Siamo forse ancora un poco Ariani?
Il rischio sottile dell’Arianesimo permane nascosto in diversi luoghi della esperienza cristiana.
Dal punto di vista della teologia non c’è o non pare esserci problema.
Il mio dubbio riguarda il sentire comune, o il vissuto, di tanti fedeli, tra cui noi.
Se Gesù è consustanziale al Padre, se “È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità,” se Lui è il rivelatore del Padre e del proprio rapporto con il Padre, allora occorre – come del resto è sicuramente acquisito dalla tradizione – che leggiamo l’Antico Testamento a partire dal Nuovo Testamento. Che leggiamo quanto uomini ispirati hanno detto del Padre alla luce di quanto uomini ispirati, la Chiesa della origini, ha detto di Gesù rivelatore del Padre.
Eppure in diversi luoghi della nostra esperienza siamo ancora fermi all’Antico Testamento e non ci lasciamo rinnovare dal Nuovo. Elenco, quasi solo come titoli, alcuni di questi luoghi.
1. L’esperienza del dolore.
Quando incontriamo il dolore, facilmente la nostra reazione è protestare davanti a Dio, come Giobbe. Antico Testamento.
E dimentichiamo che Gesù è venuto e ci dice “io sono con voi tutti i giorni”, anche nel nostro dolore, al punto che San Paolo dice: Cupio dissolvi et ess cum Christo.
2. Il rapporto con le cose e con la natura.
(I danni provocati da questa lettura antica e non rinnovata sono storicamente enormi).
Leggiamo: “Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente che striscia sulla terra»”
E Gesù: “Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete…Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani…”
Quale delle due istruzioni è stata seguita nella storia dalle diverse culture cristiane che vi si sono succedute?
Non siamo forse ancora saldamente fermi alla lettura umana dell’AT?
3. Popoli, culture e singole persone.
Quale è nell’AT il Mediatore tra Dio e l’umanità? Molti danno a questa domanda la risposta sbagliata. Nell’AT il Mediatore, il Figlio di Dio, è tutto il popolo di Israele: “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio.”. I vari personaggi che lungo la storia hanno guidato Israele, come del resto ogni evento di quella stessa storia sono semplicemente segni della scelta fedele di Dio, come un padre che fa molti regali a suo figlio: “Io vi ho fatto salire dalla terra d’Egitto e vi ho condotto per quarant’anni nel deserto, per darvi in possesso la terra dell’Amorreo. Ho fatto sorgere profeti fra i vostri figli e nazirei fra i vostri giovani. Non è forse così, o figli d’Israele?”
Nel NT il Mediatore è Gesù, e tutti, compreso Israele, devono credere in lui per poter partecipare del rapporto unico che egli ha con il Padre. Il Credo di Israele nell’AT si articola così: “Noi siamo il Figlio di Dio”. Il Credo del NT dice a Gesù: “Tu sei il Figlio di Dio”.
E questa è scelta personale, anzi, personificante: rende il singolo partecipe della persona di Cristo e della sua vita divina.
Eppure quanti ancora, dopo essere arrivati al NT, tornano indietro verso l’AT e con i fatti prima ancora che con le formulazioni proclamano a se stessi e ad altri l’importanza della cultura, fino a sostituirla alla mediazione di Cristo?
4. Storia grande e storie piccole
Connesso con il precedente luogo ve n’è un altro: quale storia è storia di salvezza?
Nell’AT la risposta è chiara: la storia di Israele, storia del Figlio di Dio è il luogo dove Dio continuamente lo salva, gli dà vita, prosperità, lo libera dai nemici nelle guerre e nelle battaglie. Non a caso la parola ‘Salvezza’ significa ‘Vittoria’.
Nel NT c’è solo un’altra storia: è la storia dell’accesso a Gesù di ogni singola persona; o meglio: della rivelazione di Gesù Risorto a ciascuno, che già lo ha dentro di sé, perché lui è morto per tutti, e quindi tutti sono ormai immersi nella sua morte per loro, per vivere per lui. È la storia dell’ascesa dei discepoli con Gesù sul Monte Tabor, dove egli rivela la sua gloria.
