Il Noviziato
Un po’ di storia
Terminato il capitolo speciale del 1983 venni incaricato di fare da ponte fra la Direzione generale e Propaganda Fide per l’approvazione delle costituzioni che il capitolo aveva elaborato e approvato. I consultori erano cinque (spero che la memoria non mi inganni), quattro fecero solo commenti positivi. Nel testo costituzionale saveriano sottolineavano soprattutto la centralità del Regno e le due descrizioni di Chiesa ai nn. 7 e 35: germe, sacramento, comunione e fraternità.
Le obiezioni vennero dal giurista: una ventina rimandate al mittente citando il CJC, altre erano di poco conto e si potevano accettare senza incidere su temi carismaticamente significativi. Un esempio. Il Capitolo non aveva indicato quanti anni di professione perpetua dovesse avere il superiore locale. Abbiamo aggiunto: “Gli statuti regionali determinano quanti anni di professione perpetua devono avere”. Come si vede, abbiamo continuato a non mettere un numero, rimandando alle regioni. Varie volte i legislatori hanno usato questa via di uscita per stare nel diritto senza rinunciare alle scelte dell’assemblea capitolare. Il caso più significativo, a mio avviso è questo: i saveriani non volevano dichiararsi congregazione clericale, ma era necessario perché il generale potesse ammettere agli ordini. Noi non ci siamo dichiarati clericali, ma prendiamo atto che la Chiesa ci annovera fra i clericali (C 73). Mi pare importantissimo per chi spiega le costituzioni e vuole focalizzare la de-clericalizzazione della nostra famiglia mettendo al centro la professione perpetua e non l’ordinazione sacerdotale.
Due obiezioni significative
(1) Il quarto/primo voto che (questionava il giurista) è stato proibito già dal 1900 e mai più apparso nei documenti e nel diritto della Chiesa. Naturalmente su questo tema non accettavo la minima discussione. Dicevo: «O lei dà il suo visto o noi indiciamo di nuovo il capitolo». Visitai anche il suo superiore generale. I numeri 17, 18, 19 sono rimasti esattamente come approvati dal capitolo.
(2) Il numero 63 e cioè “del noviziato”. Il pensiero dei capitolari era marcatamente missionario. Per accentuare «l’indole missionaria dell’Istituto» ed esercitare il novizio «a fare dell’impegno apostolico il luogo della sua abituale unione con Dio» il capitolo scriveva che, con il permesso del regionale, ci fossero tempi di apostolato proprio durante i dodici mesi previsti dal diritto. Il giurista adducendo che non poteva transigere al CJC recentemente approvato (25 / 01 / 1983) ha voluto che gli spazi e tempi di apostolato avvenissero “oltre tale tempo” e non dentro i dodici mesi come aveva legiferato il capitolo. Abbiamo finito per cedere. Non sarebbe utile tornare al pensiero della famiglia saveriana espresso dal Capitolo speciale?
Riflettiamo a partire dal Diritto Canonico
«Can. 646 - Il noviziato, con il quale si inizia la vita nell'istituto, è ordinato a far sì che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina, e specificamente di quella propria dell'istituto, sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al tempo stesso siano verificate le loro intenzioni e la loro idoneità».
Sottolineo:
- Si inizia la vita nell'istituto,
- Vocazione propria dell'istituto,
- Sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito.
Però nel codice del 1983 i tre numeri che vengono dopo mettono l’accento sulla casa e sul dimorare fra le mura della casa così che fuori delle mura non vi è più noviziato canonicamente valido. Questo il paradosso: quando il novizio fa “la vita dell’istituto”, quando esercita la “vocazione propria” e metterebbe il maestro in condizione di esperimentare se è adatto “al nostro stile di vita” allora non è più novizio, quei giorni non sono contati come noviziato. Ritengo sia urgente “uscire dalla cittadella fortificata” per esercitarsi a “scoprire Gesù presente nel cuore stesso dell’impresa missionaria”, come ben ricordato nella sesta scheda. Abbandonare la formazione, il dare forma, per andare verso una liberazione dell’uomo apostolico (espressione confortiana) che lo Spirito ha messo nella esistenza di un giovane.
