Pubblichiamo l'intervento conclusivo di mons. José Rodríguez Carballo OFM, all'ultima Assemblea (94) della Unione Superiori Generali.
Con motivo della vostra 94 Assemblea Generale, la prima online, vi saluto tutti, augurandovi ogni bene da parte di chi è il TUTTO, il bene, tutto il bene il sommo bene.
Sono contento di sapere che il tema trattato oggi dalla vostra Assemblea, dopo aver riflettuto ieri sulla Leadership in tempi del post- covid 19, sia “una nuova immaginazione del possibile con il realismo che solo il Vangelo può offrirci”, tenendo presente il pensiero del Santo Padre e tutto al servizio della fraternità.
Di questo tema vorrei sottolineare tre parole: Immaginazione, realismo, Vangelo.
1.- Immaginazione
Questa parola mi porta a pensare a un’altra: sogni, ai quali il Papa dedica speciale attenzione nella recente Enciclica Fratelli tutti. A Papa Francesco piace molto citare il testo di Gioele: “I vecchi sogneranno e i giovani profetizzeranno” (Gioele 3, 1). In questo modo il Santo Padre mette insieme sogni e profezia. Il profetizzare dà la mano al sognare, ma sempre insieme. Sui sogni afferma il Papa: Sognare, ma insieme: “Come è importante sognare insieme […] Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è. I sogni si costruiscono insieme” (Ft 8). Quello che il Papa Francesco dice sui sogni, vale anche per la profezia. Profetizzare, ma insieme. E vale anche per l’immaginazione: immaginare, ma insieme.
Questa parola “insieme” è una parola carica di un presente con passione e di un futuro con speranza. Immaginiamo insieme una vita consacrata con otri nuovi che contengano il vino nuovo dei nostri carismi; sogniamo insieme una vita consacrata aperta, segnata da una vera fraternità dove nessuno venga escluso o si auto escluda. Immaginiamo, sogniamo insieme, cominciando con i membri delle nostre comunità e dei nostri istituti, con gli altri consacrati, con la Chiesa e con il mondo intero. Questa è la comunione che il Papa ci ha proposto all’inizio dell’anno della vita consacrata (cfr. Francesco, Lettera a tutti i consacrati, II, 3).
In quanto Chiesa e in quanto vita consacrata siamo chiamati a scoprire il valore dell’“insieme” che ha sapore a sinodalità: scopriamo il valore di stare insieme (cfr. Ft 229); troviamo spazi per dialogare e agire insieme (cfr. Ft 282); camminiamo insieme (cfr. Ft 129), verso una crescita genuina e integrale delle persone (cfr. Ft 113); cerchiamo insieme la verità nel dialogo, nella conversazione pacata o nella discussione appassionata (cfr. Ft 50), per attuare insieme un progetto condiviso (cfr. Ft 152). Impariamo a vivere insieme “in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali” (cfr. Ft 100), sapendo che il futuro [la vita consacrata del futuro] non è monocromatico, ma nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare” (cfr. Ft 100), anche di chi ha sbagliato nella vita, perché anche loro “hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto” (cfr. Ft 217). Un insieme che non si confonda con un “tutti uguali o un falso universalismo che finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità” (Ft 100).
2.- Realismo
Non un realismo “cinico”, come direbbe il Papa, che ci porta a affermare: stiamo male, ma non si può fare nulla. Questo che alcuni chiamano realismo non lo è affatto perché è un realismo asfissiante. Il realismo di cui parla il Papa è ben cosciente delle nubi che oscurano il cielo del nostro mondo, della Chiesa e della vita consacrata, ma non impedisce di sognare, pensare e gestire un mondo nuovo, una Chiesa diversa, una vita consacrata sempre giovane.
Il realismo di cui ha bisogno il mondo, la Chiesa e la vita consacrata va, mano nella mano, con la speranza. Senza speranza non c’è futuro, anzi, non c’è presente. Attenzione ai profeti di sventura che fanno professione di realismo.
La speranza della quale parla l’Enciclica FT non è, poi, ottimismo, meno ancora illusione. Ottimismo e illusione sarebbero frutto di una lettura ingenua della realtà. Il Papa è profondamente realista, ma di un realismo che si apre alla speranza chiamata a diventare esperienza concreta nella relazione con l’altro. Una speranza che parla di realtà, sete, aspirazione, anelito di pienezza, di vita realizzata, di un “misurarsi con ciò che è grande, con ciò che riempie il cuore ed eleva lo spirito verso cose grandi, come la verità, la bontà e la bellezza”; una speranza che “è audace, [che] sa guardare oltre la comodità personale, le piccole sicurezze e compensazioni che restringono l’orizzonte, per aprirsi ai grandi ideali che rendono la vita più bella, gioiosa e dignitosa” (Ft 55).
Una tale speranza ha il suo fondamento nella certezza che Dio continua a “seminare nell’umanità il bene” (Ft. 54), e nella coscienza che la speranza è “una realtà radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete a dai condizionamenti storici in cui vive” (Ft. 54). Una speranza, quindi, che crede in Dio ma anche ha fiducia nelle capacità dell’uomo e della donna di buona volontà.
In questo contesto è necessario costatare che il filo che unisce il testo dell’Enciclica è la volontà e convinzione di Papa Francesco che anche oggi sia possibile costruire una comunità di uomini e donne, di fratelli e sorelle. Anche oggi è possibile immaginare e realizzare un “noi” (cfr. Ft 17) che sia frutto di processi di inclusione, di accoglienza e di riconoscimento, anziché di procedure di esclusione proprie della logica del mercato e del liberalismo pubblicista (cfr Ft 102).
