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Saveriani, da Parma al mondo Missionari da oltre un secolo

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«Siamo in un’epoca nuova, dobbiamo ringraziare Dio per il carisma del nostro fondatore, riposizionarci nelle nostre presenze missionarie, ripensare la nostra chiamata per essere attrattivi come persone e come comunità nella Chiesa».

È padre Gabriele Cimarelli, 67 anni, rettore della casa madre dei Saveriani, a Parma, a spiegare il significato dell’anno giubilare indetto dai missionari fondati da san Guido Maria Conforti (1865-1931), che ha preso il via giovedì scorso dalla città emiliana, con una Messa presieduta dal padre generale, Fernando García, nel santuario dedicato al fondatore. Altri due appuntamenti del giubileo già fissati saranno sempre a Parma – «culla della nostra congregazione » spiega padre Cimarelli – il 5 novembre, festa di san Conforti, con professioni perpetue e, per la conclusione, fra un anno esatto.

Il 2 luglio 1921, infatti, il vescovo santo inviava una lettera, la quinta, «ai carissimi missionari presenti e futuri» per comunicare l’approvazione definitiva, avvenuta il 6 gennaio di quell’anno, delle «nostre prime Costituzioni» da parte della Santa Sede. Cento anni dopo i Saveriani ricordano i due documenti – le Costituzioni e la cosiddetta Lettera Testamento – con un altro scritto dal titolo: «La vocazione, alla quale siamo stati chiamati, non potrebbe essere più nobile e grande». Testo ispirato da una frase di monsignor Conforti e preparato dai padri della direzione generale per «sostenere e dare nuovo impulso al nostro servizio missionario ad gentes e ad extra ».

Nel corso dell’anno – in cui si ricorda anche il 125° anniversario dalla fondazione dell’Istituto di San Francesco Saverio per le Missioni Estere, il nome per esteso dei Saveriani – «questi scritti ci aiuteranno a riscoprire la nostra chiamata », dice padre Cimarelli, «insieme all’Evangelii gaudium di papa Francesco e agli insegnamenti del Vaticano II e dei pontefici del ’900».

In un tempo in cui le vocazioni italiane ed europee sono pressoché nulle e dove linfa nuova arriva da Africa, Asia e America Latina «avere qui a Parma lo studentato teologico, ci dà speranza, ci fa capire che la nostra missione non è finita. Qui la maggior parte di noi è anziana e ammalata: molti sono i confratelli morti durante la pandemia. Li ricorderemo con una celebrazione unitaria, con i loro familiari, a settembre».

Serve quindi un cambio di prospettiva: «Una volta rientrati dall’estero non possiamo più considerarci a riposo, dobbiamo essere pronti per una nuova missione, inseriti nelle Chiese locali e nel territorio stesso». A Parma è così fin dagli anni in cui il fondatore era anche vescovo della città e lo dimostra ancora oggi la vicinanza di quello attuale, monsignor Enrico Solmi, che «nel periodo più grave dell’emergenza, quando anch’io ero malato, chiamava ogni giorno il nostro padre regionale per avere nostre notizie. Il vescovo ci chiede anche di impegnarci per e nella diocesi: lo facciamo volentieri, non solo a Parma, mettendo a frutto le esperienze fatte in terra di missione». Per sostenere la formazione di una società interculturale, per favorire il dialogo interreligioso, per aiutare le famiglie nella crisi economica. «Siamo chiamati a una continua conversione per essere testimoni credibili del Vangelo. Pregando lo Spirito Santo che ha ispirato il nostro fondatore, vissuto al tempo della Prima guerra mondiale e della pandemia di Spagnola, possiamo farcela», chiosa padre Cimarelli.

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Articolo pubblicato su Avvenire il 5 luglio 2020

AVVENIRE - Matteo Billi
05 Luglio 2020
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