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Un cambiamento d’epoca anche per la Missione ‘ad gentes’

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In vista del Capitolo Generale 2023

Guardando verso il nostro prossimo Capitolo generale (CG), ho cercato di situarlo subito sullo sfondo grande del kairos-sfida, nuova, inedita che si pone per la Chiesa nel mondo d’oggi. E partendo dalla presa di coscienza del ribaltone storico mondiale enorme che stiamo vivendo, e che papa Francesco ha riassunto suggestivamente nel celebre detto: “non si tratta di un’epoca di cambiamenti, ma di un cambiamento d’epoca”, mi son chiesto via via che cosa tutto questo può esigere di profonda ‘conversione’ e di radicale ‘ristrutturazione’ anche per il nostro Istituto missionario esclusivamente ad gentes. E così, alla luce dei ‘segni dei tempi’, ne è venuto fuori un cammino di riflessioni e di proposte, che mi accorgo bene essere profonde e sconquassanti ma che, in tutta semplicità mi appaiono urgenti e indispensabili, pena l’insignificanza ecclesiale del nostro Istituto nel mondo d’oggi.

Il 10 agosto 2022, in dialogo molto positivo con p. Alfiero Ceresoli, ho prospettato il sogno di una revisione profonda del curriculum formativo nostro saveriano, in modo da de-clericalizzarlo radicalmente, perché possa invece accompagnare effettivamente ogni candidato saveriano … non al presbiterato (com’è attualmente, almeno per i 2/3 de curriculum, con i filosofati e i teologati), ma direttamente al fine unico ed esclusivo della nostra Famiglia saveriana, cioè alla consacrazione totale a Cristo per un’immersione e un’incarnazione già effettiva nella ‘missione ad gentes’. Con p. Ceresoli, sottolineavo quindi la necessità di prepararci, in questo cammino sinodale, ad una vera ‘conversione missionaria’, anche a livello formativo, personale e strutturale.

Il 4 settembre 2022, poi, sono intervenuto in fraterna polemica con il Comitato pre-capitolare, per una ricostruzione storica assai superficiale del cammino dell’Istituto e per una lettura della situazione, che mi è sembrata inesatta, troppo fluida e irenica. Costatavo invece, per esempio, che l’attuale assai diffuso (e sembra, pacifico) impegno dei saveriani nelle parrocchie (soprattutto, ma non solo, nel mondo occidentale e in America Latina) contraddice direttamente i nostri testi costituzionali, sia quelli ‘originali’ (cfr. RF 2-3, 6-8), sia quelli attuali (cfr. C 2, 7, 9, 10-11, etc.).

Prospettavo quindi l’esigenza, che mi sembra oggi più che mai urgente (ed anche possibile, se vogliamo, grazie al kairos), che questo cammino sinodale del prossimo CG ci porti ad una de-ristrutturazione davvero radicale dell’Istituto stesso, nelle sue istituzioni e strutture, nei suoi programmi e scelte concrete, perché possa ritornare a concentrarsi, effettivamente e di nuovo, esclusivamente - come lo esige in modo lampante il suo carisma specifico e come appare in tutti i Testi costituzionali, antichi e recenti - solo in vista del fine unico ed esclusivo della missione ad gentes, che sola giustifica la sua esistenza e sussistenza nella Chiesa, ancor più nel mondo d’oggi.

Il 22 settembre 2022, segnalavo come in questo ‘camminare insieme’ pre-capitolare, sono stato come punzecchiato da alcuni interventi, anche di saveriani più giovani, in cui ho sentito come l’eco di un mormorio di una certa recente opinione saveriana, assai trionfalistica e acritica sulla situazione presente, che auspica solo di continuare (come se niente stesse succedendo) ad estendere e, anzi, intensificare le attività attuali, soprattutto nel campo dello sviluppo sociale e… nel mondo virtuale. L’unica grossa preoccupazione che sembrano presentare al CG sembra essere quella del futuro sostentamento economico. Altri lamentano invece un certo ‘disincanto’ di vari ambienti saveriani, e l’abbandono della Famiglia da parte di vari confratelli, anche giovani presbiteri.

Mi domando allora perplesso: che non si sia spenta o non stia spegnendosi sopra la nostra capanna la stella luminosa dell’Ideale-carisma unico ed esclusivo “che ci stringe in una sola Famiglia” (LT 11) e che ci spinge /scuote /urget “a lavorare con totale dedizione per l’evangelizzazione dei non cristiani” (C. 19)?

Mi domando: siamo davvero ancora tutti sulla stessa barca? E abbiamo davvero ancora tutti oggi, nella Famiglia saveriana, l’intenzione chiara e concorde di puntare ‘lontano’ verso le spiagge immense dell’ad gentes? Vogliamo davvero ancora tutti rispondere all’unisono all’appello -carisma -‘messa a parte’ e invio di Gesù, per ‘una missione speciale’ (cfr Atti 13,2-3; Gal 1, 15s.  2,7-10)?

Credo quindi che, grazie anche al ‘kairos’ del prossimo CG, dovremmo finalmente metterci d’accordo e smettere di giocare a nascondino dietro le parole, equivocamente abusate, di Missione, e peggio, dell’ad gentes’! Spero che questo ‘cammino capitolare’ ci porti ad una specie di Sichem saveriana (cfr Giosuè 24) in cui, chi ci sta, rinnova solennemente, insieme, il patto di fedeltà al carisma-fine unico ed esclusivo, della missione ad gentes, la ‘missione speciale’, specifica, ‘del primo annuncio’ ai mondi non-cristiani: all’interno, certo, della missione universale della Chiesa nel Mondo d’oggi, che comprende necessariamente anche una creativa pastorale missionaria parrocchiale /tra i cristiani, e una ardita ‘nuova evangelizzazione’ /tra i post-cristiani: tre dimensioni missionarie fondamentali ma distinte, che implicano quindi vocazioni-carismi distinti, di cui solo la prima , però, è la nostra.

