E poiché tutti abbiamo difetti e colpe, c’impone inoltre il compatimento scambievole ed il perdono delle offese, sull’esempio di Cristo e dei Santi, che passarono per questa vita facendo del bene a tutti, anche ai nemici. […] (G.M. Conforti)
Il perdono è un argomento molto presente nelle nostre conversazioni. Anche se siamo abituati a parlarne, questo non vuol dire che lo capiamo bene o che sappiamo interpretarlo nella sua vera essenza. È un tema molto complesso, perciò ha suscitato la mia curiosità e il mio interesse di studio. Consapevole della sua rilevanza nelle relazioni interpersonali vorrei condividervi questa mia riflessione a proposito. L’ho trovata interessante come pratica a cui allenarsi, un’arte da imparare per noi che viviamo in un mondo segnato da divisioni che a volte portano alla violenza. Che cosa intendiamo quando si evoca la parola perdono?
La parola perdono desta molti interrogativi. Viene spesso usata in modo scorretto e non di rado se ne ha un’idea vaga e a volte superficiale. A volte può essere ostentato e dichiarato solo per farsi approvare ignorando che si tratta di un processo lungo, che va generato nella fatica, nel dolore e nella discrezione; in modo da non essere strumentalizzato solo a fini di riconoscimento pubblico. Perdonare, come vedremo più avanti, non significa dimenticare l’offesa o colui che l’ha compiuta, perché in noi c’è la facoltà della memoria, ed essa registra nella nostra persona il male che ci è stato fatto e chi l’ha perpetrato. Nella tradizione ebraico-cristiana solo Dio può perdonare dimenticando. L’uomo perdona ma conserva la memoria. Chi riesce a perdonare permette all’offesa e all’offensore, con il passare del tempo, di non essere più una presenza ossessiva e inquietante. In questo senso il perdono aiuta la memoria a guarire, non a morire.
È importante parlare del perdono oggi, perché siamo in un mondo dove la violenza e il risentimento non risparmiano quasi nessuno. C’è violenza perché manca uno sguardo misericordioso verso gli altri, manca la capacità di perdonare. Come vedremo, il perdono ha due valenze connesse tra loro: il perdono tra l’uomo e Dio; e il perdono degli uomini tra loro.
1. Il perdono nella Sacra Scrittura
1.1. Il perdono al di fuori del contesto ebraico.
I babilonesi e gli assiri consideravano perdono dei peccati la cessazione degli affanni che erano visti come punizione degli dèi. Gli dèi si adirano per i peccati, ma si lasciano anche placare. Il loro perdono è funzionale al dono e non è del tutto gratuito e libero. Nella religione ufficiale dell’Egitto la coscienza del peccato sembra assai poco sviluppata. Soltanto a partire dalla XIX dinastia troviamo testimonianze di preghiere invocanti il perdono per trasgressioni per lo più cultuali e di rendimento di grazie per il perdono ottenuto, che è considerato anche qui come dono gratuito delle divinità.
1.2. L’Antico Testamento
- Il perdono fra gli uomini: Nell’AT troviamo un invito a non far vendetta (Lv 19,17ss; Pr 20,22; 24,29) e ad aiutare i nemici nel bisogno (Es 23,4ss; Pr 25,21ss). Troviamo già esempi di magnanimità verso persone dalle quali si sono ricevuti dei torti, ma raramente si parla del perdono interpersonale. Al massimo si può intendere come invito a non serbare rancore verso il prossimo (Lv 19,18), a mettere fine alle ostilità (Sir 28,6) e a coprire d’amore le mancanze altrui (Pr 10,12). Si ritiene che uno che perdona i torti altrui, otterrà egli stesso perdono dei suoi peccati (Sir 28,2).
