Ripubblichiamo un articolo di Paolo Affatato, scritto per l’Osservatore Romano e pubblicato il 26 Giugno 2024
YOGYAKARTA - «Siamo diversi, ma siamo uniti». Gli studenti cristiani e musulmani che vivono nella città indonesiana di Yogyakarta, sull’isola di Giava (l’isola più importante dell’arcipelago), sperimentano il dialogo tra i banchi di scuola. Sono proprio le università e i college, disseminati nel territorio di Yogyakarta, i luoghi dove il dialogo si fa quotidianità, conseguenza naturale di un pluralismo che trova qui la sua massima espressione.
Nell’università “Sanata Dharma”, istituto cattolico fondato dai gesuiti nel 1955, cinque campus e sette facoltà per dodicimila studenti provenienti da tutte e trentaquattro le province indonesiane, la parola d’ordine è «promuovere un’istruzione inclusiva, che abbia nel dialogo e nel multiculturalismo i suoi fattori costitutivi».
Le ragazze di Sumatra, con l’hijab colorato, studiano accanto ai colleghi giavanesi o a studenti dai tratti scuri, tipici del ceppo melanesiano dei territori della Papua. In un quotidiano laboratorio di dialogo che abbraccia i diversi ambiti — religione, cultura, politica — gli studenti di tutte le fedi imparano a conoscersi e a stimarsi. In particolare la presenza di studenti musulmani nel campus cattolico permette loro di conoscere direttamente i cristiani e questa diventa, così, una delle vie per contrastare il radicalismo: gli allievi di religione islamica imparano a conoscere la fede cristiana (e non esitano a confrontarsi con gli iscritti alla facoltà di teologia cattolica) e, senza alcun pregiudizio, sperimentano la tolleranza, proprio “l'unità nella diversità” che è il motto della nazione.
È quanto accade anche nell’università “Atma Jaya”, altra prestigiosa università cattolica di Yogyakarta, dove musulmani e cristiani condividono un percorso di studi che insegna loro a dialogare e a superare le barriere di cultura, lingua e religione. I giovani presenti imparano, in primis, a diventare “campioni di umanità”, buoni cittadini, e a vivere nella loro quotidianità la convivenza, che parte dal dialogo con l’altro. Non è da meno l’università islamica “Sunan Kalijaga” dove la finalità dichiarata è quella di «sperimentare il dialogo per promuovere la fratellanza».
Con i suoi 20.000 studenti, l’ateneo è un importante centro accademico nazionale di studi islamici e dal 2005 ha anche un Centro culturale per il dialogo interreligioso. Dalle aule o dai forum di studio, il dialogo “esce” e va a diffondersi nel tessuto sociale poiché esso è allo stesso tempo il fondamento e la sfida della società indonesiana. Il dialogo — si afferma nell’istituto — permette di «diventare insieme costruttori di un mondo rinnovato dai valori della fraternità».
Il riconoscersi come esseri umani, fratelli e sorelle, porta a capire e ad accogliere la fede del prossimo e la sua prospettiva: il segreto per la coesistenza è «provare a pensare come un musulmano pensa, come un indù pensa, come un cristiano pensa, vedere il mondo come l’altro lo vede».
Il motto della nazione indonesiana, “unità nella diversità”, esprime la grande varietà etnico-linguistica del più grande stato-arcipelago del mondo, con le sue 17.000 isole e 300 gruppi etnici, ciascuno ricco di una propria vivace tradizione culturale. Oggi la popolazione è orgogliosa di presentarsi al mondo come un esempio di tolleranza e convivenza tra diverse culture e religioni, come la terra del “dialogo di vita”.
Si conta che la popolazione attuale sia di 275 milioni, facendone il quarto stato più popoloso al mondo, il primo tra quelli a maggioranza musulmana (86 per cento), dove i cristiani di diverse Chiese sono l’11 per cento. L’opera della comunità cattolica nel campo dell’istruzione continua a riunire giovani di diverse origini religiose e culturali per testimoniare amicizia e fraternità e per condividere il dono della vita. L’esperienza di studio negli istituti di Yogyakarta aiuta i giovani a comprendere che le differenze possono essere contemplate come storie dell’infinita diversità di Dio stesso.
Offrendo spazi di confronto e di crescita ai giovani di religioni diverse, affinché si impegnino in un dialogo rispettoso, essi crescono nella loro conoscenza di Dio e «apprezzano con gli occhi del cuore che il ricco arazzo della nostra umanità è ancora più bello, quando si abbraccia la diversità», notano i gesuiti della “Sanata Dharma”.
Queste storie fanno sì che la speranza cresca e, spesso, portano alla nascita di iniziative comuni per camminare con i poveri e con gli emarginati o per proteggere la terra. Frutto del dialogo che li avvicina e che diventa uno “stile di vita”, i giovani indonesiani, cristiani e musulmani, avvertono l’urgenza di impegnarsi, con il loro dinamismo giovanile, a promuovere l’unione tra le diversità, la solidarietà con gli emarginati, le pratiche di custodia del creato e di cura della “casa comune”.
In un circolo virtuoso, con tali gesti vivono e costruiscono un clima di pacifica convivenza, testimoniando che il dialogo è possibile ed è fecondo: molti gruppi e organizzazioni, composti da persone di varie fedi, lavorano nell’ambito del dialogo interreligioso e collaborano nella difesa della dignità e dei diritti umani.
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