Meditiamo a partire dal Vangelo
Mi viene in aiuto papa Francesco con la catechesi del 15 febbraio 2023.
«Il Vangelo dice che Gesù «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con Lui e per mandarli a predicare» (Mc 3,14), due cose: perché stessero con Lui e mandarli a predicare. C’è un aspetto che sembra contraddittorio: li chiama perché stiano con Lui e perché vadano a predicare. Verrebbe da dire: o l’una o l’altra cosa, o stare o andare. Invece no: per Gesù non c’è andare senza stare e non c’è stare senza andare. Non è facile capire questo, ma è così».
Siamo a uno dei caratteri evangelici più incompresi del carisma saveriano: «Non è facile capire»: lo dice anche Francesco. Nell’udienza del mercoledì, ha meditato uno dei valori portanti della ispirazione confortiana, quella che lo ha fatto attendere più di quindici anni per l’approvazione delle costituzioni: «La vita apostolica congiunta alla professione dei voti religiosi» (LT 2). Missione e consacrazione: “carisma unico e inscindibile” (C 18). Un valore evangelico non facile: Stare e andare (Mc 3,14) … Consacrato e inviato (Gv 10,36).
Conforti dice al maestro: «Procuri di far concepire ai suoi alunni un concetto grande della vita apostolica, facendo comprendere che la professione dei consigli evangelici congiunta al voto di consacrarsi alla dilatazione del regno di Cristo tra gli infedeli, è quanto di più degno e di più sublime si possa desiderare, costituendo la somiglianza più perfetta con l’opera de Redentore» (C21 184 / RF 65).
Non sfugga: qui riappare la parola “voto” riferita all’apostolato che nel 1918 ha dovuto togliere dal capitolo dei voti. La eliminazione del dualismo non facile da capire!
Una esperienza
Come può il novizio conoscersi e come può il maestro verificare se “andando” come “inviato” il giovane ha saputo mantenere la “unione abituale con Dio”? Come può sentire se “in strada” ha saputo “tenere sempre dinnanzi agli occhi Gesù Cristo”, se “in uscita” ha saputo vedere, cercare e amare Dio in tutto? É sempre e solo rimasto in casa!
Mi si permetta l’esperienza. Io conoscevo maggiormente il novizio nel viaggio di tre giorni e quattro notti in vecchie corriere da Belem a Hortolândia (2.704 Km) che non in tutto il resto dell’anno. Come reagisce mancando i bagni e il bagno? Chi sceglie fra i passeggeri per dialogare? In questi viaggi non mancano donne con bambini e senza soldi per prendersi un caffè; mangiano solo il riso che si sono portate da casa in una gavetta. Vanno a visitare il marito che lavora al sud. Come reagisce il novizio quando tutto si ferma per il cambio di una gomma o quando occorre scendere per attraversare a piedi un ponte pericolante: prima la corriera piano, piano, poi tutti i passeggeri a gruppetti?
Verso il futuro
Necessariamente i novizi dovevano essere numerosi, quando per l’anno di noviziato si esigeva un «apposito reparto, segregato dal resto della comunità, dove nessuno possa entrare senza licenza del superiore locale o del maestro dei novizi» e quando «I novizi poi non devono trovarsi coi professi e con gli altri all’infuori che nella chiesa, nel refettorio e nel disbrigo delle facente di casa» e le faccende di casa si facevo in silenzio! (Can 564 del CJC 1918). Ora andiamo… verso l’uscita dalla cittadella fortificata!