- Il perdono dei peccati: Ci sono talvolta dei peccatori che si rivolgono a uomini di Dio per avere il perdono dei loro peccati (Nm 12,11ss; 1Sam 15,25). In questi casi è preferibile pensare ad una intercessione o ad una assicurazione di perdono fatta a nome di Dio. Ma abitualmente il perdono è riservato a Dio.
- Il perdono nel giudaismo al tempo di Gesù: I giudei al tempo di Gesù credono che Dio perdoni il peccatore. Si attribuisce una grande importanza ai riti propiziatori, ma si sa che è richiesto con tutta serietà il pentimento e il dolore interiore. La confessione delle colpe, il dolore e il proposito sono considerati indispensabili per il perdono. Ad esempio la comunità di Qumran dà grande importanza a bagni rituali e fa dipendere il perdono dall’entrata nella comunità, ma dichiara espressamente che la remissione dei peccati non si ottiene solo attraverso dei riti o l’adesione alla comunità stessa, ma attraverso l’umiltà, il distacco radicale dal male e l’obbedienza alla legge divina (1QS III,6s; XI,14; 1QH IV,37; XI,10-14).
1.3. Il Nuovo Testamento
L’esempio più eloquente del perdono, nel NT, è quello che Gesù in croce chiede a Dio per i suoi carnefici (Lc 23,34). In tutto il Vangelo Gesù ha fatto obbligo ai suoi discepoli di amare i nemici (Mt 5,43-48; Lc 6,27-28), porgere l’altra guancia (Mt 5,39; Lc 6,29). Se tutti porgessero l’altra guancia, nessuno più colpirebbe. Tutto il discorso della montagna è un invito alla mitezza, alla mansuetudine come stile di vita.
Quindi il perdono è già implicito, se il cristiano fa del bene ai suoi nemici e benedice i suoi persecutori (1Cor 4,12; 1Ts 5,15; 1Pt 3,9). Il discepolo di Gesù deve essere disposto a perdonare costantemente il torto ricevuto (Mt 18,21-22; Lc 17,3b-4). La disposizione a perdonare agli altri diventa una condizione da cui dipende il perdono di Dio (Mt 6,12.14ss; 18,23-35; Mc 11,25ss; Lc 11,4). Se nell’AT e nel giudaismo il perdono era una prerogativa solo di Dio, nel NT questa prerogativa è data anche all’uomo (Mt 9,8; Gv 20,23). Quindi sia nel AT, sia nel NT il perdono è un dono divino libero e gratuito.
2. Aspetto sacramentale
Nella Chiesa cattolica il perdono è vissuto come un sacramento. Secondo la Tradizione, questo sacramento è stato istituito da Cristo per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo. Si dice confessione dall’accusa delle proprie colpe, che il penitente fa al sacerdote; e penitenza dalla riparazione espiatrice che egli deve prestare anche personalmente. Attraverso l’assoluzione sacramentale, Dio accorda al penitente il perdono e la pace (cfr. CCC 1424). Quindi la chiesa attua se stessa in quanto comunità di salvezza sia opponendosi al peccato, sia accogliendo il peccatore pentito: esattamente come Cristo. Essa ha la potestà di dichiarare al proprio membro la parola del perdono. Però la pratica del perdono richiede un processo previo di pentimento.
Il periodo patristico conosce il processo penitenziale come possibilità unica per essere perdonati. Il rito della riconciliazione significa una nuova comunicazione dello Spirito santo e insieme alla penitenza cancella i peccati (Agostino). A titolo esemplificativo, tutta l’opera di Sant’Agostino sarà attraversata dal senso profondo del peccato dell’uomo e del perdono di Dio per colui che si pente. Tommaso d’Aquino considera come caso normale un peccatore che si accosta al sacramento della penitenza. Questi è già giustificato a motivo del suo pentimento. E questi sono solo alcuni esempi di chi ha parlato del tema del perdono. Si arriva al perdono perché si ha vissuto delle esperienze conflittuali remote o attuali che ostacolano il normale corso della vita.
