Per un mondo senza armi nucleari. È l’invito di papa Francesco durante il suo viaggio in Giappone, nel novembre 2019: “Un mondo in pace, libero da armi nucleari, è l’aspirazione di milioni di uomini e donne in ogni luogo”. Per trasformare questo desiderio in realtà c’è bisogno della partecipazione di tutti, ha detto ancora Francesco all’Atomic Bomb Hypocenter Park di Nagasaki: “Le persone, le comunità religiose, le società civili, gli Stati che possiedono armi nucleari e quelli che non le possiedono, i settori militari e privati e le organizzazioni internazionali”. Inoltre, secondo il papa, una risposta alla minaccia delle armi nucleari può essere solo “collettiva e concertata”, basata “sull’ardua ma costante costruzione di una fiducia reciproca che spezzi la dinamica di diffidenza attualmente prevalente”. E collettivo e concertato è stato il processo che ha portato al Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), entrato in vigore il 22 gennaio 2021, con l’adesione della maggioranza degli Stati membri dell’Onu (assente l’Italia) e la partecipazione di numerose Ong, tra le quali l’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN), Premio Nobel per la Pace 2017, una cui delegazione il papa ha ricevuto in udienza in Vaticano poco prima di partire per il Giappone.
Francesco è convinto che un mondo senza atomiche è non solo possibile, ma necessario, perché si tratta della peggiore di tutte le armi di distruzione di massa e quindi della più disumana, eticamente insostenibile. Lo ha ribadito al Memoriale della Pace di Hiroshima: “L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune”. Per cui, ha concluso il papa, è immorale non solo l’uso, ma anche il possesso di queste armi. Accogliamo perciò con grande speranza il trattato Onu per la messa al bando delle armi nucleari, che ne rende illegale, nei paesi che l’hanno ratificato, l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, l’installazione o il dispiegamento. E ci uniamo a tutti coloro che in Italia hanno aderito alla campagna “Italia ripensaci”, affinché il nostro paese “ripensi” la propria posizione, ratifichi il trattato e inizi lo smantellamento degli ordigni atomici presenti nelle basi di Ghedi e Aviano.
Di fatto, ormai si tratta di armi fuorilegge, oltre che immorali. Per di più, è dimostrato che il loro uso, anche sperimentale – basti ricordare la vicenda del peschereccio giapponese investito dal fallout radioattivo dell’esperimento del Pentagono per la bomba all’idrogeno sull’atollo di Bikini nel 1954 –, ha un impatto catastrofico dal punto di vista umanitario e ambientale. Sulla loro messa al bando dovrebbero dunque concordare anche i leader politici che tirano i fili della sicurezza mondiale, oltre a quanti sono stati vittime di un’esplosione atomica o potrebbero esserlo, come testimoniano gli hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki. Essi raccontano calvari inenarrabili, come scrive Hara Tamiki: “Era un inferno nuovo realizzato con finezza e precisione. Ogni traccia di umanità era stata cancellata, a cominciare dall’espressione del volto dei cadaveri, sostituita con un non so che di stereotipato, meccanico. […] I cavi elettrici sparsi a terra insieme alle infinite macerie erano una trama di spasmi al centro del nulla” (L’ultima estate di Hiroshima, 2010, pp. 86-87). Solo guardando alle vittime, gli hibakusha di Hiroshima e Nagasaki – e di tutto il mondo –, potremo realizzare il disarmo nucleare.
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