Ho trovato significativo che il Fondatore nelle costituzioni del 1921, quando introduce le regole sul noviziato metta tra parentesi: «prescritto dai sacri canoni». E se non fosse prescritto come avrebbe organizzato il tempo per «far concepire ai suoi alunni un concetto grande della vita apostolica»? Come avrebbe organizzato un “noviziato” per far comprendere la grandezza della «professione dei consigli evangelici congiunta al voto di consacrarsi alla dilatazione del regno di Cristo tra gli infedeli»? Non azzardo supposizioni, ma non posso fare a meno di notare che nei 7 numeri che parlano del noviziato il fondatore è costretto a fare nientemeno che 8 citazioni del Diritto Canonico.
Per essere creativi e affrontare il futuro con speranza dobbiamo anche rileggere con attenzione i testi fondanti e tutta la produzione letteraria spirituale e pastorale di San Guido Maria Conforti e ripescare ciò che era stato disatteso o incompreso.
Il noviziato deve essere realizzato in una comunità apostolica, con le attività missionarie normali di una comunità che vive il carisma della missione “ad gentes”. Non è sufficiente una uscita alla fine della settimana, si è paracadutisti. Occorre che il maestro e il novizio o i pochi novizi possano fare esperienza diretta, insieme, imparando a programmare, ad andare per strada, a visitare ed essere segno di fraternità camminando insieme.
Quando si sta in casa, perché occorrono tempi anche in casa, si eserciti l’accoglienza con una «comunità (che) rimane aperta, in stile missionario all’ambiente umano in cui vive, alla Chiesa locale in cui opera e alle altre comunità saveriane» (C 36).
Riascoltiamo Francesco
«Anzitutto non c’è andare senza stare: prima di inviare i discepoli in missione, Cristo – dice il Vangelo – li “chiama a sé” (cfr Mt 10,1). L’annuncio nasce dall’incontro con il Signore; ogni attività cristiana, soprattutto la missione, comincia da lì… Ugualmente, però, non c’è stare senza andare. Infatti, seguire Cristo non è un fatto intimistico: senza annuncio, senza servizio, senza missione la relazione con Gesù non cresce. Notiamo che nel Vangelo il Signore invia i discepoli prima di aver completato la loro preparazione: poco dopo averli chiamati, già li invia! Questo significa che l’esperienza della missione fa parte della formazione cristiana. Ricordiamo allora questi due momenti costitutivi per ogni discepolo: stare con Gesù e andare, inviati da Gesù».
L’esperienza della missione fa parte della formazione cristiana perché è “in uscita”, camminando “per strada” che cresci nella capacità di essere missionario e non solo fare il missionario.
Nella missione la parola e l’azione acquistano qualche senso evangelizzatore se il missionario è una presenza/epifania di Cristo, se vive nell’attualità l’incontro con Cristo «che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Allora, dice ancora Benedetto XVI, la comunità cristiana non crescerà per proselitismo, ma per attrazione.
Concludo
Amo la famiglia saveriana, amo il suo Fondatore (lo credo sinceramente) anche perché trovo in Lui le stesse verità evangeliche che incontro in questi due papi, Benedetto e Francesco. Anche San Guido utilizza spesso l’immagine della luce per dire: testimonianza e attrazione. Ripesca nel vocabolario italiano un verbo poco usato: “riverbero” o anche “riflesso”. Una sola citazione: «Un’anima di apostolo è quanto mai di bello e di grande si possa immaginare. Ma, la luce deve inondarla e l’amore infiammarla perché possa poi riflettere questa luce e questo calore agli altri. E Cristo è la sorgente di questa luce e il focolare di questo calore: chi non attinge di continuo da Lui, presto si troverà fra le tenebre addensate dalla falsa sapienza del secolo, che è stoltezza innanzi a Dio, presto esperimenterà il gelo del cuore, cui non può appagare l’amore delle cose terrene. (1919, luglio, Parma, Parola del Padre, Vita Nostra II, 7. Vedi anche Antologia, voce riverbero).
Alfiero P. Ceresoli, sx
Hortolândia, SP (Brasil)
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