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Covid 19: Quale possibile cambiamento “per me”, da questo tempo?

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L’evento della pandemia sta abbattendo molte scontate certezze del nostro tempo; certezze che escono stordite dalle dolorose esperienze di tantissime persone e dalle conseguenze socio-economiche che questa crisi sta portando con sé. Dal vissuto di queste settimane, ci impegniamo a far sorgere una “nuova” sapienza o – più semplicemente - a recuperarla, mettendo al centro la persona umana nella sua integralità e nel significato cristiano.

Pubblichiamo questo intervento del nostro confratello P. Gabriele Ferrari.
È la risposta a una signora che gli ha scritto in questi giorni, chiedendo come e cosa dovevano essere i cambiamenti che tutti dicono saranno necessari come risposta alla crisi attuale.


Carissima Barbara,

grazie per la mail che mi hai mandato. Essa mi ha fatto molto riflettere. Concludendo tu mi scrivi: “Allora, padre Gabriele, cosa devo cercare in questo virus, che possa farmi crescere? cosa può portare di nuovo questo virus nella mia vita? Qual è per me l'opportunità di questo tempo?”. Molto volentieri condivido quello che in questi giorni sto rimuginando alla luce della liturgia pasquale.

Ascoltando le tue riflessioni ho concluso che il possibile, auspicabile, cambiamento si dovrebbe cercare su tre livelli venuti alla mia coscienza in questi giorni.  

  1. Anzitutto l’esperienza del limite, il limite iscritto nella nostra esistenza umana, che non possiamo eludere e che ci ricorda che non siamo noi i padroni di noi stessi. Ce l’ha brutalmente ricordato il virus, un essere vivente invisibile a occhio nudo, che ci ha messi tutti a piedi, ricordandoci che siamo solo delle creature, che non siamo autosufficienti, ma che veniamo da Lui che - grazie alla parola del Figlio - crediamo essere un Padre buono e misericordioso. Il limite esistenziale che è dentro di noi è plasticamente visualizzato nel dover restare dentro i pochi metri quadrati del nostro appartamento (e beati quelli che hanno anche un piccolo giardino o una terrazza!). Questo limite fisico mi fa toccare con mano la realtà: non posso più fare quello che mi garba, andare e venire come voglio e neppure quello che dovrei fare! È una grande fatica già accettare questo limite! Ma, se ci pensi, una fatica ancora maggiore sta nell’accettare i nostri limiti personali, caratteriali, emozionali, le nostre antipatie, la sopportazione dei difetti altrui che emergono nello stare insieme 24 su 24 ore. Giustamente tu mi ricordi anche le difficoltà della vita in certe famiglie e la violenza che si scatena nella vita famigliare. Non dimentico quel limite che tu senti nel non sapere come e dove dovresti cambiare. Il limite è ineludibile, perché è la misura della nostra povertà e fragilità. Siamo poveri, non solo quando non abbiamo niente né quando quello che abbiamo non ci basta, ma quando ci rendiamo conto di non avere in mano la nostra esistenza e di dover accettare che essa sia nelle mani di altri che non ci conoscono, non sanno i nostri problemi, non tengono conto della nostra realtà! C’è poi il limite radicale della nostra esistenza, la morte che possiamo chiamare con altri eufemismi ma che è … la morte, quella che in questi giorni abbiamo visto nelle file di bare in attesa di essere trasportate al crematorio. Questo limite in questi giorni sta davanti a me come non mai. Quando prego il rosario e dico alla Madonna “prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte” … ora mi fa capire che quell’ora potrebbe essere vicina. E quando nel telegiornale fanno la conta dei decessi del giorno - e sono sempre centinaia - mi domando: come mai non è ancora toccato a me? Io ho l’età della maggioranza di quelli che muoiono, eppure sono ancora qui. Non sarà già questo un pensiero che mi deve parlare, spingere alla riconoscenza e alla responsabilità di vivere bene i giorni che mi sono ancora dati? Io sono vecchio, ma tu sei giovane, eppure … 
  2. Il secondo livello mi interroga pure: credo davvero che Dio che ha in mano la storia e interviene quando è l’ora giusta che lui solo sa, è veramente un Dio che mi ama, che non mi punisce (perché siamo noi che ci tiriamo addosso le disgrazie, non è Dio che ci castiga) e che vuole solo il mio bene? Ma più radicalmente mi devo chiedere: per chi vivo? per che cosa vivo? Come intendo impostare la mia vita alla luce della fede (in rapporto a Dio che mi ama) in questo tempo e soprattutto nel tempo nuovo che verrà quando saremo fuori dall’emergenza? Domande impegnative. E collegata con questa nuova consapevolezza della fede, la domanda implicita che il Papa ha espresso con l’immagine della barca nella tempesta: “Siamo tutti nella stessa barca” la sera del 27 marzo scorso. Niente di più vero. È troppo facile sentire le statistiche dei malati e degli intubati e dei morti e non farci più caso e dimenticare che dietro ai numeri ci sono persone vere come me, che soffrono e lottano, che sono sole per giorni e giorni, che muoiono senza che nessuno posa assisterle, ci sono famiglie in lutto, famiglie che piangono. E insieme che dietro a queste cifre ci sono medici, infermieri e infermiere, volontari, poliziotti e vigili del fuoco che rischiano effettivamente la vita e che si donano generosamente come insegna il Vangelo - a volte anche senza essere “gente di chiesa” come me - il Papa li ha chiamati eroi e sacerdoti di questo tempo. E io? Tutto questo mi fa sentire piccino nella mia povera fede e nella scarsa mia carità, sento che la mia vita dovrà essere impostata diversamente, in un dinamismo aperto e ospitale, non più impostata sulla legge e sul dovere, ma sull’amore, sull’attenzione agli altri e per gli altri. Sento che non posso e non potrò più dimenticare chi soffre, né passargli accanto girando lo sguardo … Quando si chiuderà questa lunga stagione ci troveremo in una situazione disperata e disperante. Come possiamo prepararci per viverla da cristiani ?
  3. In parallelo con questi due livelli si apre un altro ambito in cui noi dobbiamo cambiare registro. È il campo del mio rapporto con i beni di questo mondo, il dovere di limitarmi nelle mie cosiddette necessità, il dovere della sobrietà nel pensiero di chi da questa pandemia esce magari sano o indenne ma senza più beni da spendere. Lo sappiamo tutti che alla fine la situazione economica e finanziaria sarà pesantissima, soprattutto per i più poveri. Possiamo continuare a vivere allegramente? Possiamo ancora permetterci qualsiasi spesa solo perché abbiamo i soldi? Possiamo ancora scialare i beni della nostra casa comune riducendo il tesoro che abbiamo avuto e che dobbiamo passare ai nostri successori? Domande che vengono dalla realtà, impoverita dalle urgenze e dalle enormi spese causate dal virus (i prestiti dell’Europa, della Banca centrale dovremmo restituirli con gli interessi …), ma anche da uno stile di vita allegro e spensierato che non tiene conto degli altri e dei limiti inerenti alla stessa nostra condizione di esseri che vivono in questo mondo. Laudato sì, l’enciclica profetica di Francesco sarà da prendere davvero sul serio. Non è solo uno scritto autorevole del magistero per quelli che ci credono, ma potrebbe essere lo specchio su cui verificare la verità e la giustizia della nostra vita. Domandati allora quali sono le spese inutili cui devo rinunciare e cui devo educare magari i figli nati e cresciuti nel benessere di questi anni e quindi incapaci di imporsi i limiti necessari per vivere?