2.2. La realtà del conflitto
2.2.1. Il conflitto con gli altri.
Il perdono può innanzitutto essere definito come una risposta a un’offesa subita. Nonostante la varietà delle forme con le quali si possono offendere gli altri, tre elementi sono stati riscontrati comuni a tutti i tipi di offese: 1) L’essere percepite come ingiuste e immorali, in quanto atti che violano le norme socialmente condivise o i principi soggettivamente ritenuti validi; 2) L’essere giudicate azioni perlopiù intenzionali, volontarie, soggette al controllo e al libero arbitrio dell’individuo; 3) Il terzo e ultimo tratto caratteristico delle offese consiste nel provocare in chi le subisce una sofferenza persistente che ne altera il benessere psicofisico.
2.2.2. Il conflitto con Dio.
Tutti i conflitti dell’uomo (con se stesso e con gli altri) sono segno di un conflitto più segreto, più profondo, che si annida nel suo cuore: il conflitto con Dio. Quando la coscienza non è retta, non si cammina più secondo la volontà di Dio, la vita con gli altri, anche con se stessi diventa difficile. Per riconciliarsi con Dio e con gli altri, è molto importante riconciliarsi prima con se stessi. Quindi la riconciliazione con Dio, la riconciliazione con i fratelli e con se stessi sono inseparabili tra di loro.
2.3. Il perdono come un atto di fede liberante
Perdonare a un uomo non significa far conto che non sia avvenuto quanto egli ha commesso, non volerlo ammettere o semplicemente dimenticarlo. Perdonare in certi casi può significare, proprio il contrario, cioè non dimenticare. Perdonare significa non permettere che il passato di un altro sia di ostacolo alla relazione. Perdono non vuol dire assenso a una colpa passata, bensì assenso ad un uomo con la sua colpa passata. In tal senso perdono è una parola basilare della fede cristiana. È anzitutto in rapporto a Dio. La fede nella salvante prossimità di Dio include sempre la fiducia che Dio ci ha accettato così come siamo: con la nostra colpa. Proprio questo è il suo perdono: la nostra debolezza e nemmeno la nostra realissima colpa sono impedimento a che egli ci accetti. In questo senso il perdono di Dio è parte integrante e indispensabile della sua liberante prossimità a noi, così come la nostra fiducia nel suo perdono è parte integrante e indispensabile della nostra libertà.
Il perdono fra uomini, quindi, non può significare nient’altro che noi ci comportiamo con il prossimo così come Dio con noi, liberandolo per parte nostra dal suo passato di colpa così come Dio ha liberato noi.
3. Alcune considerazioni morali del perdono
3.1. Il perdono e il male.
Il perdono è decisivo nella nostra vita umana e cristiana perché conosciamo il male come contraddizione al bene. Violenza, delitti, abusi, discriminazioni, oppressioni accompagnano la storia e si ripetono in forme inedite ma con la stessa capacità di generare sofferenza e morte. Il male, come rivelato da Gesù, sgorga dal cuore dell’uomo, e diventa aggressività, violenza, odio, dominio o anche solo indifferenza verso gli altri, ma noi lo facciamo nonostante siamo consapevoli di ciò che è bene. Quando il male è causato da qualcuno, la vittima lo patisce come offesa, come ingiustizia, come ferita alla propria vita e alle proprie relazioni. La sofferenza è conseguenza dell’offesa, che è un male oggettivo, ma che è sempre sperimentata soggettivamente, in modo proprio ed unico. Quindi quando si riceve un’offesa, di fatto si reagisce con sofferenza, tristezza, amarezza, indignazione, rabbia, ed è proprio in questa situazione che si decide la vendetta o la fuga, oppure con misericordia ci si incammina sulla strada del perdono.
