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Bertogalli P. Francesco

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P. Francesco Bertogalli
Neviano degli Arduini (PR), 17 Ottobre 1902
Parma, 25 Gennaio 1952

    "P. Berto" - così lo si chiamava in Casa Madre - nacque il 17.X.1902 a Neviano de-gli Arduini (PR) da Pietro ed Onesta Monica.
    A 21 anni entrava nell'Istituto Saveriano a Parma, accoltovi dal Fondatore. Emessa la Professione dei Voti Religiosi e completati gli studi teologici, fu ordinato Sacerdote il 7.IV.1928 nella Cattedrale di Parma per le mani di Mons. Conforti, assieme ai Confratelli PP. Ferrari, Poli, Frattin, Illuminati, Frassinetti Mario, Galvan, Frassinetti Enrico e Cocconcelli.

    Nell'aprile 1928 fu destinato come Insegnante alla Scuola Apostolica di Poggio S. Marcello, rimanendovi fino al settembre 1930, quando lo stesso Fondatore lo nominò Direttore Spirituale in Casa Madre.

    Morì a Parma il 25.I.1952.

    Nella "Lettera Rosa" del 29.I.1952, il Superiore Generale, P. Giovanni Gazza così informava i Confratelli sulla morte del P. Francesco:

    "... il 25 c.m. il nostro caro P. Bertogalli ha chiuso la sua giornata terrena riempita di sofferenze, di sacrifici, di penitenze e di preghiere e si è addormentato santamente nel Signore. Egli ci lascia un ricordo pratico e vissuto: per essere missionari, cioè salvatori di anime, non è necessario raggiungere sempre le mete delle nostre vedute umane ed attuare i piani della nostra volontà; ma è necessario prima di ogni altra cosa, la santificazione della propria vita, il sacrificio di sé stessi e l'abbandono pieno e totale alla volontà di Dio..."

    Sulla pubblicazione Missionari Saveriani, nel n. 3 del 1952, apparve un articolo a firma di Pasquale De Martino con il titolo "Padre Bertogalli è morto"; in esso tra l'altro è detto:

    “… Da vent'anni eravamo abituati a vederlo in questa Casa, quasi sempre solo, andare col corpo piegato in avanti e la testa a destra ... con il Breviario e la Corona nelle mani unite al petto; soprattutto lo vedevamo in chiesa: molte volte bisognava mandarlo via perché vi si fermava ore ed ore. Bisognava stare attenti alla sera ed anche di notte... di non dimenticarlo in Chiesa: perché il suo fisico aveva bisogno di riposo e lui non ci badava. Era cascante di debolezza per la mortificazione, per la volontà di sacrificarsi… lui diceva che stava sempre bene. 

    Abbiamo perduto il nostro adoratore. Era ammalato, ma luì non lo diceva mai e non si è lamentato. Se c'erano rimostranze da parte sua era perché l'ubbidienza gli imponeva sacrifici troppo gravi, al suo modo di vedere. Nutrirsi meglio? Era sempre troppo... Riposare? Non era mai stanco ... Avere dei riguardi per lui? Non ne valeva la pena... Era sempre pronto a darsi, ad aiutare, al ministero sacerdotale, a predicare, a confessare… A confessare specialmente: era il confessore dei missionari e degli esterni, alcuni dei quali venivano da lontano proprio per lui. Non lo vediamo più tra noi eppure. Lo sentiamo vicino.

    La malattia che lo condusse alla morte ci diede la prova evidente che la sua vita era stata tutta spesa per la vittoria dello spirito sul corpo, vissuta qui tra noi, per i nostri ideali..."

DG
25 Gennaio 1952
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