de notre Famille. Prophétiquement il nous invite à passer de la forme de vie en commun à la grâce de la fraternité, avec laquelle nous nous présentons comme des envoyés de Jésus Christ. En prendre soin du point de vue de la fidélité charismatique, convertit la vie fraternelle interculturelle dans une action missionnaire très efficace et authentique, réalisée par des témoins et des constructeurs de ce projet commun qui est au sommet de l’histoire de l'homme selon Dieu et que Conforti a synthétisé efficacement dans la maxime : « Faire du monde entier une seule Famille dans le Christ ».

Le XVI CG nous rappelle que l’interculturalité pour nous n’est pas un détail secondaire, mais une « valeur à apprendre et à conquérir comme une vertu missionnaire indispensable » (n. 97). En d’autres mots, la fraternité xavérienne interculturelle n’est pas pour nous un « accident », mais une option de foi, un choix chrétien et charismatique (cf. RFX 92-96). En citant A. Gittins : « Intercultural living is an intentional and explicitly faith-based undertaking » (dans Livinv mission interculturally, Liturgical Press 2015, p. 4). En marchant à la suite du Christ selon l’esprit de Conforti, nous est indiqué la direction vers laquelle grandir dans l’accueil réciproque comme porteurs de cultures diverses. La vie fraternelle interculturelle est la condition qui exprime la manière des Xavériens de croire et d’exercer la mission (cf. C 35 ; 37). L’appartenance à n’importe quel groupe est subordonnée à la dignité que chaque confrère a à l’égard de la Famille et du projet commun. Alors, plus qu’éduquer les autres, il est temps aujourd’hui d’exiger que les Xavériens s’éduquent à cette interculturalité évangélique et xavérienne, en passant avec plus de décision de la « convention » à la conviction et de la « revendication » à la communion.

Comment peut-on en prendre soin ? Nous le répétons : ce thème est à traiter surtout du point de vue de la fidélité charismatique qui est celle qui fait tomber tous les murs, prévient les accentuations idéologiques, dégonfle les complexes de supériorité/infériorité, évite la mentalité syndicaliste et ne se laisse pas guider ni par des paternalistes pathétiques ni par des logiques politiques style Nations Unies. Souvent, nous sommes paralysés par la peur qui normalement grandit et s’alimente grâce à l’imagination, aux filtres, que nous portons partout et à travers lesquels nous retenons, dans la masse indéfinie de faits, ceux qui sont plus aptes à confirmer nos préjugés. Il est nécessaire de cultiver la nécessité d’avoir la même mentalité de Jésus, ses mêmes sentiments quand il va à la rencontre de l’autre, Sans respect ni soin de l’autre, il n’y a pas de communication, ni de génération, ni d’éducation. Il n’y a pas de projet partagé ni de mission commune.

Dans leur dernière réunion (octobre 2016), les Recteurs des théologats xavériens déclaraient justement : « 

Le « problème interculturel est, par ailleurs et d’une certaine manière, relativisé. Le nœud de notre consécration missionnaire est Jésus-Christ et l’annonce de son Évangile. L’autoréférentialité, l’intolérance, l’esprit d’indépendance, l’emploi des catégories culturelles pour justifier son individualisme, l’insuffisance d’amour pour l’autre trouvent leurs causes profondes dans la faiblesse identitaire. Il s’en suit qu’au fond ce n’est pas l’interculturalité le vrai problème de notre congrégation mais plutôt la découverte et l’identification avec notre charisme. (…). La fidélité à l’inspiration confortienne est la clé pour une meilleure pédagogie interculturelle. C’est ce qui fait de notre vécu interculturel une vraie et authentique école de vie missionnaire (cf. iSaveriani, n. 99, p. 25). 

Eugenio Pulcini sx
09 Giugno 2017
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