3.2. La fatica di perdonare.
Il tempo interviene nella maturazione verso la concessione del perdono. Perdonare non è qualcosa di magico, ma un processo che richiede tempo e fatica. Questo processo può avere inizio soltanto quando, superato un primo momento di smarrimento e sofferenza, la persona attraversa un secondo momento di rancore, risentimento, giunge ad un terzo momento, in cui recupera un certo controllo sui propri vissuti e sulla propria sofferenza. Non li nega, ma neppure se ne lascia dominare.
Perdonare richiede quindi il sacrificio di se stessi in rapporto all’altro. Si perdona affinché l’altro possa vivere non schiacciato dalla colpa. Il perdono non attende che l’altro confessi, che cominci a riscattarsi, che si penta, che si ravveda, che offra una qualche forma di risarcimento o che sconti la pena; non è un atto naturale, nemmeno un sentimento spontaneo. Chi è arrivato a perdonare sa che si tratta di un cammino che richiede discernimento, un cammino lungo perché richiede tempo, esige disciplina ed esercizio; è a caro prezzo, perché costa sacrificio; è un cammino che va sempre riconfermato e ricominciato.
3.3. Perdono e vendetta.
La tentazione impulsiva di chi è stato offeso è quella di rispondere al male con il male, infliggendo all’altro lo stesso male che da lui si è ricevuto: è la vendetta. Il risentimento e la rabbia sono propri di chi riapre costantemente la ferita ricevuta, sicché la memoria del passato esacerba la sofferenza, il presente è occupato dalla recriminazione ossessiva del male subito e il futuro appare dominato dalla possibilità della vendetta. La vendetta mira a pareggiare i conti, rende cieco chi la segue, fino a ottenebrare la sua ragione, ad arrestare e contraddire il cammino di umanizzazione, che è quello del perdono.
3.4. Comprensione dell’altro e alcuni esempi di perdono.
In questo lungo processo di umanizzazione, prima o poi si giunge a guardare l’altro dissociandolo dal male commesso. L’altro non è il male. Egli resta un uomo, una donna che ha commesso un’azione che è male; ma ciascuno è sempre più grande delle sue azioni. Se non si assume questo sguardo, l’unico esito possibile è la condanna a morte dell’altro.
Occorrono parole, gesti, atteggiamenti che dimostrino l’atto del perdono maturato nel cuore. Anche questo è un passo a caro prezzo, che richiede forza d’animo, saldezza di sentimenti e coraggio profetico. Se si è giunti davvero ad essere capaci di perdono, non si cerca che sia ristabilita la giustizia, perché perdonare non è un’azione di giustizia ma di misericordia. Abbiamo la testimonianza di tanti uomini e donne che si sono impegnati su questa strada: ad esempio, Papa Giovanni Paolo II andò a visitare in carcere il suo attentatore, Ali Agca, due anni dopo il tentato omicidio in Piazza San Pietro; Nelson Mandela dopo parecchi anni scontati ingiustamente in carcere, appena uscito, con il suo esempio trascinò il suo popolo sulla strada del perdono e della riconciliazione.
Penso anche al “Festival Amani”, cioè Festival della pace, che ogni anno raduna i giovani ed alcuni artisti della Repubblica democratica del Congo, del Ruanda e del Burundi per parlare della pace che implica il perdono, la riconciliazione. È una bella occasione per sensibilizzare alla convivenza pacifica che è possibile solo se si è disposti al perdono e alla riconciliazione.
3.5. Perdono e riconciliazione:
Non dobbiamo sovrapporre perdono e riconciliazione: sebbene il perdono possa aprire la strada a una successiva riconciliazione e sia rivolto a questo obiettivo. Esistono delle differenze sostanziali tra i due processi. Il perdono è un processo sostanzialmente unilaterale che ha per protagonista un’unica persona, quella della vittima, l’unica titolata ad avere il diritto di perdonare. Al contrario la riconciliazione è un processo bilaterale avente per protagonisti sia la vittima sia l’autore dell’offesa. L’atto del riconciliarsi sembra perciò costituire una realtà più complessa e articolata del perdonare.