Per fare realtà la speranza di un mondo diverso e nuovo, Fratelli tutti ci fornisce idee che oltre ad accendere scintile di speranza fanno crescere germogli di cambiamento. Queste scintille di speranza nascono dalla fecondità dell’amore: “Siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile” (Ft 68). Ed è in questo contesto di speranza che il Papa propone un decalogo per costruire una fraternità nell’amicizia umana: la cultura dell’incontro, della prossimità, del dialogo, della carità, della trascendenza, della speranza, della politica, della amicizia, del rispetto delle culture, e del ruolo delle religioni.
Ma il Papa non si illude e segnala anche la possibilità di continuare avanzando in una direzione di contrapposizioni radicali e mortifere, ben riconoscibili nei tanti populismi presenti oggi nel quotidiano della storia, a ogni latitudine: “Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare, politicizzare” (Ft 15). Mi temo che tutto questo a volte si faccia presente anche nella vita consacrata.
La fraternità, secondo l’Enciclica è la nostra identità presente più profonda e la nostra vocazione futura e che la bellezza che salverà il mondo è l’amore che condivide il dolore. Vivere questa identità e vocazione è la grande profezia che possono e devono annunciare al mondo tutti i credenti e tutti gli uomini e donne di buona volontà. Questa è la grande opportunità che ha davanti a sé l’uomo e la donna del nostro tempo: “Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti” (Ft 77).
Fratelli tutti ci ricorda inoltre che non si può separare la libertà e l’uguaglianza della fraternità. La fraternità è il principio di regolamentazione fra libertà e uguaglianza, “due sorelle che litigano”, per usare una espressione di Bergson. Lasciare da parte la fraternità potrebbe condurci a un individualismo feroce che porterebbe a considerare l’altro un estraneo da combattere affinché vinca l’io. E con grande realismo il Papa ci ricorda che “l’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità […]. L’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna” (Ft 105). Per superare lo scisma tra singolo e comunità (cfr. Ft 31) è necessario unire fraternità, libertà e uguaglianza (cfr. Ft 103-105).
3.- Vangelo
Il realismo/speranza che vogliamo in questi momenti solo ci può venire dal Vangelo. Ora bene, se il Vangelo “domanda di essere vissuto con radicalità e sincerità”, se il Vangelo “non basta leggerlo […] non basta meditarlo”, ma “Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole”, allora il Vangelo non è ideologia, ma “vademecum per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare” (Francesco, Lettera a tutti i consacrati, I, 2); regola in assoluto per chi non può separare i due comandamenti: Amare Dio e amare il prossimo, servire Dio e servire il prossimo (cf. Mt 22, 37-38); (cfr. Francesco, Gaudete et exultate, 100-103).
Proprio per questo, la “fraternità” che è il centro dell’Enciclica Fratelli tutti, non ci viene offerta come teoria sulla fraternità, ma come una serie di attrezzi per costruire la fraternità.
In questo contesto dobbiamo affermare che la fraternità non è un’idea, ma un insieme di gesti concreti come: avere misericordia verso chi è nel bisogno, chinarsi verso di lui, prendersi cura di lui…, così come fecce il buon samaritano (cf. Lc 10, 25-37). Quasi si potrebbe dire che la fraternità è il Vangelo in azione, il Vangelo vissuto dove l’altro, al di là della provenienza e della religione che professa, è accolto e abbracciato come fratello.
Un altro aspetto importante che sottolinea papa Francesco è che, a partire dal Vangelo, al centro della fraternità ci sono i poveri, in quanto non soltanto sono la “carne di Cristo”, ma in qualche modo loro sono “la pietra d’angolo” per la costruzione di una società più umana e più fraterna. Ecco perché nell’Enciclica, sempre a partire del Vangelo, la parola solidarietà viene declinata in tutti i suoi casi. Una parola profondamente “cristiana”, anche se tanti la vorrebbero togliere dal dizionario (cfr. Francesco, Incontro nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, 15 giugno 2014); una parola connessa allo smantellamento delle “malattie del razzismo, dell’ingiustizia e dell’indifferenza che deturpano il volto della nostra famiglia comune” (Ai membri della Catholic Press Association, 30 de giugno 2020). Il Vangelo ci insegna che “ogni essere umano ci appartiene” (Francesco, Omelia, Ginevra, 21 giugno 2018). E qui, non si tratta di una esortazione facoltativa che ci lancia il Papa, “ma di una condizione dell’autenticità della fede che professiamo” (Francesco, Messaggio per la IV Giornata Mondiale dei Poveri, 13 giugno 2020, 8).
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In questo cammino è fondamentale il servizio dell’autorità: un servizio in favore della crescita dell’altro; un servizio che metta al centro la persona dell’altro; un servizio che guardi sempre al bene comune, anteponendolo sempre al bene personale; un servizio che ci fa “prossimo” e non semplicemente soci, quelli che sono associati per determinati interessi, non sempre evangelici (cfr. Ft 102); un servizio proprio di chi si sente servo/a e non padrone; un servizio a esempio di Gesù: “Esempio vi ho dato, perché facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13, 15).
Mons. José Rodríguez Carballo OFM
Arcivescovo Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica
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