Se qualcuno non se la sente o vuole puntare su altre mete, scenda pure liberamente, senza però voler intralciare la rotta comune, l’unica, per noi… ‘a trazione carismatica’. Infatti, nel mondo d’oggi, ci sono tante altre barche missionarie a disposizione!

Ma rinnovare il patto di fedeltà concorde all’Ideale-carisma unico ed esclusivo, per noi oggi saveriani, non è ancora tutto. Anzi, forse qui comincia il bello. Perché, in questo cambiamento d’epoca post-conciliare si impone ancora un interrogativo aperto enorme: qual è oggi il paradigma autentico della missione ad gentes?

Non è più accettabile oggi, infatti, il paradigma apocalittico… del correre a ‘salvare’ le masse pagane gettando loro l’unico salvagente dall’inferno (il battesimo); né quello ‘colonizzatore’ della pretesa di portare la fede e civiltà ai poveri pagani selvaggi; e nemmeno, finalmente, quello ecclesiastico, preoccupato sopratutto della ‘plantatio ecclesiae’…

In altre parole, credo che nella missione ad gentes (con il risveglio ipersensibile, per esempio, del mondo musulmano o indù) non sia assolutamente più accettabile oggi il modello del missionario ‘salvatore’ o ‘maestro’, o ‘curatore’ o ‘imprenditore’ o ‘fac totum’, comunque, del ‘grande benefattore’. E forse credo, neanche quello del ‘prete’ in quanto tale.

Così dopo il ribaltone del Vaticano II e lo spaesamento assai caotico del post-concilio, il grosso problema della missione ad gentes, ancora irresoluto oggi, mi sembra proprio quello del nuovo paradigma della missione ad gentes: le vere finalità e il metodo accettabile evangelicamente e socialmente oggi, sono ancora da ‘reinventare’ o almeno ancora da riformulare, nel cambio d’epoca che stiamo vivendo oggi nella Chiesa e nel mondo, in un cammino sinodale.

Papa Francesco, in Fratelli tutti, ha proposto la forte icona biblica del Buon Samaritano come la strada maestra oggi per tutta la Chiesa missionaria: far esperimentare il calore concreto dell’Amore di Cristo/Dio all’uomo malmenato di oggi, senza tanti discorsi.

Ma, nel mondo specifico non-cristiano ipersensibile di oggi, il ‘buon samaritano’ potrebbe però veicolare ancora l’impressione del missionario-benefattore, e mostrare quindi un senso di superiorità, che oggi sarebbe subito rigettato, anche politicamente, e interiormente anche dai più poveri.

Integrando invece, e in un certo senso sorpassando anche l’icona del buon Samaritano, mi si è affacciata luminosa davanti, come specifica della ‘evangelizzazione’ nel mondo non-cristiano, l’incredibile icona biblica del ‘exinanivit semetipsum’/si è annientato (di Fil 2,5ss), cioè la kenosis dell’incarnazione-croce di Cristo, come unico cammino missionario possibile, oggi, in vista della grande ‘metamorfosi pasquale’ cosmica, come la concepiva già Paolo, e probabilmente la Chiesa primitiva anche prima di Paolo. Contempliamo con emozione l’icona di Filippesi 2,5-8-11:

Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono/sono in Cristo Gesù: Egli, pur essendo di condizione divina, non si aggrappò gelosamente alla sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo/ schiavo, e divenendo simile agli uomini. Essendosi comportato come un uomo, si umiliò ancor più facendosi obbediente fino alla morte, e la morte sulla croce. (…) 

Ora, se questo è il cammino missionario di Gesù, se anche  tu non passi per una ‘kenosis’ radicale e una incarnazione nuda, totalmente gratuita e solidale, per entrare umilmente nel cuore della nuova cultura-popolo che ti accoglie fraternamente come ospite, e a cui devi cominciare ad ‘appartenere’ con profonda cordiale empatia, ci sarà sempre troppo spazio per il protagonismo-paternalismo pseudo-religioso del ‘missionario’: il che blocca inevitabilmente tutta la fecondità evangelica della tua presenza.

Attraverso invece il cammino faticoso, ma rigenerante di spogliarti di tutto per immergerti in profondità nella nuova comunità, potrai fare l’esperienza di una vera fraternità adottiva. Camminando semplicemente con i nuovi fratelli, scoprirai con gioia, insieme a loro, la sottesa reale ‘fraternità naturale creaturale’ del siamo veramente Fratelli tutti, perché tutti figli di Dio (Cfr. Documento sulla Fraternità umana d’Abu Dhabi, 2019).

Cosa te ne pare? Grazie per eventuali commenti.                                       

P. Antonio Trettel, sx

Bukavu (RDC), novembre 2022

Nota della redazione: Chi fosse interessato a conoscere e leggere i testi completi di tutti gli interventi di P. Antonio Trettel – passati, presenti e futuri – può contattarlo, anche per interloquire personalmente con lui, a questo indirizzo email: trettelantonio96@yahoo.com

Antonio Trettel sx
10 Novembre 2022
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