3.6. Perdono e giustizia.
Com’è possibile cercare di restaurare la giustizia e nello stesso tempo perdonare? A cosa tende l’esercizio della giustizia? Alla punizione o a un risarcimento per l’offesa? Oppure tende all’umanizzazione?
Il perdono deve essere il vero fine del perseguimento della giustizia. Ma c’è una grande cecità sulla dimensione sociale, politica e giuridica del perdono, si dimostra l’incapacità a opporre le ragioni cristiane al conflitto. Martha Nussbaum, filosofa e accademica statunitense, declina qui la proposta morale fondata sulla revisione delle idee di perdono, punizione e giustizia. Secondo lei costruire un mondo umanamente abitabile richiede intelligenza, autocontrollo, generosità, una paziente e indefessa diposizione d’animo a vedere e cercare il bene più che fissarsi ossessivamente sul male.
Nella sua enciclica Dives in misericordia (1980), Papa Giovanni Paolo II afferma che il perdono apporta un contenuto nuovo alla giustizia senza vendette, senza compromessi, senza punizione (14); anche l’eventuale sanzione non deve mai essere vendetta o castigo ma deve tendere a un cammino di umanizzazione. Papa Francesco, nella Misericordiae vultus, continua dicendo: «il perdono delle offese è l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo di cui non possiamo prescindere» (9); «è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare il futuro con speranza» (10). «Dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia» (12).
Per concludere
questa mia riflessione, vorrei fare mie le parole del Santo Padre durante il suo viaggio apostolico nello Sri Lanka, un paese che era stato colpito da una serie di attentati terroristici il giorno di Pasqua dell’anno 2019. Nel mirino chiese ed alberghi, con centinaia di morti e feriti. In questa occasione diceva papa Francesco, per quanto riguarda il perdono:
«il credente, cosciente di potere operare il male anche quando vorrebbe fare il bene, ha la convinzione profonda che Dio gli perdona, che lo ama pure quando fa il male. L’amore di Dio non è mai meritato; è grazia, per questo precede addirittura il pentimento dell’uomo. Tutti vangeli sono una testimonianza del rimettere i peccati, del perdonarli da parte di Gesù, e la fede dei discepoli ha potuto leggere la sua venuta come perdono per tutti gli uomini. Anche in croce, come in tutta la passione, non solo Gesù non ha risposto alla violenza ricambiando il male, ma ha chiesto a Dio di perdonare ai suoi carnefici. Da questa sua capacità di perdonare, egli chiede ai suoi discepoli di essere uomini e donne pronti a perdonare. Il discepolo dunque sta di fronte a Dio con umiltà e può pregarlo: “Perdona i nostri peccati, come anche noi li perdoniamo a chi ci ha offeso”. Il perdono che siamo capaci di dare agli altri è quanto di più prezioso abbiamo ricevuto. Nella vita niente si risolve con la vendetta, non tutto si risolve con la giustizia. Soprattutto laddove si deve mettere un argine al male, qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia. […] Dio dona ad ogni cristiano la grazia di scrivere una storia di bene nella propria vita e in quella dei suoi fratelli, specialmente di quelli che hanno compiuto qualcosa di spiacevole e di sbagliato. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo trasmettere agli altri ciò che abbiamo ricevuto di più prezioso, cioè il perdono. Viviamo perché siamo stati perdonati continuamente, e la memoria viva di questo perdono ci permette di perdonare agli altri».
Il perdono è la buona notizia di cui ha bisogno il mondo di oggi; soprattutto dove è offesa, dove è discordia e odio, dove si fa più fatica ad amare e perdonare. Il missionario è il messaggero di questa buona notizia dopo essere stato egli stesso testimone della misericordia e del perdono di Dio.
Kabalama C. Serge, sx
Roma, Luglio 2020
Link &
Download
Access here with your username and password to view and download the reserved files.