Proprio in questi giorni ho letto un’intervista fatta a Edgar Morin, noto filosofo e sociologo francese a proposito di questa pandemia che secondo lui è una crisi esistenziale, poliforme (biologica, economica, culturale). “Per l’uomo è tempo di ritrovare se stesso”, è il titolo dato all’intervista, nella quale Morin afferma che la crisi attuale potrebbe essere salutare e produrre un salto di qualità nella vita degli uomini e delle donne di oggi, un “umanesimo rigenerato che attinga alle sorgenti dell’etica, la solidarietà e la responsabilità presenti in ogni società umana, essenzialmente un umanesimo planetario” (Avvenire 15 aprile 2020).

Forse il cambiamento che tutti sentono necessario sarà ritrovare l’umanità, come caratteristica dell’essere umano, ritrovare noi stessi, liberi dalle incrostazioni lasciate dalla cultura attuale centrata sul produrre e il consumare, sull’apparire e in non-essere, la cultura dell’avere e del potere.

Cara Barbara, queste mi paiono essere le domande e le possibili strade su cui incamminarci e lavorare in queste settimane che ancora restano da vivere “a domicilio coatto”, ma anche dopo. Scusami la confusione: è un segno dell’amicizia che mi lega a te. Continueremo a riflettere, se lo vorrai, quando saremo fuori della pandemia o magari al telefono …

P. Gabriele

Tavernerio, 16 aprile 2020.

Gabriele Ferrari sx
17 Aprile 2020
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