Quante volte invece ci si affretta a scender dal Monte Tabor, immaginando che ci sia un’altra storia di salvezza, mentre tutto ciò di cui si scrive sui giornali è solo uno sfondo confuso e annebbiato da cui, per la misericordia di Dio, alcuni emergono per salire verso la luce. Di nuovo, quanto si ama lasciare il NT per ritornare all’AT.
5. La Trinità e noi
L’AT ci mostra la progressiva rivelazione della Trinità attraverso il popolo eletto. La vita del popolo eletto ha in sé la progressiva manifestazione del Figlio (che si compie con la presenza di Gesù), e dello Spirito Santo, nel rapporto che Dio intrattiene con Israele. Nell’AT Dio (il rivelarsi del Padre) è il “tu” di Israele.
Anche adesso, comunque, dopo che tutto il NT è pieno della locuzione: “in Cristo Gesù”, senza rifletterci troppo, noi spontaneamente pensiamo che Dio (la Trinità) stia di fronte a noi, come nell’AT, e pensiamo di dover, o poter, cercare di capirne il mistero, come una sfida alla ragione.
Per spiegare ciò che vorrei dire, ecco un esempio del tutto comune: la dinamica dei regali. Io voglio bene a un amico, gli faccio un regalo, ad esempio dei pasticcini. L’amico li riceve, li gusta, e felice mi risponde con un ringraziamento, con un altro regalino o in altri modi.
Il Padre ama il Figlio. “Figlio, ti faccio un regalino, tutto l’universo”. Il Figlio accoglie questo regalo, lo fa suo, lo gusta, diventa in qualche modo questo regalo incarnandosi, e in risposta offre al Padre l’universo che ha ricevuto. (La cosa è leggermente più complessa, perché c’è di mezzo la creazione degli esseri liberi, angeli e uomini, il peccato angelico, Gesù che risana con la sua croce l’universo…).
In sintesi, comunque, l’universo è attraversato, in modo misterioso, incredibile e in crescita continua, da questa corrente di amore, lo Spirito Santo, tra il Padre e il Figlio, come un filo elettrico attraversato da una corrente sempre più forte, che alla fine lo fonde.
Quindi noi siamo dentro, e scoprire la vita della Trinità è accorgerci di essere sempre più fusi insieme in questo dialogo, in questa donazione reciproca. Dove ci resta di divenire, eternamente, laus gloriae.
6. Ariani nel dialogo interreligioso?
Nell’AT il dialogo interreligioso si faceva in genere con le guerre (tutte le guerre, senza eccezione, sono tra dèi), anche se ci sono casi particolari (Abramo e Melchisedek, Eliseo e gli Aramei…). Inoltre, l’entrare a far parte del popolo eletto non serviva, altrimenti la particolarità di Israele si diluiva… Ma nel NT c’è l’ordine di Gesù di portare la salvezza a tutti, offrendo loro di credere in Lui, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Senza violenza, tra l’altro, con il dialogo.
Qui nasce il problema. Dialogando, non sempre l’interlocutore accetta la nostra fede. E siccome noi cerchiamo di mantenere la necessaria armonia propria di chi dialoga, siamo tentati di mettere tra parentesi il punto cruciale, cioè Gesù, e di rifugiarci nel mondo nebbioso della idea di Dio, magari dicendo, o solo pensando, per tranquillizzarci, che alla fine abbiamo uno stesso Dio, e quindi va bene anche se di Gesù non se ne parla.
Di nuovo: la nostra idea di Dio è più grande della viva presenza di Gesù, e il rischio di un Arianesimo strisciante si fa più tangibile.
Occorre ricordare il doppio Paolo conosciuto ad Atene, in Atti 17: quando parlava a Gesù dei molti templi che vedeva, fremeva nel suo intimo, probabilmente di sdegno; quando parlava agli Ateniesi di Gesù li lodava come popolo assolutamente religioso e aperto alla rivelazione divina. Come mai? Certo è che Paolo non era per niente un ariano…
…
Mi pare che questi siano alcuni ‘luoghi’ dell’esperienza cristiana dove corriamo il rischio, anche senza accorgerci, di ritornare in qualche modo all’Arianesimo, perché scivoliamo facilmente dal NT all’AT, dove la piena rivelazione del Figlio e dello Spirito, e con loro del Padre, era ancora in fieri.
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